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Il Vallo di Diano

    Il Vallo di Diano

    Tra le montagne dell’Alburno, del Cervati e la Catena della Maddalena, anch’essa calcareo-dolomitica, si apre una delle più notevoli valli longitudinali dell’Appennino. E il Vallo di Diano, che ha una lunghezza di 37 km., una larghezza media di 5 e una superficie pianeggiante di 130 chilometri quadrati. Il suo fondo è ad un’altitudine variabile tra 400 e 450 m. e risulta leggermente inclinato verso nordovest.

    La conca era occupata nel Quaternario da un lago, il quale è stato poi gradualmente colmato da materiali alluvionali. L’innalzamento del fondo è stato accompagnato dall’apertura di vie sotterranee, specie alla base dell’Alburno, le quali smaltivano le acque della vasta conca, che venne sempre più assumendo il carattere di area endoreica, cioè priva di deflusso superficiale, una delle più grandi del nostro paese.

    Nella parte centrale di essa, al di sotto del livello degli inghiottitoi naturali, le acque formavano un pantano fino a pochi decenni addietro e rendevano paludoso e malsano quasi tutto il piano, ma la canalizzazione degli alvei e la incisione della soglia calcarea hanno agevolato il deflusso dell’acqua verso il solco vallivo del torrente Maltempo e verso la condotta forzata dell’impianto idroelettrico di Pertosa.

    Il Vallo di Diano si va rilevando leggermente dal centro verso i rilievi laterali, alla base dei quali sono richiamati gli insediamenti e le colture legnose. Alcune ampie conoidi di deiezione, allo sfocio dei torrenti più notevoli, sono le aree meglio coltivate e più abitate intorno a Teggiano, a Sassano, a Buonabitàcolo e in altre parti del Vallo.

    secolo XVIII e l’inalveazione del fiume, in seguito all’incisione della soglia calcarea, fosse stata realizzata nel 1830. Non mancarono poi periodici lavori di riattamento e di perfezionamento delle opere, ma fu nel 1928 che si iniziò la bonifica integrale con la canalizzazione dei corsi d’acqua, con la sistemazione dei terreni del piano e della zona periferica, con l’imbrigliatura dei torrenti e col rimboschimento.

    Eliminato l’acquitrino, il Vallo ha subito una profonda trasformazione agraria, perchè in un trentennio le aree a cereali si sono notevolmente estese, i pascoli si sono ridotti e i bovini triplicati di numero.

    sviluppato, qualche centro e alcuni minori agglomerati; sulle pendici dei monti colture arboree (olivo), alternantisi a macchie di bosco e a pascoli magri o a roccia nuda, parecchie le case sparse e quasi tutti i centri del Vallo.

    Il Vallo di Diano è una importante via di transito per le popolazioni della Campania meridionale e della Basilicata sin dai tempi più remoti, come testimoniano i ritrovamenti preistorici, le mura megalitiche di Atena Lucana, le tombe numerose di Sala Consilina e di Padula. Fu percorso nel Medio Evo da popoli invasori e attraversato dalla principale strada per le Calabrie, che è in corso di trasformazione in autostrada. L’acquitrino respinse gli insediamenti nella zona dove era maggiore la salubrità dell’aria, alla quale si riconnettono i toponomi Montesano, Buonabità-colo e Casalbuono.

    Tra i centri principali si possono ricordare Teggiano (8780 ab.), che domina la valle dall’alto di un colle, già detta Tegianum dai Romani e Diano nel Medio Evo, donde deriva il nome attuale del Vallo, Atena Lucana (2416 ab.), centro di poggio e di pendio sull’importante strada trasversale che collega la Piana di Paestum con le valli della Lucania ionica, Sala Consilina (10.944 ab-)> centro di pendio in mezzo agli oliveti, esposta a mezzogiorno, la quale ha ormai assunto le funzioni di capoluogo della vasta conca, Padula (6773 ab.), sorta su un contrafforte della Catena della Maddalena e nota per la celebre Certosa di San Lorenzo iniziata ai primi del secolo XIV. La sua pianta ha la forma della graticola sulla quale fu martirizzato San Lorenzo e presenta il motivo che sarà poi ripreso nell’Escuriale, il celebre convento fondato nel secolo XVI da Filippo II sulle falde della Sierra de Guadarrama, per esaudire un voto fatto a San Lorenzo durante la battaglia di San Quintino e destinato ad accogliere le tombe dei sovrani di Spagna e dei loro familiari.

