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La romagna, San Marino e la Riviera Romagnola

    La Romagna

    Premessa

    Dall’altra parte, rispetto a Bologna, la Romagna, la « Romagna solatìa dolce paese » del Pascoli, resta individuata come subregione abbastanza nettamente anche dal punto di vista naturale, oltre che per tradizione storica. E, in sostanza, nell’estremità sud orientale del « triangolo » emiliano, un più piccolo triangolo che ne compendia in breve sintesi i caratteri. Effetto e contrassegno ad un tempo di questa autonomia ne sono le caratteristiche della popolazione espresse esplicitamente, come s’è già detto, nei dialetti.

    Ciò che resta indeciso, dal punto di vista naturale, è il suo limite verso nord. Ben poco si differenziano, fisicamente, le successive valli parallele del Senio, del San-terno, del Reno e del Panaro, e per nulla il piano ravennate dall’adiacente piano bolognese e ferrarese. Soltanto le stese azzurre delle valli comacchiesi, lucenti come lastre d’acciaio, ci avvertono ancora con una nota di netta originalità (fino a quando perdureranno) che si è trapassati in un paesaggio diverso da quello abituale della bassa Romagna propriamente detta.

    Come poi si sia formato questo nome abbiamo già visto. E si è pur detto come il limite del territorio contrassegnato da esso sia variato nella tradizione scritta. Variò dapprima con l’oscillare di quello fra la zona di occupazione dei Bizantini (la Romania) e dei Longobardi (la Lombardia), quindi ora al Panaro, ora al Reno, ora a qualcuno dei torrenti romagnoli, da una parte, come da l’altra si confondeva col confine amministrativo fra Esarcato e Pentàpoli marchigiana (fra Metauro e Marecchia).

    Romania insieme con Marchia e Lombardia figura come uno dei tre gruppi di Comuni associati nella Lega lombarda contro Federico Barbarossa (1173-77). Ma questa Romania nel giuramento di Pontida (8 aprile 1167) è rappresentata proprio soltanto da Bologna e Ferrara, cui solo più tardi, anche se di poco, si aggiunsero ancora altre città. Ed anche al Congresso di Piacenza dopo la pace di Costanza (1183), di Romagna figurarono presenti soltanto Bologna e Faenza.

    All’inizio del Trecento Dante ci dà non solo il nome, ma una lapidaria definizione della Romagna:

    tra il Po, il monte, la marina e il Reno

    Purg., XIV, 92.

    con la quale ancora si ammettono parte della Romagna il Bolognese e il Ferrarese. Come si conferma poco più sotto, quando all’invettiva « oh romagnuoli tornati in bastardi » si dà ragione, fra l’altro, col verso « quando in Bologna un Fabbro si ralligna ». La restante parte dell’attuale Emilia Dante comprende ancora genericamente nella Lombardia, come in Purg. XVI, 115 e segg., dove parla di Guido da Castello, reggiano, con altri del paese « ch’Adice e Po riga ».

    Questa accezione estensiva del termine Romagna è rimasta però aulica e letteraria, fors’anche per l’esigenza di designare con un nome collettivo, un nome « geografico » l’insieme dei territori di qua dall’Appennino sul quale si affermò la sovranità pontificia. Ma non fu della tradizione popolare.

    Ancora a quella esigenza si richiamava nel 1841 un erudito e appassionato Ragionamento di Antonio Vesi intorno ai veri confini di Romagna, il quale concludeva : « Certo per lo paragone di tanti luoghi e per la gravità ed autorità di tanti esempli e testimonianze apertissime si manifesta che non si possono senza errore escludere dalla provincia di Romagna la dotta Bologna e la ducal Ferrara che ne hanno sempre fatto e ne fanno principalissima parte ». Ma un altro erudito del tempo, Carlo Frulli, riconosceva che ben diversamente sentivano, come sentono tuttora, i Romagnoli da un canto e i Bolognesi e Ferraresi dal canto loro.

    « Vero è che in Roma la comune delle genti suol dargli il nome complessivo di Romagna e Romagne; sì che, se gli abitatori delle già legazioni da molti Romani si distinguono in Ferraresi, Bolognesi e Romagnuoli, da molti altri questo ultimo nome viene a tutti essi applicato » e così all’estero i nomi di Romagna e Romagnuoli spesso si intendono estesi addirittura a tutto il territorio dello « Stato Romano o Pontificale ». Ma d’altra parte « è certo che Romagna è anche nome proprio di un prefinito e determinato territorio, il quale si estende dal Sìllaro (il torrente che divide l’Imolese, che è ancora Romagna, dal Bolognese) al mare, e dal monte al Primaro (Reno), come talmente vecchio e radicato nell’identità dei dialetti parlati da tutto quel popolo, che quantunque le sue terre e città siansi separate ed attribuite a più stati ed a più province, mai però non ha cessato dall’appellarsi Romagnuolo da se stesso; nè mai da tutti i vicini fu con diverso nome indicato ».

    Dozza Imolese.

    Concludeva quindi che « perciò stesso gli si debba lasciare questa naturale denominazione » e sia necessario « evitare equivoci e confusioni, che certo avverrebbero applicando ai vicini, che hanno distinti e parziali appellativi, quello stesso predicato ».

