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Origine nome e territorio della Lombardia

    Lombardia

    Il nome e il territorio

    Origine e vicende del nome

    Il territorio della regione lombarda, che per la sua prosperità costituisce un vanto dell’Italia intera e per le sue bellezze naturali e per il suo fervore di attività è nota in tutto il mondo, deriva il suo toponimo dal nome di un antico popolo barbaro: i Langobardi o Longobardi. Erano questi di stirpe germanica, originariamente stanziati lungo il Danubio nell’area press’a poco corrispondente alla Pannonia, la quale, prima dell’esodo, era denominata appunto Langobardia. La leggenda vuole che al popolo il nome venisse dalla lunga barba che gli uomini solevano portare; «nani — osserva Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum — iuxta illorum linguam ‘ lang ’ longam, ‘ bart ’ barbara significai », e non manca di riferire il mito per cui la denominazione venne adottata in sostituzione dell’antica di Winnili.

    E noto come nella primavera dell’anno 568 d. C. l’orda longobarda, che la fama annunciava (come riferisce Velleio Patercolo) più feroce della germanica ferocia, calò, guidata da re Alboino, dalle Alpi Giulie e, saccheggiando e distruggendo, dilagò in gran parte della pianura veneta e padana, prendendovi stanza. Annoverava in tutto forse non molto più di centomila individui, comprese le donne e i bambini al seguito dei guerrieri, e costituiva certo una entità assai inferiore per numero alle genti insediate nella vasta pianura oggetto della conquista; ma queste erano divise di fede e di opinione, inermi e disusate alle armi. Caduta dopo tre anni Pavia, ultimo baluardo di resistenza, la città fu eletta capitale del nuovo regno, che si espanse in tempi successivi anche nella penisola.

    Come già in periodo augusteo il territorio dell’attuale Lombardia era stato suddiviso tra la X e XI provincia, rispettivamente la Transpadana e la Venetia (con limite, tra l’una e l’altra, all’Oglio); ugualmente in periodo longobardo il territorio fu aggregato a due parti distinte in corrispondenza del corso dell’Adda: quella a oriente era compresa nell’Austria (termine con significato di « territorio orientale »), quella a occidente era compresa nella Neustria (con significato di « territorio occidentale »). Però su tali denominazioni con il trascorrere del tempo finì per prevalere l’appellativo di Langobardia in contrapposizione a Romania, come veniva chiamata dai Bizantini la parte dei territori lungo le coste adriatiche a loro fedeli.

    Il nome di Langobardia già si può leggere, e forse per la prima volta, in un codice datato da Parigi del 30 luglio 629 (ossia sessantun anni dopo la calata dei Longobardi) in cui Dagoberto, re dei Franchi, dichiara aperto il mercato di Parigi ai mercanti swe de Hispania et de provincia sive de Langobardia. E da notare però che a quel tempo e ancor più nei secoli seguenti l’accezione del toponimo, per quanto non nettamente definito, superava di molto i limiti dell’attuale regione, estendendosi non solo a quasi tutta la conca padano-veneta, ma altresì, specie in periodo carolingio, all’intera Italia. Ciò appare documentato nei codici del secolo IX, nei quali i riferimenti all’Italia talvolta specificano: quae et Laìigobardia dicitur. Tale identificazione perdurò a lungo e benché, dopo l’888, con il termine di Langobardia si intendesse precisare la marca carolingia cui Milano era centro, ancor ai tempi dell’Alighieri il termine lombardo era usato come sinonimo di italiano. In seguito tal uso disparve e, con il trascorrere del tempo, il toponimo, abbreviato in Lombardia, rimase a un limitato territorio della pianura padana dove aveva preso stabile dimora il nucleo più consistente dell’orda longobarda. Tale territorio, tuttavia, non ebbe modo di identificarsi stabilmente con confini ben definiti, sicché non può far meraviglia di trovar menzionata nelle antiche carte, anche dopo il declino della potenza longobarda, una Lombardia Veneta.

