Vai al contenuto

L’economia industriale

    L’economia industriale

    Sguardo d’insieme

    Per uno sguardo d’insieme all’economia industriale della regione come per un’analisi sommaria dei vari « rami », classi e « sottoclassi» di industrie (i) ci serviremo dei dati raccolti col censimento demografico del 4 novembre 1951 e col censimento industriale del giorno dopo.

    Secondo il censimento demografico risultavano addetti alle industrie 415.378 abitanti (compresi 105.973 addetti al ramo « costruzioni e impianti »), pari aH’11,7% della totale popolazione residente. Il censimento industriale, invece, rilevava 269.129 individui effettivamente occupati nelle industrie a quella data, di cui appena 49.099 addetti alle costruzioni e impianti.

    Commenteremo a suo luogo questo divario, dipendente dalla data e special-mente dai criteri delle due rilevazioni.

    Oltre al numero di addetti, i dati di cui disponiamo riguardano anzitutto la potenza utilizzata. Nè l’uno nè l’altra costituiscono indici pienamente espressivi della « importanza » delle industrie. Questa, dal punto di vista economico, verrebbe meglio illuminata dalla conoscenza del « valore aggiunto » dalla produzione industriale, ma esso non è stato rilevato o per lo meno non è stato pubblicato in occasione del censimento 1951, come lo era stato nel precedente (1937-39)- Valutazioni sono state eseguite dall’Istat, anzi anno per anno, ma con riferimento all’intero territorio nazionale e per « rami ». Non sono quindi elementi utilizzabili al nostro fine.

    D’altra parte la ripartizione degli addetti, se non esprime pienamente il valore economico delle singole classi di industrie, ne indica largamente il valore sociale, in quanto capacità di assorbimento di forze di lavoro.

    Così la ripartizione degli HP installati nelle industrie riflette un carattere tecnologico di queste, ma è pure un indice indiretto di « importanza » in quanto lo è dell’entità delle attrezzature e dei capitali impegnati nelle varie classi.

    Nell’Emilia tanto per numero di addetti quanto per forza primeggiano, e di gran lunga, le due classi delle industrie alimentari e meccaniche. Metteremo al primo posto le alimentari, perchè la data del censimento (5 novembre) ha influito a deprimerne il numero di addetti, che in altri momenti dell’anno è certamente molto più elevato sia pure con carattere di occupazione stagionale.

    Tale osservazione viene fatta qui una volta per tutte, al fine che siano opportunamente interpretati questi valori, che debbono per forza riferirsi ad istante dato per essere omogenei e per evitare duplicazioni. Ma se ricorriamo ad altro volume dello stesso censimento industriale possiamo vedere che le industrie alimentari sono arrivate ad occupare, nel 1950, 44.869 « operai e manovali » nel mese di agosto (massimo) e 43.500 in settembre contro poco più di 19.000 da gennaio a marzo.

    Pozzi per l’estrazione del petrolio a Vallezza (Parma).

    Cortemaggiore: parte dell’impianto di gasolinaggio.

    Con questa avvertenza dobbiamo interpretare quindi anche i dati delle sottoclassi della stessa classe « alimentari ». Quelle col maggior numero di addetti risultano la molitoria (6830), la saccarifera (4730), la casearia e affini (3879), la lavorazione e conservazione delle carni (3.230) e della frutta e ortaggi (3104). Per numero di HP installati la saccarifera (91.532), la molitoria (67.236), la lavorazione e conservazione della frutta e ortaggi (23.694) e carni (12.464).

    Delle meccaniche, d’altra parte, si deve dire che non è il caso di farsi eccessive illusioni sull’entità delle cifre, non nel rapporto con le altre classi di industrie entro la regione (comunque sia, circa il 27% degli addetti e quasi il 40% della forza motrice vi sono impiegati) ma nel suo valore intrinseco e negli eventuali rapporti che si volessero vedere con altre regioni. Non c’è da farsi illusioni perchè nel numero di addetti e in quello degli HP di questa classe è compreso un diffuso numeroso strato di piccole imprese che stanno fra le industrie propriamente dette e quelle dei servizi (fabbri, meccanici, fontanieri, motoristi, ecc.). Comunque potremo sempre dire che delle « industrie moderne » quelle che hanno trovato maggiore possibilità di inserimento nella regione sono state le meccaniche, anche con pochi cospicui complessi.

    In questa classe le sottoclassi più importanti sono, per numero di addetti, quelle delle officine meccaniche (21.401), la fabbricazione di macchine operatrici e per agricoltura (8325) e di mezzi di trasporto (motoveicoli, carrozzerie, accessori, materiale ferroviario: 8181), le fonderie di seconda fusione (ghisa, ecc.: 4824) e la carpenteria metallica (4378). Per potenza utilizzata primeggia invece la sottoclasse mezzi di trasporto (41.386 HP), seguita da quella delle macchine operatrici e agricole (20.787) e dalle officine meccaniche (19.848).

    Dopo le industrie alimentari e meccaniche, per numero di addetti, vengono quelle del vestiario, abbigliamento e arredamento. In questa classe decisamente prevalgono di gran lunga le piccole imprese, come mostra il numero delle unità locali (2). Oltre il 15% degli addetti a tutte le industrie della regione vi figura, mentre la forza motrice impiegata si riduce a meno deH’i%.

    Seguono, sempre per addetti, le industrie del legno, con quasi il 10%, ma in prevalenza costituite anch’esse dallo strato della industria piccola ed artigiana.

    Dal punto di vista propriamente industriale sono indubbiamente più importanti le industrie di trasformazione di minerali non metallici (8,6% degli addetti e 9,2% degli HP): laterizi, calci, cementi e gesso, anzitutto; e poi anche lavorazione di pietre da costruzione, marmi, e la ceramica, non per entità assoluta, ma per caratteristi-cità e interesse interregionale e internazionale.

