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Distribuzione della popolazione

    la popolazione nelle città e nelle campagne

    La distribuzione della popolazione, ieri e oggi

    Nel precedente capitolo si è visto come la densità della popolazione piemontese vari con diversa progressione nel tempo. Passando ora alla distribuzione della popolazione sul territorio della regione, riprendiamo l’argomento della densità per osservare come essa si presenti oggidì. Anzitutto nelle province. Qui, di fronte ai minimi di 30 ab. per kmq. della valle d’Aosta e di 79 ab. per kmq. nella provincia di Cuneo, spicca un massimo di 244 ab. nella provincia di Torino. Ma anche con la presenza di un centro urbano quasi milionario, siamo lontani dai 1777 abitanti per kmq. della provincia di Napoli, dai 900 di Milano, dai 505 di Genova, dai 462 di Roma, dai 398 di Varese. I valori intermedi (per il Piemonte) sono quelli di Novara (124 ab. per kmq.), di Vercelli (133), di Alessandria (134), di Asti (142).

    S’accostano dunque al massimo torinese non le densità delle province a carattere industriale, ma quelle delle province agrarie. Segno è che le conseguenze economico-demografìche dell’industrializzazione non sono, nell’ambito provinciale, sufficienti a ridurre l’influenza del rilievo e della natura del suolo. L’ultimo censimento, il IX, non ha più distinto la densità della popolazione per regioni agrarie, ma rifacendoci al precedente, è naturale che le minime densità si riscontrino nella zona altimetrica di montagna (Aosta, 26 ab. per kmq., Cuneo 35, Alessandria 44, Novara 67, Vercelli 79). Sono queste limitate densità che abbassano la media anche delle province a sviluppo industriale. E l’influenza del rilievo è manifesta anche nell’accentuare o nel ridurre le amplitudini della densità all’interno delle singole province. Uno sguardo alla carta fisica della provincia di Torino permette subito di comprendere come in essa si passi da 35 ab. per kmq. in montagna a 541 in pianura. Di gran lunga più equilibrate, quanto a distribuzione della densità di popolazione, le province collinari. La collina astigiana ha una densità di 163 ab. per kmq., la poca pianura della provincia una densità di 134 ab. per kmq. Anche in provincia di Vercelli la collina presenta una densità (182 ab. per kmq.) superiore a quella della pianura (124).

    Scaglionamento altitudinale di abitati nella montagna valsesiana (Fobello).

    La carta della densità della popolazione piemontese per Comuni mette in evidenza in montagna, come aree di minor rarefazione demografica, la valle d’Aosta, la vai di Susa, la vai Varaita, la valle Stura di Demonte. Ma più ancora fa spiccare una fascia alquanto regolare di notevoli densità, che corrisponde agli sbocchi vallivi ed ai più bassi contrafforti montani, da Mondovì, Cuneo, Saluzzo, al Pinerolese e su su, con massimi di densità nelle zone di Ivrea e di Biella. Codesti massimi non si ritrovano che isolatamente in pianura, in corrispondenza ai maggiori centri urbani, e sparsamente nelle colline dell’Astigiano e delle Langhe, anche qui in relazione ai centri più importanti. Tra le aree di pianura in cui la popolazione appare maggiormente rada si fanno notare quelle più vicine al Po e quelle della pianura vercellese e a nordovest di Novara.

    Densità del popolamento nella collina morenica canavesana.

    Densità della popolazione (sulla base delle circoscrizioni comunali).

    Accennando alla fecondità del terreno come causa della grandezza delle città, G. Botero dice che tale fertilità non basta a giustificare la grandezza degli agglomerati urbani « perchè vediamo province fertilissime come il Piemonte, dove non è città che meriti il nome di grande ». Di fatto, dice altrove il Botero, « il Piemonte è paese tutto buono e copioso e ognuno s’adatta e si ferma dovunque si trovi, onde non vi sono grandi centri, ma in compenso non v’è parte d’Italia dove le terre e i castelli siano più spessi e più grossi ».

    Lasciamo da parte le ragioni invocate dal Botero per spiegare la regolare, diffusa distribuzione della popolazione. Quel che conta è ch’essa appariva, sulla fine del secolo XVI, frazionata in un gran numero di centri e di borgate senza che, pur essendo abbastanza frequenti i luoghi di qualche importanza, nessuna delle città piemontesi avesse raggiunto ancora un notevole grado di sviluppo. Uguale impressione si ricava da dati intorno al 1750, raccolti come al solito dal Prato, e più precisamente dal numero dei centri nelle varie classi di ampiezza demografica quale allora risultava, messo subito a confronto con gli elementi statistici del IX censimento (1951).

    Classi di ampiezza demografica.




    Meno di 100 ab.

    Da 101 a 200 ab.

    Da 201 a 500 ab.

    Da 501 a 1000 ab.

    Da 1001 a 3000 ab.

    Da 3001 a 6000 ab.

    Da 6001 a 10000 ab.

    Da 10001 a 15000 ab.

    Da 15001 a 20000 ab.

    Oltre 20000 ab.

    1750

    59

    103

    327

    342

    350

    48

    7

    5

    1

    2

    1951

    867

    756

    771

    398

    265

    56

    13

    14

    4

    8

    Nel giro di due secoli l’accentramento della popolazione piemontese ha dunque subito notevoli variazioni che si possono così riassumere:

    1. forte accrescimento di centri piccolissimi e piccoli;
    2. relativa stazionarietà o modeste oscillazioni nelle classi di ampiezza intermedia ;
    3. sensibile incremento dei centri al disopra dei 6000 abitanti. E interessante seguire più da vicino i mutamenti intervenuti nel numero degli abitanti dei centri già in passato più popolosi.

    Come si vede, mentre alcuni centri, quali Fossano, Mondovì, Savigliano hanno appena accresciuto di poco la loro popolazione, altri come Novara, Biella, Vercelli hanno addirittura triplicato o quadruplicato il numero dei loro abitanti, e tuttavia sono stati nettamente distaccati da Torino che, per popolazione, è diventata venti volte quella che era due secoli fa. In linea generale si può osservare che i centri del Piemonte settentrionale, da Pinerolo a Novara, hanno acquistato in popolazione assai più che non quelli del Piemonte meridionale.

    Distribuzione dei centri abitati.

