La popolazione nelle città e nelle campagne
La distribuzione della popolazione
Un quesito è rimasto insoddisfatto, quando abbiamo accennato alla distribuzione della densità della popolazione pugliese: esso riguarda le caratteristiche locali del modo di abitare in grandi o piccoli gruppi, in forma agglomerata o sparsa. Prima di addentrarci nell’argomento, è almeno cautelativo osservare che i risultati che si ricavano dai singoli censimenti non sarebbero rigorosamente confrontabili, perchè dal 1861 al 1931 gli elementi statistici disponibili sono riferiti alla popolazione presente, mentre dal 1936 in poi sono riferiti alla popolazione residente. Sorvoliamo inoltre sulla difficoltà che hanno gli ufficiali dei censimenti per definire alcuni tipi di insediamento o accentrato o sparso, e notiamo che, con molta opportunità, le forme oggettivamente intermedie (nelle quali è lecito supporre che ricadano le forme soggettivamente dubbie) sono state rilevate dal 1951 con i «nuclei». Il censimento del 1861, per indicare un fenomeno praticamente analogo, considerava i «casali»; ma sino al censimento del 1936 incluso, questa indicazione venne poi abbandonata.
Il nucleo è un agglomerato di case, con almeno cinque famiglie, privo del luogo di raccolta che caratterizza il centro abitato. Il carattere di nucleo abitato è inoltre riconosciuto alle « masserie », anche se costituite da un solo edificio, purché il numero delle famiglie in esso permanentemente abitanti non sia inferiore a cinque; ai conventi, alle case di cura, alle colonie climatiche e sanatoriali, agli orfanotrofi, alle case di correzione e alle scuole-convitto situati in aperta campagna; agli edifici distanti da centri e nuclei abitati, con servizi od esercizi pubblici (stazione ferroviaria, spaccio,
chiesa, ecc.), purché negli stessi e nelle eventuali case prossime, da comprendere nel nucleo, abitino almeno due famiglie. I nuclei pugliesi più numerosi sono ubicati nella Puglia settentrionale, per la presenza delle « masserie » e delle vecchie « poste » del Tavoliere, che si diradano invece nelle Murge e nel Salento. Mentre in provincia di Foggia costituiscono un fenomeno d’insediamento attuale e tradizionale eli discreta importanza, nelle altre province pugliesi sono di trascurabile entità.
Il nucleo è praticamente una forma elementare o iniziale di accentramento, che taluni autori fanno rientrare nella cosiddetta popolazione agglomerata (nuclei -f- popolazione accentrata).
La popolazione accentrata pugliese è pari al 93,1% dell’intera popolazione; quella agglomerata varia di poco essendo il 93,8%. Dal 1961, cioè quasi da un secolo, il rapporto tra popolazione agglomerata e popolazione sparsa non ha subito variazioni degne di rilievo, rappresentando quest’ultima un coefficiente sempre oscillante da un minimo del 5,7% (anno 1861) ad un massimo dell’8% (anno 1911). Come numero assoluto di popolazione sparsa, il più elevato è registrato dal censimento 1951, ma il rapporto percentuale con la popolazione agglomerata è dei più bassi, perchè è simultaneamente aumentata, con ritmo più vibrato, la popolazione accentrata.
Densità della popolazione sparsa.
Dei 3.220.485 ab. censiti in Puglia nel 1951, 2.994.914 ab. vivevano nei centri (93,1 %) 24.199 nei nuclei (0,7%), 201.372 nelle case sparse (6,2%). Queste cifre servono per fissare le idee, e denunziano il fortissimo accentramento pugliese con l’elevata percentuale del 93,1%, mentre quella dello Stato è del 75,8%.
La popolazione sparsa è sempre stata esigua, e, come ho detto, pur essendo di recente aumentata, è diminuita in proporzione percentuale. L’aumento assoluto è un fatto di pura contingenza ed è, in un certo senso, artificioso, in quanto è relativo alla riforma fondiaria in atto, che va costellando di case sparse le disabitate campagne pugliesi.
Dal 1861 al 1911 la popolazione sparsa pugliese ha avuto un lento ma progressivo incremento. E particolarmente significativo l’incremento registratosi dal 1901 al 1911, il maggiore fra tutti, in un periodo di emigrazione in massa. L’emigrazione evidentemente ha decongestionato i centri sovrafFollati, ma non ha toccato la popolazione sparsa in campagna, ove anzi si riversava il beneficio apportato dalle rimesse provenienti dall’estero.
Col censimento del 1921 la popolazione sparsa è in diminuzione, e aumenta di nuovo successivamente — censimento del 1931 — con la piccola proprietà formatasi dopo la prima guerra mondiale (popol. sparsa = 191.075 ab.). Ma col censimento del 1936 si osserva che la popolazione sparsa subisce una notevole contrazione (176.521 ab.), determinata dall’intenso inurbamento verificatosi negli anni precedenti. Vi sarebbe certo da dubitare che le operazioni di rilevamento non siano state compiute con la necessaria scrupolosità, se non fossimo a conoscenza dell’accennata difficoltà pratica di applicazione del criterio distintivo tra popolazione sparsa ed accentrata.
La popolazione sparsa aumenta ora con stimolo contingente, perchè non v’è disposizione da parte del contadino pugliese a trasferirsi in campagna. Anzi si verifica il caso opposto ove l’andamento del fenomeno sia lasciato all’arbitrio del coltivatore. Numerosi sono i motivi che favoriscono l’accentramento, ma tra i più recenti e determinanti vanno ascritti la migliorata viabilità, la celerità e il volume sempre maggiore dei mezzi di trasporto motorizzati, i quali vanno pure diminuendo di prezzo. La campagna può essere facilmente raggiunta senza perdita di troppo tempo, e la spesa che comporta il mezzo è largamente compensata dai vantaggi che se ne possono ricavare. In Puglia, la frequente mancanza dell’azienda agraria unitaria e la non equa distribuzione del patrimonio fondiario, sono cause permanenti di repulsione del contadino dal fondo. Taluni economisti e sociologi ritengono che l’accentramento e la conseguente diserzione dalla campagna come insediamento stabile, non sia più nè un danno economico nè un male sociale: è un sistema di conduzione in cui l’unico fattore negativo, la distanza, viene ad essere eliminato dalla velocità.
Questi sono i termini realistici del problema dell’insediamento umano in Puglia e gli aspetti odierni effettivi del fenomeno. La soluzione, ovviamente, non può essere generalizzata, la tradizione non può essere sempre supinamente accolta, ma in molti casi specifici neppure l’accentramento intensivo può essere condannato o relegato tra le forme deteriori di attività e di economia agraria.
Il trullo è simbolo di insediamento sparso.
Ancora più esigua risulta la popolazione sparsa, qualora si consideri per ogni singolo comune la percentuale rappresentata dalla medesima rispetto alla totale. Aree di una certa estensione, in cui si riscontrano valori compresi dal io al 25%, si osservano in provincia di Foggia (comuni di Foggia, Troia, Castelluccio dei Sauri, Ascoli Satriano, Orta Nova), soprattutto presso i rilievi terminali dell’Appennino di Capitanata, immergentisi nel Tavoliere. In provincia di Bari, le Murge meridionali (comuni di Rutigliano, Turi, Conversano, Polignano, Gioia del Colle, Putignano, Noci, Castellana, Alberobello) presentano un fenomeno analogo, che supera il confine amministrativo provinciale e travasa, con Fasano, Ostuni, Carovigno in provincia di Brindisi, e con Mòttola e Castellaneta in provincia di Taranto.
Nella provincia di Lecce la popolazione sparsa non supera l’accennata percentuale compresa tra il 10 e il 25%, e manifesta un’area di continuità, che a sud di Lecce coincide con la zona orticola di Lèquile, con i vigneti di Galatina, di Cutrofiano e di Corigliano d’Otranto.
Una maggiore percentuale, dal 25,1 al 50%, già molto cospicua, caratterizza le Murge meridionali nei territori di Monopoli, Martina Franca, Cisternino e Ceglie, che fan corona a Locorotondo, unico territorio in cui la popolazione sparsa supera il 50%. Siamo nell’oasi di popolazione sparsa già illustrata dal Maranelli, dove il contadino pugliese ha reagito alla tradizione ed ha fatto del trullo l’emblema del suo innesto con la terra.
Popolamento sparso spontaneo nella Murgia dei Trulli.