    La Certosa di Padula è una delle più famose del mondo, non solo per i suoi pregi architettonici, per gli ampi cortili, i porticati maestosi e l’ottagonale torre dalla scala ellittica, opera del Vanvitelli, ma soprattutto per la ricchezza della sua biblioteca e per gli studi che vi sono stati svolti, per la generosa ospitalità offerta ai pellegrini che percorrevano la disagevole strada per le Calabrie. In essa fu ospitato con un celebre banchetto anche Carlo V di ritorno dall’impresa di Tunisi, in essa furono installate le caserme dei Napoleonici e, più recentemente, concentrati i prigionieri di guerra; sotto le sue mura il Mercantini immagina che si sia concluso tragicamente il tentativo di Carlo Pisacane di fare insorgere il Cilento nel 1857.

    A questo faro di cultura e di umanità il presente non riserva purtroppo che una rapida decadenza ed una inesorabile rovina, perchè sono mancate le iniziative per utilizzare in modo decoroso e con fini sociali o culturali il grandioso edificio, unico nel suo genere nella provincia di Salerno, in cui si potrebbero organizzare, ad esempio, corsi universitari estivi da parte dell’Ateneo partenopeo.

    La Catena della Maddalena e il Monte Marzano.

    Parallela al solco del Vallo di Diano si sviluppa la Catena della Maddalena, sulla quale corre il confine tra la Campania e la Basilicata. Essa si attacca direttamente al Sirino e si allunga verso nordovest fino alla profonda incisione valliva del torrente Bianco, ma trova la sua continuazione nel gruppo del Monte Marzano.

    Vedi Anche:  Campania

    Dei due importanti rilievi risulta incluso nella Campania solo il versante occidentale, al quale si limita il nostro rapido esame. La Catena della Maddalena è costituita da un’ossatura calcareo-dolomitica, ma la dolomia prevale nella parte basale della sezione meridionale, diventa qua e là farinosa e fa assumere al rilievo forme più aspre, solo in parte obliterate dal più fitto mantello vegetale. Il calcare diventa esclu

    sivo nella sezione settentrionale e nelle dorsali del gruppo del Monte Marzano, come nella parte sommitale della Catena della Maddalena. Da ciò derivano una idrografìa superficiale meno estesa, una morfologia carsica più evidente, per la maggiore nudità delle ampie spalle dei rilievi e per la presenza di vasti bacini chiusi. Questi, invero, risultano formati talvolta dalla saldatura di varie conche minori, i cui diaframmi divisori, consunti dalle acque meteoriche, sono ancora visibili: sul loro fondo si formano pantani temporanei o duraturi, ma dal livello sempre molto variabile.

    Il Monte Marzano presenta solchi centrali più marcati, in cui si sono formati vasti piani carsici (alveo del lago di Palo, pantano di San Gregorio Magno), già invasi dalle acque ed ora prosciugati e coltivati.

    I due rilievi si distinguono per la grande estensione della roccia nuda e scabra e dei pascoli magri. Il bosco compare nelle parti alte sotto forma di faggete o sui pendii più dolci e più ricchi di terreno agrario sotto forma di quercete.