    In realtà la Lombardia, quale oggi s’intende, non costituì mai, nel volgere dei secoli, una unità politica o amministrativa, e solamente agli albori del Risorgimento acquisì una delimitazione territoriale sufficientemente chiara e stabile. Infatti lo stesso Ducato dei Visconti e degli Sforza, che costituì la maggiore potenza politica lombarda del Medioevo, in nessun tempo coincise esattamente con i limiti attuali e più volte fu soggetto a notevoli modificazioni marginali del suo territorio; esso tutt’al più agì, anche in ragione dell’importanza della città di Milano, che ne era la capitale, come stabile nucleo di attrazione. Alla Pace di Aquisgrana (1748)

    lo Stato di Milano comprendeva approssimativamente le attuali circoscrizioni provinciali di Milano, di Como, di Varese e parte di quella di Cremona (escluso il territorio di Crema), il circondario di Pavia e il territorio di Treviglio, con una superficie complessiva di circa 7900 chilometri quadrati. Nel volgere del secolo XVIII allo Stato vennero via via aggregandosi i territori del Ducato di Mantova, del Ducato di Sabbioneta e del Principato di Bozzolo. La campagna napoleonica in Italia (1796),

    con la conseguente sottrazione alla Repubblica veneta del Bresciano, del Bergamasco e del Cremasco e poi la creazione della Repubblica Cisalpina con l’annessione della Valtellina e delle contee di Bormio e di Chiavenna, agì come avvio verso la formazione dell’unità regionale lombarda tra le Alpi e il Po, tra il Ticino e il Mincio. Il Congresso di Vienna e soprattutto le patenti imperiali del 7 aprile 1815, costituendo il Regno lombardo-veneto, a parte ogni altra considerazione, ne furono il riconoscimento politico. La Lombardia si estendeva, allora, per 21.564 chilometri quadrati.

    L’assetto amministrativo conseguente all’unità italiana portò un aumento della superficie della Lombardia, poiché ad essa, dopo l’armistizio di Villafranca (1859), furono incorporate le terre della Lomellina e dell’Oltrepò pavese e, dopo la pace di Vienna (1866), furono di nuovo aggregate Mantova e le sue terre, perdute nel 1859 Alla data censuaría del 1871 la Lombardia misurava 23.527 chilometri quadrati. Nè, in seguito, le variazioni di superficie assunsero entità degna di menzione.

    Il confine italo-svizzero sul lago di Lugano tra Lavena e Pontetresa. A sinistra la sponda italiana, a destra la svizzera. Di stondo il solco del torrente Tresa che scende al lago Maggiore.

    Vedi Anche:  Gli abitanti delle città della Lombardia

    I limiti regionali

    I precedenti cenni sono sufficienti a indicare l’incerto e lento manifestarsi nel tempo di una individualità regionale lombarda e ciò anche a causa dell’assenza di una ben definita individualità fisica unitaria. Sotto questo aspetto, volendo attribuire come proprio della Lombardia il territorio costituito dal versante inferiore di sinistra del Po, si dovrebbero, come limiti fondamentali, indicare il crinale delle Retiche e delle Lepontine al bordo settentrionale, il medio corso del Po al bordo meridionale e i corsi del Ticino e del Sarca-Mincio ai bordi rispettivamente occidentale e orientale. Ne risulterebbero grosso modo quattro lati, uno per ciascuno dei punti cardinali, per cui, semplificando, è entrato nell’uso di paragonare la forma della Lombardia approssimativamente a quella di un quadrilatero. Ma, se si tien conto dei confini politici (lungo l’arco alpino) e provinciali (sugli altri lati), il territorio assegnato alla Lombardia presenta rientranze e appendici tali, da alterare profondamente la figura geometrica e rendere insignificante la similitudine. Tali confini misurano complessivamente 1393 km. e si sviluppano con un decorso quanto mai capriccioso, che solo in parte s’annocla ai limiti fisici sopra indicati.

    Chiasso (in primo piano) e Pontechiasso (al margine superiore dell’abitato), valico di frontiera più importante tra Lombardia e Svizzera. Di sfondo la città di Como, il Montorfano e Brunate.

    Veduta di Bellinzona.

