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Confini, forma e area

    Piemonte e Val d’Aosta

    Sguardo d’insieme

    Il nome ” Piemonte ” e le sue vicende territoriali

    Se è vero che le cose non esistono sino a quando non hanno ricevuto un nome — e cioè sino a quando gli uomini non ne hanno preso coscienza — il Piemonte comincia ad esistere solo a Medio Evo avanzato. Perchè solo allora compare il nome di Piemonte, destinato ad indicare tutta la parte occidentale della grande conca padana. Prima, anche a questa parte si estendeva il nome di Lombardia.

    Erano tempi in cui l’aumento della popolazione, lo sviluppo dei dialetti, la fondazione di centri, la messa in valore di nuove terre, l’incremento dei traffici e specialmente le profonde trasformazioni degli ordinamenti civili e militari portavano i paesi a differenziarsi, e quindi determinavano la necessità di nuove denominazioni territoriali.

    In realtà, il termine « Piemonte » fu nel Medio Evo usato genericamente per indicare « terre alle falde dei monti » in varie regioni italiane: in Istria, nel Veneto, in Toscana, in Campania, in Sicilia. Ma, come è noto, solo ai piedi delle Alpi Occidentali si affermò stabilmente con valore di denominazione regionale, e rimane unico esempio di nome di origine geografica tra quelli delle diciannove regioni riconosciute dalla attuale Costituzione dello Stato italiano.

    La più antica, sicura testimonianza del nome Piemonte si trova in un documento del 1193 che parla de castellanis de Pedemontibus. Questa forma Pedemontibus non durerà a lungo, mentre, preceduti spesso da « patria », « terra », « partes » si faranno sempre più frequenti gli appellativi di Pedemontium, Pedemontis e di qui « Piemonte ».

    Il nome di Piemonte è stato fin da principio usato in due accezioni: una strettamente geografica, l’altra piuttosto politica. Per la prima, l’estensione del Piemonte è persino superiore all’attuale, giungendo sino a Pavia. Lo si ricava da un diploma di Federico II, del 1248, in cui l’imperatore, mentre stava a Vercelli, affermava di non poter continuamente rimanere in partibus Pedemontis e nominava Tommaso II di Savoia, suo vicario generale a Papiae superius. Questo largo significato del nome Piemonte lo si ricava pure dal fatto che nella prima metà del secolo successivo appaiono organizzati come Contea di Piemonte i possessi angioini del Cuneese e come Principato di Piemonte i domini dei Savoia ai piedi delle Alpi, dati in appannaggio al ramo di Acaia.

    Ma, più chiaramente dei documenti locali, accennano al Piemonte come regione geografica opere scritte in altre parti d’Italia. Da lontano, la visione dell’insieme è più facile. La cronaca di Maestro Tolosano mostra che, sulla fine del secolo XIII, i romagnoli chiamavano Piemonte la parte occidentale della « Lombardia ». Fra Salim-bene scrive che « in Piemonte » dominava il marchese di Monferrato. Giovanni Villani pone in Piemonte, oltre che Asti, Alessandria e Tortona. Prendendo la via del Piemonte, Fazio degli Uberti (Il Dittamondo, III, 5) incontra prima Mortara in Lomellina, poi, per Novara e Vercelli, passa nel Monferrato « dove un marchese largo e prò’ dimora » : quindi attraversa « Saluzzo, Canavese e Principato » ed esce per Alba, Asti ed Acqui.

    L’accezione politica del nome Piemonte si collega originariamente al bisogno di distinguere, sul nostro versante, gli acquisti dei Savoia nella pianura subalpina dal loro vecchio dominio montano delle valli di Susa e d’Aosta. Terra vetus di fatto, sarà chiamata, insieme alle valli di Lanzo, la valle di Susa, quando si sarà formata, col nome di « terra Pedemontana », Pedemontium, una prima propaggine pianigiana della Contea sabauda. Questa propaggine, corrispondente al feudo dei Savoia-Acaia, abbracciava il piccolo territorio fra il Po, la Dora Riparia e le pendici del tratto alpino sotteso, avendo come centri principali Torino, Cumiana, Pinerolo, Cavour, Villafranca, Vigone, Carignano, Moncalieri.