    Del resto il Comelli nel 1908 raccoglieva tutta una serie di documenti ancor più imponente e persuasiva di quella del Vesi, nei quali Bologna risulta distinta, esclusa dalla Romagna: così il privilegio di Carlo Magno al patriarca veneto Fortunato nel-1*803; l’atto del Concilio di Guastalla del 1106 già ricordato (cap. I); la bolla di Urbano IV del 1262, che comprende Bologna fra le altre città della Lombardia; il titolo che dal 1278 al Trecento inoltrato era dato al rappresentante del papa « Rector provincie Romanie, civitatis Bononie et Comitatus Brettinori » distintamente; gli atti della causa fatta nel 1306 a Bartolomeo di Varignana, che comminato di allontanarsi da Bologna di oltre cento miglia versus partem Romandiole era andato a Venezia; le Descriptiones del cardinale Anglico ( 1371 ) svolte distintamente per la « Provincia Romandiola » e « Civitatis Bononiensis eiusque Comitatus »; il titolo di duca di Romagna conferito nel 1501 al Valentino; infine la tavola XXXVI del Magini (1589) che mostra la Romagna olim Flaminia arrestarsi a Castel San Pietro. E se non più copiosa documentazione, ancor più esplicita potrebbe raccogliersi per l’esclusione del Ferrarese dalla Romagna.

    Sìllaro e Reno dopo la confluenza sono quindi i limiti settentrionali accettati dalla tradizione locale per la « piccola patria » dei romagnoli.

    Dei confini meridionali implicitamente abbiamo già detto, in quanto coincidono con quelli della regione.

    L’articolazione tradizionale interna della Romagna, oltre che nelle due province (Forlì e Ravenna) pur di antica origine risalendo alle legazioni pontificie, è, al solito, come nell’Emilia occidentale, in vallate e gruppi di vallate: l’Imolese, il Faentino, il Forlivese, il Cesenate, il Riminese, oltre il Ravennate piano.

    Osservando invece le caratteristiche geografiche fisiche e antropiche, notiamo anche qui la influenza della zonatura altimetrica. La montagna è presente solo nel Forlivese e Cesenate, la collina si dilunga dal Sìllaro a San Marino e riprende dopo, in un piccolo « cantone » del Conca.

    Della zona pedemontana abbiamo già esposto le ragioni, per le quali riteniamo di doverla considerare distinta in due comparti: il pedemonte romagnolo propriamente detto (da Imola a Sant’Arcangelo) e il pedemonte litoraneo riminese. Così della distinzione della pianura in litoranea (Ravenna-Cervia) e interna.

    Nell’ordine della nostra descrizione non ci atterremo però rigidamente all’uno o all’aitro di questi schemi, ma compiremo come un ideale viaggio circolare nel paese, movendo dal centro della regione emiliana.

    L’Imolese e il Faentino

    Imola e l’imolese sono dunque romagnoli. E ci teniamo. Ma i vincoli con Bologna, nella cui provincia l’Imolese è stato assorbito, non sono soltanto amministrativi: nell’economia, nella vita civile e culturale, essi sono assai stretti.

    Del resto la funzione coordinatrice esercitata da Bologna è spontanea e viva per tutto l’arco che va da Ferrara a Rimini, molto più che verso l’Emilia occidentale. Bologna è il capoluogo regionale riconosciuto, ma l’intimità di rapporti che c’è fra essa e la Romagna, da una parte, e, se pure un po’ meno, Ferrara da l’altra, non è altrettale dall’altra parte con le province d’occidente, nelle quali le vecchie città ducali tendono ad affermare una propria vigorosa personalità anche nei confronti del capoluogo regionale ed a riverberarla in una forte attrazione nei rispettivi dintorni, dalla pianura all’Appennino.

    Sorte comune, l’Imolese e il Faentino hanno perduto le testate delle loro valli e di poco avanzano nel piano, congiungendosi il loro raggio d’influenza in Lugo (diocesi d’Imola e già circondario di Faenza), come nella collina la Valsenio e al suo sbocco Castel Bolognese (provincia di Ravenna) gravitano economicamente e socialmente forse più su Imola che su Faenza.

    Primo comunello di qua dal Sìllaro è Dozza Imolese, fino al 1796 feudo marchionale. Il piccolo centro (541 ab.) è tuttora murato insieme con la pittoresca ben conservata rocca.

    Imola: Palazzo Sersanti

    L’abitato più antico nel sito di Imola (il nome stesso è anteriore alla colonizzazione romana) è stato su un colle isolato che sovrasta a destra lo sbocco della valle del Santerno, il monte Castellacelo. È la prima stazione eneolitica, che nella regione sia stata investigata con ampiezza e con rigore sin dalla metà del secolo scorso.

    La colonia romana fu insediata, invece, nella pianura dirimpetto ed ebbe nome di Forum Corneli in onore di Siila. Un ponte, di cui si sono trovati resti numerosi, congiungeva il nuovo centro con l’antico.

    In età imprecisata il Castellacelo fu abbandonato, fiorendo soltanto il Foro, che si arricchiva di edifici e di un anfiteatro, mentre sui colli e a piè dei colli si stabilivano ville relativamente suntuose, di cui pure si traggono frequenti avanzi. Nel Medioevo troviamo invece, pure da tempo imprecisato, formarsi un cast rum intorno alla chiesa episcopale, a nordovest : il Castrimi Sancii Cassiani, in conflitto col Comune cittadino, il quale riprendeva il nome d’Imola, fin che questo ottenne lo smantellamento del Castrimi, costringendo il vescovo a prendere sede airinterno delle mura.

    L’età comunale è per Imola, come e più che per altre città emiliane e romagnole, età di feroci lotte intestine, delle quali peraltro motivo dominante è la volontà di affermare la propria autonomia contro Bologna e contro gli altri potentati romagnoli. Signori locali furono gli Alidosi, famiglia feudale scesa dalla valle del Santerno, ma non riuscirono a consolidarsi. Passò Imola per le mani degli Sforza, poi dei Riario, cui si deve l’attuale struttura della pittoresca rocca, al vertice nordovest della vecchia cinta murata, e fu del duca Valentino, finché Giulio II non riuscì a fissarne stabilmente la soggezione alla Chiesa romana, pur lasciandovi ordinamento comunale indipendente da quelli di Bologna e dei Comuni di Romagna.