    In sostanza, alla decisa prevalenza di modesti centri e alla relativa uniformità derivatane al paesaggio è sottentrata una tendenza della popolazione a raccogliersi verso le categorie estreme, e, soprattutto, ad affluire verso i maggiori agglomerati urbani, il cui sviluppo costituisce il più vistoso fenomeno geodemografico di questo secolo. Mentre nel 1751 solo il 17,6% della popolazione abitava i capoluoghi di provincia, nel 1908 la percentuale era passata al 22,2% e nel 1951 essa raggiungeva il 25,9% della popolazione totale. Più in generale, nei centri al disopra dei 6000 abitanti si raggruppa il 36,4% del complesso degli abitanti. E siccome i numerosi piccoli centri al disotto dei 2000 ab. comprendono il 26,9% della popolazione, si conclude che, tra le varie ed accentuate categorie dimensionali in cui si è risolta l’antica uniformità distributiva, esiste uno stato di equilibrio che potrebbe riguardarsi come un indizio di sanità dell’intero organismo regionale.

    Piccoli centri e frazioni nelle colline del Monferrato (visti da Cocconato).

    Un paese (Andezeno) sul versante chierese della collina di Torino.

    In campo geografico fondamentale è la distinzione fra popolazione agglomerata — e cioè vivente in nuclei e centri abitati — e sparsa, che vive disseminata nelle campagne. Tale distinzione non è sempre collimata con quelle adottate dai censimenti, i quali, per altro, hanno seguito in materia criteri diversi. Ne consegue che i confronti nel tempo sono diffìcili. Tuttavia franca la spesa di tentarne qualcuno. Facendo il rapporto tra l’ammontare della popolazione agglomerata e l’ammontare dalla popolazione complessiva, si ricava che nel 1871 tale rapporto dava 742; nel 1881, 806; nel 1901, 768; nel 1911, 718; nel 1921, 651; nel 1936, 748; nel 1951, 758. Per questo indice, che si potrebbe chiamare di agglomeramento, e il cui aumento non appare così forte come si poteva credere, il Piemonte si avvicina alla media generale dell’Italia, ed è ugualmente lontano da quello delle regioni meridionali (massimi di agglomeramento) e delle centrali (minimi di agglomeramento).

    Quanto al numero dei centri, il censimento del 1871 ne porta 5090, quello del 1881, 4423, ciucilo del 1921, 5125 e quello elei 1951, 2986. È evidente che la variazione quantitativa fra un censimento e l’altro non è dovuta tanto alla scomparsa o alla creazione di centri abitati, quanto alla libertà lasciata agli operatori nello stabilire quando un gruppo di case si debba ritenere come centro. Il IX censimento, al fine di eliminare il maggior numero possibile di casi dubbi, ha introdotto il concetto di nucleo abitato. Secondo tale censimento ai 2980 centri del Piemonte, bisogna aggiungere 8774 nuclei. Comunque è certo che per numero di centri e di nuclei il Piemonte è al secondo posto dopo la Lombardia. Ed è al primo per i centri fino a 200 ab. e per i nuclei fino a 20 abitanti. A questo elevato numero di centri e di nuclei si accompagna un numero medio di abitanti per centro (473 nel 1871, 490 nel 1881, 496 nel 1921), che si mantiene solo lievemente superiore alle cifre minime che si riscontrano in Toscana, nelle Marche e nell’Umbria.

    Popolazione agglomerata (centri + nuclei) e sua distribuzione (sulla base delle circoscrizioni comunali).

    Tale accostamento a regioni in cui montagna e collina hanno usualmente tanta parte nel complesso del territorio, può già metterci sulla strada per spiegare l’intenso frazionamento demografico, si potrebbe dire, del Piemonte. Ma sulla stessa strada mettono altri dati. Quelli, per esempio, della popolazione accentrata o agglomerata rapportata alla sparsa, per provincia, da cui risulta che un altro elemento di differenziazione si aggiunge alla fisionomia delle province decisamente agrarie e cioè il minimo di popolazione agglomerata. Di fatto, mentre nelle province di Torino, di Novara, di Vercelli la percentuale di popolazione sparsa rispetto alla totale appare rispettivamente del 7,3, del 6,0, del 7,0%, nelle province di Alessandria, di Asti e di Cuneo, tale percentuale sale rispettivamente al 17,8, al 39,1, al 30,8%. Ma più che la fisionomia economica è visibile alla base l’influenza del rilievo. In realtà, l’accentramento della popolazione nella provincia di Torino non è soltanto da mettersi in rapporto con l’esistenza di un grande agglomerato urbano, ma anche, e forse soprattutto, con l’elevata proporzione di territorio montano, dove, come tipo di abitato, prevalgono, assai numerosi, i piccoli centri. Anche in valle d’Aosta la popolazione sparsa non è che il 9,5% della totale. Possiamo ancora ricordare che nella regione di montagna del Piemonte, il censimento del 1921 dava un numero di centri inferiori a 500 ab., pari al 79% del totale dei centri, mentre in pianura non si raccoglieva nello stesso gruppo di centri che il 57,4% del totale e in collina il 75%- Per contro le massime percentuali di popolazione sparsa si rilevano nelle regioni collinose. In quello stesso anno, più del 50% della popolazione sparsa risultava censita nella regione di collina, mentre nella pianura tale percentuale scendeva al 28° o e in montagna al 19%- E la zona che le circoscrizioni statistiche qualificano di collina comprende anche i morbidi bassi rilievi di sbocco delle valli, là dove terminano i contrafforti alpini, sui quali effettivamente, massime nel Canavese e nel Pinerolese, la disseminazione della popolazione è fenomeno costante. Non mancano, tuttavia, anche in pianura discrete proporzioni di popolazione sparsa: così, per es., nella pianura alessandrina, in larghe plaghe di quella di Cuneo, nei dintorni di Torino e di Novara.

    E concludiamo con alcuni dati sulla distribuzione altimetrica della popolazione in generale; dati che pur essendo meno espressivi di quelli della densità e dell’accentramento, hanno tuttavia un loro significato. Sulla base delle zone altimetriche distinte dalla statistica ufficiale risulta che il 17% della popolazione piemontese vive in montagna — l’opinione corrente è forse orientata verso una percentuale superiore — mentre il 50% abita in pianura ed il 33% in collina. Secondo il Capello, poi, la proporzione di popolazione stanziata in ogni singola valle, nelle due fasce fra 300 e 600 m. d’altitudine e fra 600 e 1200 m., oscillerebbe fra 1’88 ed il 99%. Assai scarsa è invece la parte di popolazione che abita fra i 600 ed i 900 m., in relazione, soprattutto, alla ripidità dei fianchi vallivi, soprattutto nelle zone più intensamente glacializzate.