    Grandissima importanza per il destino del nome di Piemonte ebbe la decisione di erigere in principato il complesso delle terre direttamente governate dai Savoia-Acaia e di chiamarlo « di Piemonte ». Da allora la sanzione politico-territoriale, assicurando a quel nome un impiego ufficiale, lo legò per i secoli alle fortune dello Stato sabaudo.

    Aiutati dai cugini d’Oltralpe, gli Acaia andarono allargando i confini del Principato fino a comprendervi gran parte del Piemonte meridionale, dove il nome di Piemonte era già usato, come s’è visto, dagli Angioini. Anche per questo il nome stesso si affermò e si estese di pari passo con l’ampliarsi del Principato sabaudo.

    I documenti della cancelleria sabauda del secolo XV, e gli scrittori ad essa vicini, parlano quasi sempre di Piemonte in senso ristretto, e cioè per indicare le terre comprese nel Principato. Quando questo, nel 1418, passò alle dipendenze dirette del Duca di Savoia, e quindi divenne una parte integrante dei suoi domini, con « Piemonte » continuò ad indicarsi generalmente il territorio del vecchio Principato. Nelle sfere ufficiali, tale accezione del nome Piemonte si mantenne molto a lungo, accanto a quella di « vero Piemonte » e di « Piemonte proprio », per precisare il nucleo iniziale del Principato, vale a dire il triangolo Po-Alpi-Dora Riparia.

    Successivi ingrandimenti del dominio sabaudo in Italia.

    Per altro, con l’ingrandirsi verso mezzogiorno e verso oriente dello Stato sabaudo, quasi in ossequio alla sua crescente importanza nella regione subalpina, si diffuse l’uso di chiamare Piemonte tutti i possessi dei Savoia al di qua delle Alpi. Si rafforzò così il significato politico del nome Piemonte a scapito, diciamo, di quello geografico.

    E vero che tra le prime rappresentazioni cartografiche a stampa del Piemonte, verso la metà del secolo XVI, alcune — come una, anonima, del 1564 che s’intitola « regionis subalpinae vulgo Piemonte appellatele descriptio » — accennano a trascendere l’estensione politica del nome. Ma nella grande maggioranza dei casi, le carte dei vari tipi distinguibili attraverso la produzione dei secoli XVI e XVII, restringono il Piemonte al dominio territoriale sabaudo, e dichiarano esplicitamente di rappresentarlo insieme al marchesato di Monferrato, quando pure non elencano le minori unità politiche della regione che non appartengono al Piemonte, cioè allo Stato di Savoia. Lo stesso criterio limitativo si riscontra in molti autori, specie piemontesi. Anche per G. Botero, celebre scrittore politico piemontese e geografo di acuta sensibilità (1533-1612), «il Piemonte (‘ dò questo nome a tutto ciò che la serenissima Casa di Savoia possiede in Italia toltane la contea di Nizza ‘) si stende dalla Sesia al Delfinato, tra l’Alpi e il Monferrato e lo Stato di Milano e di Genova ».

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    L’affermarsi delle accezioni politiche — « Piemonte proprio », vecchio Principato, parte cismontana dello Stato sabaudo — non valse tuttavia a far dimenticare l’estensione geografica del nome, che si tramanda in scrittori del XVI e XVII secolo. Alcuni di questi scrittori, come l’ambasciatore veneto Andrea Boldù, sono coscienti della molteplicità di significati assunti dal nome Piemonte e tale coscienza hanno pure studiosi piemontesi e savoiardi del XVII secolo.

    Ma, con la ulteriore espansione del regno sabaudo oltre Sesia ed oltre Bormida, le ultime differenze tra area storica ed area geografica del nome Piemonte si colmarono.