    Oggi Imola (24.245 ab.), centro di un vasto Comune che risale la collina e si spinge in pianura, con un saliente addirittura fino a 25 km. dal capoluogo, è una cittadina notevole per i commerci rurali e anche per qualche industria (meccanica, ceramica, laterizia, conserviera). Essa inoltre s’è fatta una propria particolare tradizione ospedaliera: un ospedale civile, due psichiatrici e un sanatorio dell’I.N.P.S. ospitano, insieme, circa 3000 degenti.

    Seguendo la via Emilia, un 6-7 km. a levante, è Castel Bolognese (3034 ab.), costruito e tenuto dai Bolognesi dal 1388 al di là dello «Stato di Imola», a sinistra del Senio. Lo si ricorda ora anche per il triste privilegio di essere stato sulla linea di resistenza germanica neH’inverno 1944-45.

    Poi è Faenza (25.041 ab.), poco a valle della confluenza del Marzeno nel Lamone. Forse centro etrusco, certo romano dal bel nome Faventia, ebbe consoli fino dal 1141 e propri signori, i Manfredi, dal 1313 al 1501. E notissima per la sua tradizionale industria ceramica consacrata nel nome faience di diffusione europea.

    Si tratta di «maioliche», cioè terrecotte smaltate con vetro stannifero: boccali, piatti, piastrelle decorative, eccetera.

    Del Museo internazionale delle ceramiche s’è detto nel cap. XI.

    Contesa fra alleati e Germanici, nell’autunno 1944 Faenza subì notevoli distruzioni specialmente nella zona della stazione e del borgo Durbecco, al di là del Lamone.

    Alla lunga piazza (ora piazza della Libertà e piazza del Popolo) si affacciano il Duomo, insigne monumento rinascimentale, iniziato nel 1474 su disegno di Giuliano da Maiano; la fontana di D. Paganelli (1619-21); la Torre dell’orologio, costruita nel 1606 dallo stesso, fatta saltare dai Tedeschi nel 1944 e fedelmente ricostruita nel 1953; il Palazzo del Podestà, datante dal secolo XII, ampliato nel 1256 e restaurato; il Municipio, già sede dei Capitani del Popolo (secolo XIII) poi dei Manfredi, ma completamente rimaneggiato. Gli eleganti porticati, che si fronteggiano davanti a questi palazzi, sono del Sette e Ottocento.

    Duomo di Faenza.

    Nella pingue pianura sottostante Imola e Faenza, contrassegnata dalla centu-riazione romana, minori centri notevoli sono Massalombarda (4810 ab.), con zuccherificio, conservificio e famosi pescheti e frutteti, e Cotignola, culla degli Sforza.

    Le vallate a monte si svolgono con tipica regolarità parallele, attraversate dall’imponente Vena del Gesso, tormentate a valle di questa da frequenti e ampi anfiteatri calanchivi, verdi a monte di boschi purtroppo degradati e di pascoli poveri, onde la zona è divenuta una delle più tipiche anche del fenomeno dell’abbandono dei poderi e dello spopolamento. Nei sei Comuni della «collina» imolese e faentina dal 1941 al 1945 si sono contati 57 poderi abbandonati e nel decennio 1946-55 altri 105. E il processo continua!

    Tre strade le attraversano: la provinciale Montanara da Imola a Castel del Rio e Firenzuola lungo il Santerno e poi Scarperia per il basso Giogo di Scarperia (m. 882); la seconda lungo il Senio da Castel Bolognese a Palazzuolo sul Senio (già Palazzuolo di Romagna) poi con trasversale a Marradi, la terza da Faenza lungo il Lamone a Marradi stessa e Borgo San Lorenzo per la Colla di Casaglia (m. 992), tutte e tre congiun-gentisi infine a San Piero a Sieve per Firenze.

    Vedi Anche:  Case, insediamenti urbani e dimore rurali

    Fra i centri minori che vi si susseguono vanno ricordati specialmente Riolo Terme nella Valsenio, frequentata stazione termale, e Brisighella (2411 ab.) nella valle del Lamone, dominata da caratteristiche torri isolate su spuntoni di gesso. E ora il gesso della Vena è cavato in copia per le industrie di Ravenna.

    Qui è anche in corso uno dei primi e più interessanti esperimenti di bonifica di calanchi e zone franose, iniziati sin dal 1912. Vi attende il Consorzio di bonifica di Brisighella, costituito con decreto del 1930 ed ora competente per un comprensorio di 79.800 ettari, in parte in provincia di Firenze.

    Il bacino del Marzeno, affluente di sinistra del Lamone, è formato da tre torrenti, che si riuniscono a Modigliana (3738 ab.), forse il Castrum Mutilum, sotto il quale i Galli sconfissero il console Appio nel 204 a. C., nel Medioevo feudo dei Guidi, che ne ebbero titolo di conti, indi dal 1377 Comune unito a Firenze. Incluso quindi nella Romagna Toscana, poi circondario di Rocca San Casciano, è stato annesso dal 1923 alla provincia di Forlì. E sede vescovile, con giurisdizione in parte ancora estesa alla provincia di Firenze.

    Nei pressi era la Dogana, dove il 28 settembre 1845 si scontrarono coi gendarmi pontifici i patrioti romagnoli raccolti intorno a don Giovanni Verità, quegli stesso che poi nel 1849 aprì la sua casa a Garibaldi e ne facilitò la ritirata in Toscana.

    Forlì e la via Emilia fino a Rimini.

