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Il fenomeno migratorio dei tempi attuali

    Il fenomeno migratorio dei tempi attuali

    Nel quadro degli spostamenti della popolazione la corrente emigratoria diretta ai paesi transoceanici è cessata con la seconda guerra mondiale ed ha avuto una lieve ripresa nei primi anni del dopoguerra, per conservare una certa stazionarietà negli ultimi anni. Non disponendo di dati facilmente comparabili, ci baseremo su quelli relativi al biennio 1951-52, ricavati dall’Annuario Statistico dell’Emigrazione, e al biennio 1959-60, fornitici gentilmente dall’Istituto Centrale di Statistica, insieme con quelli relativi alle iscrizioni e alle cancellazioni anagrafiche. Ciò perchè per gli anni tra il 1953 e il 1958 non sono disponibili neppure presso l’Istituto Centrale di Statistica i dati sull’emigrazione per province.

    Il flusso emigratorio nell’immediato dopoguerra è stato alimentato principalmente dalle province di Salerno, di Avellino e di Benevento. I tre quarti degli espatri annui nel biennio 1951-52 sono avvenuti per le terre di oltre oceano (17.528), in modo particolare per i paesi americani (Argentina, Venezuela, Stati Uniti, Canada), e solo un quarto per i paesi europei.

    L’emigrazione verso i paesi extraeuropei si è ridotta sensibilmente in questi ultimi tempi e assorbe annualmente poco più di diecimila persone, mentre è considerevolmente cresciuto il numero dei rimpatri, che supera il 50% degli espatri. In compenso, però, si sono fatte più notevoli le correnti emigratorie, temporanee e definitive, nell’ambito della Campania e da questa verso le altre regioni d’Italia e verso i paesi europei. Oltre 34.500 persone hanno lasciato annualmente la Campania per i paesi europei, provenienti in maggior numero dalle province di Avellino (12.064), di Salerno (7407) e di Benevento (6950).

    Possiamo avere un’idea più chiara delle correnti migratorie dalle variazioni anagrafiche di residenza, ma esse ci consentono di fare un quadro molto approssimativo degli spostamenti della popolazione, perchè non comprendono coloro — e sono assai numerosi — che si trasferiscono per ragioni di lavoro senza cambiare residenza. Dei movimenti migratori originati da questi ultimi non siamo in grado di fare alcuna attendibile stima.

    Per coloro che si sono trasferiti di residenza basta considerare i dati relativi alle iscrizioni e alle cancellazioni nelle province campane nell’ultimo triennio (1958-60) per il quale essi sono stati finora pubblicati. In questo triennio gli iscritti nelle province della Campania, per cambiamento di residenza, sono risultati molto meno dei cancellati per lo stesso motivo. C’è dunque un saldo passivo nei movimenti migratori di circa 18.000 unità all’anno con tendenza all’aumento. Questo saldo è imputabile per 5000 unità alla differenza tra le cancellazioni per l’estero e le iscrizioni dall’estero.

    E interessante seguire tali spostamenti di popolazione per regioni e province di provenienza e di destinazione, le quali non sono le medesime per l’emigrazione e l’immigrazione. Delle 360.734 persone cancellate, 231.000 circa si sono spostate entro i limiti della Campania stessa, 20.526 si sono trasferite all’estero e 109.219 in altre regioni.

    Gli iscritti in Campania nel triennio considerato sono 305.151 e provengono per oltre il 75% dalla nostra regione, per il 2% dall’estero e per il resto (23%) dalle altre regioni d’Italia. Questi ultimi sono oltre 65.000 persone e affluiscono per un quinto dal Lazio, per un sesto dalla Puglia, per il 9% dalla Calabria e per minori percentuali, in ordine decrescente d’importanza, dalla Sicilia, dalla Basilicata, dalla Lombardia, dalla Toscana, dal Molise e così via.

    La differenza tra i cancellati verso le altre regioni d’Italia e gli iscritti provenienti da esse è di circa 53.000 unità, che costituisce il saldo passivo del movimento migratorio interregionale nel triennio considerato. I cancellati vengono assorbiti in maggiore quantità dal Lazio (circa 25.000 nel triennio) e, in ordine di importanza, dalla Lombardia (15.731), dal Piemonte (12.013), dalla Toscana (10.315), dalla Puglia (8875), dall’Emilia-Romagna (6050) e successivamente dalle altre regioni.