    Tipi di dimore

    Oltre che dall’accentramento e dalla dispersione degli abitanti, e quindi delle dimore — onde nel paesaggio piemontese si alternano grossi agglomerati sullo sfondo di vaste campagne aperte e solitarie, a tratti fittamente punteggiati di case fra più piccoli appezzamenti di coltivi — notevoli aspetti di varietà derivano alla fisionomia del nostro territorio dal tipo delle dimore stesse. E qui parliamo evidentemente dell’abitazione rurale, come parlando di popolazione sparsa quasi sempre, implicitamente, ci riferivamo agli abitanti delle campagne. Basta riflettere un istante alla varietà del rilievo della nostra regione, alle reazioni che ne conseguono in campo economico, demografico, sociale, per attendersi che anche le abitazioni differiscano alquanto da zona a zona, da valle a valle.

    Di fatto, nella stessa montagna, pur dovendo rispondere ad un fondo comune di esigenze agricolo-silvo-pastorali — per cui, ad es., la stalla assurge dovunque a funzioni ed importanza preminenti — e pur non ospitando, quasi sempre, che una sola famiglia, la casa assume, diciamo così, tonalità diverse. Varia l’impianto costruttivo (possono di fatto aversi abitazione, stalla, fienile sovrapposti; giustapposti sulla stessa linea o ad angolo retto intorno a una corte o fronteggiantisi ; con scale interne od esterne; con o senza ballatoi; con presenza o meno di cantine, tettoie, magazzini ed edifici annessi come porcili, pollai, capanne per la custodia del raccolto, ecc.); varia il materiale impiegato (pietre a secco o legate con malta o calce, mattoni, tronchi di legno squadrati: tetto di lose, di tegole, di scandole, di paglia, di piote ertose; scale e ballatoi di legno o di pietra, ecc.).

    Tipico aspetto interno di un centro rurale piemontese (Cascinette d’Ivrea).

    Ecco, ad esempio, case a tre o quattro piani, slanciate nell’aspetto, come quelle di vai Vigezzo e della bassa Ossola, col tetto a duplice spiovente, poco sporgente e fortemente inclinato, con la facciata su uno dei fianchi brevi, e tuttavia ben diverse da quelle, pure a tre o quattro piani, delle valli di Lanzo, col tetto poco inclinato, balconi di pietra, facciata sul lato lungo. Il Blanchard nota come caratteristico delle Alpi piemontesi settentrionali questo spingersi delle dimore in altezza. L’affermazione è indubbiamente fondata, ma non permette di generalizzare, perchè di fronte alle elevate, abbastanza snelle costruzioni ora ricordate, ecco altre case di montagna basse, acquattate al suolo, e talvolta quasi schiacciate sotto il peso di un vasto tetto, le cui falde quasi lambiscono il suolo. Troviamo case di questo tipo in vai di Rhéme, ad Entrèves, in località dell’alta vai di Susa. D’altronde in vai Tanaro e cioè, all’estremo opposto dell’arco alpino occidentale, s’incontra un tipo di fabbricato rurale piuttosto alto, formato da più abitazioni in linea, divise da ali di muro sporgenti dalla facciata, tra le quali corrono lunghi ballatoi di legno. In un solo tratto della valle d’Aosta, la Valdigna, si distribuiscono tre tipi di dimore: a pianta quadrata con tetto a due spioventi (è il tipo più antico); a pianta rettangolare; a pianta quadrata con tetto, a quattro spioventi. Comunque la struttura interna delle dimore si mantiene press’a poco uguale. Vi sono abitazioni piccole e spesso graziose, come quelle comuni in certe zone della bassa Ossola, delle valli biellesi, delle valli pinerolesi; e in zone non molto lontane si drizzano dimore eli dimensioni cospicue, simili a fortilizi.

    Casa unitaria sviluppata in altezza (Cantoira, valli di Lanzo).

    Diffuso impiego delle « lose » nel tetto delle vecchie case di montagna (Bard, valle d’Aosta).

    Così nella media e bassa Valsesia, dove spicca un tipo imponente di abitazione a pianta rettangolare, con grosse e solide mura e con un loggiato, ricavato di taglio nella parte centrale o lungo tutta la fronte dell’edificio: particolari costruttivi (struttura architravata con portico-loggiato) che si ritrovano anche in vai Sessera. Aspetto pure molto solido e robusto ha il complesso costruttivo diffuso nella media valle di Susa. E di grandi dimensioni, fatto di blocchi di pietra, con piccole finestre ai piani superiori. Caratteristica è la grande porta carraia, che si apre al centro della facciata dell’edificio, ed a cui segue nell’interno la « basse cour », un lungo corridoio che serve di ricovero per i carri agricoli. Anche nell’alta valle di Susa (a Thures, per esempio) sono comuni grosse dimore a due o tre piani in cui la parte inferiore, di pietrame, con muri a scarpata, fa sì che la costruzione assuma nell’insieme l’aspetto di una casa fortificata. Un simile rinforzo di muri perimetrali accompagnato da scarsezza di finestre dà un’aria severa a case rurali della valle d’Aosta, e della valle Stura di Demonte.

    Quanto alla natura del materiale impiegato nelle costruzioni, la vecchia teoria che faceva della casa di legno il prodotto naturale di zone boscose è contraddetta in pieno dalla distribuzione delle case stesse, che generalmente compaiono nelle alte valli, e cioè proprio là dove il legname da costruzione è meno abbondante. In vai Formazza una forte nota di colore è data dalla casa di tipo vallesano, che ha in muratura solo lo zoccolo dell’edificio e la cucina, mentre i due piani, di cui consta, sono costruiti tutti in legno. Sulla facciata, ballatoi e balconcini, immancabilmente adorni di piante di geranio, rallegrano la vista. Analogo tipo di casa in legno con zoccolo in muratura troviamo nelle alte vallate che intagliano tutt’intorno il massiccio del Rosa: in vall’Anzasca (Macugnaga), in Valsesia (Alagna, Riva Val-dobbia, Carcoforo, Rima, Rimella), in vai di Gressoney. Più che non l’influsso di un dato ambiente naturale, ha qui evidentemente agito l’unità di un ambiente etnico. In vai d’Aosta l’abitazione di foggia più antica è generalmente a base quadrata, con zoccolo in muratura e pilastri pure in muratura, mentre le pareti sono formate da grossi tronchi rozzamente squadrati. Anche nell’alta vai di Susa, da Mollières in su, l’uso del legname si estende tanto da formare — in quel di Sauze di Cesana e a Thures — un’alta struttura di legno circondata di balconi che si direbbe gravare su un umile basamento di pietra.

    Vecchia casa caratteristica di Cogne (valle d’Aosta)

    Quasi schiacciata sotto l’ampio e pesante tetto è questa vecchia casa di Entrèves (valle d’Aosta).