    Tornando ora sulla via Emilia, a 15 km. da Faenza sulla destra del Montone troviamo Forlì (45.927 ab.). Municipio romano (Forum Livi), Comune ghibellino dal XII secolo, signoria degli Ordelaffi dal 1315 al 1480, poi dei Riario e del duca Valentino, dal 1504 restò alla Chiesa, sede di un Legato. Nella piazza centrale sono l’imponente palazzo del Governo (secolo XIV), ma rimaneggiato, e il romanico tempio di San Mercuriale con l’imponente campanile restaurati nel 1920. Notevole anche l’ex ospedale che ospita le già ricordate preziose collezioni (biblioteca, pinacoteca, museo etnografico). Cospicui monumenti furono aggiunti nell’interguerra 1919-39: i Palazzi degli Uffici, delle Poste e dei Mutilati di Cesare Bazzani, l’ex Accademia della G.I.L., poi Collegio aeronautico e ora adibito a scuole, e la svelta imponente colonna del monumento ai Caduti.

    Veduta di Forlì dall’aereo.

    Viale della Libertà a Forlì (ingresso della via Emilia da sudest).

    La città vecchia è chiusa in un giro di mura ellittiche, in parte conservata, come è conservata la bella Rocca di Ravaldino al vertice della cintura verso la montagna. La città nuova si sviluppa specialmente verso mezzogiorno, dalla parte della stazione (spostata verso nordest nel 1925-27). E qui sono i nuovi stabilimenti industriali (fibre tessili artificiali, concimi, zuccherificio, ecc.) che hanno fatto salire il numero degli addetti alle industrie, nel Comune, da 6464 nel 1901 a 6984 nel 1921, a 9720 nel 1936 e 10.776 nel 1951.

    Agli effetti dell’ormai nota statistica dei grandi Comuni nel 1951 Forlì è stata distinta in 21 quartieri su 1240 ettari, con 45.927 abitanti. I quartieri centrali (Schia-vonia, San Pietro, Cotogni, Ravaldino) occupano 150 ettari con 24.094 abitanti (160 ab/ha.); la periferia i restanti 1090 ettari e 21.833 abitanti (densità 20).

    Il territorio comunale si estende per altri 21.580 ettari con 31.581 ab., dei quali 5739 in 16 centri minori.

    Proseguendo per la via Emilia a 7 km. da Forlì è Forlimpopoli (3561 ab.), altro centro romano (Forum Popili), con rocca costruita alla fine del Trecento e restaurata dagli Ordelaffi nel 1480.

    Poco a sudovest sono le antiche Fonti romane della Fratta, ri valorizzate ora con le terme dell’Istituto nazionale di previdenza sociale.

    Il paesaggio è dominato dal doppio colle sul quale si leva la pittoresca Bertinoro (1598 ab.). Questo è centro antichissimo, di cui già abbiamo fatto cenno come capo-

    luogo di un comitatus indipendente dalla Romagna e di diocesi tuttora sussistente, pur se fra le più piccole di tutta la regione. Celebrato è anche per l’albana (vino bianco) dei suoi colli, prodotta, del resto, in varietà più o meno pregiate in tutta la collina romagnola dal Sìllaro alla Marecchia, insieme col rosso sangiovese. Di Berti-noro abbiamo pure già ricordato la gentile tradizione della « colonna dell’ospitalità ».

    Cesena: le vecchie mura e la Rocca.

    Cesena: veduta panoramica dalla Rocca.

    Superando alcune attenuate propaggini della collina, l’Emilia porta quindi (km. 20 circa) sulla sinistra del Savio a Cesena.

    La località ospitò abitatori preistorici. Il nome rivela un’influenza etrusca. Curva Cesena la designa la Tabula Peutingeriana ed è forse, nella regione, l’unica città discesa da un’acropoli, dalla quale tuttora la domina la poderosa Rocca Malatestiana.

    Comune dall’XI secolo, a lungo

    tra tirannia si vive e stato franco

    Inf., XXVII, 54.

    fin che non viene la signoria dei Malatesta, che per un lungo periodo (1379-1465) le conferiscono prosperità e splendore.

    Ne rimane, oltre la rocca e la cattedrale, monumento notevole la Biblioteca Malatestiana (1447-52), della cui importanza culturale e architettonica si è detto altrove.

    La cittadina (24.986 ab.), adagiata sull’estreme propaggini della collina e sul piano antistante, ha forma molto irregolare e conserva in parte la cinta murata, che si congiunge, in alto, alla rocca. La più recente diffusione è a nordest verso la stazione, quartiere ove sorgono anche notevoli stabilimenti industriali (zuccherifìcio, raffineria degli zolfi, conservifici). Gli addetti all’industria da 4689 nel 1901 sono passati a 6502 nel 1936 e 7812 nel 1951.

    Secondo la statistica dei grandi comuni il « vecchio nucleo » o « rione centrale » di    Cesena occupa 57 ettari con 10.234    ab. (1951) su 24.986  della  totale urbana, considerata estesa su 486 ettari.

    Il comune è vastissimo, steso nella collina e nella pianura: 24.950 ettari, con 70.390 abitanti in complesso, di cui 9061 in altri 18 centri e 36.343 in nuclei e case sparse.

    Seguendo ancora l’Emilia troviamo prima Sa vignano sul Rubicone (km. 32, abitanti 3195), castello albornoziano del XIV secolo, luogo di raduno nel Sette e Ottocento di letterati ed eruditi, che vi fondarono la tuttora prospera Accademia Rubi-conia dei Filopatridi. Poi è Sant’Arcangelo (km. 37, 42 m. sul mare, 3951 ab.), vicus romano, dominato da un’agile torre. Centri rurali ambedue, in parte nel piano, in parte sul declivio. Dieci chilometri più oltre siamo a Rimini.

    Pur non raggiungendo i valori del    Bolognese e neppure quelli dell’Emilia di nordovest, la densità e la percentuale di popolazione accentrata sono notevoli anche in questo pedemonte romagnolo: da Imola a Sant’Arcangelo 280 ab./kmq. e oltre 50%.