    L’unificazione sotto Casa Savoia dei territori geograficamente piemontesi fu cosa compiuta nel 1748 (Trattato di Aquisgrana), quando Carlo Emanuele III, che dieci anni prima aveva già ottenuto il Novarese e il Tortonese e la concessione assoluta delle Langhe, incorporò al suo Stato anche il Vigevanasco, l’Oltrepò Pavese e l’Alta Ossola. Venendo in tal modo a coprire il mosaico delle antiche formazioni politiche, il nome Piemonte contribuì a rinsaldare l’unità antropica e storica della regione entro i limiti della sua unità fisica. Ma nella coscienza popolare, il riconoscimento della sua supremazia avvenne con alquanta lentezza se, come attestano il Gabotto e l’Einaudi, ancora agli inizi di questo secolo, i contadini dell’Astigiano e delle Langhe, quando attraversavano il Tanaro per recarsi nel Monregalese e nel Cuneese, usavano dire: «…andiamo in Piemonte…».

    La posizione del Piemonte

    « L’Italia continentale, cioè la grande valle del Po chiusa fra i monti alpini ed appennini e distesa sull’Adriatico con due ali di costiera che si prolungano sino ad Ancona e a Monfalcone, benché abbia quasi da per tutto un medesimo volto e per facile tragitto da un luogo all’altro sia acconcia oltremodo ai traffici e alle industrie, tuttavia verso l’Eridano superiore, dov’è ricinta da tre lati e signoreggiata dalle montagne che ivi grandeggiano più che in altra contrada europea, partecipa assai meno dei prelodati vantaggi. Ivi sorge il Piemonte, quasi presidio, scolta e avanguardia della patria comune contro la Francia, posto in mezzo tra l’antica Liguria, i popoli alpini e la Lombardia ».

    Così V. Gioberti efficacemente tratteggiava nel Primato, gli aspetti fondamentali della posizione geografica del Piemonte. Qui non resta che completare quelle indicazioni, osservando anzitutto come il Piemonte, sito a cavallo del 450 parallelo, si trovi proprio a metà strada fra equatore e polo, nel bel mezzo di quella zona temperata dell’emisfero settentrionale, in cui si sono andati concentrando i maggiori focolai della civiltà moderna. Rispetto all’Europa appare rimarchevole la « occidentali », diremo così, della posizione del Piemonte, storicamente confermata dalla prevalenza dei legami che il suo territorio ebbe con i paesi dell’Occidente europeo.

    Quanto all’insieme dell’Italia, appare evidente la posizione periferica del Piemonte, la sua funzione di porta — chi non ricorda il bel libro di E. De Amicis, Alle porte d’Italia? —, di vestibolo, di peristilio, dirà ancora il Gioberti, dischiusi verso la facciata ligure e adriatica della penisola stessa, ma sensibilmente spostati, nei confronti dell’asse della penisola stessa, verso occidente. Per questa sua posizione periferica e laterale, dominata dalla presenza di importanti valichi alpini, il Piemonte fa simmetria con il Friuli, la porta orientale d’Italia.

    Il Piemonte è dunque la regione più occidentale d’Italia. Il suo punto estremo verso ovest è rappresentato dal contrafforte del Gran Bagnà, a 50 40′ che costituisce pure il punto più occidentale della Repubblica. La fama delle sue montagne nevose e dei suoi ghiacciai potrebbe far supporre che il Piemonte sia anche la più settentrionale tra le regioni d’Italia. In realtà, con il suo punto estremo settentrionale nel passo di San Giacomo, alla testata della vai Formazza, e cioè a 46° 28′ di lat. nord, il Piemonte sta, diciamo così, al disotto del Trentino-Alto Adige (47° 6′ nella Vetta d’Italia) e, sia pure di pochissimo, al disotto anche del Veneto (46° 41′), del Friuli-Venezia Giulia (46° 39′), della Lombardia (46° 38′)- E, d’altra parte col suo estremo meridionale nel Monte Saccarello, il Piemonte scende a latitudine più bassa (44°5′) che non il Trentino-Alto Adige (45° 41′), il Friuli-Venezia Giulia (45° 39′)» la Lombardia (45°31′)-

