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le grotte

    Le grotte.

    L’azione meccanica e chimica delle acque sulle rocce calcaree ha lasciato tracce notevoli non solo in superficie, ma anche in profondità. Numerose sono le grotte e le cavità superficiali e sotterranee aperte nei fianchi delle montagne calcaree, alcune delle quali sono state invase dalle acque del mare, che le hanno ulteriormente modellate. Tra le grotte che hanno un maggiore sviluppo sotterraneo bisogna ricordare quelle di Pertosa e di Castelcìvita nell’Alburno, quella che accoglie il corso sotterraneo del Bussento e la Grotta Caliendo nel territorio di Bagnoli Irpino, sulle propaggini nord-orientali del gruppo del Cervialto, dovuta all’emissario sotterraneo del Lago Laceno; tra quelle abitate dall’Uomo preistorico più note sono le grotte delle Felci a Capri, La Porta presso Positano, Ciàvole presso Palinuro, S. Michele a Giffoni Valle Piana, Zachito nel territorio di Caggiano e dell’Angelo o di S. Michele a Pertosa; ma numerose altre grotte interessanti sono visibili nella Penisola Sorrentina, nei monti intorno al Piano Campano e in tutte le altre montagne calcaree.

    Alcune, invase dalle acque del mare, acquistano la caratteristica colorazione azzurra sotto i raggi del sole: l’esempio più tipico, e forse più famoso nel mondo, è la Grotta Azzurra di Capri, ma se ne contano altre di notevole interesse lungo i nostri litorali.

    che si apre tra i monti Campimma e Spadanfora [Monte Avella], popolata di pipistrelli — donde il nome —, delle Colonne presso Sapri, dell’Auso a Sant’Angelo a Fasanella).

    Un interesse scientifico e turistico assume, a tal proposito, la Grotta di Smeraldo a Conca dei Marini presso Amalfi, scoperta nel 1932, nella quale sono visibili begli esemplari di colonne sonore poggianti sul fondo del mare, che si sono formate quando la grotta non era ancora invasa dalle acque. Essa ci offre una prova molto convincente delle variazioni del livello del mare e del suo innalzamento recente.

    I terremoti.

    Un fenomeno che interessa le terre geologicamente giovani — e in particola!” modo la sezione centro-settentrionale della Campania — in corso di assestamento e attraversate da molte linee di frattura, è quello dei terremoti. Questi, infatti, sono molto frequenti nella regione, sia nelle aree vulcaniche che nelle parti interne dell’Appennino. Nelle prime precedono e accompagnano i parossismi o costituiscono ulteriori sordi scuotimenti di montagne in cui i fuochi si sono definitivamente spenti o si vanno spegnendo e in cui si verificano sprofondamenti o assestamenti di masse; nelle seconde sono dovuti a crolli sotterranei e, frequentemente, a movimenti tettonici.

    Le più violente eruzioni del Vesuvio hanno causato notevoli movimenti tellurici, che sono stati avvertiti anche nell’interno dell’Appennino, ma non hanno prò-

     

     

     

    ciotto gravi danni. Anche la formazione del Monte Nuovo scosse la regione flegrea e Pozzuoli in particolare. Numerosi i terremoti ad Ischia, dove nel solo secolo XIX se ne sono registrati una quindicina, dei quali alcuni gravi (1828, con 28 morti; 1881, con 120 morti; 1883, con 2313 morti, di cui 650 estranei all’isola, e 772 feriti). Neppure il Roccamonfina si sottrae a movimenti sismici: l’ultimo è avvenuto ai primi del i960.

    Vedi Anche:  Le montagne calcaree

    La parte della Campania più frequentemente colpita dai terremoti coincide con l’Appennino Sannita e più propriamente con la sezione nord-occidentale di esso. Il massiccio del Matese si attacca ai Monti del Sannio a sudest e a quelli abruzzesi a nordest con una serie di rilievi da annoverare tra i più instabili dell’Appennino. I numerosi terremoti che hanno colpito in particolare la zona di Ariano Irpino e di Isernia, e con minore intensità e frequenza molti centri a nordovest di Ariano e a sudest di Isernia, ci consentono di riconoscere una direttrice di intensa sismicità,

    pressoché parallela all’asse longitudinale del Matese e passante per l’alta valle del Biferno.