    La Campania costituisce, quindi, da un lato un’area di attrazione sempre più interessante per le popolazioni delle regioni più povere del Sud, dall’altro una regione che distribuisce forze di lavoro a quelle più ricche dell’Italia centro-settentrionale. Essa assume talvolta la funzione di regione di passaggio e di ambientazione per le popolazioni del Sud in trasferimento verso il Nord. Maggiore mobilità manifestano le popolazioni delle province di Salerno, di Benevento e di Avellino, che sono interessate in misura notevole dalle migrazioni provenienti dalle province confinanti e da quelle destinate ad altre regioni.

    Tenendo presenti i cambiamenti di residenza nelle varie province, si vede che nel triennio considerato, quella di Benevento ha cancellato per l’interno oltre 28.000 nomi e ne ha iscritti 18.204, quella di Avellino ne ha cancellati oltre 43.593 e ne ha iscritti 28.000 circa, quella di Salerno ne ha cancellati 75.194 e ne ha iscritti 65.586, quella di Caserta ne ha cancellati circa 52.000 e ne ha iscritti 42.542, quella di Napoli, infine, ne ha cancellati 141.330 e ne ha iscritti un numero di poco superiore. La provincia di Napoli è l’unica che non registri un saldo passivo, mentre questo assume proporzioni piuttosto notevoli nelle province dell’interno o, per meglio dire, nelle zone più povere di tali province.

    Interessante è anche l’esame delle correnti migratorie tra le varie province della regione. Quella di Napoli ha iscritto oltre novemila unità più di quante ne abbia cancellate per le altre province campane, quella di Salerno ne ha iscritto poco meno delle cancellate, mentre quelle di Caserta, di Avellino e di Benevento hanno registrato un saldo passivo rispetto alle due precedenti.

    Se considerassimo i dati comunali, apparirebbe più evidente il fenomeno del trasferimento della popolazione delle zone interne montuose verso quelle pianeggianti, non solo per spostamenti extra-regionali, ma per un graduale flusso demografico dal monte al piano.

    Esaminando poi le iscrizioni nei comuni capoluoghi di provincia, si constata che gli iscritti provengono per due terzi dalla Campania. Nel triennio considerato, a Napoli si è registrato un afflusso di circa 55.000 persone, delle quali poco meno di 34.000 dalla Campania, per due terzi dalla provincia stessa di Napoli. Tra le altre regioni il contributo maggiore è dato dal Lazio, dalla Puglia e dalla Sicilia. A Salerno sono affluite circa 15.000 persone, per oltre la metà dalla sua provincia; il comune di Avellino ha iscritto oltre 5000 persone, per circa i tre quinti dalla provincia irpina, quello di Benevento ne ha iscritte 4030, per poco meno della metà dalla provincia sannitica, quello di Caserta, infine, ne ha iscritte 4245 per metà dalla Terra di Lavoro.

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    L’esodo dalla nostra regione è essenzialmente rurale. Il Cilento alimenta notevoli correnti emigratorie sia dalle zone di spopolamento, sia da quelle di limitato incremento; il Sannio registra un forte spopolamento specie nelle zone prossime ai crinali. Neppure i centri più attivi di tali province riescono a frenare le correnti emigratorie dirette verso nord o verso le pianure tirreniche e adriatiche. Quasi unica eccezione è data dalla città di Benevento, la quale è dotata di una certa struttura industriale che meriterebbe di essere potenziata.

    L’Irpinia ha subito aumenti di popolazione solo nelle valli rivolte alle pianure, mentre in quasi tutte le altre sue parti il deficit dei movimenti migratori è notevole, e superiore all’eccedenza dei nati sui morti. Il capoluogo ha un bilancio demografico attivo, ma conserva ancora funzioni prevalentemente amministrative.