    Interno delle Officine Ferrari a Maranello.

    Notevoli e da tenersi in questi primi posti anche le industrie chimiche, in tutta la loro varietà, ma con particolare rilievo per la fabbricazione di prodotti in servizio dell’agricoltura (fertilizzanti, ecc.): 5% degli addetti e 9% degli HP, grosso modo. Proporzioni, peraltro, oggi indubbiamente superate per lo sviluppo assunto anche recentemente da questa classe.

    Compare ancora con un certo rilievo l’industria tessile: oltre il 5% degli addetti ma neanche il 2% degli HP.

    Attenzione particolare deve porsi alla classe « estrazione minerali non metalliferi » (2,3% degli addetti, ma 5,7% degli HP) in quanto nel periodo dalla data del censimento ad oggi ha avuto un considerevole sviluppo, per cui le cifre che possiamo riferire riflettono una situazione largamente superata, sì che oggi dobbiamo considerare questa classe se non ancora fra le primissime per importanza, certo fra le più caratteristiche e promettenti. E ovvia l’allusione al metano.

    Al qual proposito è da segnalare qui un’industria quasi affatto nuova rispetto al 1951 e cioè quella della gomma, nella quale si è inserito il colossale stabilimento di Ravenna per la produzione di gomma sintetica.

    Meritano ancora qualche commento il ramo « energia, acqua e gas » e la classe « poligrafica ». Del primo è a dire che il pur non trascurabile numero di addetti (2,9%) è adibito massimamente alla distribuzione dell’energia elettrica mentre la forza installata (4,6%) è divisa pressappoco in parti uguali fra le due classi. Della classe poligrafica (2,1% degli addetti, ma solo 0,6% degli HP) è da sottolineare la caratteri -sticità, anche se prevalgono le medie e piccole e disseminate tipografie piuttosto che i grandi complessi.

    Confronti retrospettivi

    E interessante un confronto fra la struttura osservata nel 1951 e quella che si poteva desumere dai censimenti industriali anteriori (1911, 1927, 1937-39), anche se esso è reso disagevole dalla diversità dei criteri che presiedettero alle successive rilevazioni oltre che dalla loro data negli anni rispettivi.

    Se si prescinde dalle industrie alimentari, che risentono una eccessiva influenza di codeste date, risultano evidenti parecchi fatti interessanti. Anzitutto va notato che le variazioni nel complesso delle imprese industriali minori sono relativamente scarse, pur segnando un certo progressivo incremento.

    Questo invece è veramente notevole nelle unità locali con oltre 10 addetti, cioè nella media e grande industria.

    In particolare la meccanica (accompagnata dalla metallurgica, che però pesa sempre ben poco) è passata da 12.500 addetti nel 1911 a 15.200 nel 1927 e balzata a 38.400 nel 1937-39, non flettendo a molto meno di 38.000 nel 1951 pur dopo avere attraversato la immediata crisi postbellica, particolarmente grave in questo settore per le distruzioni negli stabilimenti e per la cessazione della produzione bellica, che dal 1935 al 1941 aveva largamente contribuito a determinarne lo sviluppo.

    Raffinerie « Anic » lungo il Canale Corsini a Ravenna.

    Un andamento analogo seguono le industrie di un secondo gruppo (edilizie, estrattive, lavorazione minerali non metallici), se pur per altri motivi. La serie dei numeri di addetti in totale è di 32.000, 45.500, 64.400 e 69.400 unità.

    Sui valori riferiti per le industrie chimiche hanno evidentemente pesato i diversi criteri di rilevazione per cui le diminuzioni che apparirebbero nel 1927 e nel 1937-39 in confronto al 1911 non sono significative. Le industrie del legno appaiono pressappoco stazionarie: in diminuzione nella categoria delle piccole industrie, in lieve aumento (nel confronto 1911-51) in quella delle medie.

    Così pure il gruppo tessile, confezioni, ecc., ricompare nel 1951 con un valore analogo a quello del 1911 dopo notevole incremento (ma forse più apparente che sostanziale) alle date dei due censimenti intermedi. Un aggiornamento, invece, alla situazione di oggi, a otto anni dairultimo censimento, non è possibile con dati numerici di qualche attendibilità.

    Distribuzione territoriale del grado di importanza industriale dei comuni

    L’unità territoriale elementare che si può prendere in considerazione è il comune. Si dovrebbe perciò cercare di rappresentare il grado d’importanza che ciascun comune ha nell’economia industriale, elaborando uno speciale indice.

    Disponendo, come si ripete, dei soli dati di addetti e HP installati, in uno studio apposito condotto nel 1958 lo scrivente ha assunto come indice il logaritmo del prodotto addetti X HP.

    Si sono così individuate 9 classi distinte dalla parte intera dei detti logaritmi. L’indice massimo è quello di Bologna, dove (nel 1951) si annoveravano 43.498 addetti ai tre rami (escluse le industrie edilizie) e 76.694 HP: indice 9,53441. Seguono con indice 8 Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Parma, Piacenza, Forlì (da 8,65 a 8,22), indi Ravenna con 7,99 e altri 6 comuni con indice 7 (Cesena, Imola, Carpi, Faenza, Rimini, Sassuolo). In una IV categoria abbiamo disposto gli indici da 6,97 a 6,63 (12 comuni, fra i quali Cento, Bondeno, Argenta, Copparo, Mirándola, Cortemaggiore, Fiorenzuola d’Arda, Fidenza, Salsomaggiore, nell’ordine). In una V gli indici da 6,564 a 5,973 (31 comuni); nella VI gli altri fino a 5 (95 comuni). Indici inferiori a 5 presentano 182 comuni.

    Vedi Anche:  I dialetti, le tradizioni e i caratteri antropologici

    Nella costruzione della carta che qui riproduciamo, però, abbiamo tenuto conto, in quanto possibile, delle variazioni intervenute dal 1951 a tutto il 1956, secondo informazioni assunte.