L’esame della percentuale dell’entità della popolazione sparsa rispetto alla totale, ha chiarito, più che confermato — dato che non ve n’era bisogno — il forte accentramento della popolazione pugliese. Un ulteriore elemento di giudizio viene fornito dall’esame della distribuzione della densità della popolazione sparsa in Puglia. È necessario premettere che tale densità media è di 10,4 ab. per kmq., e che le singole province concorrono alla determinazione di tale cifra nella misura di seguito indicata: Foggia, 4,8 ab. per kmq. ; Bari, 11,2 ab. per kmq. ; Brindisi, 24,2 ab. per kmq. ; Taranto, 12,4 ab. per kmq.; Lecce, 12,5 ab. per kmq.
La montagna ha scarsissima popolazione sparsa. I Monti della Daunia, il Gargano e le Murge Alte presentano quasi tutta la loro superficie con popolazione sparsa al disotto di 5 ab. per kmq. Anche il Salento meridionale, tranne le due eccezioni dei comuni di Taurisano e Alessano, rientra nel quadro delle più basse densità di popolazione sparsa.
L’identità del fenomeno in condizioni di altimetria e di indirizzi colturali tra loro molto diversi, in zone povere e in zone ricche — si consideri l’area centrale delle Murge Basse — induce a ritenere che le cause d’ordine naturale ed economico abbiano un’influenza molto limitata, e che sono le cause d’ordine antropico quelle che agiscono ancora in prevalenza, anche se in diversa misura da zona a zona. Non soltanto le vicende storiche sono da ricercarsi nel groviglio dei fattori, ma pure la distribuzione della proprietà fondiaria, le forme consuetudinarie di contratti tra proprietario e contadino, ecc.
La maggiore area interessata da un popolamento sparso ancora al disotto della media, ma già significativo (da 5 a 10 ab. per kmq.) si nota nel Tavoliere, con i comuni di Lucerà, Troia, Castelluccio de’ Sauri, Stornara, Cerignola e Trini -tàpoli. Attraverso il dato statistico si rivela che questa è la fisionomia che prevale nella Murgia Bassa a ridosso di Bari (Modugno, Bitetto, Bitritto, Cassano, Acqua-viva delle Fonti, Casamàssima). Anche il Tavoliere di Lecce si incentra su analoga caratteristica.
Il valore medio espresso con una densità compresa tra 10,1 e 20 ab., permette di riconoscere un popolamento sparso già rilevante nel Foggiano, lungo le Murge costiere (Bisceglie e Molfetta) e nel Salento, a sud del Leccese. E importante notare che nella provincia di Foggia, le zone interessate rappresentano il massimo di densità sparsa, ma che altrove il fenomeno non è affatto isolato od occasionale, perchè prelude ed è contiguo con aree di più elevata densità sparsa.
Per oltre 50 ab. per kmq. di popolazione sparsa si distinguono i comuni di Monopoli, Locorotondo, Cisternino, Ceglie Messàpico, San Michele Salentino, Arnesano, Monteroni di Lecce, San Pietro in Lama, San Cesario di Lecce. Il motivo di così alta densità e da ricercarsi nel grande sviluppo che le coltivazioni orticole hanno assunto nei territori comunali suddetti, in funzione del consumo locale di importanti mercati come Bari, Taranto e Lecce e delle esportazioni, sempre molto attive.
Nonostante queste eccezioni, l’accentramento della popolazione è quindi il carattere dominante dell’insediamento pugliese, come di tutte le regioni dell’Italia meridionale. I centri della Puglia, secondo il censimento 1951, sono 362. La provincia con il maggior numero di centri è Lecce (152), seguono Foggia (80), Bari (61) Taranto (35), Brindisi (34). In complesso si ha un centro ogni 53 kmq. Il Salento è fotografato anche dalla statistica, che, col valore di un centro ogni 18 kmq., rispecchia fedelmente il succedersi di centri abitati, spesso uno in vista dell’altro, e talvolta anche così vicini da determinare fenomeni di fusione con l’ulteriore ampliamento edilizio.
Brindisi (un centro ogni 54 kmq.) e Taranto (un centro ogni 69 kmq.), riflettono la rarefazione dell’incoiato verso il cosiddetto Tavoliere di Lecce. Esistono tuttavia casi particolari di addensamento che la statistica ovviamente non può palesare, come avviene per quell’Albania Salentina imperniata sui rilievi settentrionali delle Murge Tarantine. La provincia di Bari, in un certo qual modo inopinatamente per chi conosce soltanto la costa, ha un centro ogni 84 kmq! Incide notevolmente su questo valore l’enorme rarefazione dei centri nelle Murge Alte. La provincia di Foggia in rapporto alla sua estensione ha il minor numero di centri (i ogni 89 kmq.). Anche qui la distribuzione geografica è molto varia e si riconoscono aggruppamenti più o meno fitti, determinati da cause diverse, come la presenza di particolare morfologia, di sorgenti, ecc.
Popolamento sparso pianificato nel Brindisino.
Particolare di centro nella Murgia dei Trulli (Alberobello).
La popolazione media del centro pugliese è di ab. 8273. Il grosso centro compatto della provincia di Bari si manifesta con il cospicuo valore medio di ab. 18.960. La riserva che sorge spontanea alla lettura di questo dato, è determinata dal fatto che esso risulta evidentemente influenzato dalla presenza del grosso centro abitato di Bari. Ma in realtà, senza voler scendere in troppi dettagli, sono tutti i grossi centri costieri e taluni interni, come Andria ed Altamura, che contribuiscono in maniera notevole a definire tale fenomeno. Il dato statistico, questa volta, può essere accolto come espressione genuina, non atipicamente generalizzata, di un paesaggio antropico.
Nella provincia di Taranto il centro medio figura con 11.047 ab. : valore ancora superiore al livello normale. Su questo si aggirano gli indici medi relativi ai centri della provincia di Brindisi (7814 ab.) e di Foggia (7720 ab.).
Il centro salentino acquista una fisionomia di netta individualità, risultando come centro medio di 3851 ab.: demograficamente piccolo, tenuto conto dell’affollamento tradizionale del centro pugliese. Fattori naturali e storici sono alla base di questo modo di abitare, che si differenzia dal resto della Puglia. Ma, in sostanza, tutti i centri pugliesi esprimono un intenso affollamento che è tipico dell’ambiente mediterraneo.
La ricerca geografica deve necessariamente utilizzare la statistica come mezzo di analisi, ma ha come scopo ultimo quello di inserire i numeri nell’ambiente e di identificarlo mediante una sintesi di paesaggio. La Puglia, in relazione all’insediamento rurale, presenta due tipi di paesaggio nettamente differenziati: quello dei grossi centri compatti a nord di una linea convenzionale Bari-Altamura ; quello dei piccoli centri compatti a sud. La presenza della popolazione sparsa nelle campagne rende viva di particolari l’omogeneità di base, giungendo gradatamente a identificare paesaggi in cui la vita rustica ha concreta espressione con la quotidiana presenza del contadino in campagna.
La Murgia dei Trulli si impone come nel passato in forma singolarissima di paesaggio, ma non con lo spicco di una volta, perchè si sono ridotti i rapporti già esistenti tra popolazione sparsa e accentrata. Il Leccese con i suoi alti valori di densità, si avvia a costituire in Puglia una seconda oasi spontanea di popolazione sparsa.
L’appoderamento svolto dall’Ente Riforma non è ancora interamente travasato nella statistica, ma l’impulso efficiente dato all’incremento della popolazione sparsa ha radicalmente trasformato il volto di talune plaghe. Case rurali isolate nei fondi sono sorte principalmente nelle province di Foggia, di Taranto e di Lecce aprendo nuove prospettive di esistenza e di economia, nella rottura tenacemente voluta di una tradizione ove di persistente immobilismo ove di assoluta paralisi.
La casa e la capanna
La casa cittadina tipicamente pugliese è caratterizzata da una forma complessiva raramente cubica e spesso parallelepipeda, costituita dal solo pianterreno e dal tetto a terrazza. La casa si amplia orizzontalmente, e, di rado, verticalmente, con altri parallelepipedi, sì che mantiene in tutti i suoi ulteriori sviluppi, le proporzioni lineari e lo stile geometrico del nucleo originario.
La forma « cristallografica » che impronta di sè tutto il complesso architettonico è il tufo calcareo o « pietra viva » squadrata in parallepipedi. Mentre l’uso del mattone è quasi totalmente ignorato nella casa tradizionale, da un capo all’altro della Puglia il tufo è largamente impiegato. Ovunque, meno che nel Tavoliere di Puglia, il tufo è facilmente reperibile e lavorabile, e già in cava assume la forma adatta per la posa in opera, con misure standardizzate, che per il «tufo» sono di cm. 35x16x16; per il «tufo e mezzo » di cm. 52x16x16; per il «tufo doppio » di cm. 70x25x16; per il «quadrillo o pezzotto » di cm. 35x25x16.