    Il fenomeno migratorio si riflette non solo sullo spopolamento dei centri delle zone collinari e montuose, ma anche sull’urbanesimo, poiché gli agglomerati delle pianure si ingrossano e le città esercitano un fascino non trascurabile sulle popolazioni delle campagne per motivi economici e sociali.

    Prescindendo dai limiti provinciali, si possono distinguere nella Campania due grandi zone, per quanto riguarda il bilancio degli spostamenti di popolazione: una attiva, compresa tra il Garigliano e le falde nord-occidentali dei monti del Cilento, l’altra passiva, collinare e montuosa. La zona attiva ha un’alta densità di popolazione e registra un considerevole incremento demografico; quella passiva si compone di una parte collinare a media intensità colturale, con cospicui centri e con popolazione sparsa piuttosto densa, in cui l’equilibrio tra risorse e popolazione dovrebbe essere perfezionato, e di una parte montutpsa ad economia prevalentemente silvo-pastorale con scarse possibilità di sviluppo.

    Differenze molto considerevoli nella produttività, nel reddito e nella dinamica demografica ed economica esistono tra una zona e l’altra. Tuttavia i dati presi in esame ci danno un quadro incompleto del fenomeno migratorio dal quale è interessata la regione, perchè vengono trascurati gli spostamenti temporanei di popolazione, che non sono accompagnati da trasferimento di residenza.

    La popolazione presente è la metà di quella residente per vari mesi dell’anno in alcuni comuni, nei quali, pertanto, prevalgono vecchi, donne e bambini. I giovani sono lontani per lavori di vario genere, dai domestici agli edili, nei campi e nelle fabbriche. Anche le ragazze, qualche anno dopo che sono uscite dalle scuole elementari o appena entrano nell’età dello sviluppo, abbandonano i loro paesi del Cilento o dell’Irpinia e preferiscono al lavoro dei campi quello domestico in città, dove sono richieste fin da tenera età con compensi piuttosto buoni in confronto alla loro inesperienza e alla loro rozzezza. Molte considerazioni si potrebbero fare sulle conseguenze morali e sociali della prematura dispersione dei componenti delle famiglie delle zone di spopolamento, ma a tale dispersione presiedono fatti economici e psicologici: ci sono il desiderio della città e la speranza o l’illusione di una vita migliore in un ambiente nuovo e con un lavoro diverso.

    Gli spostamenti temporanei sono molto considerevoli dall’interno verso i centri della pianura e della costa e dalla Campania verso le regioni dell’Italia settentrionale e verso i paesi dell’Europa alpina e occidentale. Molto cospicui sono i movimenti centripeti e centrifughi che si verificano, per ragioni di lavoro, tra i centri suburbani e le maggiori città.

    Una grande importanza conservano anche gli spostamenti quotidiani dai centri situati alla periferia delle pianure irrigue ai campi coltivati: sono caratteristiche le sfilate degli alti carri a due ruote tirati da equini, di prima mattina in senso centrifugo e nel tardo pomeriggio in senso centripeto, nel Piano Campano, e in particolare nella bassa pianura del Volturno (Mondragone, Villa Literno).

    Invece il movimento pendolare dei pastori dal monte al piano si è ridotto ai minimi termini e ne comprende piccoli gruppi del Cilento, dei Picentini, del Taburno e di altri massicci calcarei con buoni pascoli estivi. Essi trasferiscono il loro bestiame nelle pianure costiere nei mesi invernali e talvolta in quelli estivi dopo la raccolta.

    Gli spostamenti temporanei e definitivi modificano profondamente la composizione della popolazione per sesso e per età delle zone maggiormente interessate ed hanno anche grandi conseguenze economiche, perchè riequilibrano il mercato della mano d’opera e i salari, ma sottraggono le forze più giovani e più vitali delle zone collinari e montane.

    Composizione della popolazione e sue condizioni economiche, sociali e culturali.

    Secondo i dati del censimento del 1961 la popolazione della Campania risulta appartenente per il 14% al gruppo di età da o a 6 anni, per il 28% a quello tra 7 e 20 anni, per il 39% a quello tra 21 e 50 anni e per il 20% a quello delle persone con oltre 50 anni di età. Questi valori mettono in evidenza la grande giovinezza della popolazione della nostra regione, la quale, sotto tale riguardo, occupa uno dei primi posti tra le regioni d’Italia, avendo metà della sua popolazione un’età inferiore a 25 anni.