    Ove si tenga solo conto della distanza dei suoi punti più lontani dal mare, il Piemonte non figura neppure come la regione più continentale d’Italia. Torino è a 105 km. dal mare in linea d’aria: ma Milano ne dista 120. Con tutto ciò, se si guarda alla proporzione di continente con cui confina ed in cui si addentra, il Piemonte si può almeno considerare come la meno aperta fra le regioni dell’Italia settentrionale alle influenze della penisola. Il relativo distacco rispetto al corpo di questa, la perifericità, l’occidentalità, avranno, come vedremo, una notevolissima influenza su molti aspetti della vita piemontese, conferendole tratti significativi di inconfondibile personalità.

    Compreso fra due Stati stranieri importanti come la Francia e la Svizzera da una parte, e regioni consorelle dall’altra, il Piemonte ha, tanto dal punto di vista politico-militare come da quello economico, una posizione determinante per le sorti dell’intero Paese. Lo hanno provato le vicende della storia passata, massima quelle del Risorgimento e, recentemente ancora, la breve occupazione del versante francese da parte delle nostre truppe. Le questioni di carattere nazionale coinvolgenti i nostri rapporti con la Francia hanno naturalmente le più pronte e sensibili ripercussioni in Piemonte, mentre la sua antica funzione di ponte, e quasi di intermediario, tra la Francia stessa e il restante d’Italia, continua ad esercitarsi entro l’ambito della più grande unità statale. In linea generale, poi, quando le vie del commercio con la Francia sono state attive e frequentate, direttamente o indirettamente, il Piemonte ne ha tratto vantaggio. A maggior ragione si può pensare che se l’attuazione del Mercato Comune Europeo dovesse, come sembra probabile, incrementare gli scambi tra l’Italia e gli altri Paesi della Comunità Economica Europea, ciò non potrebbe che maggiormente valorizzare la posizione commerciale del Piemonte.

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    Il confine alpino al valico del Gran San Bernardo.

    Confini, Forma e Area

    Una regione si afferma nella sua individualità più per cause di intima coerenza costitutiva che non per una maggiore o minore « naturalità » dei suoi confini. Tuttavia, nel caso del Piemonte si può dire che alla sua definizione come regione la natura è venuta largamente incontro, fornendo ai suoi abitanti ed ai suoi reggitori vigorose, nette fattezze del suolo, cui affidare l’ufficio di confine. Soprattutto con un lungo tratto delle Alpi.

    Effettivamente, per quasi 850 km. il confine del Piemonte è confine alpino, e sulle Alpi, per 771 km., esso si identifica con la frontiera statale. La delimitazione con gli Stati vicini è semplice, nelle sue grandi linee: a nord, la Svizzera, ad ovest la Francia. Il confine con la Svizzera ha uno sviluppo di 259 km., dal punto triconfinale del Monte Dolent (gruppo del Bianco) allo sbocco del torrente Mara nel lago Maggiore. Questa linea di confine è ancora quella dell’antico Regno di Sardegna con la Svizzera. E se vogliamo risalire un po’ più addietro, la linea di confine nel tratto dal Monte Bianco al Monte Rosa corrisponde al confine dell’antico Ducato d’Aosta col Vallese. Dal Monte Rosa al lago Maggiore, invece costituiva — prima del 1743, anno in cui avvenne l’annessione dell’Ossola al Piemonte — il confine dello Stato di Milano con la Svizzera.