    Il confine settentrionale della Lombardia coincide con un tratto del confine politico dello Stato italiano verso la Confederazione elvetica, che può considerarsi risultato di secolari vicende, cristallizzatosi nel 1797 con la formazione della Repubblica Cisalpina. Si snoda quasi totalmente in ambiente alpino e prealpino tra l’estremità settentrionale del lago Maggiore e il passo dello Stelvio, seguendo lo spartiacque principale solo per brevi tratti e disegnando deviazioni da esso in genere molto marcate e in prevalenza rivolte in versante padano. Nella sezione occidentale, ossia dal Verbano al Ceresio, il confine, snodandosi tra il monte e il piano, disegna il saliente meridionale del Canton Ticino (Svizzera) il cui apice tra Róderò e Ponte Chiasso lambisce il margine settentrionale della zona collinare. Il Ceresio, che si distende con uno sviluppo pressoché trasversale al saliente, viene lambito e tagliato alle sue estremità occidentale (Ponte Tresa-Porto Ceresio) e orientale (Santa Margherita-Gandria), sicché il territorio propriamente lombardo comprende una porzione dello specchio anche di questo lago. E da notare inoltre che sulla riva orientale del medesimo si trova il minuscolo exclave di Campione. Nel complesso lo sviluppo di questo tratto di confine lombardo-ticinese è estremamente capriccioso ed è tale in quanto rappresenta il limite estremo delle acquisizioni svizzere avvenute nei secoli XV e XVI. Fu allora che l’aspirazione della Lega dei Cantoni d’Oltralpe a dominare l’accesso al Gottardo, già a stento soffocata dalle forze del Ducato di Milano, al declinare della potenza di questo, in seguito alla morte di Gian Galeazzo Visconti (1402), si concretò in una spedizione che per la vai Leventina mirava a Bellinzona. Ricacciati dalle milizie viscontee del Carmagnola, che guidò alla vittoria di Arbedo (1432), gli Svizzeri ripresero a discendere per le valli ticinesi pochi anni appresso: nel 1478 per la vai Levantina raggiunsero Bellinzona; nel 1503, invano contrastati dalle forze di Ludovico il Moro, estesero la conquista dalla valle del Blenio alla Riviera, e nel 1512 occuparono Mendrisio, Lugano e la vai Maggia sin press’a poco ai limiti indicati dal confine attuale. Terra di conquista, l’alto Ticino languì sino a che, in periodo napoleonico, venne riconosciuto come cantone autonomo e annesso come tale alla Confederazione svizzera.

    Veduta aerea di Campione d’Italia, exclave sulle sponde del lago di Lugano.

    L’exclave di Campione d’Italia.

    Dai tipi dell’Istituto Geografico Militare (autorizzazione n. 902/ST P del 17 dicembre 1959).

    Montespluga, il lago omonimo (m. 1908) e, sullo sfondo, il passo dello Spluga(215 m.). al confine italo-svizzero

    Agli avvenimenti storici ora accennati si annodano le vicende riguardanti Campione, minuscolo exclave di 2,60 kmq. (dei quali, però, 1,70 sono di superficie lacustre) ; la fascia costiera, costituita dal versante inferiore del monte Sighignola, si estende come sviluppo per circa due chilometri e mezzo e nel tratto mediano accoglie, su lento pendio, il centro di Campione, cui si accede unicamente da una diramazione della grande arteria del Gottardo al ponte di Melide. L’origine di questo piccolo exclave è piuttosto incerta. « Fino al 743 non si sa niente di certo. Ad ogni modo è tra il 756 e il 777 che matura quello stato di cose che ha poi dato origine a questa anomalia politico-territoriale, perpetuatasi fino ai giorni nostri. In tale periodo, infatti, avvennero donazioni di oliveti e di altri beni da parte di privati alla basilica locale di San Zenone e al monastero di Sant’Ambrogio di Milano. Per ben dieci secoli il monastero esercitò veri e propri diritti di sovranità temporale, oltre che spirituale, su Campione, ricevendo spesso espliciti riconoscimenti da parte della Svizzera. Molti però furono i privilegi concessi in cambio; il più importante risultò il diritto di protezione spettante ai vassalli. Nel 1516, ad es., proprio per questa sua condizione particolare, Campione si salvò dall’occupazione svizzera che, per la debolezza degli Sforza, non risparmiò nessun angolo del Canton Ticino. Il feudo ambrosiano ebbe termine solo il 2 febbraio 1797, allorché, in base al Trattato di Campoformido, la Lombardia entrò a far parte della nuova Repubblica Cisalpina: in tale occasione infatti tutti i beni del monastero ambrosiano vennero confiscati e sottoposti al censo. Al Congresso di Vienna del 1815 la Svizzera cercò invano di annettersi Campione (oltre alla Valtellina, Bormio e Chiavenna)»; con la costituzione del Regno lombardo-veneto esso venne incluso nella provincia di Como e annesso al comune di San Fedele Intelvi prima e di Castiglione poi, finché con la liberazione della Lombardia entrò a far parte del Regno d’Italia (L. Pedreschi).

    Bondo, in valle Bregaglia, e la valle Bondasca, politicamente territorio svizzero, idrograficamente padano. Sullo sfondo, il gruppo di Sciora, il Cengalo e il Badile lungo i quali si snoda il confine.