    L’agricoltura interessa solo le conche carsiche, preferite dalle piante erbacee, e i fianchi meno acclivi delle montagne, sui quali cresce florido l’olivo e sono presenti la vite, il noce ed altri alberi da frutta. Gli olivi imprimono una nota distintiva al paesaggio, sia che si ergano con la loro larga chioma sul seminativo, sia che formino un mantello continuo e si spingano fino ai margini delle nude pareti calcaree e a contatto col bosco, sempre distinguendosi per la tonalità del verde delle loro foglie. Intorno a Sala Consilina, ad Auletta e tra Buccino e Contursi gli oliveti crescono con grande rigoglio e coprono estese aree.

    Sui rilievi in questione l’insediamento è prevalentemente accentrato e vanta origini anche molto remote, come testimoniano i resti litici della Grotta di Caggiano e i ruderi dell’antica Vulcei o Vulceium, dalla quale è derivata Buccino. Nel Medio Evo assunsero importanza Laviano, Valva, Contursi, Ricigliano e alcuni altri centri ai margini del Vallo di Diano. I castelli, simbolo della potenza dei signori, sono in gran parte diruti o cadenti e dominano dall’alto di cocuzzoli i centri attuali. Valva conserva ancora intatto il suo castello annesso ad un parco e ad una vasta proprietà fondiaria e Auletta ne vanta uno dei discendenti del famoso albanese Castriota Scan-derbeg, che si distinse nella lotta contro i Turchi.

    ora tutt’altro che favorevoli allo sviluppo. In posizione più centrale sono San Gregorio Magno (4798 ab.) e Buccino (7120 ab.), ai margini di un pantano e di un lago prosciugati, mentre tutti gli altri sono alla periferia del massiccio. Tra questi una certa importanza ha Contursi (3162 ab.), non solo per la sua posizione amena, ma per la vicinanza a note sorgenti termo-minerali, che hanno fatto sorgere una certa attrezzatura termale e alberghiera sul fondo dell’alta valle del Sele.

    La Piana del Sele.

    Usciamo dalle gole selvagge del Monte Marzano, affacciamoci da Palomonte sulla valle inferiore del Sele, che si allarga tra l’Alburno e i Picentini, e discendiamola da Contursi fino oltre la confluenza col Tànagro e, successivamente, fino a che il fondo-valle si allarga nella vasta pianura, che ha la forma di un triangolo equilatero, con la base tra Agròpoli e Salerno e con il vertice al Ponte sul Sele. Questo si trova nel punto in cui il letto del fiume cessa di essere incassato tra estesi lembi di terrazze fluviali, cioè dove avviene il passaggio verso la piana vera e propria e dove recentemente, con la costruzione di una diga, è stato creato un bacino idrico per alimentare la rete dei canali di irrigazione.

    La Piana è per la maggior parte costruzione del Sele e di altri fiumi minori che scendono dai monti circostanti (Picentino, Tusciano, Solofrone) e viene indicata nell’insieme col nome del fiume principale che l’attraversa, ma nelle singole parti prende il nome da Salerno, da Eboli e da Paestum.

    Essa è geologicamente giovane e risulta formata di materiali alluvionali e in piccola parte di terreni sedimentari, pliocenici e quaternari (travertino), ed ha una cimosa costiera dunosa, alle cui spalle si allunga una zona depressa, dalla quale si va dolcemente rilevando verso la base dei monti periferici con superfici regolarmente inclinate, interrotte da leggere convessità in corrispondenza delle conoidi di deiezione, in cui incidono l’alveo i corsi d’acqua che le hanno formate.

    Verso la base dei rilievi la pianura cessa di essere uguale e monotona, diventa più varia morfologicamente e più salubre e presenta un mantello vegetale diverso. Differenze notevoli si riscontrano anche tra le terre alla destra e alla sinistra del Sele, le prime più estese, più fertili, più fresche e ben coltivate, le seconde più povere e non ancora completamente messe a coltura.