    Partendo dal Monte Dolent e andando fino al Monte Rosa, il confine del Piemonte con la Svizzera s’identifica con quello della regione autonoma della Valle d’Aosta: ha direzione d’insieme ovest-est, e passa sulla displuviale del più poderoso e ghiacciato settore del sistema alpino: quello che separa le valli, quasi parallele, della Dora Baltea (valle d’Aosta) e del Rodano (Vallese) e al cui centro spicca la stupenda piramide del Cervino. Dal Monte Rosa in avanti, il confine continua a mantenersi sullo spartiacque principale, che s’inflette subitamente verso nord-nordest, e conserva tale direzione fino al passo di Gries, alla testata della vai Formazza. La rapida flessione è dovuta al penetrare del profondo solco trasversale dell’Ossola (valle della Toce) nella massa del baluardo alpino. E il confine qui separa appunto l’Ossola dalla valle superiore del Rodano, ma abbandona tuttavia la linea di cresta in corrispondenza del valico del Sempione, per dare alla Confederazione Elvetica l’alta vai di Vedrò, geograficamente italiana. Il terzo tratto di confine con la Svizzera, dal passo di Gries al lago Maggiore, ha direzione nordovest-sudest; al Grieshorn lascia la cresta principale delle Alpi (qui Lepontine) e corre sulla linea di cresta che divide l’alta valle della Toce dall’alta valle del Ticino, poi abbandona anche questa dorsale secondaria e salta capricciosamente da un contrafforte all’altro, tagliando a mezzo la Val Vigezzo, per giungere al lago Maggiore lungo il torrente Mara fino alla sua foce, sopra Cannobio.

    Ritorniamo ora al grande pilastro confinario del Monte Dolent, per scendere lungo il fianco occidentale del Piemonte e per seguirne, cioè, il confine con la Francia. Carico di storia, come vedremo più avanti, più recente e più tormentato di quello con la Svizzera, tale confine si sviluppa per 512 km. in corrispondenza delle Alpi Graie, delle Cozie e delle Marittime (prò parte). Esso riproduce, con qualche modifica di tempi a noi vicini, il confine stabilito dal Trattato di Torino del 24 marzo 1860: trattato con il quale il Regno di Sardegna cedeva alla Francia la Savoia e la Contea di Nizza, quale compenso per la partecipazione della Francia stessa alla guerra del 1859 contro l’Austria.

    Il sommo fastigio della corona alpina: il Monte Bianco, fra Dòme du Goùter e la Tour Ronde, dall’Aiguille du Midi

    Per lungo tratto, e cioè dal Monte Dolent sino al colle della Maddalena (o di Argenterà o di Larche), tra le Alpi Cozie e le Marittime, la linea confinaria di allora si atteneva rigidamente al criterio di seguire la displuviale alpina. Due sole eccezioni, d’altronde assai piccole, erano state ammesse: una a favore dell’Italia in corrispondenza del valico del Piccolo San Bernardo, e l’altra a favore della Francia, al passo del Monginevro.

    Invece, a sud del colle della Maddalena — o, per essere più precisi, a sud del passo di Collalunga (posto tra l’alto corso della Tinea e la testata del vallone di Sant’Anna di Vinadio) — non fu possibile nel 1860 venire ad un accordo che rispettasse lo spartiacque e che, cioè, proseguendo dal passo di Collalunga fino al Monte Clapier, e svolgendosi sul contrafforte che separa le valli di Vesubia e di Paglione da quella di Roja e di Bevera, scendesse al mare fra Mentone e Monaco. La Francia richiese il possesso della media valle Roja: di qui il noto saliente di Saorgio, vera spina nel fianco per le comunicazioni tra Piemonte meridionale e riviera di Venti-miglia. In compenso, si lasciava all’Italia, nell’alta valle Tinea, un lembo del versante alpino esterno, su cui i nostri sovrani esercitavano diritti di caccia.