    Vedi Anche:  Ghiaccia, fiumi e laghi

    Lo spartiacque tra il pizzo Tremoggia (a sinistra) e il pizzo Roseg (gruppo del Bernina) lungo il quale si snoda il confine politico italo-svizzero. Sotto la cresta si stende il ghiacciaio di Scerscen (versante padano).

    Dal Ceresio, risalendo il poderoso contrafforte che s’erge a spartiacque tra il bacino dell’Adda e quello del Ticino, il confine s’interna decisamente nell’ambito delle Alpi, raggiungendo il passo dello Spluga (2115 m.) sullo spartiacque alpino tra il bacino padano e quello renano; ma da questo si allontana nuovamente poco ad oriente del passo per discendere in versante del Reno a circoscrivere la valle di Lei, già per lontane vicende storiche e per esigenze economiche legata al Chiavennasco e alla sua attività pastorale e rimasta poi, di conseguenza (ma non senza contrasti) annessa alla Lombardia, unico lembo del bacino renano politicamente italiano. La valle, limitata verso l’Italia da una cresta elevata, è accessibile dal territorio italiano soltanto durante la stagione estiva (passi di Lei, 2660 m., e Angeloga, 2379 m.); d’inverno la si può raggiungere unicamente dal territorio svizzero (Innerferrera), ma in tale periodo risulta completamente disabitata.

    Il confine italo-svizzero, raggiunto un’altra volta lo spartiacque alpino tra il pizzo del Lago (3069 m.) e il pizzo Galleggione (3106 m.), un’altra volta lo abbandona per discendere al solco della vai Bregaglia (percorsa dal torrente Mera che proviene dal passo del Maloggia); la taglia trasversalmente a mezzo e s’eleva in versante opposto per raggiungere la cresta dell’aspro gruppo del pizzo Badile (3307 m.) e della Cima di Castello (3378 m.), per quindi riannodarsi allo spartiacque alpino al passo del Muretto (2560 m.) e seguirne lo sviluppo nel gruppo del Bernina passando successivamente per le più elevate e celebri vette delle Alpi Retiche, quali il pizzo Roseg (3936 ni.), la punta Perrucchetti (4021 m.), che forma l’anticima del pizzo Bernina (4049 m.) e il pizzo Palò (3906 m.). Abbandonando di nuovo lo spartiacque il confine descrive poi due ampie deviazioni, una di seguito all’altra, la prima in versante padano, la seconda in versante danubiano; dapprima cioè scende lungo il contrafforte sul quale si affaccia dominante il pizzo Scalino (3322 m.) per raggiungere il fondo della valle di Poschiavo, confluente dell’Adda, presso i ruderi del castello di Piattamala poco a monte del Santuario della Madonna di Tirano; quindi, risalendo il contrafforte opposto del Sassalbo (2865 m.), si riannoda allo spartiacque alpino che di nuovo abbandona per discendere in versante danubiano e ivi aggirare torno torno la valle di Livigno il cui torrente Spòi riversa le sue acque nell’Inn. Infine il confine, seguendo lo spartiacque tra il bacino dell’Adda e quello dell’Adige, raggiunge lo Stelvio. Di queste tre grandi deviazioni del confine politico dallo spartiacque principale, due assicurano il completo dominio svizzero dei valichi del Maloggia e del Bernina, testimonianza di antichissime vicende storiche e di secolari controversie. I più lontani precedenti storici della attuale divisione politica possono ritenersi anzitutto l’erezione di Coira a sede vescovile suffraganea di Milano risalente al 453, poi la creazione dei feudi di vai Poschiavina e di vai Bregaglia avvenuta verso il 755 per concessione di Carlo Magno, infine la dipendenza dei due feudi dal vescovo di Coira decretata da Ottone I verso il 960. La scissione dei due feudi dalla Valtellina suscitarono controversie aspre e tenaci per le rivendicazioni dei diritti di pascolo e di bosco da parte di Tirano nei riguardi della valle di Poschiavo e da parte di Chia-venna e Piuro nei riguardi della vai Bregaglia; non le sopirono nè la dominazione dei Visconti e degli Sforza, nè l’occupazione grigionese di tutta la Valtellina, nè le vicende che intercorsero dalla Repubblica Cisalpina all’unità d’Italia. Solo nel 1863 una convenzione tra il Regno d’Italia e la Confederazione elvetica portò ad una pacifica soluzione degli annosi problemi e all’adozione dei confini che, salvo rettifiche di dettaglio, sono gli stessi di oggi.