    L’Appennino Sannita e le propaggini sud-orientali del Matese sono state scosse molte volte nei tempi storici. Dei più violenti terremoti (una dozzina) ci sono state tramandate notizie per i danni arrecati ai centri più cospicui. Il più rovinoso, che abbia colpito la Campania, è considerato quello del 1456, che fece circa 30.000 vittime e non risparmiò quasi nessun centro di quella regione e ne colpì alcuni in modo grave, tanto nel territorio di Ariano (Ariano, Zùngoli), quanto sulle falde del Matese (Guardia Sanframondi, Sassinoro, Santa Croce del Sannio) e nelle valli del Fortore (Foiano), del Calore (Mirabella Eclano) e del Sàbato (Avellino). Piuttosto intenso fu anche il terremoto del 1688, che colpì di nuovo duramente le due zone di Ariano e del Matese.

    Tra i terremoti più recenti meritano di essere ricordati quelli del 1930 e del 1962. Il primo ha interessato soprattutto l’area di Ariano, Mirabella, Grotta-minarda e Montecalvo, cioè in complesso i rilievi a destra e a sinistra della valle dell’Ufita; il secondo ha colpito con maggiore intensità l’alta valle del Tàmmaro (Molinara, San Giorgio La Molara, Pago Veiano, San Marco dei Cavoti) e non ha risparmiato nè il territorio di Ariano, nè altre zone periferiche, producendo considerevoli rovine. Il movimento sismico ha interessato un’area molto vasta ed è stato avvertito anche nella pianura campana e a Napoli, come pure nelle province della Puglia.

    Nel Salernitano e nel Cilento i terremoti sono molto rari e poco intensi, per cui se ne conservano poche notizie (Pertosa, 1857).

    La distribuzione delle formazioni geologiche nella regione.

    In base ai brevi cenni sulla storia geologica della regione e sulla sua costituzione litologica ci è possibile distinguere in essa varie parti dai caratteri distintivi, cioè la serie delle montagne calcareo-dolomitiche del Secondario, i rilievi argilloso-sabbiosi del Terziario, gli apparati vulcanici e le pianure sedimentarie e alluvionali quaternarie.

    Vedi Anche:  Il Vallo di Diano

    La fascia dei rilievi calcarei e dolomitici è quasi tutta spostata verso il Tirreno, essendo pochissimi gli affioramenti di rocce di questa natura nell’Appennino Sannita. Essa assume la forma di due giganteschi archi contigui, saldati dal cuneo dei Picentini e poggianti sul pilone centrale, costituito dai Lattari e terminante a Capri. I due archi si sviluppano l’uno verso nordovest attraverso il Partenio, il Taburno, il Matese, le montagne del Preappennino (Tifata, Maggiore, Màssico), cui fanno riscontro verso nord le Mainarde e i monti Lungo e Camino, l’altro verso sudest attraverso il Monte Marzano, l’Alburno, il Cervati fino al Bulgherìa, cui fanno

    corona, all’esterno, la Catena della Maddalena, il Sirino con le sue appendici e le montagne tra Sapri e Maratea e, all’interno, dorsali minori, come quelle di Chia-niello e di Capaccio.

    La dolomia principale affiora sui fianchi dell’Alburno e sul versante meridionale dei Picentini e dei Lattari, dei quali forma quasi tutto il gruppo dei Mai e la Catena dell’Addolorata, che si erge tra la valle di Tramonti e il solco di Cava dei Tirreni. Di essa sono costituite anche la sezione centrale della Catena della Maddalena, ad oriente di Sala Consilina, e una parte del Màssico. Notevole estensione hanno, inoltre, i calcari dolomitici nelle montagne nord-occidentali della regione (Mainarde). La formazione calcarea era attribuita quasi tutta al Cretaceo, ma ricerche recenti, ancora in corso, hanno riconosciuto la presenza del Giura negli orizzonti inferiori del Cretaceo nei Lattari, nel Monte Maggiore, nei Picentini, oltre che in alcuni monti isolati, quali il Màssico e il Bulgherìa, dove già era stata ritrovata.