L’interno della stanza è a volte del tipo a padiglione, o a cielo di carrozza, come dicesi a Pèschici, e imprime anche al terrazzo una discreta pendenza dal centro verso i quattro lati. Talvolta il padiglione emerge per 30 o 40 cm. dal piano del terrazzo. E un’eccezione il tetto a cupola, che compare nelle case costruite secondo la tradizione, ma prive di terrazzo.
Caratteristiche tecniche edili a Manfredonia.
Il tetto a terrazzo è preferito perchè funziona da impluvio alimentatore della cisterna. Le tegole costituiscono una spesa e un permanente facile pericolo di inquinamento delle acque, per cui, ove sia possibile, si preferisce farne a meno.
Fra gli altri elementi caratteristici e distintivi possiamo ricordare la scala esterna, che è ancora conservata in taluni centri. La casa che ne è fornita è però a due piani, dei quali, l’inferiore è adibito a stalla. Il Colamonico, che ha rinvenuto la scala esterna ancora molto diffusa nel cuore delle Murge, a Cassano, la considera come una forma residuale. In realtà siamo di fronte ad un elemento caratteristico e diffuso nell’archi-
tettura rusticana appenninica, presente nelle aree collinari e montane dell’Italia centrale e meridionale, e che nella stessa edilizia cittadina del Medio Evo ha assunto magnifiche forme di stile. I centri pugliesi in cui la scala esterna è più conservata e dimostra di unire funzionalità ed eleganza sono Cisternino in provincia di Brindisi ed Ischitella, nella provincia di Foggia.
Un caratteristico elemento decorativo è il balconcino elevato dal suolo pochi centimetri, tipico della casa pugliese meridionale a pianterreno. Esso raggiunge il suo limite più settentrionale nella Murgia costiera, a Polignano a Mare, ove ho riscontrato qualche sporadico caso; ma il centro di diffusione è il Leccese e l’area di dominio si estende in tutto il Salento meridionale. Questo particolare va rarefacendosi, fino a scomparire, nel Tarantino.
Caratteristiche edili a Pèschici.
La casa più caratteristica della regione pugliese è il « trullo », diffuso principalmente nelle campagne e in taluni centri del settore meridionale delle Murge. Albero-bello ha tutto un rione dichiarato monumento nazionale; il contrasto con le architetture cittadine alle quali siamo notoriamente abituati, è così violento che, senza l’ausilio di troppa fantasia, sembra di essere stati trasportati d’incanto in un paese di fiaba.
La realtà che ne è a fondamento è la « chianca », la dura lastra calcarea spessa da 3 a 5 cm., che la natura fornisce senza risparmio, offrendola già pronta per la messa in opera. Una circonferenza di base di circa 18 m. costituisce il perimetro di questa originale capanna di pietra, che definisce internamente, mediante file aggettanti, una ogiva con un occhialone al culmine. Questo viene per lo più ostruito con un pinnacolo, al quale si danno forme slanciate che terminano a sfera, a cuspide di lancia, a croce, a stella, ecc.
Gradinate, logge e balconi ad Ischitella.
Balconcini nel Salento (Taviano).
In genere per l’altezza di circa 1,80-2 m. dal suolo, e per uno spessore di circa 80 cm., la capanna ad ogiva presenta strutturalmente unito un muro a secco, con perimetro esterno quadrangolare ed in evidente funzione di solido basamento della cupola e insieme di muro di spinta perchè è a scarpata.
La casa descritta, in sostanza, ha come elemento base una rozza capanna di pietra; ma quando ad essa si conferisce eleganza con perfetto e ardimentoso slancio di forme, armonia stilistica con equilibrio di volumi, vistosità estetica con opportuna decorazione architettonica e sensazione di pulito e di fresco con bianchissimo latte di calce, ne scaturisce un’opera che interessa e meraviglia tutti in identica misura. Questi trulli sembrano fiori di pietra sbocciati da un brullo suolo di rocce riarse al torrido sole di Puglia!
La fusione di più trulli mediante un compromesso che è sempre più improntato al parallelepipedo tipico della comune casa pugliese, riflette un ulteriore cammino nell’utilizzazione rusticana e cittadina del trullo, che si inquadra perfettamente nell’ambiente fisico ed economico della regione pugliese. Nella valle di Itria o di Idria, questo tipo è esclusivo ed è reso pittoresco non solo dalle due forme geometriche di base e pinnacolo fuse in un elegante contrasto, ma anche dal bianco di calce, abbacinante nell’intensa luminosità meridiana, che s’interrompe bruscamente con la stratificazione dei coni sovrastanti, che hanno le pietre annerite dalle colonie dei muschi. Spesso è l’estremità culminale del pinnacolo, esile e slanciata, che è di nuovo bianca di calce, rinnovata ogni anno.
Il trullo del settore murgiano che gravita su Alberobello, è il risultato di un ingentilimento e di un’estetizzazione di forme, che conserva dell’originaria capanna di pietra soltanto la materia prima. Il trullo, con ingegnosa adattabilità è simultaneamente casa rurale e casa cittadina, sparsa nelle campagne o agglomerata nei centri.
Nel Salento la casa pugliese cittadina, come ho già detto, si adorna col suo balconcino di poco sporgente e di poco elevato rispetto al piano della strada. Ma, specie a sud di Maglie, e cioè nella regione del Capo, la casa cittadina presenta una scalinata semiesterna, che conduce in un pianerottolo aperto sulla strada e definito per i restanti tre lati da pareti ove possono essere tre o due o una sola porta di accesso all’appartamento. Questo caratteristico soggiorno è in genere architettonicamente incorniciato da una balaustra in pietra alla base e da un arco a botte in alto, che ripete il motivo della porta carraia, che si osserva abbastanza diffusa nella casa rurale dello stesso Salento (Otrantino).
Omettiamo di ricordare le forme di dimora urbana regionalmente atipiche, sia quelle più modeste che i grandi palazzi in cemento armato, che per iniziativa privata o di organismi parastatali vanno sorgendo un po’ ovunque, razionalizzando la funzionalità, ma tarpando l’inventiva e l’individualismo di ogni realizzazione che sorge dall’inconscio della tradizione e dell’ambiente. Comunque non possiamo dimenticare i palazzi cittadini dei secoli scorsi — soprattutto del settecento — con il loro bel bugnato, l’ampio portone per il passaggio della carrozza, il cortile ravvivato da scale rampanti in un movimento architettonico pieno di vivacità. Il balcone, generalmente con balaustra in ferro battutto, orna gli esterni con un’evidente aspirazione all’aria pura e al sole, così desiderati nei troppi angusti vicoli e nelle minuscole corti delle città pugliesi anteriormente al secolo scorso.
Edilizia rusticana in valle d’Itria.
Una regione che è quasi priva di popolazione sparsa, non può avere un’edilizia rurale ricca di forme e di sviluppi. Per giunta, in relazione alla plastica della morfologia pugliese, manca un diffuso tipo di dimora di montagna, mentre quello collinare risulta come un adattamento e spesso come un’involuzione della casa rurale di pianura. Invece la Puglia è ricca di dimore temporanee sparse nelle campagne, ove si ha necessità di trascorrere qualche settimana per attendere ai lavori dei campi.
Le dimore rurali abitate in permanenza, sviluppandosi anch’esse da quel cristallo di base che è il parallelepipedo di « pietra viva », come dicesi localmente, presentano sistematicamente una forma geometrica lineare, spesso con la lunghezza di base doppia rispetto all’altezza, o con forma all’incirca cubica quando la casa è dotata di un piano superiore. Questo ripete lo schema planimetrico del piano inferiore, col quale è in comunicazione mediante scala in muratura, interna. La casa a due piani dicesi « casino ».
La casa rurale del Capo presenta come elementi caratteristici le finestre piccole e la scala esterna di accesso al terrazzo. In genere è circondata da un muro a secco di protezione, che delimita una corte di posizione variabile, ove razzola il pollame, ov’è la stalletta per il maiale, dove si deposita la provvista delle legna. Nell’Otran-tino si può riconoscere una variante, caratterizzata dalla presenza della porta carraia nel mezzo dell’edifìcio.
Tipo di casa cittadina nel Salento (Corsano).
Nel Salento settentrionale non si osserva la corte, e la casa rurale — ove non sia anche dimora padronale utilizzata per la villeggiatura — si mantiene generalmente bassa e disadorna.