    Dei 14 comuni con «indice d’importanza industriale» superiore a 7, dieci sono sulla via Emilia e concentrano già il 48% degli addetti ai tre rami estrattivo, manifatturiero ed energia e gas (esclusa l’edilizia) e il 47,5% degli HP installati neH’industria di tutta la regione. Aggiungendo Fiorenzuola d’Arda (indice 6,834) e Fidenza (indice 6,674) si arriva al 49,3% degli addetti e al 49% degli HP.>

    Tenendo conto degli altri centri minori appare chiaro che oltre la metà di tutti gli addetti e di tutta la potenza installata nelle industrie della regione si allinea sulla via Emilia.

    Dell’altra metà la maggior parte si distribuisce in un gruppo di comuni di pianura che ha per centro Ferrara (indice 8,652) e comprende Copparo, Bondeno, Mirándola, Cento, Molinella, Argenta (con indici da 6,63 a 6,97). I 7 comuni riuniscono soltanto il 7,8% degli addetti, ma il 12,8% della forza motrice installata.

    Indice di « importanza industriale » dei Comuni.

    Altro comune notevole, distaccato, è quello pure urbano di Ravenna (indice 7,991) cui si accosta, nella pianura più interna, Lugo (indice 6,899). I 2 comuni concentrano il 3% degli addetti e il 3,8% degli HP.

    Restano sparsi i rimanenti 40% di addetti e 33% di HP, ma il più è ancora nella pianura e precisamente nell’alta pianura centrale e occidentale (dove Carpi, Correggio, Cortemaggiore raggiungono indici rispettivamente 7,2, 6,725, 6,9) e nella collina (dove Sassuolo ha indice 7 e Salsomaggiore 6,642). Questi 5 comuni, insieme, riuniscono il 4,2% degli addetti (1,5 a Carpi) e il 4% degli HP (14,3 a Cortemaggiore).

    In montagna i due soli comuni che raggiungono un indice di un certo interesse sono Borgo Val di Taro e Porretta Terme, ma ambedue non più che nella V categoria (indici 6,231 e 6,423) rispettivamente col 0,2 e il 0,4% degli addetti; 0,6 e 0,4% degli HP.

    La distribuzione delle classi e categorie

    Per uno studio sistematico della distribuzione geografica delle industrie è necessario distinguere, ovviamente, le varie classi e categorie, ciascuna delle quali subisce l’azione di particolari fattori ambientali secondo la loro natura tecnica, le loro esigenze economiche, i loro riflessi sociali, ma è anche necessario tener presente la distinzione in strati dimensionali. E intendiamo di « dimensioni delle unità locali operative », dacché i processi di localizzazione che pongono in essere la distribuzione geografica delle industrie sono i processi di localizzazione delle singole unità produttive.

    Questa seconda distinzione è necessaria perchè in talune classi di industrie, proprio in quelle che presentano il maggior numero di unità locali, lo strato più basso (con addetti i 02, ed anche fino a 5, per ciascuna di esse) si può considerare praticamente « ubiquitario ». Vale a dire che lo si riscontra dappertutto, cioè almeno in ogni località nella quale si trovi insediato un gruppo umano di qualche consistenza. Così si dica, e lo si è già implicitamente osservato, per le industrie meccaniche, per quelle del vestiario e abbigliamento, del legno e per talune delle alimentari (enologica, molitoria, panificio). Per queste industrie bisognerebbe limitare lo studio della distribuzione e dei processi di localizzazione agli strati superiori, della media e grande industria. Ma il censimento 1951, non pubblicando al riguardo dati per comuni ma solo per province, ci può essere di scarso aiuto.

    Le industrie più spontanee neirEmilia sono quelle di trasformazione dei prodotti dell’agricoltura e deH’allevamento. In aree più ristrette e meglio definite lo sono anche: i° quelle connesse alla pesca ed all’acquicoltura; 2° quelle connesse allo sfruttamento delle risorse minerarie strido sensu (zolfo, petroli e, ora, metano); 30 quelle connesse allo sfruttamento del bosco (ma con ben scarso sviluppo per l’impoverimento di esso e la conseguente tutela del suo rinnovarsi); 40 quelle connesse allo sfruttamento dell’energia fornita dai corsi d’acqua.>

    Accanto a queste industrie di più immediata spontaneità, tutte le altre, che vedremo pur cospicue nella regione, debbono dunque il loro sviluppo alla presenza di un’abbondante massa umana di produttori-consumatori, ricca di iniziative e d’ingegnosità, in cui concorre il maturarsi e perfezionarsi continuo di capacità tecniche e organizzative e il formarsi di una notevole potenzialità economico-finanziaria. L’analisi indubbiamente ci ricondurrebbe a trovare che le radici di tale potenzialità affondano ancora anzitutto nel fertile terreno defl’economia agricolo-allevatrice regionale.

    In conseguenza di questi princìpi, che ci sono rivelati dalla secolare storia dell’indu-stria nell’Emilia, dovremo distinguere forme generali di localizzazione delle industrie — e queste troveremo collegate anzitutto con la distribuzione della popolazione — e forme di dettaglio, le quali analiticamente appariranno dominate in molti casi da una serie variata di altri fattori, generalmente in più stretto legame con la natura (distribuzione di materie prime, di sorgenti di energia, ecc.), ma talora non diversamente spiegabili se non per l’intervento di una volontà umana, ora collettiva, ora spiccatamente individuale (3).

    Le considerazioni testé fatte sulla distribuzione dei comuni « importanti » nell’economia industriale consente di rinnovare la constatazione che la distribuzione degli addetti all’industria ripete con maggiore accentuazione quella dell’addensamento degli abitanti. La direttrice della via Emilia come attira la massa maggiore della popolazione, e particolarmente di quella che vive accentrata, così attira almeno la metà di tutta l’attività industriale della regione, in quanto possa valutarsi a seconda del numero di addetti. Se poi vogliamo analizzare l’importanza tecnica e organizzativa delle industrie considerate, allora si osserva ancor meglio il concentrarsi della vera e propria grande industria lungo la via Emilia o nei pressi (Cortemaggiore) con poche eccezioni distanti (Ferrara, Carpi, oggi Ravenna).