    La montagna e la collina del Forlivese

    Riuniamo sotto questa indicazione la zona di montagna e di collina della provincia di Forlì, con l’esclusione della valle del Marzeno già osservata col Faentino, e pur tenendo conto che in essa si comprendono elementi di tre delle unità composite: il Forlivese in senso stretto, il Cesenate e il Riminese.

    In parte questo complesso costituiva la Romagna Toscana, che comprendeva anche il detto bacino del Marzeno, il bacino alto e medio del Montone, l’alto bacino del parallelo Rabbi e quello del Savio, con un confine quanto mai frastagliato e bizzarro, che rifletteva le giurisdizioni di antichissimi feudi e Comuni di montagna, uniti dalla conquista fiorentina.

    Col nome di circondario di Rocca San Casciano, la Romagna Toscana si stendeva fino al 1923 su oltre 1015 kmq. con 19.927 ab. presenti nel 1921, che nel 1939 sarebbero stati 60.518 (densità rispettiva 59 e 59,5).

    Spezzata col passaggio alla provincia di Forlì, questa unità artificiosa, che pur era durata dalla fine del Trecento al 1923 ed aveva quindi recato una certa coesione alle sue varie parti, si è accentuata in queste la naturale tendenza a gravitare rispettivamente su Faenza (valle del Marzeno, come detto), su Forlì (valli del Montone e Rabbi) e su Cesena (valle del Savio). I riflessi ne rimangono peraltro nelle circoscrizioni ecclesiastiche per cui numerose parrocchie delle alte valli appartengono ancora alla diocesi di Sansepolcro.

    Resta che buone strade congiungono i centri dell’antico curioso « cantone » di alta e media montagna, annodandosi in Rocca San Casciano (2181 ab.), che ne era il capoluogo, a cavaliere del Montone, in ridente conca, fiorente mercato e attivo in alcune industrie, fra le quali notevole la tipografica.

    Castrocaro: la Rocca.

    C’è anzitutto la via del Montone appunto (strada statale 67, tosco-romagnola), che risale da Forlì e dopo pochi chilometri tocca Terra del Sole, piazzaforte rettangolare cinquecentesca ancora ben conservata, un dì estrema scolta avanzata della Toscana, e la prossima Castrocaro, notevole stazione di cura, con le sue terme statali (1590 ab. residenti), poi Dovàdola, dominata da una pittoresca rocca. La strada statale 67 sale infine da Rocca San Casciano sino a rimontare la poderosa giogaia dell’Alpe di San Benedetto (monte Làvane a nordovest, m. 1241 ; monte Falte-rona a sudest, m. 1657), valicandone il passo del Muraglione (m. 907) alla volta di Pontassieve. E vi sono poi le ardite trasversali che da Rocca San Casciano conducono verso nord a Modigliana e verso sud, superando vari contrafforti e le valli del Rabbi e del Bidente, a Galeata, a Santa Sofia e alla vai di Savio.

    E in questo « cantone » di montagna, pur con le sue propaggini collinose, assai notevole il rivestimento boschivo, quasi il 35% della superficie territoriale. Più che i castagneti vi sono degni di considerazione i boschi, che si attestano e travalicano il crinale, testimoni ancora dell’intelligente cura data loro dai regimi toscani, dai tempi dei domini monastici a quelli granducali. Spicca fra gli altri la foresta demaniale di Campigna (in massima parte di abeti) alla testata della vai Bidente, fra il Falterona e il Poggio Scali (passo della Calla, 1296 m. sul mare).

    A oriente della Romagna Toscana è dapprima la bassa valle del Rabbi, con Dovìa e Predappio, dominata, a destra, dalla restaurata Rocca delle Caminate (360 m. sul mare). Poi è la valle del Ronco-Bidente, col notevole centro di Mèldola (4306 abitanti), quasi allo sbocco (57 m. sul mare) sulla strada che, venendo da Forlì, va, dopo Civitella, a Galeata (m. 253) l’umbra Mevaniola, municipio romano, soggetta nel Medioevo alla vicina abbazia di Sant’Ellero. Qui la strada si congiunge con la trasversale già ricordata che, risalito il Bidente fino a Santa Sofia, passa alla valle del Savio.

    Questa, dal suo sbocco presso Cesena, è seguita dalla pittoresca strada statale 71 umbro-casentinese, fino a Bagno di Romagna, dopo di che abbandona il Savio per raggiungere il passo dei Mandrioli (m. 1173) e passare nella Valdarno superiore. Ancora lungo il Savio procede invece la più recente diramazione che per il passo di Verghereto o di Montecoronaro (m. 853) alle falde del Monte Fumaiolo (m. 1408) passa alla valle del Tevere.

    E, quella del Savio, nella parte mediana forse la più bella e ricca valle romagnola, nella parte superiore la più aspra, dirupata e pittoresca, attestandosi all’alto crinale dell’Alpe di Serra e del monte Fumaiolo. Dove non incisa da nudi strapiombi, è ricca non solo di boschi, di coltivi e di vigneti, ma anche, un tempo, per la presenza dello zolfo nell’affioramento della formazione gessosa miopliocenica.

    Lungo la statale, movendo da Cesena, a km. 9,3 una strada secondaria, a destra, porta alle miniere di Formignano (201 m. sul mare) e Busca (175 m.). Più avanti, dopo Mercato Saraceno (km. 25,6), un’altra diramazione sale al displuvio fra Savio e Marecchia ove, alle falde del monte della Perticara (883 m.) si trovano le altre due miniere di Perticara (488 m.) e Marazzana (410 m.). La loro coltivazione, oggi, è assai ridotta, se non abbandonata.

    Ritornando poi sulla strada statale si raggiunge Sàrsina (km. 34 da Cesena, m. 243 sul mare), antichissimo capoluogo degli Umbri, città federata e poi municipio romano, patria di Plauto, ricca tuttora di preziose reliquie specialmente dell’età romana (necropoli, museo). E pure una delle più antiche sedi episcopali, con diocesi ridottissima (23.616 anime nel 1951), anche se in parte entro la provincia di Pesaro.