Il « casino » comincia ad essere frequente a nord di Lecce, ma è nella collina mur-giana a colture legnose specializzate — vigneto, mandorleto e oliveto — che diventa espressione di un particolare ambiente fisico ed economico. Il suo limite settentrionale è l’Òfanto, perchè al di là subentra un paesaggio agrario in cui il casino non ha più motivo di esistere.
Esso ricompare nel Gargano, in stretta relazione con l’oliveto e il mandorleto, e, nella zona di Rodi, con l’agrumeto.
Balcone angioino a Brindisi
.
Il Tavoliere ha la sua inconfondibile casa rurale nella « masseria », costituita dalla casa padronale e dei contadini, e dai rustici disposti in maniera tale da definire uno spiazzo non recintato detto « campana ». La masseria « da campo » è l’espressione della cerealicoltura estensiva associata talvolta all’allevamento ovino transumante (masseria da pecore), e, da qualche anno, pure all’allevamento bovino stabulante. E la casa rurale del latifondo, fornita anche di cappella per i servizi religiosi che vi si celebrano saltuariamente. La masseria pugliese si identifica esclusivamente nella masseria del Tavoliere; altrove permane il termine, ma varia sostanzialmente tutto l’insieme.
Balconi al sole nel Brindisino.
La periferia presenta modifiche strutturali notevoli. Verso l’Appennino di Capitanata l’abitazione è a piano terreno e v’è un piano rilevato nel mezzo del corpo d’abitazione corrispondente ad una sola stanza utilizzata per deposito di derrate (grano, legumi, ecc.). Questo tipo di bassa collina, quasi a piccolo campanile, ha suscitato a suo tempo nel Bertarelli l’immagine di piccole chiese. .
Presso la costa del Golfo di Manfredonia l’edificio della masseria diventa più unitario inglobando i rustici ed elevandosi a doppio piano. La casa rurale si adatta allo specifico ambiente ed alle produzioni orticole e frutticole (cocomeri e meloni), che costituiscono, rispetto a quelle cerealicole e di leguminose, un elemento di innovazione.
La masseria pugliese risale le pendici del Gargano con un evidente processo di involuzione, determinato da un ambiente naturale economico e sociale che va man mano diversificandosi. Inoltre essa va chiudendo lo spazio interposto tra abitazione e rustici, diventando una masseria a corte. Tra gli ambienti della masseria con allevamento ovino è caratteristico quello destinato a cucina con tetto a quattro falde alte molto inclinate e con il fumaiolo impiantato nel bel mezzo, sul vertice. L’uso rivela un focolare centrale, sempre acceso durante l’inverno, per il riscaldamento e per la manipolazione del formaggio e della ricotta. La cucina — denominata papa-glione per il suo tetto a padiglione — nelle costruzioni più recenti si adorna di un monumentale caminetto del tipo detto in Toscana « alla fratina ».
La casa rurale della regione del Capo.
A San Cesario di Lecce sembra che oriente ed occidente s’incontrino.
Masseria ai margini del Tavoliere.
Nel cuore del Gargano.
Un ultimo tipo di casa rurale pugliese si rinviene nella cornice orografica dell’Appennino, ove prevale la dimora a due piani, con scala esterna e torre colombaria. La torre può talvolta essere sostituita da una sopraelevazione del muro di facciata, opportunamente adattato per questo caratteristico e tradizionale allevamento. Il piano terreno è utilizzato per le stalle, e quello superiore è adibito ad abitazione. Poiché il tetto è a falde esiste la soffitta, alla quale si accede dall’interno con scala di legno a mano; è questo di solito il magazzino delle derrate alimentari. Il fieno e la paglia, sono accumulati all’esterno in grossi coni. La casa non è costruita in pietra viva squadrata, ma con sassi appena sbozzati e cementati fra loro. Il tipo di casa descritto ha ormai elementi morfologici e strutturali che ci portano fuori dalla Puglia, in un ambiente rurale improntato ad indirizzi colturali diversi.
Chi legge una carta topografica della Puglia riguardante il Gargano o le Murge, rimane sorpreso dalla frequenza dell’attributivo «torre», riferito al simbolo che qualifica la casa. Non si tratta di torri nell’accezione più comune, ma di case monocellulari a pianterreno, una volta abitate in permanenza ed ora limitatamente al periodo dei lavori campestri. Pur in una cosi vasta area la torre non presenta varietà degne di nota, e solo di rado il suo termine sostituisce quello di casino.
Le villette per la villeggiatura in campagna assumono forme capricciose e deviate dalla tradizione locale, quando non si tratti di vecchie case rurali o casini adattati per tale scopo. Zone di diffusione di queste tipiche costruzioni sono caratteristiche, più che altrove, a Tricase e nella riviera garganica tra Rodi e San Menaio. Solo nella Selva di Fasano le villette sono a trullo o mantengono una forma ispirata a tale linea stilistica. Si affittano trulli per villeggiatura per tutta la stagione con intero diritto al consumo totale dei prodotti del suolo.
Alla povertà di tipi di case rurali si oppone una cospicua ricchezza di dimore temporaneamente abitate, com’è appunto da attendersi in una regione in cui la popolazione rurale vive quasi tutta accentrata. Le numerose varietà di capanne si distinguono per forma e per materiale impiegato, assumendo proporzioni che è difficile riscontrare in altre regioni d’Italia. La capanna di vegetali non ha una grande diffusione perchè è limitata al Gargano settentrionale, nella striscia di pianura e di media collina che dal Fortore si spinge sino al Lago di Varano, ove solo di recente è scomparso un villaggio capannicolo. Capanne di paglia si osservano pure nel tratto costiero da Siponto alla foce dell’Ofanto.
La forma è generalmente conica o a casetta con pianta rettangolare e tetto a due falde. Le capanne di legno e paglia sono ubicate ai margini del Tavoliere; verso i laghi e verso il Golfo di Manfredonia il materiale impiegato insieme con lo scheletro ligneo è formato essenzialmente da lisca.
La capanna interamente di tavoloni di legno è frequente soltanto nell’area culminale del Gargano. Essa ha pianta rettangolare molto allungata e tetto a due falde coperto con scandole.
La capanna con base in pietra e cono superiore, con ossatura di tronchi e tronchetti e copertura in vegetali, si osserva raramente nelle medie pendici garganiche; è invece frequente, con base circolare, quadrata e rettangolare, nell’Appennino di Capitanata.
La capanna che occupa la maggiore superfìcie è quella interamente in pietra. Abbiamo già accennato al trullo come tipo di casa cittadina e di casa rurale. Via di centri abitati interamente di capanne di pietra — oltre ad Alberobello — si ha ricordo, ad es., per Mattinata, nel Gargano meridionale.
Case nell’Appennino di Capitanata (Monteleone).
La capanna in pietra è diffusa nel Gargano meridionale ed ha una base esterna quadrata, che va assumendo una forma conica man mano che s’innalza. Nel vertice, raramente si osserva un pinnacolo. La caratteristica principale di questo tipo di capanne, dette pagghiare, è costituita da una scala esterna che sfianca a spirale la costruzione, e che consente di giungere sino al culmine: buon posto di vedetta per osservare eventuale bestiame semibrado, per far la guardia ai prodotti del suolo, ecc. Indifferentemente pertanto questo tipo di capanna è costruito negli incolti adibiti a pascolo, a seminativo nudo o tra mandorleti ed oliveti. L’interno ha la base circolare e si sviluppa verso l’alto ad ogiva, elegante e slanciata, regolare ed armoniosa come l’ogiva dell’architettura romanico-pugliese fiorita dal IX al XIII secolo.
Le capanne in pietra a base ellissoidica sono rare, ma ne ho veduto qualcuna nella regione interposta tra San Marco in Lamis e Rignano Garganico.
Immediatamente a nord dell’Ofanto, nello stesso agro di Cerignola, dopo lo iato del Tavoliere, ritroviamo la capanna di pietra, ma con dimensioni ridotte ed estremamente esemplificate nella struttura, sì da connettersi con le capanne ad alveare, a punta o a semicupola, che rappresentano lo stadio iniziale dell’evoluzione della capanna. Siamo però in zone orticole o viticole, con vigneto a ceppo, ove una costruzione maggiore non sarebbe del tutto adeguata. Nella Murgia Costiera, sino a nord di Trani, ove manca l’albero o vi è raro, la capanna di pietra ha forme modeste. Nella finitima zona interna e a sud di Trani ove predomina l’albero, la capanna di pietra assume ben più ampie proporzioni, raggiungendo circa 6 o 7 m. di altezza con una circonferenza di base che supera i m. 20. Questa è la regola, non l’eccezione.