    Quanto alla sua distribuzione tra i due sessi è norma comune anche per la Campania, come per le altre regioni, la prevalenza dei maschi sulle femmine fino ai 25 anni di età, dopo di che cominciano ad essere più numerose le seconde, tanto che nei valori complessivi il numero delle femmine è superiore a quello dei maschi. La tabella appositamente compilata illustra bene i rapporti statistici per sesso tra i vari gruppi di età e ci esime da ulteriori considerazioni.

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    La popolazione di età superiore a 10 anni assommava a 3.766.023 unità nel 1961 e corrispondeva al 79% di quella complessiva. Di essa oltre metà risultava inattiva (54%), cioè costituita di persone che attendono agli studi e alle cure domestiche e non svolgono alcuna attività produttiva. La provincia di Napoli si distingue per l’alta percentuale di popolazione inattiva (60%) ed occupa perciò in Italia un non invidiabile primato; quella di Benevento, invece, ha la più bassa percentuale di popolazione inattiva (43%), ma per il limitato reddito per abitante e per la diffusa sottoccupazione non è in grado di assicurare ai suoi abitanti che modeste condizioni di vita.

    La popolazione attiva (1.710.675 nel 1961) si ripartisce tra i principali rami di attività economica in modo assai diverso da una provincia all’altra, secondo la complessità della struttura economica delle singole province.

    Nelle industrie estrattive e manifatturiere trovano impiego oltre 538.636 persone, per la maggior parte (71%) nelle province di Napoli e Salerno, dato che le principali aziende industriali sono accentrate nella regione partenopea con appendice nella pianura di Salerno.

    La popolazione dedita all’agricoltura è un terzo di quella attiva (oltre metà nel 1951), ma per le province di Benevento e di Avellino ne rappresenta il 64% e il 51% rispettivamente e percentuali non molto inferiori (44%) raggiunge nelle province di

    Caserta e di Salerno. Tali valori erano di circa un terzo superiori un decennio prima, sicché l’espulsione di un considerevole numero di addetti dal settore agricoltura è stato dappertutto sensibile. La provincia di Napoli, invece, conta solo il 15% della sua popolazione attiva (19% nel 1951) impiegata nell’agricoltura.

    Per offrire un quadro della distribuzione, nella regione, della popolazione dedita all’agricoltura è stato costruito un apposito cartogramma, al quale si rimanda per i dettagli. Qui è sufficiente ricordare che le densità inferiori a 50 addetti all’agricoltura per chilometro quadrato interessano quasi tutto il Cilento, buona parte della Piana del Sele e dell’Appennino Sannita e la bassa valle del Garigliano e del Volturno, che sono di valorizzazione recente. Nelle conche di Avellino e di Benevento e sui rilievi preappenninici si hanno densità tra 50 e 100 unità per kmq., mentre nella pianura e sui rilievi intorno al Golfo di Napoli si superano i 100 addetti all’agricoltura per chilometro quadrato e in alcune ristrette aree anche i 200. Se si considerano alcuni comuni di limitata estensione e ai margini delle zone più umide della pianura, si registrano valori anche tre o quattro volte superiori a questi ultimi, e si spiegano con la grande fertilità del terreno e con il basso tenore di vita della popolazione.

    Nel 1951 si sono contate in Campania 933.438 abitazioni, di cui circa 40.000 non occupate, e 21.188 altri alloggi. Il rapporto tra abitanti e stanze delle abitazioni occupate è di 1,9 (1,5 nel 1961), uno dei più bassi per le regioni italiane. Se si pensa, come nota il Gribaudi, che nel Piemonte e nella Lombardia ad ogni abitante corrispondeva, alla stessa data, un numero di stanze di 3,4 e di 3,2 rispettivamente, si vede quanto grande sia la differenza tra le condizioni di vita della nostra regione e di quelle più progredite del paese. E ciò senza contare i numerosi alloggi di fortuna, che ospitano oltre 82.000 persone con una densità di 3,8 per alloggio.