    Veduta di Tresigallo.

    Per studiare la localizzazione di dettaglio, o distribuzione topografica, come crederemmo sarebbe opportuno dire, conviene prendere in esame i singoli tipi di industrie. Ma potremmo osservare con qualche dettaglio i processi di localizzazione delle industrie più spontanee in rapporto all’ambiente naturale, mentre per quelli delle altre industrie — se pur sorte per « bisogni » dell’ambiente e per esigenze sodali-demografiche tradottesi in iniziative localizzate — dovremo limitarci, in un quadro generale come per forza deve essere il presente, alle considerazioni premesse.

    Distribuzione e localizzazione delle industrie « spontanee »

    Non è necessario spendere parole sulla localizzazione delle industrie estrattive dello zolfo, del petrolio e del gesso, strettamente condizionate all’affioramento localizzato dei minerali sfruttati e in parte (petroli) al risultato di ricerche con procedi-

    menti tecnici raffinati. Men concentrata anzi piuttosto diffusa l’estrazione del metano, e in via di ulteriore diffusione, praticamente in quasi tutta la pianura. Per ora, comunque, si notano cinque relative concentrazioni, che hanno i loro poli in Cortemaggiore, Correggio, Consàndolo, Alfonsine e Ravenna, e qualche minore centro a Podenzano, San Giorgio Piacentino, Budrio, Molinella, Cotignola, Tresigallo.

    La definizione delle località per le saline è dovuta a ragioni storiche, e, a Comacchio, anche a condizioni fisiografiche particolarmente favorevoli.

    La localizzazione delle cave di pietra da costruzione e da calce è dovuta anzitutto anch’essa alla distribuzione delle forme litologiche e, topograficamente, al reticolo delle comunicazioni. Diffuse ma statisticamente mal precisabili sono le attività dei cavatori di ghiaie e sabbie fluviali.

    Industrie direttamente derivate dai minerali locali sono:

    1. quelle delle calci e cementi e del gesso da presa, localizzate presso le cave e, in parte minore, presso i grossi centri urbani;
    2. quelle dei laterizi, diffuse nella pianura e nei bassi fondivalle maggiori, in connessione coi principali centri di consumo e con le vie;
    3. quelle delle ceramiche, localizzate in centri tradizionali (Faenza, Imola, Sassuolo);
    4. le raffinerie del petrolio e dello zolfo, presso i centri maggiori più prossimi ai luoghi d’estrazione, preferibilmente ancora tuttavia lungo la via Emilia: Fornovo, Fiorenzuola d’Arda per il petrolio, Borgo Panigaie e Cesena per lo zolfo, ma oggi dobbiamo aggiungere Cortemaggiore e, per i petroli d’importazione, Ferrara e specialmente Ravenna;
    5. quelle particolari di Salsomaggiore, ove alcuni pozzi dànno acqua minerale, gas illuminante e petrolio, e dall’acqua si traggono sale e acque-madri per usi medicinali.

    Nelle industrie del legno si nota anzitutto la grande prevalenza delle piccole aziende con carattere artigiano. Cercare leggi della localizzazione per così piccole imprese industriali, evidentemente diffuse dappertutto a seconda della diffusione della popolazione, potrebbe apparir vano.

    I concentramenti, che pur si riscontrano, si adeguano in genere ai concentramenti della popolazione. Così Bologna riassume i/io degli addetti e i/6 degli esercizi di tutta la regione. Tuttavia qualche altro concentramento acquista particolare rilevanza e carattere, fondato sulla tradizione (Carpi, Faenza, ecc.).

    Industria condizionata all’ambiente è invece quella del « carbone di legna », praticata nei boschi della media e alta montagna, specialmente nelle faggete. Ma quasi impossibile è ottenere ragguagli statistici di questa tradizionale pittoresca attività, da tempo in netto declino, sia per le limitazioni imposte al taglio dei boschi, sia per la diminuzione della richiesta.

    Altra industria derivata dal legno è quella del tannino (Porretta Terme) presso i castagneti.

    Le segherie infine sono piuttosto scarse nella loro localizzazione naturale lungo i corsi d’acqua della montagna e invece relativamente assai più numerose e ragguardevoli presso i centri urbani maggiori, con impiego di motori elettrici e di materia prima d’importazione.

    Ben localizzata appare invece Yindustria della carta, come ovunque legata a caratteristiche idrografiche, ma con scarso supporto nella materia prima locale.

    Le cartiere minori impiegano come materia prima la paglia, altre gli stracci; soltanto le maggiori anche pasta di legno d’importazione.

    Importanti sono le industrie poligrafiche, con tradizioni nobilissime, e valga il solo nome del Bodoni: ma anch’esse sono localizzate quasi soltanto nei centri maggiori, accentuatamente in Bologna, Parma, Modena e Piacenza. Dei centri non capoluogo di provincia sono interessanti al riguardo Imola, Faenza e Rocca San Casciano.

    Assai modesto è lo sviluppo delle industrie tessili, specialmente se lo si confronta a quello di altre regioni, pure non molto più favorite da condizioni naturali dell’ambiente (Lombardia, Piemonte, ecc.). Tuttavia le modeste industrie tessili emiliane si presenterebbero con caratteristiche interessanti per gli studi sulla localizzazione.