    E questo proprio dove i boschi scarseggiano, mentre poco sotto, Salbertrand, Oulx, Sauze d’Oulx, dove dominano massicce costruzioni di pietra, hanno percentuali di boscosità abbastanza elevate (41, 46, 43%)- In vai d’Ayas e in Valtournanche tipica costruzione è quella dei fienili chiamati « rascard » (non di rado trasformati in parte abitata), rettangolari, costituiti da un pianterreno in muratura e da un piano superiore tatto di tronchi d’abete incrociati. La parte in legno è sostenuta da pilastri in forma di fungo, con gambo di legno e cappella di pietra, allo scopo, si dice, di tenere lontani dal fienile-granaio, i topi. Fienili in tronchi squadrati sono abbastanza comuni anche in altre parti della valle d’Aosta (esempio, Valsavaranche).

    E non è certo la mancanza o la deficienza di legname che può spiegare come nelle Alpi Cozie e Marittime domini incontrastato l’impiego della pietra, spesso solo rozzamente lavorata. L’impressione che queste dimore — dalle valli del Po e della Varaita a quelle della Stura di Demonte, del Gesso, del Vermenagna — lasciano nell’osservatore non è punto sorridente. Sotto le pesanti lastre delle «lose», compaiono quasi dovunque rozzi muri, quasi grigi o nerastri. L’intonacatura, frequente nelle Alpi Graie e Pennine, qui sembra quasi deliberatamente bandita, mentre rudimentali e sconnessi ballatoi aggiungono una nota di primitività a queste dimore, non di rado portanti ancora tetti di paglia.

    Anche sull’abitato rurale di montagna l’accentuarsi dei divari economici e sociali della popolazione, insieme al diverso progresso delle vie di comunicazione e del turismo, hanno influito nel senso di approfondire le lievi differenze di un tempo o di crearne delle nuove. Lo sviluppo del turismo ha determinato nelle zone di villeggiatura delle maggiori vallate sostanziali miglioramenti in numerose abitazioni di montagna. Il tetto di tegole è venuto a portare macchie di rosso in mezzo all’uniforme grigiore delle lose: balconi di pietra hanno sostituito quelli di legno; scale interne hanno preso il posto di quelle esterne. Per forza di contrasto sono venute a maggiormente risaltare la povertà, la rozzezza e lo stato di abbandono in cui si trovano molte abitazioni dei recessi alpini più lontani dalle vie di comunicazione, e quindi meno frequentati.

    Fienile e deposito del fogliame in una dimora alpina presso Valloriate (valle Stura di Demonte).

    Le grange di Monfol in val di Susa.

    Come è noto, l’utilizzazione dei pascoli montani richiede che lungo i versanti, al di sopra delle abitazioni permanenti, si scaglionino, a varia altezza, delle abitazioni temporanee: case d’abitazione con stalle e fienili (« munt » in vai d’Ossola, «cassine» in Valsesia, «mayen» in valle d’Aosta, «miande» nelle valli di Lanzo; «miande», «montagne», « fourest », nelle valli pinerolesi; « meire » nelle valli del Po e della Varaita; «fourest» nella valle della Stura di Demonte; «tetti» nella vai Gesso; «maire» e «tetti» nella vai Vermenagna; « morghe » in vai del Tanaro); fienili soli (« stadel » in vai Formazza e in vall’Anzasca, « strangie » in Valsesia, « rascards » in vai d’Ayas e in Valtournanche, « granzes » nell’alta valle d’Aosta, « travà » nel Biellese, « fnera » o « fnil » nelle valli pinerolesi, « cà del fen » in vai Varaita) e più in alto, locali di abitazione con stalle (« alp » in vai d’Ossola e in Valsesia; « alp », «arp», divisi in «montagne» e « tramail » in valle d’Aosta; «baite» in vai Soana; «alp», «tramut», nelle valli di Lanzo; «case», « grangie », «fnere», « bergerie », in vai di Susa; «bergerie» pure in vai Chisone; «grange» in vai Varaita; «alpi» e « gias », nelle valli cuneesi; « margherie » nell’alta vai Tanaro). Spesso intorno, e anche ad una certa distanza dalle abitazioni permanenti, sorgono primitive, piccole costruzioni di legno, di paglia, di foglie, che hanno più comunemente la funzione di racchiudere strumenti di lavoro, foglie per strame, ecc., e che prendono nome di « casot », « ciabot », « baraca », « barma », « fòiera », ecc. In muratura è invece il seccatoio delle castagne o « metato », particolarmente diffuso nella valle del Tanaro dove viene chiamato « scau » o « scavo » (Garessio).

    « Bergerie » dell’Orsiera in val di Susa.

    Le abitazioni con fienili si stendono nelle valli ossolane dagli 800 ai 1800 m. ; in valle d’Aosta dagli 850 ai 2200 m. ; nelle valli di Lanzo e in vai di Susa dai 700 ai 1600 m. ; in vai Chisone dai 1200 ai 1800 m. ; in vai Pellice dai 1000 ai 1700 m. ; in valle Stura di Demonte dai 1200 ai 1750 m. ; in vai Vermenagna dai 1200 ai 1600 metri. Queste dimore, quanto ad impianto costruttivo, disposizione dei fabbricati, materiale impiegato, ecc., sono appena meno varie delle sottostanti dimore permanenti, di cui spesso ripetono, in scala ridotta, con qualche semplificazione e maggior rozzezza, la struttura.

    Le abitazioni con stalle degli alti pascoli presentano esse pure una varietà di tipi in cui non è facile mettere ordine. Si tratta, quasi sempre, di edifici bassi e allungati secondo le curve di livello, per buona parte infossati nel fianco della montagna, costruiti di pietra. Ma il tetto può essere di lose, di lamiera, di scandole, di piote erbose: l’abitazione comprendere la stalla e il locale per la lavorazione del latte o essere separata con diversa disposizione dei fabbricati; oltre alla stalla per le bovine, esservi dei ricoveri per gli ovini, i caprini, i porcini, ecc. Alpi, baite, grange, generalmente non sorgono isolate, ma formano dei gruppi ora serrati, ora relativamente lassi, che nelle valli ossolane s’incontrano fra i 1400 e i 2600 m. ; in vai d’Aosta fra i 1350 e i 3200 m. ; in valle dell’Orco fra i 2000 e i 2700 m. ; in vai d’Ala fra i 1300 e i 2400 m. ; in vai Pellice fra i 1500 e i 2600 m.; in vai del Gesso fra i 1700 e i 2500 m.; nelle alte valli Arroscia e Tanarello fra i 1300 e i 1500 metri. In seguito allo spopolamento montano i limiti altimetrici delle dimore alpestri permanenti e temporanee hanno subito modificazioni talvolta sensibili. In Valtournanche, per esempio, l’estendersi dei pascoli e il contrarsi delle colture hanno determinato un chiaro abbassamento del limite delle abitazioni permanenti. Uguale fenomeno deve essersi verificato in parecchie altre valli del bacino aostano.