    Vedi Anche:  Il fenomeno migratorio dei tempi attuali

    della macchia e della boscaglia intricata ed era frequentata dai greggi delle zone montane periferiche; ma con l’eversione della feudalità e con le note vicende sociali del secolo scorso si accentuò il disordine idraulico sulle colline circostanti, in sèguito all’applicazione di una attività agricola di rapina da parte dell’aumentata popolazione, e peggiorarono le condizioni generali nel piano.

    La bonifica integrale, iniziata nel 1929, ha trasformato l’ambiente naturale, le condizioni di vita e l’economia della Piana, dove « non si ha più l’acquitrino che ristagna, nido di zanzare, brago per il bufalo; non più la landa deserta, dominio del cavallaro e del bifolco, che nessuno ama, perchè a chi lavora sogghigna in agguato la morte; non più le interminabili distese di cardi e di asfodeli, che davano quel senso di profonda malinconia a chi veniva in queste località per ammirare i meravigliosi templi greci; non più, infine, visi pallidi e giallognoli, ventri obesi anche nei bambini, sguardi tristi di gente che per debellare la fame si cimenta con la morte » (Castaldi); ma un paesaggio salubre e riposante, con pochi residui di boschi e di macchia, profondamente umanizzato, con una miriade di case sparse e con centri in

    formazione o città in espansione, con una grande varietà di colture erbacee e legnose a più piani vegetativi, con una rete complessa di canali d’irrigazione e di strade e animato dal ritmo intenso e continuo dell’attività agricola, commerciale e industriale.

    La Piana si va sempre più popolando, mentre la sua economia si differenzia ulteriormente. L’agricoltura si intensifica e le colture più ricche si sostituiscono a quelle più povere, determinando un generale aumento del reddito, mentre la zona costiera va assumendo importanza turistica e balneare. Le rovine di Paestum non sono più solo la testimonianza di un mondo morto per sempre, ma si inseriscono in un ambiente meraviglioso, in cui la vita continuamente si rinnova e in cui le grandi conquiste recenti, come i resti del passato, sono risultati stupendi dello sforzo organizzato dell’Uomo.

    « Ora il paesaggio della Piana, specie nella parte più bassa, vicino al mare e al Sele — scrive il Migliorini, sintetizzandone i tratti essenziali —, presenta i caratteri delle zone redente, da poco tempo, dall’Uomo: vaste campagne pianeggianti, linee diritte, rappresentate da strade e da canali, case e fattorie moderne con silos, disposte

    in fila lungo le strade o a poca distanza da esse, prevalenza di prati e di campi non cintati, alberi da frutto in filari regolari, il tutto strettamente collegato coi corsi d’acqua regolarizzati, coi canali che portano al mare le acque un tempo ristagnanti e che scorrono pigramente, irrigando le campagne, o fanno sentire la loro presenza nel passare dai canali principali a quelli secondari con cascatelle ».

    Il quadro colturale della Piana è inserito in una cornice di monti e di colline, ricchi di centri e interessati da colture arboree o erbacee in forma specializzata o promiscua (olivo), e presenta esso stesso una certa varietà. Dalla zona a pascoli e a prati a sud di Paestum e a nord della foce del Sele si passa nelle aree a seminativo, interrotte qua e là da lembi residui di boschi lungo il corso del Sele e del Calore e, procedendo verso nord, nei campi intensivamente coltivati a piante industriali (tabacco, pomodoro, barbabietola da zucchero), ad ortaggi e ad alberi da frutta. A mano a mano che ci si avvicina a Battipaglia e al Tusciano, la complessità colturale aumenta e si entra nelle zone a frutteto, a più piani sovrapposti, in cui le chiome dei noci sovrastano ampie distese di agrumi e di altri alberi da frutta.

    Le sedi umane si moltiplicano con l’intensificarsi dell’agricoltura e delle attività secondarie e terziarie, ad essa strettamente legate, e con l’avvicinarci a Salerno, che tanta parte del suo sviluppo deve alla valorizzazione della pianura del Sele. Tra i numerosi centri in via di sviluppo si distinguono Pontecagnano, Eboli e Battipaglia, oltre ad alcuni insediamenti litoranei (Marina di Paestum).