    Si tratta però di industrie in crisi. L’Emilia, e più precisamente con le basse bolognese, ferrarese e ravennate, ha tenuto a lungo il primato nella coltivazione della canapa, oggi passato alla Campania (13.373 ha. nel 1956 contro 17.294). L’industria relativa nel 1927 impegnava 178 esercizi con 3.358 addetti. Al censimento 1951 le unità locali erano salite a 204 però con 1994 addetti (compresa la fabbricazione di cordami e spaghi che nel 1927 interessava 108 esercizi con 1796 addetti e nel 1951 unità locali 82 con 712 addetti).

    Le « unità locali » sono concentrate nei comuni urbani vicini alla zona di coltivazione (Bologna, Ferrara, Ravenna, Rimini) e in alcuni minori entro la stessa (San Giovanni in Persiceto, Cento, Pieve di Cento, Ro).

    L’altra industria tessile caratteristica dell’ambiente sarebbe quella della seta. Relativamente sviluppata prima del 1915 si è sempre più ridotta fino a praticamente annullarsi con il diminuire e il restringersi della bachicoltura. Nel 1927 c’erano ancora 13 filande con 1772 addetti; nel 1951 si sono rilevate una unità locale per la trattura, una per la torcitura, una per la tessitura, con 5 addetti in tutto, e sono nella sola provincia di Forlì, mentre nel 1927 ce n’erano anche nel Modenese e nel Piacentino.

    Piccoli lanifici si incontrano nella montagna, in connessione col locale allevamento ovino: così nel modenese il gruppetto di Fiumalbo, Pavullo, Fanano.

    Quel po’ d’industria tessile che si incontra nell’Emilia è quindi ora interamente atipica, cioè fondata su materia di importazione e accentrata nei maggiori agglomerati urbani.

    In rapporto con l’abbondanza di materie prime nell’attorniante zona principale dell’allevamento, si sviluppano le industrie delle pelli e cuoi, lungo la via Emilia e nei maggiori centri della pianura, ma anch’esse ricorrono in parte alla importazione.

    Recente ma dotata di un certo grado di spontaneità la produzione di energia idroelettrica.

    Nelle centrali idroelettriche convien distinguere due tipi: quelle destinate a distribuire energia per usi industriali e per illuminazione e quelle destinate a fornire energia per la trazione ferroviaria. L’alto bacino del Taro e specialmente quello del Reno, in quanto percorsi da importanti arterie del traffico nazionale, hanno visto localizzarsi grandi serbatoi e centrali di questo secondo tipo. Quelle del primo si possono ancora distinguere in centrali di montagna e centrali di piano, o, meglio, allo sbocco delle valli in piano.

    Ma, nell’un caso e nell’altro, le valli prescelte, pur rispondendo nella localizzazione topograficamente alle esigenze tipiche proprie di questa industria (condizioni del bacino imbrifero, plastica e natura litologica della « stretta » sbarrata, ecc.), sono state preferite principalmente in ragione dello sviluppo generale demografico-eco-nomico dei distretti pedemontani sui quali le valli stesse gravitano. Così, per ambedue queste ragioni, mentre relativamente frequenti sono ormai le centrali nell’Appennino piacentino, parmense e bolognese, e talune abbastanza grosse, esse mancano quasi affatto in quello romagnolo.

    Fra le industrie chimiche, connesse a materie prime locali appaiono soltanto le tradizionali modeste industrie del tannino, dell’essenza di violetta e quella del cre-mortartaro e dell’acido tartarico dalle fecce della vinificazione (Carpi, Modena, ecc.). Ma ora vi si aggiungono le altre che utilizzano il metano.

    Distribuzione degli addetti alle industrie manifatturiere.

    Bella galleria di prosciutti in uno stabilimento di Parma.




    La breve rassegna delle industrie da considerarsi    spontanee in    rapporto    all’ambiente, in quanto nell’ambiente fisico trovano le loro materie prime o comunque il loro fondamento, avrà termine con le alimentari.

    Per le viste caratteristiche della produzione agricola e allevatrice un notevole sviluppo è da attendersi in questa classe. E più volte si è già avuto occasione di mettervi l’accento.

    D’altra parte valutare l’importanza di esse sulla base del numero degli addetti, come pure siamo stati tenuti a fare per opportuna omogeneità di riferimenti, comporta qualche difficoltà, per il fatto che talune, e fra le più importanti (saccarifera, conservazione e confezione frutta e verdure), si svolgono con un ciclo produttivo che si esaurisce in una stagione. In tal modo esse impiegano per un periodo limitato un gran numero di persone, che nel restante corso dell’anno appaiono disoccupate o diversamente e variamente occupate, gli uomini come operai generici dell’industria, dell’agricoltura, ecc., le donne come attendenti a lavori domestici. E si ricordi che il censimento del 1951 venne eseguito al 5 novembre.

    Deposito di stagionatura del tipico formaggio « grana parmigiano ».



    L’industria molitoria comprende oltre 2000 molini grandi e piccoli lungo i corsi d’acqua e i canali, in tutta la regione, e una trentina di grandi molini moderni (2 con oltre 1000 HP e 7 con 620 HP in media) presso i maggiori centri di Parma, Bologna, Ferrara ed uno anche a Ravenna, parzialmente occupato nella lavorazione di grani d’importazione dall’estero.

    Notevoli industrie delle paste alimentari si hanno solo in qualche grosso centro, come Bologna, Ferrara, Parma e Ravenna.

    Brillatura e pilatura del riso prodotto localmente e in parte importato si fa in una trentina di piccole aziende sparse, ma specialmente in provincia di Bologna.