    La pianura piemontese vede variare le sue dimore rurali principalmente in funzione dell’ordinamento produttivo dato alla terra e della qualificazione economica dei suoi abitanti. Ma tutto ciò, come vedremo, è legato alle condizioni fisiche del suolo sicché, anche a proposito di abitazioni rurali, strutture ed aspetti risultano sostanzialmente modellarsi su quelli a suo tempo distinti nelle caratteristiche naturali della pianura stessa. Sui lembi dei ripiani terrazzati più alti, e quindi più vicini alla montagna, ricoperti di discreti terreni agrari, e dove domina la piccola coltivazione ad opera diretta di piccoli proprietari, piccola è di conseguenza la dimora rurale, che comprende in un sol corpo abitazione e rustico (cucina e stalla a piano terreno: camera da letto e fienile al primo piano). Essa conserva ancora, qua e là, caratteri arcaici, quasi submontani, come il tetto di lose e il ballatoio di legno con l’intreccio di pertiche per far essiccare la meliga. Tra i locali ha un certo sviluppo la cantina, specie nelle case che sorgono sull’orlo dei terrazzi limitanti i pianalti, dove la vite ha una maggior diffusione. Appartengono a questo tipo di abitazione i « ciabot » descritti dal Lorenzi come caratteristici dei ripiani cuneesi. Nell’alta pianura pine-rolese, torinese e canavesana la frequente trasformazione dei piccoli proprietari in operai dell’industria ha portato seco il rifacimento o l’abbellimento di molte di queste dimore, che conservano, tuttavia, la piccolezza delle dimensioni, mentre in quelle rimaste immutate non sempre un velo di intonaco viene a nascondere il pietrame unito al mattone nei muri. L’uso prevalente della pietra in costruzioni severe che sembrano testimoniare preoccupazioni difensive rende suggestivo l’aspetto di certe borgate rurali dell’alta pianura biellese.

    Vecchia cascina tipica della pianura cuneese (Beinette).

    In quell’isolato lembo dell’alta pianura piemontese che è l’agro di Poirino, l’ordinamento colturale in assoluta prevalenza cerealicolo e l’esistenza di non poche proprietà superiori ai 50 ettari danno ragione delle maggiori dimensioni dei fabbricati, in taluni dei quali, pur costituiti da due piani fuori terra, l’elemento di composizione della muratura è il mattone crudo, essiccato soltanto al sole. «Vaude» e baragge, insieme ad un proprio complesso di forme di utilizzazione agraria del suolo, presentano tipi di abitato che tendono a raccogliere, intorno ad una corte, case di più famiglie col relativo fienile. La casa ha lunghi ballatoi ai quali si accede di solito per scale esterne. E la disposizione che s’incontra comunemente nella baraggia novarese.

    Moderna azienda agricola della pianura saluzzese (Lagnasco).

    Interno di una cascina (« corte ») del Vercellese (Livorno Ferraris).

    Le zone di pianura che sottostanno ai ripiani diluviali, grazie soprattutto all’irrigazione, hanno assunto strutture agrarie che giustificano tipi di abitazione rurale spesso ben diversi da quelli dell’alta pianura. Le differenze, per altro, sono meno accentuate ed avvengono per graduali passaggi nella bassa pianura cuneese, torinese e cana-vesana. Qui l’estendersi delle colture foraggere, determinando un largo sviluppo dell’allevamento del bestiame, ha tratto seco, di conseguenza, un maggiore o minore ingrandimento della dimora rurale. Le dimensioni della quale variano, anche a seconda che sia destinata ad ospitare piccoli proprietari conduttori diretti, coloni od affittuari. Ai margini della bassa pianura o nelle zone più asciutte, ha ancora una certa diffusione il fabbricato unico, accogliente sotto lo stesso tetto, civile e rustico. Ma là dove le proprietà s’ingrandiscono, comprendendo discrete proporzioni di prato permanente, oltre che di cereali, il civile e cioè la casa d’abitazione, là dove è congiunta al rustico, se ne differenzia, perchè è sensibilmente più alta. Abbaini e torrette sopraelevate rendono più evidente il distacco nel tipo più comune di abitazione della pianura torinese. Nelle borgate, le dimore si dispongono spesso intorno ad uno spazio centrale cinto da un muro, nel quale s’apre la porta carraia. Allora, civile e rustico volentieri si congiungono ad L o ad angolo retto. In aperta campagna è facile trovare il rustico staccato dall’abitazione e ad essa antistante, sul lato opposto dell’aia. Se, nelle dimore più antiche, i muri sono di sassi misti a mattoni e i ballatoi e anche le scale (interne od esterne) di legno, nelle abitazioni meno arretrate i muri sono interamente di mattoni, i balconi e le scale di cemento o di pietra. Gli ampi fienili riparano anche la paglia in balle pressate perchè l’uso del pagliaio va scomparendo, mentre il crescente impiego delle macchine impone la costruzione di capaci tettoie, o l’ingrandimento delle vecchie, che talvolta, come nella bassa pianura cana-vesana, prolungano sul davanti il tetto del rustico e scendono quasi a lambire l’aia.

    La pianura alessandrina è nota per presentare una caratteristica, primitiva dimora rurale nella zona della Frascheia o Frascheta, tra il Tanaro, l’Orba e la Scrivia. Qui, su un terreno fortemente argilloso che ricopre un sottosuolo di ghiaia, l’aridità armonizza con una piccola coltura asciutta (cereali, prati di medica, un po’ d’uva) e con la divisione della terra in piccole proprietà. Ogni poderetto ha qui il suo « cassinolo», e cioè una assai modesta abitazione avente a pianterreno cucina e cantina; al piano superiore la stanza da letto e spesso anche un piccolo fienile. Ma il più interessante si è che il materiale da costruzione impiegato nelle opere di muratura è l’argilla locale detta terra rossa, che si usa formando prima una cassa di tavole e poi comprimendo in essa l’argilla, che asciugando diventa molto compatta.

    Dove l’acqua abbonda al punto da favorire, insieme a colture foraggere di elevata intensità, la risaia, l’abitazione rurale, sotto la pressione di speciali esigenze tecniche (quali l’irrigazione e la monda del riso) ed economiche (quali la necessità di forti capitali), assume delle modalità costruttive del tutto peculiari. Così nel basso Vercellese e nel Novarese, l’abitazione rurale cui fa capo una grossa proprietà risiera, ha da essere necessariamente molto grande e complessa. Essa comprende di fatto, normalmente: uno stabile di abitazione civile del proprietario o del fittavolo, posto generalmente in posizione centrale rispetto all’insieme del cascinale e risultante di un numero vario di vani. Ad esso adiacente, uno stabile fatto di magazzini con granai, una stalla per bovini con soprastante fienile, altre stalle e scuderie, uno stabile di abitazione per i salariati, un caseggiato per il deposito della paglia a pian terreno e con dormitorio per le mondine al piano superiore, « casseri » di vario tipo per deposito di carri, di macchine agricole, ecc.; essiccatoi, mulini, ecc. Tutti questi edifici risultano disposti a rettangolo intorno ad uno spazio chiuso, che è la « corte ».