    Alle spalle del duplice arco calcareo ed entro le valli, che si aprono tra le sue dorsali o tra i suoi massicci, prevalgono terreni terziari e in particolare arenarie,

    molasse, argille, sabbie e conglomerati, che costituiscono la dorsale spartiacque dell’Appennino e il Subappennino Pugliese, si insinuano nella media valle del Volturno, fasciando il versante sud-orientale del Matese e colmandone alcune conche che si aprono lungo il solco centrale della montagna, penetrano, superando la Sella di Conza, nella valle del Sele, rivestono i fianchi sud-orientali dei Picentini, quelli del Monte Marzano e dell’Alburno e si espandono nella valle del Calore Lucano e in tutto il Cilento, raggiungendo su larga fronte il mare tra Punta Licosa e Capo Palinuro e nell’arco del Golfo di Policastro.

    La formazione vulcanica ha due aree di maggiore estensione che fanno capo rispettivamente al Roccamonfina e ai vulcani intorno al Golfo di Napoli. La prima si inserisce tra il Monte Maggiore, il Matese, le Mainarde e il Màssico ed ha per centro il Roccamonfina con i suoi crateri avventizi, che poggia su una larga base ed ha distribuito i suoi materiali nella pianura fino al mare, sui monti calcarei circostanti e nella media valle del Volturno, creando in tal modo estesi banchi di tufo grigio; la seconda è compresa tra il Sarno e i Regi Lagni, include gli apparati dei Campi Flegrei e del Vesuvio e si espande alla loro periferia, degradando

    Vedi Anche:  Formazione geologica il rilievo montagne e pianure

     

     

     

    dolcemente verso il solco dei Regi Lagni e del Sarno e raggiungendo la base delle montagne calcaree che circondano la pianura, sebbene i materiali vulcanici si vadano mescolando nella fascia pedemontana ad altri di natura diversa.

    Molti di tali apparati vulcanici furono in origine sottomarini e solo successivamente alcuni sono entrati a far parte della terraferma, mentre altri hanno creato le isole di Ischia, Pròcida, Vivara e Nìsida.

    I terreni piroclastici penetrano nelle valli che intaccano il Preappennino, colmano alcune conche e valli interne (triangolo di confluenza tra il Volturno ed il Calore, valli del Titerno, dell’Isclero, del Sàbato, dell’Imo, conca di Mercato San Severino) e si estendono alla base dei Lattari, riempiendo piccole conche e formando terrazze costiere. Il tufo, cementato o non cementato, costituisce una parte notevole del Piano Campano e della pianura circumvesuviana, forma parecchi vulcani dei Campi Flegrei e riveste alcuni rilievi calcarei (Lattari, Avella, Picentini), assicurando ad essi un’insolita fertilità, come prova il ricco mantello vegetale che ne riveste le falde, le conche e i pianori.

    Il Quaternario copre il fondo delle valli interne (Volturno, Calore, Vallo di Diano), assumendo un maggiore spessore alla base dei rilievi, ed occupa estesi lembi delle pianure litoranee (Piana del Garigliano, Piana del Volturno, Piana del Sele, valli del Sebeto, del Sarno, dell’Alento), si ritrova per minori estensioni nell’interno, fino a notevole altitudine, specialmente in campi carsici e in conche, e presso la costa (Palinuro). Questa formazione è costituita, oltre che da materiale di origine vulcanica, da terreno alluvionale, ciottoleto, detrito di falda, travertino, conglomerati e sabbie, e presenta i vari frammenti ora uniti da abbondante cemento, ora sciolti, come nei cordoni dunosi litoranei che orlano le pianure.

    La distribuzione delle varie formazioni geologiche ci aiuta a spiegare i caratteri fondamentali della morfologia, la concentrazione e la rarefazione delle sorgenti e talvolta la distribuzione della popolazione, dei tipi di insediamento, delle forme di utilizzazione del suolo e di sfruttamento del sottosuolo e molti altri fatti antropici ed economici, strettamente legati alla natura e alla giacitura dei terreni.