Nel Lago di Varano.
Una mole così imponente di sassi entro i quali è ricavata la consueta ogiva, si riconduce allo schema esteriore di una capanna ad alveare, fisicamente… maggiorata. Ma questa ha i suoi fianchi gradonati esteriormente ed ai gradoni si accede mediante scale esterne ricavate nel perimetro stesso della costruzione.
Dimora strutturalmente molto impegnativa, destinata a costituire un elemento patrimoniale di integrazione e di valorizzazione del fondo. Perciò talvolta la casedda — questa è la denominazione — è intonacata anche esteriormente; l’accesso è sempre intonacato e bianco, per più mani di calce. Il resto, ove manchi l’intonaco, riceve, sempre una buona zaffata, ripetuta di tanto in tanto.
Questo tipo di capanna di pietra, circolare e a gradoni, si diffonde nelle Murge a colture legnose specializzate con area di preferenza a settentrione di Bari.
A sud di Bari, nella fascia litoranea, la capanna di pietra ha proporzioni modeste, con base quadrangolare e cono sovrapposto. E questo lo schema da cui scaturisce il trullo, del quale abbiamo già dianzi sufficientemente parlato. Vorremmo qui aggiungere che il trullo non costituisce soltanto una forse tardiva conquista di stile, ma è espressione di un suo paesaggio geografico, distinto dagli altri della Puglia, per organizzazione economica. Il trullo è probabilmente una posteriore evoluzione stilistica della capanna di pietra del tipo salentino.
Il trullo termina con le Murge, e il cosiddetto Tavoliere di Lecce forma un altro iato nella continuità della distribuzione della capanna di pietra. Di questa il Salento presenta due tipi fondamentali: uno a base e sviluppo quadrangolare ed un altro a base e sviluppo circolare.
Dimora temporanea di contadini nelle Murge settentrionali (Bisceglie).
Tipo gradonato diffuso nel Salento.
Il tipo quadrangolare è diffuso in prevalenza nella regione del Capo, mentre quello circolare è più frequente all’incirca a nord di Maglie. Ma sia in un settore che nell’altro scompaiono le appuntite cuspidi terminali così caratteristiche dei trulli, per cui le capanne salentine assumono l’aspetto di tronchi di cono o tronchi di piramide.
Il nome trullo (truddu) ha avuto molta fortuna, perchè era limitato alle capanne in pietra del Brindisino. A nord il termine corrispondente era casedda, e a sud furneddu. Soprattutto con il Maranelli (di certo con perdonabile errore), si è instaurata una tradizione dotta che ha sostituito nella Murgia meridionale il termine italianizzato trullo (plurale: trulli) a quello locale di casedda. È curioso osservare che oggi il termine trullo va ampliando il suo areale a scapito degli altri, e che i vecchi insistono nel termine dialettale di casedda, ostentatamente ignorato dalle nuove generazioni.
Dimora temporanea nel Salento (Zollino).
Per notizie di maggiore dettaglio rimandiamo alle descrizioni regionali contenute nel capitolo dodicesimo. Il trullo qualifica un ambiente in cui prevale l’agricoltura ed in cui l’allevamento costituisce un’attività del tutto secondaria. Esistono invece nel Gargano e nelle Murge Alte complessi pastorali caratterizzati da una o più capanne di pietra e da recinti per il gregge (iazze). Al posto della capanna può riscontrarsi un capannone con tetto a volta cilindrica detto lamia e lampia, e, come accrescitivo lamione e lampione. Di questi termini sono zeppe le carte catastali e topografiche, documentando forme di economia talvolta obliterate.
Un altro termine che riguarda l’edilizia pastorale è quello di «posta», per designare ricoveri per le greggi. Si tratta di tettoie e porticati in muratura, isolati oppure situati in vicinanza di masserie. Il portico è sempre aperto verso mezzogiorno. Il termine posta è diffuso soprattutto nel Tavoliere; nelle Murge esso è tuttora vivo presso gli antichi tratturi.
Iazzu e iacciu è termine che designa un complesso pastorale in prevalenza all’aperto; i pastori si ricoverano in capanne di pietra. La toponomastica ricorda con frequenza lo iazzu nel Gargano e nelle Murge.
In alcuni tratturi esistono cavità artificiali ipogee adibite a poste. L’uso della grotta per stabulazione è diffuso nelle Murge e largamente nel Gargano. Nei pressi di Pèschici, cittadina ancora con abitazioni trogloditiche, tutte le grotte, regolarmente date in fitto, sono trasformate in stalle, spesso con muretti di divisione e con adattamenti richiesti dall’esperienza. Sepolcreti paleocristiani, ancora con ossa umane accatastate
alla rinfusa e spesso all’aperto sono utilizzati per la stabulazione nei pressi di Vieste, di Mattinata, ecc. Lo stesso avviene per talune cripte basiliane, nelle gravine che tagliano le pendici delle Murge con solchi orridi dalle ripide pareti.
I centri abitati
Il centro abitato greco-latino, innestato nella tradizione dell’Italia mediovaie e moderna espressa da un sintomatico polimorfismo, ha in terra di Puglia esemplificazioni tra le più originali ed istruttive. Chi ha visitato la regione non dimentica più Pèschici a corona di un alto dirupo a picco su un mare schiumeggiante di candide trine, o la vivida macchia bianca di Fasano, che esplode dal verde argentino degli ulivi.
La distribuzione dei centri pugliesi è dettata da quei motivi generali fisici (litologia, morfologia, ecc.) ed antropici (convergenza di strade, ecc.) che sono comuni a tutto il bacino del Mediterraneo. Per la Puglia si è voluto porre l’accento sul fattore acqua potabile, come determinante dell’ubicazione di un centro. E ovvio che la presenza di acqua potabile nel sottosuolo abbia a preferenza richiamato e polarizzato l’accentramento, ma ciò non vuol dire che sia stata una condizione indispensabile, nel senso che i centri pugliesi abbiano rinunziato ad altre più idonee localizzazioni morfologiche. Infatti i Pugliesi hanno saputo supplire mediante cisterne alla mancanza di vicine sorgenti e di falde freatiche sottostanti.
Dimora temporanea nel Salento (presso Maglie).
Nel 1935 ho veduto a San Nicandro Gargànico un ampio spiazzale lievemente inclinato, dal quale risultavano bassi parapetti di numerose — forse una sessantina — cisterne pubbliche, tutte accuratamente ricoperte. Con opportuni accorgimenti tecnici ed igienici, durante le piogge si convogliavano le acque in queste cisterne, ove pubblicamente si attingeva acqua potabile, con regolare permesso. Analogo sistema ebbi modo di osservare a suo tempo anche a San Giovanni Rotondo, all’incirca nell’odierno « Parco della Rimembranza ».
Nelle Murge, per l’approvvigionamento idrico si utilizzano ancora le doline, nelle quali sono state scavate delle cisterne (Castellana). Con questo identico sistema, i « laghi di Conversano » rifornivano di acqua la città omonima. Non mancano pertanto accorgimenti adeguati per supplire alla mancanza di sorgenti e di falde acquifere e di provvedere egualmente all’approvvigionamento idrico della collettività.
Una « marina » pugliese (S. Maria di Leuca)
Distribuzione dei centri abitati.
La malaria non ha neppure essa agito in senso determinante per l’ubicazione dei centri: basti pensare a Lésina, terribilmente malarica sino a pochi anni or sono, ed alla posizione della stessa città di Foggia. L’azione repulsiva della palude e dello stagno veniva aggravata dalla malaria solo come componente negativa di valore secondario. D’altra parte è egualmente vero che città di pianura palustre e malarica, una volta morte non sono più risuscitate, come Uria nei pressi del lago di Varano.
La natura del suolo è un elemento condizionante che non possiamo trascurare nella ricerca delle cause dell’ubicazione dei centri pugliesi. Taluni esempi sono molto significativi, come quello di Ruvo, fondato sul calcare in vicinanza di banchi argillosi sistematicamente evitati dall’incolato, ma intensamente sfruttati per le colture e per l’industria della ceramica. Locorotondo fornisce un altro esempio del genere, richiamando però la nostra attenzione anche sul fattore rilievo, cioè sulla morfologia.
E questo un fattore fisico, che ha esercitato in Puglia un’importanza determinante per l’ubicazione dei centri. I centri hanno scelto le alture, soprattutto cocuzzoli, poggi e dossi. Minore preferenza è stata dimostrata al declivio, molto scarsa, infine, all’area pianeggiante ed alle forme concave. Non faccio riferimento alla costa, che ha sue particolari esigenze di insediamento, delle quali si farà parola più tardi.