    La valle di Poschiavo (con il centro omonimo), confluente nella Valtellina, politicamente svizzera. Sullo sfondo il pizzo Scalino e la cresta lungo cui corre il confine.

    L’ampia e verde valle di Livigno (m. 1818), piccolo lembo del bacino idrografico del Danubio incluso nel territorio politico italiano.

    Sugli altri tre lati i limiti regionali della Lombardia subiscono il richiamo dell’idrografia; ma il loro decorso non è tuttavia meno capriccioso.

    Sul lato occidentale il limite della Lombardia con il Piemonte si stacca dal confine politico dello Stato in coincidenza dell’apice settentrionale del Verbano di cui segue il solco snodantesi verso sud; discende quindi nel piano lungo il corso del Ticino; ma, pochi chilometri a valle del ponte di Boffalora, se ne allontana con brusco gomito verso sudovest per raggiungere la Sesia e quindi, serpeggiando lungo il corso di essa, il Po, includendo pertanto nella Lombardia la bella terra lomellina.

    Sul lato orientale il limite della Lombardia con l’Alto Adige, il Trentino e il Veneto si snoda dallo Stelvio lungo lo spartiacque tra i bacini dell’Adda e dell’Adige, seguendo la cresta del grandioso arco montuoso dominato dalle vette del Gran Zebrù (3859 m.) e del Cevedale (3778 m.); prosegue dal Corno dei Tre Signori (3359 m.) mantenendosi lungo lo spartiacque che distingue i bacini dell’Oglio e dell’Adige e, attraverso il passo del Tonale (1885 m.), raggiunge il gruppo dell’Adamello, da cui discende mantenendosi in cresta lungo lo sprone meridionale per dirigersi verso le valli Giudicarle che attraversa in prossimità dell’apice settentrionale del lago d’Idro. Da qui, piegando a gomito verso oriente, per groppe montuose, passa al lago di Garda di cui segue longitudinalmente il solco sino alla pianura. In questa serpeggia prima a cavallo del Mincio, si snoda poi tortuoso allontanandosi progressivamente dal fiume con direzione sudest; raggiunto il Po poco a valle di Ostiglia, ne segue il corso sino a Quatrelle.

    Vedi Anche:  Tradizioni e dialetti regionali

    Il Ticino a Boffalora con il ponte di barche e il metanodotto. Dal Verbano sino a questo punto il fiume segna il limite tra Lombardia e Piemonte.

    Il passo dello Stelvio (m. 2757), al limite tra la Lombardia e l’Alto Adige. Il valico è, per altezza, il secondo delle Alpi percorso da strada carrozzabile; lo supera, di pochi metri, solo il passo dell’Iseran (Francia).

    Sul lato meridionale il limite della Lombardia con l’Emilia segue per la maggior parte il corso del Po; se ne scosta ai margini occidentale e orientale disegnando due prominenze: una, quella dell’Oltrepò pavese, penetrante a mo’ di cuneo tra il territorio emiliano e piemontese e risalente per morbide groppe l’Appennino sino a raggiungere il monte Lèsima (1724 m.) alle sorgenti del torrente Stàffora; l’altra, quella dell’Oltrepò mantovano, espansa a recingere una fascia di fertile pianura tra Suzzara e Sèrmide e penetrante verso oriente tra il Veneto e l’Emilia.

    Entro questi limiti la superficie del territorio lombardo misura 23.803 kmq. (1957), valore che mette la nostra regione al quarto posto nella graduatoria di ampiezza delle regioni italiane, preceduta dalla Sicilia, dal Piemonte e dalla Sardegna. Altimetricamente il territorio è compreso tra gli 11 m. della località Quatrelle presso il margine del Po (Felonica, Mantova) e i 4021 m. della punta Perrucchetti, anticima del Bernina. La parte meridionale è occupata tutta dalla pianura che s’estende per 11.171 kmq., pari al 46,9% dell’area totale. Di poco inferiore è l’area montuosa che si estende nella parte settentrionale su 9672 kmq., pari al 40,6% dell’area totale. La collina, interposta in fascia discontinua tra le due zone precedenti, occupa 2960 kmq., pari al 12,5% dell’area lombarda.

    Veduta invernale del passo del Tonale (m. 1885); esso, al limite tra la Lombardia e il Trentino, mette in comunicazione la Valcamonica con la vai di Sole.

