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I massicci del Cervati e dell’Alburno

    I massicci del Cervati e dell’Alburno

    Tra la valle del Tànagro e quella del Calore lucano, del Mingardo e del Bussento superiore si ergono i due grandi massicci calcarei del Cervati e dell’Alburno e minori monti della stessa natura (Mòtola, Cocuzzo), tutti noti per le bianche pareti a picco, dette timpe, timponi o balze.

    Il Cervati ha un contorno rotondeggiante e si innalza a 1899 m. con falde ripide e con costoni a picco, incisi in profondità da valli anguste in cui scorrono impetuosi torrenti. La montagna con le sue propaggini occidentali (Raialunga, Calvello) è un’alternanza di creste e di conche, di zone boscate e di coste nude o brulle, corrose dal carsismo, e presenta a nordest una interessante balza, alta oltre 250 metri. È molto piovosa e si imbeve di una considerevole quantità di acqua, che restituisce attraverso ricche sorgenti ad altitudini diverse, ma in maggior quantità lungo la linea di base nel Vallo di Diano.

    Vaste sono le fustaie di faggio e di quercia, estesissimi i pascoli, tutti più o meno magri, non trascurabili le zone a seminativo sul versante nord-occidentale. La montagna è quasi tutta priva di insediamenti e non numerosi sono quelli alla sua periferia, tra i quali i più noti sono Sanza (3253 ab.), nel bacino superiore del Bussento, dove un cippo ricorda l’impresa di Carlo Pisacane, Piaggine (3118 ab.) e Laurino (3173 ab.), centri di pendio nell’alta valle del Calore alla base di aspri contrafforti, i cui abitanti traggono i mezzi di sussistenza da floride colture erbacee e arboree (olivo, vite) e da boschi, pascoli e seminativo nudo.

    L’Alburno è una delle montagne più note della Campania, non tanto per l’altitudine, quanto per la forma inconfondibile, per le bianche pareti precipiti dagli orli seghettati e per la sua pendenza a sud. Dalla Costiera Amalfitana e dalla Piana di Salerno si distingue questo imponente piano inclinato, cui fa contrasto, a distanza, la duplice dorsale di Capaccio, i cui strati sono immersi fortemente a nord.

    Vedi Anche:  Profilo geografico regionale. Il cilento

    L’Alburno, o gli Alburni, come comunemente si indicano i monti tra il Calore e il Tànagro, si distinguono per le alte pareti bianche e per la grandiosità dei fenomeni carsici superficiali e sotterranei ed accolgono nel loro seno le grotte di Pertosa, di Castelcìvita e di Sant’Angelo a Fasanella, oltre a numerose cavità minori.

    Floridi boschi ne ricoprono la sezione nord-orientale ed estesi pascoli quella sud-occidentale e non mancano zone a seminativo alle spalle di Ottati.

    All’Alburno fanno corona numerosi centri abitati, quasi tutti di pendio, che si sono formati nella zona di transizione tra le pile di calcare o di dolomia e il mantello di terreni terziari e quaternari che ne fasciano la base. I più noti sono Postiglione (3013 ab.) e Sicignano degli Alburni (4750 ab.), dominati dai ruderi dei rispettivi castelli, con ampio panorama sulla valle del Sele.

    Il gruppo del Cervati e dell’Alburno è costituito da montagne piuttosto povere, con insediamenti periferici e poche masserie isolate o rari ricoveri sulle falde alte. I solchi tra il Mòtola e il Cocuzzo e tra questo e l’Alburno, con selle a circa mille metri di altitudine, sono percorsi dalle due strade rotabili che assicurano agevoli rapporti tra la Lucania e il Cilento.

    L’Uomo ha lasciato poche tracce della sua attività sulle parti alte di queste montagne, ma in misura maggiore sui loro fianchi, dove sorsero insediamenti fin nelle età più antiche dell’umanità. La Grotta di Pertosa ha una considerevole importanza scientifica e turistica per le formazioni stalattitiche e stalagmitiche ed è percorsa da un fiume e invasa da un lago artificiale che alimenta una centrale idroelettrica.