    Terminata la seconda guerra mondiale, il duro Trattato di Parigi (i° febbraio 1947) impose al confine alpino occidentale alcuni ritocchi territoriali, dettati, oltre che da spirito di ritorsione, da antiquate preoccupazioni d’ordine militare. Tali ritocchi, che dovevano rompere l’equilibrio in vantaggio della Francia, riguardarono la regione del valico del Piccolo San Bernardo, la regione del Moncenisio, la valle Stretta di Bardonecchia e il Monte Chaberton, l’alta e media valle Roja e i già ricordati « terreni di caccia » della valle Tinea.

    Nella zona del Piccolo San Bernardo, lo spostamento del confine allo spartiacque importò il passaggio alla Francia del celebre Ospizio e della non meno celebre « Chanousia » (Istituto di Botanica alpina). Nella regione del Moncenisio, il confine venne deviato sul versante italiano, in modo da lasciare alla Francia, per una superficie di 82 kmq., la verde conca, ricca di pascoli e ben dotata di centrali elettriche, con il lago e il noto Ospizio. Nell’alta valle di Susa, la Francia volle eliminato il saliente che, in corrispondenza alla testata di valle Stretta (Tabor), il crinale delle Alpi disegna fra Delfinato e Savoia. Qui la linea di cresta venne abbandonata per 24 km., e il confine, fra il Gran Bagnà e la Guglia del Mezzodì, fu portato quasi allo sbocco della valle Stretta nella conca di Bardonecchia. Sempre in vai di Susa fu pure voluto dalla Francia, data la sua posizione dominante, il massiccio del Monte Chaberton (m. 3130), che si eleva a poca distanza dal Monginevro, a sud della displuviale, e quindi in territorio fisicamente italiano.

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    L’amena conca del valico e del lago del Moncenisio.

    Un ridente centro di frontiera: Claviere.

    Più gravi i tagli inferti al nostro territorio di confine a sud del passo di Colla-lunga nelle alte valli Tinea, Vesubia e Roja. In questo tratto la Francia trovò conveniente invocare la rigida applicazione del principio dello spartiacque, fino al Monte Saccarello. Avrebbe così riottenuto, come di fatto riebbe, i « terreni di caccia » dell’alta valle Tinea e della testata di vai Vesubia. Ma in più la Francia pretese l’alta valle Roja (con Briga e Tenda) e il completo possesso della media valle, aggravando così la situazione di un solco vallivo, politicamente avulso dal suo sbocco in territorio italiano sopra Ventimiglia. In sostanza, venne notevolmente ampliato il saliente di Saorgio e spostato verso nord il confine fino alla punta Marguareis e verso est fino al Monte Saccarello, sul quale vengono a toccarsi Francia, Piemonte e Liguria. Furono qui occupati dalla Francia 560 kmq. di territorio che, fra l’altro, posero una barriera fra alcune grosse centrali elettriche e i loro bacini di alimentazione.

    Ciò premesso, l’andamento del confine tra il Piemonte e la Francia appare caratterizzato, nelle sue grandi linee, da vistose sinuosità, tre delle quali sporgenti verso la Francia e le due interposte verso il Piemonte. La cuspide superiore è determinata dal grande sviluppo della valle d’Aosta, chiusa alla testata dal tratto di spartiacque che s’incentra nella candida cupola del Monte Bianco e che separa, con la valle d’Aosta, il Piemonte dalla Savoia. Segue una rientranza, che avvicina il confine alla nostra pianura, tanto da portarlo a distarne una trentina di chilometri in linea d’aria, fra la Ciamarella e lo sbocco della valle di Lanzo. La sporgenza mediana corrisponde essa pure al solco di una grande valle: quella della Dora Riparia, e protende verso il Delfinato il mutilato saliente di valle Stretta. Tra la valle di Susa e le valli del Cuneese una più decisa rientranza spinge la piramide del Monviso a 12 km. appena (in linea d’aria) dalla sottostante pianura. Infine l’ampio lobo meridionale, che ha il suo punto più avanzato nel Monte Chambeyron, divide il Piemonte dalla Provenza verso ovest, e verso sud dall’estremo occidentale della Liguria.