    La posizione

    Riguardo alla posizione astronomica il territorio lombardo presenta in latitudine i seguenti estremi: a meridione il monte Lèsima, nell’Appennino dell’Oltrepò pavese, con latitudine 44°4i’ nord; a settentrione il monte Boffalora, al margine della valle di Livigno lungo il confine italo-svizzero, con latitudine 46° 38′ nord. L’arco di meridiano intercorrente tra le due citate latitudini misura pertanto 1° 57′ equivalente a una distanza di circa 220 km. in linea d’aria. È di particolare interesse rilevare che il 45° parallelo nord, il parallelo intermedio tra l’Equatore e il Polo Artico, si incurva suirOltrepò pavese e sull’Oltrepò mantovano e che la maggior parte della pianura lombarda si estende nella fascia tra il 45° e il 46° parallelo nord, ossia, come è noto, in un’area della Terra particolarmente favorita dall’insolazione e dall’avvicendamento stagionale.

    Gli estremi della Lombardia in longitudine sono dati: a occidente dal vertice segnato da Cascina Lupo presso Palestro in Lomellina, a 3°57′ ovest di Monte Mario (corrispondente a 8° 30′ est di Greenwich) ; a oriente dalla località Quatrelle sulla sponda destra del Po, a 1° 02′ ovest di Monte Mario (corrispondente a 11°25′ est di Greenwich). L’arco di parallelo intercorrente tra le due longitudini misura quindi 2° 55′ corrispondente a una differenza oraria di poco meno di 12 minuti primi e a una distanza lineare approssimativamente di 230 km. in linea d’aria.

    In aggiunta ai valori estremi di latitudine e di longitudine, si può ricordare che il parallelo mediano (45° 39′ nord) e il meridiano mediano (2° 30′ ovest di Monte Mario) della regione si intersecano poco a sud dell’abitato di Sàrnico, che effettivamente (per la forma del territorio) può essere considerato il centro geometrico della Lombardia. Milano, che della Lombardia è la città capoluogo, risulta invece notevolmente eccentrica; basta ricordare, come esempio, che la città dista, in linea d’aria, circa 25 km. dal corso del Ticino e quasi cinque volte tanto, come minimo, dal corso del Mincio, fiumi entrambi che rappresentano, per alcuni tratti, i limiti di regione. Si può tuttavia aggiungere subito che Milano non assolve soltanto a una funzione regionale lombarda; le sue prerogative le conferiscono una preminenza su tutto il bacino padano e sotto tale visuale appaiono immediatamente i vantaggi della sua posizione rispetto alla pianura, rispetto alle valli e ai valichi delle Alpi centro-occidentali e degli Appennini settentrionali, rispetto infine agli sbocchi sul mare.

    La Lombardia rappresenta soltanto una porzione del territorio gravitante su Milano e anche da tale considerazione traluce la sua precipua caratteristica: quella cioè di parte di un’unità geografica di ben più ampia estensione; ossia la valle del Po. Più precisamente la Lombardia rappresenta una parte, la inferiore, del versante di sinistra di questa grande vallata. La sua individualità non è scaturita però da questo fatto, ma soprattutto da un succedersi di avvenimenti storici nei quali ha giocato un ruolo importante in ogni secolo la preminenza di Milano. Non regione propriamente fisica, dunque, ma regione storica formatasi e ampliatasi per coagulo intorno a Milano.

    Nei suoi attuali confini, la Lombardia non comunica direttamente con il mare: a settentrione la limitano le Alpi che s’ergono a immane barriera e a protezione dei rigori nordici; la fiancheggiano, a occidente, il Piemonte, che della grande vallata del Po occupa l’alto bacino, a oriente il Trentino-Alto Adige, che s’estende nell’alta valle dell’Adige, e il Veneto, che con il suo territorio s’espande sul basso corso del medesimo fiume; a mezzogiorno, infine, l’Emilia, che del bacino del Po occupa buona parte del versante di destra. Dall’Adriatico l’apice mantovano della Lombardia dista solo una settantina’ di chilometri e il Po, che dall’apice si stacca per proseguire nella sua discesa verso il mare, sembra l’ombelico acqueo tra l’Adriatico e la nostra regione. Ma la non facile adattabilità del Po e dei suoi affluenti alla navigazione, per non dire d’altro, attenuano l’attrazione dell’Adriatico e dei suoi porti sulla Lombardia, che gravita invece in modo preponderante verso il Mar Ligure e i suoi porti e soprattutto verso Genova, nonostante l’interposto Appennino, per altro facilmente valicabile attraverso il passo dei Giovi (472 m.).