    Le abitazioni sfornite di acqua potabile e di latrine (193.011) e prive di qualsiasi servizio (70.909) sono più della quinta parte di quelle complessive. Il loro alto numero testimonia le precarie condizioni di vita di molte zone della regione. Nelle corti della pianura esistono di solito latrine comuni a tutti o alla maggior parte delle persone che vi hanno dimora, ma non sono rari i casi in cui mancano del tutto e gli abitanti devono approfittare dei vicini poderi per certi loro indispensabili bisogni. La situazione attuale è leggermente migliore rispetto a pochi decenni addietro, quando si assisteva nelle prime ore del mattino allo svuotamento dei vasi nei campi — nel mare per i borghi marinari — oppure nei tini dei carri maleodoranti che quotidianamente percorrevano le strade dei centri della pianura, passando di casa in casa.

    I valori medi hanno come al solito scarso interesse geografico ; ma un esame per gruppi di comuni e per zone economicamente omogenee esula dai fini di questo lavoro. Tuttavia non ci si può esimere dal ricordare che nella maggior parte dei comuni della pianura campana, anche molto vicini alla metropoli partenopea, ad ogni stanza corrispondono da 2 a 2,2 abitanti (1961), con valori più alti per Afragola, Acerra, Arzano e centri vicini, Sant’Antonio Abate e così via. Poiché le abitazioni della borghesia e dei più abbienti sono meglio fornite di locali, il numero delle persone per stanza deve risultare sensibilmente superiore alla media nelle dimore rurali e artigiane.

    Nelle zone collinari la situazione è migliore, per quel che riguarda il numero delle persone per camera e quindi delle stanze per ogni abitazione. Le condizioni di vita di larghi strati della popolazione urbana e rurale sono veramente miserevoli, come testimoniano a Napoli stessa i malfamati bassi e le baracche dei senza tetto.

    Inclusi in grandi proprietà della valle del Volturno ci sono nuclei cospicui, i cui abitanti vivono quasi del tutto appartati dal mondo civile (Mastrati). Nella pianura la situazione non è molto diversa nei grossi agglomerati, che sono veri formicai umani. Le abitazioni sono per lo più unicellulari e prive talvolta dei più indispensabili servizi igienici, cosicché i deprecati bassi napoletani, che tanta pietà generano negli osservatori cittadini, si possono considerare, in confronto di queste, abitazioni di lusso. La corte della pianura è destinata alle operazioni rurali, ma è anche sede dei porcili e dei pollai, il campo di gioco dei ragazzi che si inzaccherano nel fango e nell’acqua lurida che le donne rovesciano fuori degli usci delle loro abitazioni; nelle corti si scontrano gli interessi di alcuni con gli interessi o la prepotenza degli altri, maturano lentamente gli odi o i desideri di vendetta. Le dimore degli antichi centri di collina, densi di case e con vicoli stretti, sono in condizioni igieniche ugualmente deplorevoli, ma la popolazione vive una vita più tranquilla e moralmente migliore.

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    I « guappi » e i « camorristi » esercitano la loro prepotenza in molti centri della pianura e nei quartieri cittadini, sul grande mercato di Napoli, come su alcuni di quelli provinciali e rionali, e in molte altre manifestazioni della vita cittadina. E passano spesso impuniti dalla giustizia, a meno che gli odi e gli interessi di parte non producano delle tragedie. La schiera di illustri patroni del foro napoletano, che vanta sì lunga tradizione prima a servizio dei feudatari, degli enti religiosi e dello Stato, continua a trarre larga materia per complicate cause civili e penali dai difficili rapporti sociali e dai fatti luttuosi che interessano la vita delle popolazioni della pianura.

    La zona di allevamento dei Mazzoni e del Sele si è sempre distinta per la rozzezza della popolazione, già segnalata da parecchi autori del passato. I rapporti sociali sono scarsi e difficili: le persone abbrutite dalla fatica, dalle sfavorevoli condizioni ambientali e dal contatto diuturno con bestie poco docili, si adombrano per un nonnulla e i malintesi portano sovente a fatti di sangue. Questi invero erano molto più frequenti nel passato, poiché dagli anni del riscatto di quelle terre alle colture si è andata formando una mentalità nuova nella popolazione, in relazione con le migliorate condizioni dell’ambiente naturale ed umano.