    Per il restante della sua lunghezza, la cerchia dei confini piemontesi ha carattere interregionale, e separa il territorio del Piemonte da quello della Liguria, dell’Emilia, dalla Lombardia. Con la Liguria il Piemonte è contiguo verso sudest. Montagne anche da questa parte — le Alpi Liguri e il tratto iniziale dell’Appennino — delimitano la regione. Ma il confine amministrativo, che è sostanzialmente quello stabilito fra il Regno di Sardegna e la Repubblica di Genova dai Trattati di Vienna (1738) e di Aquisgrana (1748), si attiene allo spartiacque principale solo per pochi chilometri ad est del Monte Saccarello. Qui ha andamento nel senso dei paralleli. Bruscamente, però, si drizza verso nord-nordest e in questa direzione si spinge fino alle medie valli delle Bormide di Millesimo e di Spigno, donde continua verso oriente, con un tratto assai movimentato, che ha, di nuovo, direzione ovest-est fino al Monte Antola. Rimane così esclusa dal Piemonte una discreta striscia di territorio, che comprende le alte valli delle Bormide, dell’Orba e della Scrivia, e che quindi appartiene al versante padano. In questo tratto, il confine piemontese tocca la minima distanza dal mare (poco più di 7 km.).

    Dal Monte Antola il confine piemontese fa quasi un angolo retto, puntando decisamente verso nord-nordovest, direzione che manterrà, nel complesso, fino al lago Maggiore. Poco sopra il Monte Antola la facciata orientale del Piemonte si apre in breve spiraglio sull’Emilia. Poi non fronteggerà più che la Lombardia, con un tracciato relativamente recente. Di fatto, dopo aver seguito la dorsale che divide il bacino del Curone da quello della Staffora, la linea di confine rientra fortemente verso ovest, formando una gran sacca che corrisponde alla Lomellina. Questa apparteneva al Regno Sardo insieme all’Oltrepò pavese, e insieme a quello fu attribuita alla Lombardia con legge 25 aprile 1858. Allora, verso occidente, l’antico confine del Ticino, che datava dal 1738, fu arretrato per un tratto alla Sesia, e quindi riportato sul Ticino tra Vigevano e Trecate. Di qui il confine tra Piemonte e Lombardia accompagna fedelmente il grande affluente del Po fino al lago Maggiore, di cui taglia a mezzo, per lungo, la conca, innestandosi nuovamente sul confine terrestre nel torrente Mara, a nord di Cannobio.

    Chi voglia attenersi all’antichissima tradizione geografica di trovare rassomiglianze fra regioni ed oggetti potrà osservare che il Piemonte ha, grosso modo, la forma di una foglia di platano o di vite, col picciuolo nel Monte Saccarello e l’estrema punta al passo di San Giacomo nell’alta valle d’Ossola. In questo senso, e cioè da sud a nord, il Piemonte ha una lunghezza massima di circa 212 chilometri. Trasversalmente, dal Gran Bagnà ad un punto dell’alta vai Curone, ha una massima larghezza di circa 204 chilometri.

    Il nuovo confine con la Francia all’ingresso della galleria del Colle di Tenda.

    Entro i confini ora ricordati il Piemonte, in senso storico-geografico, ha una superficie di kmq. 28.661. Negli enti amministrativi che lo compongono ha una superficie di 25.398 kmq., spettandone 3262 alla regione autonoma della Valle d’Aosta. Comprendendovi dunque quest’ultima, il Piemonte diventa la regione tradizionale, diremo così, più vasta d’Italia, prima della Sicilia (25.707 kmq.), e la sua area è quasi uguale a quella dell’Albania (28.748 kmq.). Ma le regioni, come gli individui, non si misurano soltanto col metro delle dimensioni fisiche. E il Piemonte, attraverso la sua storia, dimostra di aver avuto un’importanza notevolmente superiore a quella derivantegli dalla sua ampiezza territoriale.