    Pontecagnano (15.144 ab.) sorge sul Picentino, poco lontano dalle tracce dell’antica Picentia, sulla grande arteria stradale tirrenica che porta nella Calabria e nella Basilicata, ed ha assunto una grande importanza industriale e commerciale, registrando un considerevole incremento demografico. Eboli (25.634 ab.), cittadina di origine remota (Eburum), situata presso le falde dei Picentini, conobbe un certo risveglio nei tempi antichi e cadde nell’oscurità nei primi secoli del Medio Evo, ma poi si riprese, pur rimanendo circoscritta ad un colle ai margini della piana malarica. La sua espansione nel penepiano è recente ed è stata favorita dalla valorizzazione agricola della pianura e dal conseguente sviluppo delle attività terziarie.

    Battipaglia (25.992 ab.) è, invece, città di recente fondazione in una posizione molto favorevole, perchè all’incrocio delle principali strade rotabili e ferrate del Salernitano e al centro della parte migliore della Piana. Il suo piccolo nucleo originario non è più antico di un secolo e fu colonia agricola, creata nel 1857 per i profughi di Melfi, rimasti senza tetto dopo il terremoto del 1851; ma il centro si è avviato a diventare città dopo l’inizio della bonifica integrale ed ha conosciuto un insolito sviluppo, tanto che la sua popolazione si è varie volte raddoppiata nel giro di un trentennio. Tale sviluppo, appena interrotto durante l’ultima guerra che fece della città e delle sue campagne un sanguinoso teatro di operazioni belliche, ha subito una rapida ripresa nel dopoguerra, a tal punto che Battipaglia è una delle città più vitali della Campania, per quanto riguarda le attività commerciali e industriali legate alla agricoltura.

    Vedi Anche:  La pesca

    I Monti Picentini.

    Il gruppo dei Monti Picentini si inserisce tra le valli del Sele, dell’Ofanto, del Calore Irpino e del Sàbato e si affaccia al mare di Salerno, ma presenta profonde differenze nella natura geologica e nella morfologia da un luogo all’altro. Il nome deriva all’importante massiccio dalle antiche colonie picene trasferite nel secolo III avanti Cristo alla destra del Sele, ma è entrato da pochi decenni nell’uso comune, perchè nell’età moderna era indicata dai dotti, come regione dei Picentini, la sezione della provincia di Salerno a nord del Sele, cioè parte della pianura e il versante meridionale del gruppo montuoso. Questo, infatti, sin dall’alto Medio Evo era diviso

    politicamente e amministrativamente tra il Principato Citeriore e quello Ulteriore, ma con l’Unità d’Italia e col conseguente riordinamento amministrativo della Campania il confine provinciale ha disceso le valli del Solofrana e del Sele.

    I Picentini sono un gruppo di monti di notevole altitudine, divisi tra loro da ben marcati solchi ad andamento meridiano, e si riattaccano ai Lattari attraverso il cuneo calcareo-dolomitico che s’innalza tra Salerno e Cava dei Tirreni.

    Nella sezione orientale domina la massa cupoleggiante del Cervialto (1809 m.), una delle più alte della Campania, che si salda a sud col Polveracchio e a nord col Montagnone di Nusco, in quella occidentale l’importante nodo idrografico dell’Ac-cèllica (1657 m.), al quale si riattaccano i contrafforti del Terminio (1785 m.) e dei Mai (1618 m.).

    La sezione sud-occidentale del massiccio è prevalentemente dolomitica ed ha perciò una morfologia aspra e una più diffusa idrografia superficiale, mentre quella nord-orientale è calcarea e presenta un’idrografia sotterranea più sviluppata, numerose sorgenti e assai imponenti fenomeni carsici sotterranei e superficiali, come provano le vaste conche chiuse del Dragone e di Laceno. Notevolmente estesa è anche la formazione terziaria, costituita di terreni arenacei e argillosi, molto plastici, che fasciano alla base il massiccio o penetrano profondamente nell’interno di esso, nè trascurabili sono i depositi di materiali piroclastici, primari e secondari, cementati e sciolti della sua sezione occidentale.