    Un quadro anche meno confortante si ha se si considera il numero degli analfabeti, i quali rappresentano circa la sesta parte della totale popolazione di età superiore a sei anni (1961), con valori più alti (18%) per le province di Benevento, di Caserta e di Avellino e di poco inferiori per quelle di Salerno (17%) e di Napoli (13%).

    La piaga dell’analfabetismo è stata solo in parte rimarginata nell’ultimo decennio (25% nel 1951), ed occorre che sia guarita affinchè le sorti della popolazione della Campania siano sollevate materialmente e la massa degli ignoranti possa pesare meno sull’economia della regione.

    Questa ospita a Napoli una delle più antiche e gloriose sedi universitarie d’Italia e una molteplicità di istituti universitari, di cui alcuni altamente specializzati, che attirano decine di migliaia di studenti anche dalle altre regioni, e in modo particolare dal Molise, dalla Puglia, dalla Basilicata e dalla Calabria, e laureano un numero di giovani quali poche altre sedi universitarie del nostro paese (circa 3000 nell’anno accademico 1961-62).

    Importanza quasi esclusivamente locale acquista l’istituto universitario di Magistero di Salerno, ma l’alto numero degli studenti di parecchie facoltà dell’Università di Napoli dovrebbe consigliare agli organi responsabili di esaminare la possibilità di creare a Salerno un centro universitario per alcune facoltà, il quale ben si inserirebbe nel rapido sviluppo demografico ed economico della provincia e potrebbe alleggerire quelle napoletane dei non pochi studenti che vi affluiscono dal Salernitano, dall’Irpinia meridionale, dalla Basilicata e dalla Calabria.

    Nell’anno accademico 1961-62 gli studenti iscritti nella sola Università erano oltre 30.000, di cui un terzo fuori corso. La facoltà che ne conta il numero maggiore è ovviamente quella di Giurisprudenza (8232), seguita a distanza da quelle di Economia e Commercio (4776), di Medicina e Chirurgia, di Lettere e Filosofia e dalle altre.

    La concentrazione degli istituti universitari trova riscontro anche nella polarizzazione di quelli di istruzione secondaria, che fino a qualche anno addietro erano situati in poche grandi sedi, quasi che la facoltà di proseguire gli studi fosse privilegio dei giovani di poche città. La politica di sempre maggiore apertura sociale di questi ultimi anni sta portando alla graduale riduzione dell’analfabetismo ed eliminando anche i principali ostacoli alla prosecuzione degli studi dei più meritevoli.

    Il decentramento dell’Università di Napoli diventa sempre più urgente, al fine di creare i presupposti per rendere più serio l’insegnamento in alcune facoltà troppo affollate, e specialmente in quelle che portano direttamente all’esercizio di una professione di importanza sociale e provvedono alla preparazione degli studenti con numerose ore di laboratorio.

    C’è inoltre da augurarsi che venga posto al più presto maggiore ordine nella nostra, come nelle altre Università del Mezzogiorno, in modo che parecchi docenti sentano maggiormente il senso di responsabilità per la loro alta funzione educatrice e formatrice e gli studenti, da parte loro, si abituino ad una maggiore disciplina con l’acquisita coscienza dei propri doveri e diritti. Essi non possono contentarsi di pochi contatti con i loro docenti, nelle fugaci apparizioni che parecchi di questi fanno nelle sedi universitarie, alle quali non si sentono legati. Il disagio è certamente maggiore in Sicilia, ma si avverte in misura tutt’altro che trascurabile anche a Napoli; il grave torto che si perpetua ancora nel Mezzogiorno ai danni della gioventù studiosa e a scapito della preparazione della futura classe colta e di tutta la società meridionale, complici le autorità accademiche e politiche, deve essere sanato con accorti provvedimenti, se veramente non si vuole che il Mezzogiorno debba continuare ad essere una specie di colonia del Settentrione.