    Più oltre si vede il bacino idroelettrico di Quarto, interessante tecnici e studiosi per il rapido interrimento cui è stato soggetto dopo la costruzione (1926), e oggi infatti impiegato soltanto per l’irrigazione.

    Salendo ancora siamo a San Pietro in Bagno (2075 ab.), poi a Bagno di Romagna (km. 57, 491 m. sul mare), stazione idrotermale frequentata sin dai Romani e centro dei conti detti appunto di Bagno, una delle più solide dinastie feudali della montagna (secoli XII-XIV).

    Di qui le due diramazioni per Mandrioli e per Verghereto si arrampicano sui fianchi della montagna, or boscosi or di rocce nude, con ardite svolte che aprono sempre nuovi, mirabili panorami.

    Alla massa culminante nel Fumaiolo si attestano, a levante, anche le valli di sinistra del bacino sorgentizio della Marecchia. Ad est, al solito, la « quinta » delle maggiori elevazioni si trova spostata in avanti, verso mare, e può considerarsi iniziata con la grande massa del Carpegna (cime a 1399 e 1415 m.). L’alta valle della Marecchia, il Montefeltro, comunque, si ritiene comunemente piuttosto parte delle Marche ed è compreso infatti nella provincia di Pesaro. Quindi non ce ne occuperemo.

    Nel triangolo fra il Savio e la Marecchia inferiore si sviluppano altre minori valli (Fiumicino, Uso) che dissecano la collina, ricca di vigneti e coltivi e cosparsa di piccoli centri di crinale (Longiano, Roncofreddo, Sogliano, ecc.).

    Vedi Anche:  L'economia rurale: irrigazione,bonifica e pesca

    Il confine provinciale taglia la Marecchia, lasciando al Riminese soltanto, in destra, Verucchio, il nido dei Malatesta, appollaiato a scolta sulla bassa Romagna (m. 332 sul mare, circa 1000 ab. nel centro, 2231 in tutto il comune). Indi il torrente si affaccia al piano tra Sant’Arcangelo e Rimini, con un ampio fondovalle, nel quale l’alveo si diffonde in un’enorme sassaia.

    Se poi vogliamo continuare l’osservazione della bassa montagna e collina riminese, girato il territorio di San Marino (di cui appresso), vedremo ancor paesaggio analogo a quello notato tra Savio e Marecchia: monti che scendono rapidamente alle forme dolci della collina, coi loro fronti sempre più vicini al mare, paesi disseminati sui dorselli o terrazzi (Coriano, Montescudo, Montecolombo), qualcuno in fondovalle (Morciano, sul Conca, 2245 ab.) fino a Saludecio (m. 348) che è al centro del cantone più alto e meridionale e Mondaino, sullo spartiacque fra Tavollo e Foglia.

    La densità media della collina romagnola è di un 100 ab/kmq. e si abbassa di assai nella montagna, dove, sempre come media, resta inferiore ai 40.

    Anche qui vistoso si è fatto il fenomeno dello spopolamento montano. Nel comparto di montagna già prima del 1941 si contavano 39 poderi abbandonati, 20 nel quinquennio 1941-45, e sono stati addirittura 330 nel decennio successivo. Ma anche nella collina il fenomeno, irrilevante fino al 1951, si è fatto sensibile nel quadriennio successivo, con l’abbandono, in complesso, di ben 142 poderi.

    Ricordiamo infine che uno dei più vasti comprensori di bonifica montana è quello della Bassa e media collina forlivese, costituito con decreto 26 novembre 1930 ed esteso su 148.787 ettari.

    La rupe di S. img src=”images/, coronata dalle tre Penne turrite.

    San Marino

    Come le lunghe ondate dell’Appennino del Montefeltro, attenuandosi col procedere a nord, presentassero un’ultima increspatura prima di frangersi e cedere al piano, così si leva il bastione di San Marino, con le sue tre cuspidi caratteristiche (la seconda e più alta tocca i 756 m. sul mare). Sono queste le tre « penne » che figurano nello stemma del piccolo Stato. Spicca all’orizzonte da lungo giro intorno tanto che il poeta potè definire la Romagna:

    il paese ove andando ci accompagna

    l’azzurra vis’ion di San Marino.

    Pascoli, Myricae.

    S. Marino: piazza della Libertà, cuore della cittadina, vista dal palazzo del Governo.

    E’ un grosso banco di calcare arenaceo, immerso verso terra, che presenta le testate verso il mare, intagliate di rupi, a strapiombi fin di 200 metri.

    Quassù si formò sin dal più oscuro Medioevo una comunità religiosa, fondata, secondo vuole la tradizione, nel IV secolo da Marino, cavapietre dalmata fattosi eremita. Il più antico documento che ne resti è il « placito feretrano » dell’885 col quale la Chiesa ne riconosce l’autonomia. La comunità religiosa divenne piazzaforte nel X secolo ed ebbe un ordinamento comunale, tuttora, nelle linee essenziali, conservato: due capitani reggenti rinnovati ogni sei mesi (consoli nel XIII secolo), assistiti da due segretari di Stato, un Consiglio dei XII (amministrativo e giudiziario), un Congresso di Stato (composto dai reggenti, dai segretari di Stato e da otto deputati per i vari dicasteri) e un Consiglio grande e generale (potere legislativo).

    Unite a sè alcune terre limitrofe, la repubblica si costituì un piccolo dominio, che riuscì sempre a difendere dai signori vicini e che per il suo isolamento quasi sempre ottenne il rispetto anche dei potentati in lotta per il dominio della Romagna e delle Marche. Soltanto per brevissimo tempo venne occupata dal Valentino (1503) e dal cardinale Alberoni (18 ottobre 1739-5 febbraio 1740).