    L’industria saccarifera, come s’è visto, è forse l’unica della regione che si presenti organizzata e attrezzata con le caratteristiche di grande industria. Il suo sviluppo è condizionato all’importanza della bieticoltura, localizzata originariamente nelle basse bolognese, ferrarese e ravennate, ma diffusa poi anche ai margini di esse, nel Modenese, nel Reggiano da una parte, come nel Forlivese dall’altra, con una produzione che è circa il 45% della totale italiana. La produzione media di barbabietola

    Stabilimento conserviero « Rolli », sala lavaggio. Parma è intorno a 12 milioni di quintali nella provincia di Ferrara, 5 in quella di Ravenna e di Bologna, ecc. Al censimento 1927 risultavano 23 stabilimenti con 4485 addetti; nel 1951 26 con 4730 addetti. Sono già aumentati (1959) a 29. Tre sono le localizzazioni tipiche degli stabilimenti:

    1. lungo il Po, con parziale impiego della navigazione fluviale pel trasporto della materia prima;
    2. lungo la via Emilia, nei maggiori centri demografici produttori-consumatori, da Piacenza a Cesena;
    3. nella zona di più intensa produzione bieticola.

    Quest’ultima assomma il maggior numero di stabilimenti: una decina nella sola provincia di Ferrara e 4 in quella di Ravenna.

    Industria della conserva di carne è a Bologna; quella delle anguille marinate a Comacchio, e non potrebbe essere altrove.

    Conserve alimentari derivate dall’orticoltura sono principalmente quelle del pomodoro. Di quest’ultimo l’Emilia dà circa un    quarto    della produzione nazionale. Centro principale deH’industrializzazione è Parma, cui seguono Piacenza e Bologna.

    Marmellate e conserve di frutta si preparano tipicamente nei due centri di zone frutticole di Cesena e di Massalombarda.

    Stabilimento conserviero “Rolli”, sala lavaggio. Parma

    L’industria casearia è sviluppata, con le interessanti caratteristiche d’organizzazione economica proprie quasi ovunque dell’intensificarsi di questa industria (cooperazione), nel Parmense e nel Reggiano, e in minor misura nelle plaghe vicine, zone d’intenso allevamento bovino.

    Si accompagna a questo sviluppo quello dell’allevamento suino, intensivo nelle zone del caseificio, domestico ed estensivo nelle altre. La derivata industria delle carni insaccate è quindi sparsa un po’ dappertutto, ma ha centri principali e tradizionali a Bologna, Modena, Parma, Sassuolo, Ferrara, eccetera. Industria enologica organizzata su ampie basi si incontra nell’alta pianura da Parma a Cesena e Lugo (imprese individuali e cantine sociali). Prevale tuttavia la produzione domestica e quella di piccole aziende sparse un po’ dappertutto. In complesso la produzione normale del vino tocca il 7-8% di quella nazionale e assorbe quantità non trascurabili di mosti importati, specie pugliesi.

    « Latterie cooperative riunite » della provincia di Reggio Emilia.

    Conclusione

    In conclusione nel quadro generale delle industrie propriamente dette (cioè escluse le edilizie) si possono indicare, dal punto di vista dei rapporti con l’ambiente, tre « famiglie » di industrie che diremo tipiche, semitipiche e atipiche.

    Industrie tipiche intendiamo quelle più direttamente condizionate all’ambiente naturale, in quanto fornitore di materie prime. Oltre le estrattive, vi comprenderemo quindi le industrie alimentari in primo luogo, indi quelle di lavorazione di minerali non metalliferi (fornaci, ceramiche, industrie dello zolfo e del petrolio e metano), la produzione e distribuzione di energia idroelettrica e acqua, l’industria della canapa.

    In complesso, al censimento 1927, erano 9695 esercizi con 57.697 addetti; nel censimento 1951 8263 unità locali ma con 66.052 addetti.

    Semitipiche consideriamo le industrie che fruiscono in parte di materie prime locali, come quelle del legno e quelle delle pelli e cuoi, oppure che sfruttano energia naturale e in parte materia prima locale, come l’industria della carta, insieme con le industrie chimiche, non tanto per il piccolo contributo di materie prime e di forze naturali del luogo, quanto perchè principalmente sorte a rispondere ad una esigenza dell’ambiente naturale (industrie dei fertilizzanti). E per la stessa ragione l’industria produttrice di macchine agrarie.

    A queste uniamo la categoria « combinazioni di industrie di diverse classi ». In totale quindi 1352 esercizi con 34.681 addetti nel 1927 e 9728 unità locali con 43.300 addetti nel 1951.

    Chiamiamo atipiche le altre industrie, in quanto il loro sviluppo non è diretta-mente causato dalle condizioni naturali dell’ambiente, ma dalle generiche esigenze e capacità produttive della numerosa e progredita popolazione. In questo gruppo le classi che risultano più notevoli, al censimento, sono quelle del vestiario, abbigliamento, ecc., e le altre meccaniche e tessili, tabacco, poligrafiche, gomma (4), ecc.

    L’importanza rispettiva delle condizioni naturali e umane (vorremmo dire anzi demografiche) nella localizzazione delle industrie nell’Emilia viene lumeggiata dalla ripartizione percentuale a pagina seguente.







      Esercizi o unità locali   Addetti  

    1927

    1951

    1927

    1951

    Industrie tipiche

    22,50

    15.25

    34.00

    30,02

    Industrie semitipiche.

    22,30

    17.95

    21,30

    19,68

    Industrie atipiche

    55,20

    66,80

    44.70

    50,30

    Totale

    100,00

    100,00

    100,00

    100,00

    L’importanza degli esercizi industriali si dispone in ordine inverso, come è indicato dalla media degli addetti per esercizio, che nel 1927 era per le industrie tipiche di 5,7; per le semitipiche di 3,7; per le atipiche di 3,1 (prevalenza dell’artigianato), e nel 1951 rispettivamente 7,84, 4,45, 3,06.

    Il confronto fra i rilievi sui due censimenti ci dice (non tanto col numero di unità locali che può essere influenzato dai criteri di rilevazione, quanto col numero di addetti) che nel venticinquennio è in diminuzione la partecipazione delle industrie tipiche e un poco anche quelle delle semitipiche, mentre le atipiche, conservando la massima diffusione, sono in aumento, sino a oltrepassare la metà degli addetti (e i due terzi delle u. !.).