I centri di cocuzzolo sono diffusi principalmente nell’Appennino di Capitanata per motivi di sicurezza nei confronti della natura e dell’uomo. Siamo in terreno argilloso, facile agli smottamenti ovunque esista un pendio. La parte più resistente e meno acclive è costituita dalle sommità più o meno cupoleggianti, aguzze o smussate che l’uomo sottrae all’ulteriore degradazione con la copertura edilizia. O la chiesa come a Motta Montecorvino, o il castello come a Deliceto, svettano quali simboli di dominio dell’uomo sulla natura, mentre le case si affollano in espressiva contesa della scarsa area fabbricabile. Tuttavia con soluzioni audaci, con gradinate e spianate, con opere d’arte, si riesce man mano a strappare alle acque selvagge nuovo suolo edificatorio, e il fronte delle case avanza rivestendo e proteggendo il pendio.
Veduta di Locorotondo
L’abitato — e sembra che le case si tengan per mano! — si sviluppa dall’alto in basso, nel fianco montano meno precipite, come a Deliceto, ad Accadìa, a Sant’Agata di Puglia, a Volturino. La morfologia dà spesso la qualificazione toponomastica come in Monteleone di Puglia, o è addirittura confusamente duplicata come in Motta Monte-corvino; l’opera dell’uomo viene anch’essa ricordata come in Castelnuovo della Daunia.
L’Appennino di Capitanata ha un pendio di falda molto ampia e gradinata verso il Tavoliere di Puglia, tagliata a speroni dai vari torrenti che l’attraversano defluendo verso la pianura. Sulle parti eminenti di queste dorsali, a dominio del Tavoliere, si insediano centri abitati cospicui per entità di popolazione, per storia e per attività economiche. Intorno a Foggia formano un emiciclo rilevato, occhieggiante pittorescamente sull’immensa pianura. Lucerà a m. 251 s. m., Troia a m. 439 s. m., Castel-luccio dei Sauri a m. 284 s. m., Ascoli Satriano a m. 410 s. m., Cerignola a m. 124 s. m., sono i centri più importanti, che si possono definire come scolte sugli spalti del Tavoliere. Molto probabilmente questi centri rappresentano la frangia periferica dell’antico popolamento sannita della montagna appenninica, qui economicamente legata e integrata dalla pianura per lo sverno delle greggi, e qui storicamente in bilico col popolamento che risaliva dalla pianura, anch’esso periferico e sfrangiato, come dimostra la leggenda che da Arpi fa giungere Diomede a Lucerà col Palladio di Troia.
Altri centri di altura sono distribuiti nel Gargano, ove possiamo ricordare come centri di poggio: Cagnano Varano, Carpino ed Ischitella. Centri di poggio peraltro molto caratteristici, perchè si elevano avendo alle spalle rilievi più importanti, ed innanzi a sè un piano ondulato digradante verso il Lago di Varano. E una posizione generale simile a quella dell’emiciclo dei centri che controllano gli accessi settentrionali ed occidentali del Tavoliere, e che costituiscono il punto di incontro dell’economia di montagna con quella di pianura.
Escluso il Tavoliere con la sua cornice orografica appenninica, l’ubicazione della maggior parte dei centri è subordinata al carsismo ovunque diffuso. Il legame tra fenomeno carsico e fenomeno antropico è strettissimo ed ha esemplificazioni molto istruttive.
Innanzi tutto si evitano le forme concave, che, in ambiente carsico sono repulsive o perchè facilmente inondabili quando sono chiuse, o perchè troppo profonde quando hanno libero deflusso. Il regime delle piogge — è noto il rapporto di subordinazione-esistente tra carsismo e clima — è tale che le valli carsiche, lame e gravine, si trasformino magari per poche ore in alvei convoglianti masse d’acqua enormi e travolgenti.
Castelluccio dei Sauri nell’ultimo spalto appenninico.
Peraltro la gravina è una via di accesso all’altopiano, antropicamente troppo importante perchè possa essere trascurata e perchè non si escogiti il sistema di controllarla con un insediamento umano. L’abitato si dispone allora sulla cimosa dell’altopiano là ove la gravina lo taglia netto e profondo. Il centro utilizza a difesa il dirupo e si colloca nella linea di intersezione fra l’economia del colle e della pianura, genericamente espressa in corrispondenza tra l’area delle colture legnose e quella dei cereali. Ove più elevato e netto è il dirupo, più sintomatico diventa l’esempio del centro di gravina, quali Castellaneta, Laterza, Massafra, ecc. Il poggio di cimosa d’altopiano offre sede molto opportuna, e Mòttola svetta dalle Murge su Taranto, mentre Rignano Gargànico svetta su Foggia: ambedue balconi panoramici sugli spalti di enormi zolle calcaree.
Nel Salento e nelle Murge le conche sono sistematicamente evitate, e le ubicazioni dell’abitato sono sempre di piena aria, come direbbe un geografo francese. Basta una groppa come per Corato, per Bitonto, per Locorotondo, per Ostuni, per Caro-vigno, per Noci… Spesso questa ubicazione è indicata dal toponimo, come avviene per Palo del Colle, Santèramo in Colle, Gioia del Colle.
L’altimetria del Salento non determina forme esasperate dal carsismo come nelle Murge, e pertanto è meno sensibile l’influenza esercitata sulla posizione topografica dei centri dalle condizioni fisiche ambientali. Tuttavia si osserva anche qui il sistematico abbandono delle aree depresse, a meno che, come avviene per Ruggiano e Barbarano, la presenza di « vore » non assicuri il rapido smaltimento delle acque. I centri abitati si dispongono in genere su declivio, in sito rilevato rispetto alle conche.
Rignano Gargànico, il « ba’-cone di Puglia ».
Invece nel Gargano — ed è questo l’unico esempio pugliese — entro una conca carsica è l’abitato di San Marco in Lamis, a sbarramento della testata della valle di Stignano, che costituisce una via di penetrazione nel Gargano, frequentata specialmente per raggiungere dal nord il Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo, lungo una via detta « sacra » e « reale ».
Un tipico esempio di centro in declivio, ridossato ad un gradino e in posizione perimetrale rispetto ad una conca, è offerto da San Giovanni Rotondo. Si ricorda ancora la formazione di un laghetto temporaneo innanzi alla porta meridionale della città, che era perciò detta porta lu laie. Cassano nelle Murge ripete all’incirca identiche condizioni topografiche, le quali manifestano la costante preoccupazione dell’uomo di stabilire la sua sede nelle località più idonee da ogni punto di vista, al riparo delle più temibili calamità naturali.
D’altri centri, più che l’ubicazione morfologica specifica, ha valore l’ubicazione in rapporto ad altri fattori, i quali sono stati causa determinante della loro esistenza e dell’eventuale loro ulteriore sviluppo. Basteranno alcune esemplificazioni in riferimento ai centri di guado o di ponte: centri chiave della viabilità, costretta ad un passaggio obbligato fin dalle più remote età della storia dell’uomo. La cittadina di Serracapriola e San Paolo di Civitate, ambedue sulla strada nazionale per Pescara, e rispettivamente a nord e a sud del Fiume Fortore, distano ciascuna dal medesimo circa km. 8. Questi centri abitati sono gli eredi della distrutta Teanum Apulum, che era posta a guardia del ponte romano sul basso Fortore. Serracapriola espletò questa funzione di sentinella di accesso alla Puglia, specialmente in relazione al tratturo costiero.
La porta molisana della Puglia è Volturara Appula, situata nella valle della Càtola.
Non esiste invece attualmente un centro abitato in corrispondenza dello sbocco in pianura del Vallo di Bovino. Il più antico centro si è rifugiato in alto per difendersi soprattutto dagli uomini. Nell’interno della Puglia un famoso e fatale passaggio obbligato fu Canne, a dominio di un guado dell’Òfanto. L’importanza funzionale di questa città si comprende ancor meglio osservando che ogni comunicazione presso la costa era resa impossibile dagli impaludamenti dell’area di foce dell’Òfanto, mentre verso l’interno le Murge sbarrano il passo con le abrupte pareti del loro confine settentrionale. A Canne più di una volta, con sconfitte e vittorie, fu deciso il destino dei popoli. Roberto il Guiscardo distrusse Canne nel 1083 e da allora la città chiave non è più risorta dalle sue rovine.