    Dopo i fatti del 1848-49 gli Austriaci vi fecero un’incursione nel 1851. I Tedeschi nel 1944 si limitarono a portarne via la piccola guarnigione.

    Dalla metà del Quattrocento il territorio, sui contrafforti collinosi fra Mareccchia e Conca, si stende per kmq. 6057, avanzando con una punta fino a una decina di chilometri in linea d’aria da Rimini.

    Da questa parte sale la strada principale, la statale 72 (1) che, toccata Ser-ravalle, con ampie curve raggiunge Borgomaggiore (495 m. sul mare) annidata in declivio ai piedi della rupe, mercato rurale e secondo centro della Repubblica (800 abitanti circa). Con ripide e tortuose salite la strada gira poi per raggiungere dalla parte di terra la cittadina di San Marino. Ma a questa si sale ora ben più rapidamente con la filovia diretta, da Borgomaggiore (dove si lasciano gli autoveicoli a posteggio).

    La piccola capitale presenta un caratteristico aspetto medioevale, in parte dovuto a felici rifacimenti. Vi si notano la trecentesca chiesa di San Francesco; il palazzo del Governo, rifatto in stile gotico, e inaugurato nel 1894 con un celebre discorso di Giosuè Carducci; la basilica di San Marino, costruzione neoclassica sul posto dell’antica piebaie demolita nel 1852; la Rocca, sulla prima delle tre «penne». Un sentiero sul ciglio estremo della rupe porta alla seconda torre, la Fratta, restaurata, indi alla terza, il Montale, rovinata.

    Per l’amplissimo panorama cui dà vista, per la curiosità della sua vita indipendente e per talune manifestazioni di essa (francobolli, monete, tabacchi), San Marino è al centro di vivo movimento turistico. Ma anche la campagna intorno, non turbata per secoli dalle vicissitudini ansiose della Romagna, amorosamente curata dagli abitanti non oberati di gravami fiscali, è fiorente.

    La popolazione tocca i 13.000 ab. presenti (1953) dei quali circa 2000 nel capoluogo; una densità quindi notevole: 216 ab/kmq. Circa altri 6000 sono i sammarinesi « all’estero », ma i più in Italia.

    La Riviera romagnola

    La costa emiliana potrebbe dividersi in due tratti: la spiaggia festosa del sud, da Gabicce a Cervia, e la spiaggia silente del nord da Cervia al Po di Goro. Il contrasto non potrebbe essere più vivace. E sempre, dal lato del mare, lo stesso aspetto piatto, basso, arenoso, unito, a lunghissime falcature, accompagnate, e non sempre, da basse dune, e inciso soltanto dalle piatte soglie dei torrenti e scoli e dai rari più profondi porti-canali, scavati e mantenuti artificialmente.

    Ma è la sovrapposizione delle manifestazioni umane che la differenzia nei due tratti in contrasto.

    Al sud, dai piedi del colle di Gabicce a Cervia, la pianura antica della Romagna meridionale si affaccia al mare, coltivata, appoderata, ma l’orlo ne è stato profondamente trasformato da una recente opera umana per lo svilupparsi di tutta una serie di centri balneari, allungati fra la rena della spiaggia e la strada litoranea, serie che si allenta dopo Cesenatico.

    All’antico paesaggio caratterizzato da dune e da vegetazione arbustacea ed arborea spontanea, si è sostituito ora un insieme di vie sempre alberate, a scacchiera, con innumerevoli costruzioni isolate in piccoli, verdi riquadri; un succedersi di ville, colonie marine, alberghi lungo la strada che segue il disegno della costa, mentre, sulla spiaggia, da un capo all’altro e quasi senza interruzione, ferve la vita estiva tra il più ridente, policromo rivestimento di tende, capanne, ombrelloni.

    Ed allorché la fascia di trasformazione, superato l’ostacolo della via litoranea e della ferrovia, s’inoltra dai centri verso l’interno, ecco un nuovo svolgersi di strade, un nuovo sorgere di ville, giardini, pensioni, che sviluppano i centri di più antica origine, come Rimini o, addirittura, li sommergono, come è avvenuto per Riccione e Cesenatico.

    Nel determinare questo nuovo aspetto del paesaggio, l’opera umana ha agito sugli stessi suoi componenti naturali; ne ha sistemato le forme plastiche mediante fissazione e spianamento delle dune; ha conseguito un più razionale assetto idrografico con l’escavazione di canali, la perforazione di pozzi e la costruzione di acquedotti; è intervenuto sull’andamento della linea di spiaggia ed infine ha modificato la composizione e la distribuzione del mantello vegetale, inserendovi poi tutto il nuovo complesso degli elementi edilizi.

    Rimini: il fianco del Tempio malatestiano con le arche dei poeti e dei sapienti.

    Rimini: porto-canale.

    E’ divenuto così questo estremo angolo della regione uno dei più popolosi comparti di essa. Su appena 364 kmq. (entro i limiti comunali da noi prescelti) una densità, oggi, di 487 ab/kmq. coi due terzi della popolazione accentrati. E ad economia varia (agricoltura, industrie, servizi, pesca).

    Da Cervia al nord è l’antica zona dei lidi, che limitavano la Padusa, ricoperti ora dalla caratteristica formazione boscosa delle pinete, frequentate soltanto da rari boscaioli e cacciatori e con l’unico centro di Marina di Ravenna, all’imbocco del porto-canale Corsini.

    La trasformazione, qual oggi si vede, è opera prevalente dell’ultimo mezzo secolo. Ma già Cattolica, Riccione, Rimini, Cesenatico, Cervia sono centri di più o meno antica origine.