    Ma nella stessa bassa pianura vercellese e novarese non mancano le piccole proprietà condotte da coltivatori diretti. Le loro case sono per lo più inglobate nei paesi e comprendono sotto un medesimo tetto l’abitazione del proprietario e vicina ad essa la stalla, con soprastante fienile. Nelle medie proprietà si possono osservare vari fabbricati congiunti con un muro perimetrale, comprendente vari portici e tettoie per attrezzi e macchine agricole.

    Nel Canavese molte dimore rurali sono, come questa, abbellite da loggiati (Campo Canavese).

    Il tipo unitario dell’abitazione rurale torna a prendere il deciso sopravvento nella regione di collina dove, contemporaneamente, limita le sue dimensioni e sviluppa determinati locali (ad esempio, la cantina) a spese di altri (ad esempio, il fienile), in armonia con particolari indirizzi colturali di cui diremo in sèguito. Generalmente, poi, le dimore rurali della collina piemontese si distinguono per la più diffusa conservazione di tratti arcaici, come le scale esterne e i ballatoi di legno, e la maggiore rusticità, dato il minor uso delle macchine, la quasi costante presenza di pozzo, ecc. Ma grande è tuttavia la varietà dei particolari costruttivi, soprattutto nelle colline prealpine novaresi, vercellesi e biellesi, dove si hanno anche dimore di proporzioni cospicue, a due piani oltre il terreno. Nel Biellese occidentale, ma più specialmente nelle colline dioritiche e moreniche del Canavese, compaiono caratteristiche architettoniche che si ritrovano anche in altre zone collinari. Accenniamo soprattutto alla frequenza di vuoti nella facciata delle case, ottenuti mediante architravi e archi, che danno portici e loggiati, destinati, oltre che al disimpegno delle camere, alla raccolta e all’essiccazione di prodotti agricoli (mais, fagiuoli, ecc.). I vani ora ricordati talvolta s’internano solo in parte della fronte dell’abitazione, talaltra l’occupano per intero, con effetti di notevole efficacia scenografica.

    I portici e i loggiati, così comuni nella casa collinare canavesana, si ripresentano con maggior uniformità di movenze nelle colline intorno a Ceva e a Mondovì, in diversi centri della media valle del Tanaro (Niella, per esempio), ed anche in alcune zone del basso Monferrato, come in Comune di Passerano, a Marmorito. Generalmente si tratta di abitazioni della seconda metà del secolo XVII, costruite con pietra e calce. Nella maggior parte dell’Astigiano domina un tipo di casa rurale elementare, poco alta e composta da due parti contigue: la cucina, sopra la quale si trova la camera da letto e la stalla col fienile sovrapposto. Ma anche le case moderne conservano la struttura tipica delle precedenti, con cantina e tinaia spaziose ed interrate. Le colline astigiane appaiono spesso costellate di casotti (« casot ») o capanni (« ciabot »),

    costruiti allo scopo di custodire l’uva, mentre gallerie ed ampie grotte scavate nelle arenarie o nelle marne servono in parecchi Comuni come cantine, o come ricovero per attrezzi, carri, macchine, ecc. In altri Comuni del basso Monferrato l’abitazione rurale deve all’uso della pietra bianca o gialla « da cantoni », una particolare intonazione cromatica, ma anche una più facile deperibilità.

    Se si tolga qualche eccezione nei centri toccati dalle maggiori strade, l’abitato rurale delle Langhe, e specialmente quello delle alte Langhe, presenta un aspetto d’insieme alquanto primitivo, soprattutto per il colore grigiastro, e il grande uso di pietra locale nelle costruzioni, quasi sempre mancanti di intonaco esterno. Oltre che quelli di legno, esterni, danno alle case un che di rozzo, e quasi di montanaro, le scale e i terrazzini di pietra grezza e le piccole costruzioni accessorie, pure di pietra, circostanti all’abitazione. Nella collina di Torino, infine, si distinguono due tipi fondamentali di casa rurale. Nei centri e nelle borgate, più frequente è la dimora dei piccoli proprietari coltivatori diretti: dimora piccola, ad un solo piano oltre il terreno, con rustico fiancheggiante o staccato, ma esso pure di modeste dimensioni. Spesso isolate sono invece la « vigne » dei nostri nonni : complessi costruttivi di vaste dimensioni in cui spicca, per essere una vera e propria dimora signorile, una villa con molti locali, l’abitazione del proprietario, oggi non di rado in mano ai mezzadri. Affiancato al civile o, meno comunemente, staccato, e sensibilmente più basso è il rustico, dove abitano coloni e avventizi. Imponenti per ampiezza e per attrezzatura sono generalmente le cantine sotterranee, allungate da cunicoli e gallerie che s’addentrano nel cosiddetto « tufo » (marna). Mentre le dimore dei piccoli proprietari sono soggette a miglioramenti, grazie al denaro guadagnato in fabbrica da qualche membro della famiglia, le aziende signorili mostrano nei loro fabbricati evidenti segni di decadenza e di trascuratezza.

    Dimora rurale in val Bèrbera.

    Tipo di casa contadina presso Pecetto Torinese.

    Tipo di insediamento e distribuzione dei centri

    Anche dopo la distinzione, fatta dai censimenti, tra la popolazione che vive nei nuclei, nei centri e nelle case sparse, il reale modo di distribuirsi della popolazione stessa, specialmente dove si hanno forme miste di insediamento per graduale passaggio dalle zone agglomerate a quelle di dispersione, merita di essere meglio precisato. E quanto cercheremo di fare per il Piemonte sulla scorta di quell’opera, ancora fondamentale, che è la carta dei tipi degli insediamenti rurali in Italia, dovuta a R. Biasutti. Appare dunque da detta carta come la massima parte del nostro versante alpino risulti compresa nel dominio del tipo di insediamento, chiamato appunto alpino, che è caratterizzato dall’accentrarsi della popolazione in villaggi e casali compatti e dall’importanza assunta dallo sviluppo delle sedi e delle costruzioni a uso temporaneo.