Anche il fattore religioso agisce in forma determinante sulla genesi dei centri e sul loro sviluppo. Tutta una lunga appendice di fabbricati di San Giovanni Rotondo è andata formandosi dal 1935 in poi verso il convento dei Cappuccini, ove la presenza di Padre Pio — il Cappuccino delle Stimmate — ha richiamato innumerevoli folle da ogni parte d’Italia. L’apparizione di San Michele in una grotta garganica, avvenuta sul declino del secolo V, ha costituito l’incentivo di formazione del centro di Monte
Qui per secoli, durante la preistoria, abitarono le genti di Puglia (Pulo di Molfetta).
Sant’Angelo, che per secoli è stato famoso nella cristianità greca e latina, in quanto accorsata meta di pellegrinaggio.
Il fenomeno della città troglodita, ha avuto in Puglia una diffusione che non si può ancora spiegare esattamente in tutte le sue cause componenti. Matera, città pugliese di Terra d’Otranto fino al 1663, è certamente l’esempio che fa testo con i suoi Sasso Barisano e Sasso Caveoso; ma per altre località si ricorda almeno una fase troglodita, come per Gravina. Nella chiesa-grotta di San Michele, che fu la cattedrale della città cavernicola dal V al VI secolo, si celebra ancora la messa nelle due festività dell’Arcangelo, P8 maggio e il 29 settembre.
Gli abitanti di Massafra, prima di fondare la città subaerea, dal IX al X secolo vissero da trogloditi nella gravina della Madonna della Scala. All’incirca nello stesso
periodo sarebbe stata abitata la non lontana gravina di Petruscio, che presenta ancora ben evidenti le tracce di un antico villaggio ipogeo.
Il fattore antropico nell’ubicazione dei centri ha sfumature così tenui di contorno, che riesce spesso difficile stabilirne il limite di prevalenza con quello fisico. Tuttavia è possibile individuare periodi storici in cui il fattore antropico risulta determinante. Uno di questi è il periodo normanno, durante il quale si favorì la formazione di grossi centri abitati riunendo, anche per motivi politici, i gruppi sparsi nelle campagne, sotto forma di nuclei.
I Bizantini avevano favorito un intenso frazionamento della popolazione, vivente in piccoli gruppi spiritualmente legati ad una laura basiliana. I Normanni adottano il sistema opposto nell’area del loro dominio politico, ripopolando vecchie città, come Andria, circondandole con mura, o fondando nuove città, come Corato. Federico II di Svevia è il continuatore di questa politica dei grandi centri; basti ricordare l’impulso dato a Foggia.
Il contrasto oggi esistente tra il tipo di popolamento salentino e quello delle confinanti Murge, risale molto probabilmente al periodo di dominazione normanna.
Non minore interesse nell’esame di un centro abitato assume l’indagine della sua planimetria; infatti se l’ubicazione topografica può svelarci persino il motivo fondamentale della genesi del centro, la planimetria ci manifesta le sue vicende principali, le fasi di evoluzione e di involuzione della vita cittadina.
Si nota innanzi tutto una tipologia planimetrica frequente e caratteristica, derivata dalla coesistenza di un nucleo vecchio a strade strette e tortuose, contrastante con una parte nuova, a strade già ampie e rettilinee. Questa parte nuova ha una cronologia iniziale identica un po’ dovunque: per i centri principali essa risale ai primi decenni del secolo scorso; per gli altri, alla formazione dell’unità d’Italia. Tale evento storico ha avuto una parte preponderante nell’ampliamento dei centri dell’Italia meridionale, inseriti di colpo in un’economia di ampio respiro di integrazione nazionale e internazionale. Lo sviluppo delle strade ordinarie e ferrate, della sicurezza, della velocità e del volume dei mezzi di comunicazione, ha portato nuovo impulso di vita cittadina.
Le osservazioni valgono per le comunicazioni terrestri; per quelle marittime non si può ignorare la ricca tradizione di attivissimo commercio di tutti i centri marinari pugliesi, esportatori di cereali (Manfredonia), di olio e di vino (da Barletta a Monopoli, a Gallipoli). L’unità d’Italia non ha favorito però in egual misura anche questi porti, i quali perdono man mano i loro contatti diretti con l’estero — com’è avvenuto per Gallipoli — ma in compenso aumentano il volume di cabotaggio. V’è poi da considerare un’altra causa che ha ridotto l’importanza dei porti pugliesi, e cioè l’aumentato tonnellaggio delle navi a vapore, che ha determinato ineluttabilmente una gerarchia di importanza tra i porti della Penisola, trascurando quelli di scarsa capacità recettiva.
Il centro abitato, come un organismo vivo e vitale, reagisce a questi e ad altri numerosi stimoli, presentando effetti di non difficile interpretazione. Bari esprime il fenomeno accennato in tutta la sua compiutezza.
Le planimetrie geometriche regolari dei centri abitati denunziano costruzioni recenti, tranne casi del tutto particolari. Uno dei più antichi esempi di pianta a scacchiera è offerto da Manfredonia, che fu costruita a cominciare dal 1254 secondo un preciso piano regolatore.
I centri di pianura o di tenue declivio sviluppano un incasato a topografia geometrica. Essa è a scacchiera se la strada principale della città, che in genere è la prosecuzione rettilinea dalla strada provinciale o nazionale, ha condizionato le altre, come avviene a Chièuti e a San Ferdinando di Puglia. In tal caso risulta pure evidente che l’abitato è posteriore alla strada. Piante radiali sono determinate dalla convergenza di più strade, le quali in genere si incontrano nella piazza principale, che è il centro della vita economica cittadina, spesso all’ombra del campanile della chiesa madre e del palazzo del comune.
Le planimetrie radiali sono rarissime, e soltanto Corato può offrire un esempio di una certa espressività. Il polimorfismo planimetrico è molto diffuso e talvolta viene esaltato per la presenza di una rarefazione o di una soluzione di continuità tra le planimetrie diverse. Il Salento è particolarmente ricco di esempi del genere, che dànno alle planimetrie dei centri abitati forme caratterizzate da strane proliferazioni. Cor-sano è in tal senso uno dei centri più singolari ; ma possiamo ricordare per la loro irregolarità e le numerose appendici Galatina, Montesardo, Castrignano del Capo. Una sola evidente appendice è costituita dalla stazione ferroviaria, come avviene per Alezio, San Donato di Lecce, Poggiardo, ecc.
Possono intervenire in questo polimorfismo fattori separativi d’ordine naturale, come nelle Murge avviene per Massafra, attraversata dalla gravina omonima. Mentre la parte vecchia è sulla destra, la parte nuovissima — Borgo Santa Caterina — è sulla sinistra. Le planimetrie contrastanti esaltano i termini estremi del fenomeno.
II centro in tali casi può definirsi polimerico, formato cioè di parti topograficamente distinte, fisionomicamente diverse e spesso funzionalmente autarchiche. Ma la polimeria oltre che un particolare incremento topografico di un centro, può essere il prodotto dell’avviamento e della fusione di due o più centri. Questo fenomeno è frequente soprattutto nel Salento, ove l’iniziale vicinanza dei centri, lo sviluppo preferenziale lungo la strada statale (spesso l’unica asfaltata) di collegamento, l’incremento demografico determinante l’ampliamento edilizio, portano i centri ad incontrarsi e a fondersi. Un processo di fusione va attuandosi tra Ruggiano e Barbarano, tra Gagliano del Capo e Arigliano, tra Acquàrica del Capo e Presicce. Nelle Murge la città di Adelfia è il risultato della fusione dei due centri Canneto di Bari e Montrone.
L’ubicazione dei centri costieri presenta dei tipi tra loro nettamente distinti:
- tipo di insediamento su dosso di promontorio, dirupato verso il mare. L’esemplificazione è offerta da Rodi Garganico, Peschici e Vieste, che hanno scelto questa ubicazione per evidenti motivi di sicurezza da terra e da mare;
- tipo di insediamento su aggetti peninsulari scarsamente elevati, come si riscontra per i centri di Bari e di Taranto. Taranto costituisce un esempio doppiamente classico nell’ambito di quel tipo di ubicazione costiera che già Tucidide aveva designato come proprio delle colonie fenicie;
- tipo di insediamento su isole costiere. Gallipoli precisa questo tipo in maniera caratteristica ;
- tipo di insediamento su costa rettilinea a ripa. Da Barletta a Torre Canne — come è stato detto — le testate delle Murge e talune più tardive sedimentazioni sub-orizzontali giungono fino al mare, costituendo una linea di costa ricchissima di minuscole insenature. Le maggiori rientranze sono in corrispondenza delle foci delle lame ormai inattive, che tagliano trasversalmente la linea di costa e che hanno consentito al mare la formazione di intaccature maggiori, che l’industria dell’uomo ha trasformato in porti, come a Barletta, Trani, Bisceglie, Monopoli, ecc.;
- tipo di insediamento di spiaggia. Questo tipo è rappresentato dai centri allineati lungo la costa sabbiosa, come Margherita di Savoia;
- tipo di centro di laguna. L’unico esempio superstite, dopo la distruzione di Uria (Lago di Varano) e di Salpi (Lago di Salpi), è costituito da Lésina, centro in ampliamento da quando è stato debellato il flagello della malaria.