    I Monti Picentini si distinguono per i notevoli contrasti litologici, morfologici, climatici e biologici tra i vari versanti ed, inoltre, per la diversa distribuzione delle sorgenti e dei tipi di insediamento. L’agricoltura interessa quasi solo la parte marginale, perchè nell’interno è il dominio del pascolo e del bosco ceduo e di alto fusto (castagno, faggio). Il seminativo arborato (vite, olivo) prevale sui terreni flyscioidi del versante settentrionale, gli alberi da frutta (noce, nocciolo, ciliegio ed altri) sui fon-divalle e nelle conche più fertili, l’olivo domina rigoglioso alla base meridionale del massiccio e ne risale fino a considerevole altitudine le pendici meno acclivi. L’impoverimento degli alberi nella sezione nord-orientale e nella valle dell’Ofanto preannunzia le vaste distese di seminativo nudo dell’Appennino Sannita.

    II complesso massiccio è molto piovoso e alimenta ricche sorgenti carsiche, le cui acque sono distribuite attraverso una complessa rete di acquedotti dal Golfo di Napoli alla Penisola Salentina e occupa, sotto questo riguardo, un posto di primaria importanza tra i massicci calcarei dell’Appennino.

    L’Uomo si è insediato normalmente alla periferia dei Picentini, nella zona di transizione dalla formazione terziaria alle altre più recenti. Salvo rare eccezioni, i centri sorgono ai margini della montagna, alcuni su speroni calcarei o sul pendio degli ultimi suoi contrafforti, altri nelle valli che ne intaccano i fianchi.

    I più noti del versante meridionale sono Solofra (8381 ab.), che è l’unico ad avere una certa importanza industriale per la concia delle pelli, e Campagna (12.456 ab.), a struttura compatta su uno sperone calcareo, l’uno e l’altro dalla storia ricca, come provano alcuni edifici signorili e borghesi o religiosi. Sul versante setten-

    trionale si distinguono Nusco (5866 ab.), centro di cocuzzolo, molto compatto, dominato dai ruderi di un castello, di origine antica e dalla vita non molto tranquilla per eventi bellici o movimenti sismici, Bagnoli Irpino (4428 ab.) e Montella (8648 ab.), ambedue notevoli per la struttura a carattere urbano e per la loro importanza economica. Nell’interno del massiccio meritano di essere ricordati Acerno e Laceno, il primo antico, il secondo in via di formazione, ma ambedue noti come luoghi di villeggiatura e destinati a maggiore fortuna.

    I Picentini sono una regione di spopolamento: la popolazione, dedita ad una agricoltura piuttosto povera, allo sfruttamento del bosco e all’allevamento del bestiame ovino, che transumava verso le pianure tirreniche o adriatiche, ricava da tali attività un reddito troppo modesto, in valore assoluto e relativamente alle altre parti della Campania e del nostro paese, ed emigra o si trasferisce verso il basso.

     

     

     

    Montemarano.

    Il massiccio rivela tracce considerevoli della presenza dell’Uomo, oltre che nell’agricoltura, nell’insediamento e nella rete delle strade che servono i vari centri, nei lavori di bonifica montana (rimboschimento), nelle cave di argilla, di dolomia e di calcare che squarciano i fianchi di alcuni monti, nelle opere di presa allo sfocio di sorgenti (Serino, Sele, Cassano Irpino, Ausino) o su corsi d’acqua (Tusciano), le quali, ne utilizzano le acque per scopi idroelettrici (Olèvano), alimentari (Acquedotto Pugliese, Acquedotto di Napoli), domestici o irrigui.