    Nelle maggiori vallate e nei bassi contrafforti scendenti alla pianura, tra lo sbocco della Valsesia e quello della vai Chisone, prevale invece, sempre secondo il Biasutti, un tipo di insediamento chiamato misto, presentandosi la popolazione in parte accentrata nei piccoli borghi compatti, in parte raccolta in villaggi e in casali, in parte distribuita in case isolate sui fondi. Altra forma di transizione con maggior proporzione di popolazione sparsa è quella che la carta fa corrispondere a qualche settore delle valli di Lanzo e della vai di Susa e agli ultimi contrafforti tra la vai Chisone e la valle Stura di Demonte.

    Cartina dei tipi di insediamento.

    Tratto caratteristico del nostro abitato montano è dunque — non sarà male ripeterlo — quello di un pullulare abbastanza fitto di villaggi e di casali. Landini e Blanchard fanno notare che questo folto di piccoli centri e di nuclei si va riducendo verso le alte valli. Per contro i villaggi delle alte valli, meno numerosi, sono più densi di case e di abitanti che non quelli dei tronchi vallivi medi e inferiori. Nelle valli di Lanzo, per es., dagli u gruppi di casolari di Lemie si passa agli 8 di Usseglio; dai 9 di Ala ai 4 di Balme; dai 15 di Chialamberto ai 9 di Groscavallo. E gli esempi potrebbero continuare.

    La posizione dei villaggi e dei casali di montagna obbedisce soprattutto — e si potrebbe quasi dire esclusivamente — alla disponibilità di terreno coltivabile a prato e a campo. Anche e specialmente per i montanari vale la ferrea regola del « primum vivere, dein… ». L’immediata vicinanza dell’acqua non è indispensabile, perchè di acqua se ne trova facilmente dovunque. Anche troppa, durante le alluvioni sul fondo-valle, ed è per questo che si fabbrica malvolentieri a fianco del torrente o del fiume. Conviene sostenere la terra dei declivi con scalinate di muretti, o meglio ancora approfittare, sul largo fondo delle valli glacializzate, delle conoidi di deiezione che spingono il loro ventaglio di detriti verso il fiume. Ma il dorso della conoide è sicuro e vi si può abitare tranquillamente, utilizzando il lieve piano inclinato e le acque che è dato agevolmente addurvi per trasformare la congerie dei blocchi e delle ghiaie in distese di amene praterie, inframmezzate da peri, da meli, da ciliegi, da noci, da castagni. Chi abbia percorso anche una sola volta il fondovalle principale della vai di Susa o della vai d’Aosta non mancherà certamente di aver osservato la costante corrispondenza tra coni di deiezione e centri abitati.

    Centro di fondovalle su conoide (all’altezza di Salbertrand, in val di Susa).

    Fitto serrarsi di case in un centro di fondovalle (Valsavaranche)

    Frazioni e nuclei abitati sparsi sui fianchi della valle d’Angrogna.

    E se non si tratta eli una conoide, purché sorregga o abbia vicino un lembo di buona terra, qualunque sporgenza sul fondovalle che protegga dal fiume dominandolo — un mammellone roccioso, un cordone morenico, un ripiano terrazzato — è buono per ospitare almeno un piccolo gruppo di case. Ben sovente, specie nelle conche vallive di modellamento glaciale, le condizioni di abitabilità dei versanti sono migliori di quelle del fondovalle, non solo perchè non soggette alle inversioni della temperatura, ma soprattutto perchè i versanti stessi sono intagliati da larghi gradini su cui vaste placche di morenico offrono buone estensioni di suolo lavorabile. Col crescere dell’altitudine, anche là dove altri fattori sarebbero favorevoli, interviene spesso, con poteri inibitori, l’esposizione dei versanti. Di fatto l’« invers » (verso nord ed est) è poco gradito ai piccoli agglomerati di montagna, che preferiscono di gran lunga l’«indrit», e cioè l’esposizione a sud e ad ovest. Landini ha contato nell’alta vai Varaita, tra 1250 e 1500 m. d’altitudine, ben 107 nuclei e centri abitati sull’« indrit » contro 13 all’« invers ». Chi salga al Gran San Bernardo, vedrà quanto siano diversamente abitati, a parità di pendii, i due versanti dell’ampio bacino dell’Artanavaz : boscoso e assolutamente privo di abitazioni temporanee quello esposto a nord, coltivato fino ad alta quota e ricco di agglomerati quello esposto a sud.

    La maggior parte della pianura piemontese, compresa l’alessandrina, è ascritta dal Biasutti ad un tipo intermedio fra l’accentramento e la dispersione ch’egli chiama delle « corti della pianura padano-veneta ». Il lato caratteristico consiste dunque nelle corti, abitazioni composte di più edifici disposti intorno ad uno spazio chiuso. Tali corti mostrano la tendenza a riunirsi in gruppi, a formare villaggi, casali e anche grossi centri. Senza poi dimenticare che una singola corte può albergare sovente un numero più o meno grande di famiglie, tanto da divenire essa stessa un centro non esiguo di popolazione. In realtà, le condizioni e gli attributi del tipo quale appare configurato dal Biasutti si riscontrano assai più nettamente nella pianura vercellese e novarese che non in quelle cuneese od alessandrina, per le quali sarebbe forse opportuno creare un’ulteriore distinzione.

    Nell’ambito della zona delle corti ora accennata figuravano, come oasi di insediamento nettamente accentrato, le zone baraggive dell’alto Novarese e le «vaude» torinesi e canavesane, nonché una striscia intorno al Po fra Torino e Chivasso. Qui la popolazione rurale tendeva effettivamente a convogliarsi in grossi centri, ma le trasformazioni di recente apportate alle zone suddette dai miglioramenti fondiari, dall’estensione delle colture, e specialmente dal diffondersi delle industrie hanno pure provocato cambiamenti nell’insediamento, che qua e là si è rilassato.

    Sull’alta sponda della Dora Riparia sorge l’antico centro di Collegno

    Quanto alla situazione dei centri di pianura ricorderemo come già il Fischer indicasse quale fenomeno generale nella valle padana il frequente sorgere di centri sull’orlo di terrazzi diluviali. Da noi, in Piemonte, tale ubicazione si riscontra assai bene sul margine degli alti terrazzi della pianura cuneese, specialmente in corrispondenza dei punti di passaggio dei fiumi e dei torrenti. Non pochi dei centri ora accennati si sono spinti a cercare gli spigoli sporgenti e più erti dei ripiani. Così hanno fatto Salmour, Roccadebaldi, Benevagienna, Carrù. Ed è anche il caso di Cherasco e di Cuneo, sebbene sorti non spontaneamente. Anche sui margini abrupti dei lembi terrazzati dell’antica conoide costruita dalla Stura di Lanzo, si ritrovano allineamenti di centri, come Front, Rivarossa, Lombardore. Incassati, assai boscosi, soggetti alle piene, poco adatti alle comunicazioni — che sono invece facili sui ripiani — i fondi vallivi dovevano esercitare sugli insediamenti un’azione repulsiva.