Esistono centri costieri abitati soltanto durante la stagione balneare. Sono centri recenti, di modeste ambizioni come le villette e i villini che li formano, in pieno letargo invernale ed in fervida vita estiva.
Per la sua singolarità ricordiamo come si è dato vita ad uno dei centri balneari pugliesi tra i più simpatici e promettenti: Siponto. Nel 1936 il Consorzio di Bonifica di Capitanata acquistava dal comune di Manfredonia le Paludi di Siponto (circa 300 ha.) e procedeva ai lavori di risanamento e di appoderamento. Tra il mare e la ferrovia, un’area a pineta non suscettibile di trasformazione agraria a motivo della roccia viva affiorante, fu lottizzata con quote di circa 1000 mq. e ceduta gratuitamente a coloro che s’impegnavano a costruirvi una villetta.
Pianta di Monopoli.
L’iniziativa ha avuto un magnifico epilogo con la costituzione del centro turistico di Siponto (già Lido di Foggia), ormai anche economicamente affermato. Gli stabilimenti balneari richiamano inoltre nella magnifica spiaggia grandi masse di foggiani, che vi giungono con frequenti servizi automobilistici e mediante la ferrovia.
A sud di Siponto, presso Torre Rivoli, va lentamente formandosi un centro balneare in funzione di Cerignola.
Centri pescherecci-balneari, ma con una scarsa vita ed attività invernale, sono, a sud di Bari, Savelletri e Torre Canne. Siamo già in provincia di Brindisi, ma la clientela è prevalentemente barese. A Torre Canne, presso il laghetto omonimo, è pure uno stabilimento di acque termali aperto soltanto durante la stagione estiva.
Tipi di insediamento.
Il volto nuovo della Puglia presso Ginosa Marina.
Lungo le coste già caratterizzate da abituri di pochi e poveri pescatori, sorgono graziose cittadine che infondono una nuova linfa di vita. A nord di Brindisi vanno assumendo carattere sempre più precisato di centri balneari le località di Monticelli, Torre Sabina e Torre Guaceto. A sud di Brindisi è Torre Cavallo. Proseguendo lungo la costa, altro centro balneare molto importante è San Cataldo, la spiaggia dei Leccesi, a pochi chilometri dalla città (n km.), collegata con una magnifica strada rettilinea percorsa da frequentissimi servizi automobilistici. Il Lido di San Cataldo, ove la stagione balneare ha inizio il 17 giugno e termina il 30 agosto, ospita pure un campeggio internazionale aperto dal i° aprile al 30 settembre. Una cittadina costiera anch’essa in letargo durante l’inverno è Santa Cesàrea Terme, che è una delle pochissime che non dà spiacevoli sorprese al forestiero, qui richiamato dalla propaganda turistica che esalta le bellezze del paesaggio e la perfetta recettività alberghiera. Altri centri costieri di vita temporanea, sono Castro Marina e Marina Porto (di Tricase). Leuca, ha una parte nuova che d’inverno rimane totalmente disabitata, e che costituisce un altro caso di città in cui un settore è sempre abitato ed un altro lo è invece solo stagionalmente. Da Leuca a Gallipoli gli insediamenti costieri temporaneamente abitati sono di scarsa entità singola, come Sant’Antonio e Torre San Giovanni. Il maggiore, Posto Ràeale, va affermandosi come centro balneare con un discreto numero di costruzioni in muratura.
Torre Canne d’inverno.
A Gallipoli è il Lido di San Giovanni, nella cosiddetta Conca d’Oro, la spiaggia estiva dei Gallipolini, che l’hanno arricchita di un’ottima attrezzatura recettiva. I centri balneari sono più a nord, combinati con preesistenti centri pescherecci, che ne hanno tratto enormi vantaggi. Andando verso Taranto s’incontra la Riviera Neretina ove sono i centri di Santa Maria Bagni e Santa Caterina. Queste località possono considerarsi le marine di Nardo e Galàtone. Ancor più a settentrione ha ricevuto nuovo impulso come centro balneare Porto Cesàreo.
Taranto non ha centri balneari, ma due spiagge molto frequentate: San Vito e Chiatona. Questa è superba per la magnifica pineta che la circonda. La costa bassa e sabbiosa si spinge da Chiatona sino alla foce del Bràdano totalmente priva di costruzioni, tranne che a Ginosa Marina.
La Puglia fornisce anche un minuscolo esempio di riviera abitata in permanenza, con alberghi aperti durante tutto l’anno circondati da villini graziosi. Dalla zagara di Rodi alla fragranza della Pineta Marzini, la riviera garganica di San Menaio presenta il più pittoresco ed animato paesaggio costiero di tutta la Puglia!
Tutti i centri pugliesi vanno incontro anche ad un ampliamento volumetrico, perchè abbattute le vecchie case a pianterreno, ad un piano e a due piani, si costruiscono in cemento armato case di quattro e più piani. Il contrasto è spesso stridente come avviene con i cosiddetti « grattacieli » di Monte Sant’Angelo, ben visibili dallo stesso Tavoliere. Indice di iniziativa senza soste, questa trasformazione volumetrica cambia ogni giorno di più il volto del borgo murattiano di Bari, che con queste nuove costruzioni va assumendo una totale fisionomia di grande città. Bari, anche in questo caso, è il distintivo di tutta la Puglia.
Un riferimento a parte meritano i nuovi centri della Puglia, costruiti dal 1934 in poi. Ad opera del Consorzio di Bonifica di Capitanata sorge nel 1934 il centro abitato di Mezzanone, con un nucleo iniziale di 20 famiglie. Mezzanone è il primo « borgo di servizio » in relazione ad un appoderamento effettuato nel Tavoliere da privati e dall’Opera Nazionale Combattenti. Seguirono poi fino alla seconda guerra mondiale, sempre per iniziativa del suddetto Consorzio i borghi di servizio di Tavernola e di Siponto.
Nello stesso tempo l’Opera Nazionale Combattenti, sempre nel Tavoliere, dava vita ai centri di Segezia, Incoronata, Giardinetto e Cervaro. Questi ultimi due ebbero funzione di « borgate rurali ».
Dalla seconda guerra mondiale ad oggi in provincia di Foggia, sono sorti, tra gli altri, i centri di Nuova Cliternia e di Borgo Libertà (classificati dall’Ente Riforma come « borghi ») e il Borgo Duanera La Rocca e i centri di Torre Fantina, Palmori, Centrogallo, Bernadinone, Amèndola, San Giovanni, Immacolata, Canestrello, San Carlo (classificati dall’Ente Riforma come « centri di servizio »).
Altri centri sono in corso di ultimazione: San Nazario, Palazzo d’Ascoli, Caruso, La Pescia, Torre Alemanna, Tressanti, Moschella, Fonte Rosa, Stazione di Ripalta, Stazione di Chièuti, Pavoni.
In provincia di Bari, i nuovi centri sono stati costruiti nelle Murge: i maggiori sono Montegrosso e Dolcecanto. Hanno funzione di centri di servizio: Pozzelle, Giuncata, Pantanella, Murgetta, Notargiacomo e San Felice. Presso Brindisi è sorto il centro di Serranova e presso Lecce, tra i nuovi centri, ricordiamo Borgo Pace, Borgo
Torre Canne d’estate.
Piave, Frigole, Fontanelle, Monte Lauro. In provincia di Taranto si affermano i nuovi centri di Ginosa Marina (borgo) e di Perrone (borgata rurale). Hanno funzione di centro di servizio, Conca d’Oro e Santa Chiara.
Mai come oggi, nella storia, del popolamento della Puglia si è riscontrata una così intensa fioritura di centri abitati. Razionalmente costruiti per disimpegnare nel migliore dei modi la plurifunzionalità dei servizi e rispondere all’esigenze d’ordine materiale e spirituale, essi costituiscono in un’area non solo economicamente depressa come la Puglia, il più fattivo contributo all’evoluzione della personalità e della dignità umana.