    Industrie edilizie

    Un cenno a parte ci siamo ripromessi di dare su quelle che la statistica ufficiale indica col nome di « industrie delle costruzioni e deirinstallazione di impianti ».

    Il ramo interessava nel 1951 secondo il censimento demografico 105.973 individui (il 3% di tutta la popolazione residente); nel censimento industriale figurano appena 49.099. Appare nel divario tutto il peso della data e del criterio di rilevazione. Alla data del 5 novembre l’industria edilizia ha già ridotto di molto la sua attività, che si esplica a pieno ritmo nei mesi estivi. Quanto al diverso criterio, ricordiamo ancora una volta che, mentre il censimento industriale riferisce le unità effettivamente presenti al lavoro nel giorno della rilevazione, quello demografico comprende anche i disoccupati qualificati nel ramo e gli occupati residenti nella regione ma al lavoro fuori regione.

    D’altra parte la distribuzione territoriale sia delle unità locali (che sono i « cantieri » in atto in quel momento), sia degli addetti, sia della forza motrice, qual è rilevata dal censimento industriale è costituita solo in parte da localizzazioni con carattere permanente. Vi appaiono concentrazioni in comuni, nei quali nel giorno del rilevamento erano in corso opere di particolare imponenza, come costruzione di dighe, laghi-serbatoi e centrali, oppure di grandi opere stradali, di canalizzazione o bonifica, ricostruzione e sviluppo dell’edilizia urbana e così via. E fra esse vi sono concentrazioni destinate a dissolversi in un tempo più o meno breve o a migrare da un comune ad un altro.

    Per queste ragioni, quando vogliamo osservare la distribuzione territoriale di queste industrie, più che la distribuzione delle unità locali e degli addetti quale risulta dal censimento industriale, possiamo contare le ditte, cioè le sedi delle ditte, che si possono ritenere localizzate stabilmente. Ma neppur questo elemento è del tutto significativo, in quanto non viene riferita per comuni la « dimensione » delle ditte stesse.

    Una delle numerose cave di sabbia sul litorale tra Ravenna e Cesenatico.

    Stabilimento per la cernita della ghiaia del Santerno.

    I comuni che alla data del censimento 1951 erano sede di almeno 10 ditte del ramo risultarono 64 su 334 e riunivano 2411 ditte, su 3497 di tutta la regione, pari al 68,95% con una media di 37 per comune; mentre nei rimanenti 270 comuni erano disseminate altre 1086 ditte, con una media di 4 per comune.>

    Ma anche qui l’accentramento è forte: l’i 1,5% delle ditte è a Bologna; altro 22,25% in 6 comuni, altro 14,70% in 9 comuni con percentuali da 2,69 a 0,94 ciascuno. Ancor più rappresentativi forse i numeri: 403 ditte edili a Bologna, che operano nella città e un po’ per tutto intorno; da 105 a 165 ditte a Ferrara, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Modena, Forlì — tutti i capoluoghi di provincia, fino al 1951 esclusa Ravenna — ma poi ben 94 ditte a Rimini, centro di zona in fervore di costruzioni lungo la riviera romagnola, e poi Faenza, Ravenna, Cesena, Imola, Carpi con oltre 40 ditte ciascuna.

    Altro elemento che nel caso delle industrie edilizie ha maggior significato che non in quello degli altri rami è il numero di addetti a questo qual è risultato al censimento demografico. Esso ci dice quanti sono gli abitanti residenti in ciascun comune, i quali sono occupati nell’attività edilizia a prescindere dal fatto che lavorino nel comune stesso di residenza o in altri. Indica, cioè, quanto in ciascun comune concorra a dare occupazione, quindi reddito, il lavoro degli edili.

    Qualche esempio servirà di chiarimento. Il censimento industriale 1951 dà addetti alle « costruzioni e impianti » 830 individui nel comune di Cortemaggiore mentre il censimento demografico ne assegna alla categoria soltanto 263. Le 567 unità di differenza sono lavoratori che, provenendo da altri comuni (e rientrandovi) lavorano o, meglio, lavoravano in quel momento nel comune di Cortemaggiore.

    Viceversa, per non uscire dalla provincia di Piacenza, nella popolazione del comune di San Giorgio Piacentino erano 230 addetti a « costruzioni e impianti », mentre al censimento industriale risultavano appena 29 (ventinove) gli addetti al ramo presenti nelle « unità locali » al lavoro nel comune stesso.

    Questi numeri ci dicono dunque l’importanza che ciascun comune ha nell’economia della industria delle costruzioni in quanto fornisce ad essa i lavoratori.

    Con oltre 1000 addetti figurano — nel censimento demografico, ripetiamo — i comuni di Bologna (9093), Ferrara (4413), Rimini (3662), Parma (3402), Ravenna (2745), Reggio (2372), Modena (2235), Forlì (1948), Cesena (1769), Piacenza (1738), Faenza (1224), Castiglione dei Pepoli (1170), Carpi, Lugo, Imola, Riccione.

    Su 105.973 addetti al ramo secondo il censimento demografico, questi 16 comuni ne riuniscono 39.836, cioè il 37,60%.

    L’accentramento delle sedi degli addetti è assai minore di quello delle sedi delle ditte. La stessa Bologna che concentra 1*11,5% delle ditte primeggia anche e di gran lunga per numero di addetti, ma non ne concentra più dell’8,6%.

    Abbiamo poi anche calcolato il rapporto fra codesti addetti e la popolazione residente. Esso dà pure un’idea dell’importanza che ciascun comune ha nell’industria edile, ma in più, e ancor meglio, ci illumina sull’importanza che l’industria stessa ha per l’economia dei singoli comuni.

    Ne riscontriamo alcuni piccoli, per i quali l’occupazione nell’edilizia è attività prevalente sùbito dopo l’agricoltura e in qualche zona di montagna ancor prima che questa, o comunque vi è attività caratteristica.