    Ma nella bassa pianura, le campagne si aprono, i fiumi scorrono poco sotto il livello del suolo, le strade prendono direzione parallela a quella dei fiumi. Ed è su queste vie di comunicazione che sono sorti i centri più notevoli: Savigliano, Caval-lermaggiore, Racconigi, lungo la Maira; Villafranca Piemonte, Fenile, Casalgrasso, Lombriasco, Carignano, lungo il giovane Po. Nel Piemonte transpadano, ancora maggiore si è rivelata l’importanza delle vie di comunicazione verso la vai di Susa, la valle d’Aosta, e la Lombardia nel favorire il sorgere di grossi centri, senza poi parlare delle grandi arterie del Po e del Tanaro, come richiamo di considerevoli agglomerati.

    Simile a questo è, nell’insieme, l’aspetto di tanti paesi del Piemonte (Quargnento).

    Un forte numero di centri — parecchi dei quali assurti al rango di città — ha invece preso posto allo sbocco delle valli, al piede della montagna e dei rilievi collinosi, lungo fasce di transito e di scambio di prodotti fra ambienti a diversa fisionomia geografico-economica. E non sono, per lo più, centri di sola pianura, ma si estendono anche su falde collinose: donde una varietà di aspetti e di situazioni topografico-urbanistiche che conferiscono a quegli agglomerati una particolare attrattiva. Così la serie dei centri che da Mondovì, per Cuneo, Saluzzo, Pinerolo, va ad Ivrea e Biella. Allineamenti di più modesti aggregati seguono il piede della collina di Torino lungo il Po. Altri si sgranano alla base del pianalto di Poirino fino alle colline di Bra: altri ancora seguono il passaggio tra morenico e alluvionale nell’anfiteatro morenico di Ivrea. E la loro posizione coincide con l’affiorare di abbondanti falde acquee.

    Veramente tipica è poi l’ubicazione di gran parte dei centri nelle colline del Monferrato, dell’Astigiano, d^lle Langhe. Ivi, di fatto, gli abitati sorgono solitamente sulle sommità dei poggi, delle groppe, delle dorsali in cui si rompe il rilievo. E uno spettacolo curioso e suggestivo quello dei numerosi paesi, piccoli e grossi, che spiccano come macchie rossastre sulle cime verdi-gialle di colli tondeggianti e di morbidi costoloni. E molti di questi centri sono a loro volta sormontati da castelli, ora turriti e severi, ora più simili a bonarie e comode dimore signorili. Donde una così diffusa preferenza dei centri per le sommità collinesche? Comunemente si afferma che la posizione elevata ed isolata dei centri stessi risponde a necessità di difesa contro le ingiurie degli uomini in guerra. Ma per quel che riguarda il popolamento delle aree collinari centro-piemontesi la realtà dev’essere un’altra.

    Nelle colline plioceniche dell’Astigiano la grande maggioranza dei centri sorge tra i 200 e i 300 m. di altitudine, e cioè a quote molto vicine all’altitudine media del rilievo. Ma è decisivo il fatto che su 103 centri più importanti per essere sede di amministrazione comunale (censimento del 1936) solo 15 (Asti escluso), possono riguardarsi quali centri di fondovalle. E naturalmente, fra i centri ora ricordati figurano i maggiori della provincia di Asti, industriose cittadine come Nizza Monferrato e Canelli, e grossi mercati rurali. Ma tanto il corridoio del Tanaro, quanto le più notevoli depressioni vallive che in esso immettono, se presentano comodità di spazio e di comunicazioni sul loro fondo — e ciò dà ragione delle dimensioni e della fisionomia anche commerciale dei pochi centri che ospitano — lasciano tuttavia sussistere il pericolo di terribili alluvioni, sono frequentemente umidi per ristagni d’acqua e freddi d’inverno per addensarsi di strati d’aria gelida. E tuttavia nemmeno il fatto che le sommità siano esenti da tali avverse condizioni può bastare a spiegare la loro scelta come sede dei centri.

    La Morra, come tipo dei numerosi centri di sommità delle colline piemontesi.

    Le cose si chiarificano quando si ponga mente alla varia destinazione colturale del suolo agrario nelle colline dell’Astigiano in armonia con determinate condizioni dell’ambiente fisico. Si vedrà più avanti come, constando normalmente il fondo di ogni azienda di più appezzamenti per ciascuna qualità di coltura, e stando, le più esigenti di esse in fatto di lavoro, in alto, è naturale che le dimore rurali, corrispondenti grosso modo al centro di attività delle aziende, siano sorte sulle sommità dei colli. Di qui in effetti, riducendosi al minimo le spese dei trasporti, le fatiche e i tempi dei percorsi degli uomini e degli animali, i disagi della sorveglianza, risulta più economica la conduzione dei fondi. Questo, e non altro, è il motivo fondamentale dell’ubicazione in discorso.

    Non vale di fatto, ricorrere al bellicoso, feroce Medio Evo. Nelle Langhe, e più ancora nel Monferrato, sono abbastanza numerosi i centri di sommità di origine nettamente ligure o classicamente romana. E se effettivamente nel Medio Evo si verifica (dal secolo IX alla metà del secolo XIV) una più vasta presa di possesso delle alture e un loro intensificato popolamento, ciò va attribuito non già alla paura di feroci invasori o alle angherie di feudatari prepotenti, ma all’incremento demografico di quel periodo, che determinava una vera « fame » di nuove terre da coltivare e quindi spingeva a cercarne più in alto a spese degli incolti e dei boschi superstiti. Il fiorire di castelli, che dà note di romantica bellezza al paesaggio di tante nostre plaghe collinari, va esso pure inteso come manifestazione di quell’aumento di uomini, di terre, di paesi e come espressione di esigenze economico-agrarie assai più che di perpetua guerriglia. In realtà il signore feudale è un proprietario terriero. Anch’egli ha bisogno di fissarsi là dove gli siano più agevoli la conduzione e la sorveglianza della sua azienda. Ciò è possibile, in collina solo dall’alto e portandosi più in alto dei soggetti, coloni o salariati. D’altro canto che la posizione su sommità sia frutto di un adattamento economico è comprovato dal constatarsi come nelle nostre colline, non solo gli agglomerati, ma anche le case isolate si trovino di norma, sulla cima dei poggi e delle dorsali.

    Vedi Anche:  Colline, pianure ed Alpi Piemontesi