    Per quanto 1*8,6% di tutti gli addetti all’edilizia della regione risieda in Bologna, essi non costituiscono più del 2,67% della popolazione residente in questo comune. Ma nella stessa provincia troviamo sùbito Castiglione dei Pepoli e Granaglione, comuni di montagna, nei quali rispettivamente il 14 e 1’11% degli abitanti residenti (vecchi, bambini, donne compresi) è addetto o ascritto al settore edilizio. Non tutti occupati, purtroppo, e non tutti, certamente, lavoranti sul posto, ma tutti che almeno sono stati (come vogliono le norme del censimento) e sono pronti ad essere occupati in questo settore. Il motivo non recondito, specie per Castiglione, è che in tempi non lontani vi sono state nel territorio grandi opere pubbliche e quindi coloro, che vi furono occupati e risiedevano o sono rimasti nel comune, hanno dichiarato quella come loro qualifica professionale.

    Ma la vocazione e la disponibilità per il lavoro edilizio è diffusa un po’ in tutta la montagna bolognese: lo dicono le percentuali di Castel di Casio (7,2), Lizzano (9,9), Loiano (7,3), Monghidoro (9,8), Monzuno (9,2), San Benedetto Val di Sambro (9,8), Vergato (8,1) e altre ancora fra il 5 e il 7%.

    Anche nella corrispondente zona delle altre province emiliane occidentali non mancano rapporti analoghi: nel Modenese Fanano (9,3), Fiumalbo (9,1), Montecreto (7,6), Sèstola (8,3); nel Reggiano Busana (12,1), Quattro Castella (7,2), Rami-seto (7,2); nel Parmense Berceto (7), Monchio delle Corti (9,6). Nella collina e montagna romagnola si notano Bagno di Romagna (7,5), Sàrsina (7,3), Verghereto (12,1) in provincia di Forlì. In piano soltanto Riccione (nella stessa provincia) tocca il 7%. Per il resto, in tutti i comuni della pianura i rapporti si aggirano fra l’1 e il 3%.

    Ferrara. Stabilimento Idrocarburi della Montecatini: impianto olefine.

    L’industria nelle subregioni dell’Emilia-Romagna.

    Può interessare vedere come si distribuisce l’attività industriale nelle zone e subregioni in cui si è vista articolata la regione.

    Per considerare, anzitutto, l’importanza dell’industria nella loro economia, ci serviremo anche in questo caso del rapporto percentuale fra numero di addetti e popolazione residente.

    Per le industrie estrattive e manifatturiere, insieme, esso è minimo nella montagna, intorno al 2-2,5% (con s°la eccezione della montagna bolognese dove si arriva al 5,17%).

    Massimi sono invece nella zona pedemontana occidentale e bolognese, dal 12,03% del pedemonte reggiano al 13,62% di quello modenese. In Romagna (esclusa Imola, compresa nel Bolognese) si scade all’8,61% del Forlivese-Faentino e al 6,82% del pedemonte-litoraneo riminese.

    Pianura e collina presentano valori simili fra loro.

    Nella pianura i rapporti variano fra i 9,45 del Piacentino e 9,42 dell’alto Ferrarese da una parte e da l’altra i 7,09 del Parmense e 7,08 della pianura romagnola interna, salve le due eccezioni della pianura romagnola litoranea (6,61) e del basso Ferrarese (4,90).

    Nella collina occidentale si va dall’8,79% della modenese al 7,02 della reggiana, mentre nel Bolognese e nella Romagna ci si riduce rispettivamente al 5,58 e 3,87%.

    Se invece consideriamo la partecipazione delle quattro zone al complesso delle industrie estrattive e manifatturiere della regione, balza ancor più vivo il contrasto. La montagna mette insieme (secondo il censimento demografico) appena il 3,43% di tutti gli addetti ai due rami, mentre il pedemonte addirittura il 54,07% (con una concentrazione già del 20% nel Bolognese — Bologna, Imola, Casalecchio — seguito dal Modenese col 7,25, dal Romagnolo col 5,44 e dal Parmense col 6,42).

    La pianura poi riunisce il 30,57% (estesa come è) e la collina l’i 1,93% (ma è anche molto meno estesa). Nella pianura i contributi principali sono dell’alto Ferrarese (6,6%), della modenese (4,9) e della bolognese (4,8); i minimi, per contro, nella pianura piacentina (1% anche perchè il comparto è piccolissimo), nella parmense (pur essa di scarsa estensione, 1,4%). Vasta invece la pianura litoranea romagnola e specialmente la bassa ferrarese, che tuttavia non raggiungono più del 2,33 e 3,37% rispettivamente.

    Nella ripartizione fondamentale in quattro grandi subregioni, l’Emilia occidentale o dei Ducati (estesa poco meno della metà di tutta la regione) tiene il 45,8% degli addetti, mentre il Bolognese, pur così piccolo, ne raggruppa ancora il 27,2%. Seguono la Romagna col 17% e il Ferrarese col 10%.

    La distribuzione degli addetti alle industrie elettriche, del gas e dell’acqua — non molto numerosi, come si sa — segue pressappoco quella della popolazione. Il 18,63% riunito nel pedemonte bolognese non fa quindi gran che eccezione a questa norma. Come invece fa eccezione il 7% della montagna reggiana. In complesso: montagna 14%; collina 8%; pedemonte 58%; pianura 20%.

    Nel ramo costruzioni e impianti, infine, si riscontrano minori disparità, salva la punta del pedemonte bolognese (11,85%). Nel complesso montagna 16,3%, collina 16,6%, pedemonte 37,8%, pianura 29,3%,. E ricordiamo che si tratta di dati del censimento demografico, cioè di addetti a disposizione deH’industria edilizia residenti (non tutti operanti) nei Comuni delle rispettive zone.

    Vedi Anche:  Storia dell'Emilia Romagna