    Rimini (50.123 ab.) è il capoluogo di fatto di questa «Riviera romagnola». All’innesto della via Flaminia nella via Emilia e presso la deviazione da questa della strada litoranea per il nord, la Popilia romana, la Romea medioevale, ora strada statale 46 Adriatica, ingresso della pianura romagnola dal sud, Rimini ha origini forse umbre o etrusche, ma acquistò notevole importanza dopo che nel 286 a. C. vi fu stabilita la colonia romana e vennero tracciate le dette grandi strade. Monumenti preziosi dell’età imperiale vi restano l’arco di Augusto (27 a. C.) all’ingresso di levante della città vecchia, il ponte di Tiberio sulla Marecchia a ponente e le reliquie dell’anfiteatro a nordest.

    Fu sotto i Bizantini uno dei centri della Pentàpoli, poi vuoisi sede di un ducato dei Longobardi e, dalla caduta di questi, più o meno soggetta alla Chiesa. Comune nel Duecento, e ne resta il bel palazzo dell’Arengo sulla piazza maggiore, restaurato nel 1922. Con la signoria dei Malatesta (1295-1503) conobbe un periodo di grande potenza e floridezza. Monumento di questa il mirabile tempio voluto da Sigismondo Pandolfo (1417-68), purtroppo distrutto durante la guerra ed ora ricostruito fin quanto è stato possibile con lo stesso materiale recuperato.

    Assoggettata a Venezia per pochi anni (1504-09) restava poi definitivamente alla Chiesa. Ma il periodo della grande fioritura rinascimentale si era chiuso.

    Il poeta rivolto a Rimini, canta:

    in te non cerco i segni delle imprese,

    ma le tombe cui semplici ti sculse

    pe’ i Vati e i Sofi quei che al genio indulse

    pur tra il furor delle mortali offese.

    Dormon gli Itali e i

    Greci lungo il grande fianco del Tempio, ove le caste Parche

    sospesero marmoree ghirlande.   

     D’Annunzio, Laudi, II.

    La città vecchia è compresa, grosso modo, in un quadrilatero fra la Marecchia e il torrente Ausa, a un km. dalla spiaggia. L’antica foce della Marecchia, canalizzata e difesa da lunghi moli paralleli, ne costituisce il porto, notevole per la pesca, scarsissimamente per movimento commerciale.

    Un vecchio borgo è sorto al di là di esso (Borgo San Giuliano) e una certa espansione recente si nota anche a sud e sudest, ma la città si è più che raddoppiata per estensione e popolazione coi quartieri sorti verso il mare. Ville e villette innumerevoli e cospicui edifici (alberghi, colonie marine) si sono diffusi, orientandosi con una direttrice litoranea che prosegue ormai quasi continuamente accompagnata da costruzioni fino a saldarsi con Riccione.

    Rimarginate le ferite della guerra, prima aerea, poi anche combattuta a terra palmo per palmo, ferite vaste e profonde appunto per il suo interesse come nodo di comunicazioni, è una nuova Rimini, quella del secolo XX, con una nuova sua personalità, un nuovo periodo di splendore, che, se non offusca per eccellenza di opere edilizie quello dei Malatesta, ben lo supera in valore materiale, facendola un centro di economia turistica d’importanza internazionale.

    Veduta di Riccione.

    Anche l’attività industriale vi è stata considerevole: aveva raggiunto gli 8387 addetti nel 1921, poi scaduti a 6266 nel 1936 specialmente per la soppressione delle importanti officine ferroviarie, che prima v’erano. Nel 1951 sono stati censiti di nuovo in 8531.

    Per la nota statistica dei grandi comuni Rimini si estende su 1168 ettari di « centro urbano » più altri 766 che si allungano sulla spiaggia a nord e a sud dal confine con Riccione e quello col nuovo Comune di Bellaria (Bellariva, Marebello, Miramare, Rivabella, Viserba, Viserbella, Torre Pedrera, Igea Marina). Gli abitanti del «centro» nel 1951 risultavano 39.451 (densità 34 ab/ha.), quelli della rimanente striscia 10.672 (densità 14).

    Verso Riccione dietro l’orlo di ormai continue costruzioni è circa a mezzavia l’aeroporto di Miramare. Scomparsi ormai sono i segni degli accaniti combattimenti svolti in questa zona nel 1944, specie appunto per il possesso della base aerea.

    Riccione (9895 ab. residenti nel 1951) è una città esclusivamente balneare, sorta intorno a un piccolissimo nucleo peschereccio preesistente. La sua spiaggia si dilunga per 5 km. divisa in due parti dal porto-canale. Ville, alberghi, giardini, viali alberati occupano ormai quasi tutto lo spazio fra la spiaggia e la ferrovia, con qualche propaggine anche al di là di questa, intorno alla stazione.

    Veduta di Milano Marittima con il grattacielo.

    Dopo Riccione, le costruzioni si fanno più intervallate (grandi colonie marine) salvo un nuovo coagulo a Misano Adriatico finché, passato il Conca, non riprendono a infittirsi nell’altro centro balneare di Cattolica (8306 ab.).

    Come abitato questo risale al 1271 ed ha avuto sempre qualche interesse per il suo porto-canale peschereccio. Ma anch’essa deve la sua espansione e fortuna all’attività balneare dell’ultimo mezzo secolo, non senza interesse turistico per la vicinanza della dirupata punta di Gabicce e della mirabile rocca di Gradara su un colle interno dove si compì, secondo la tradizione, la tragica sorte di Francesca da Rimini.

    Vedi Anche:  Il Reno, il Po, gli altri fiumi e le sorgenti

    Se poi da Rimini volgiamo a nord, passata la foce della Marecchia vediamo immediatamente riprendere la collana degli edifìci residenziali (ville, villini, colonie marine ecc.) e di centri balneari, in cui essi si raffittiscono. Così a Viserba, a Bellaria (4597 ab.), fatta Comune autonomo nel 1956, a Cesenatico (5935 ab.) coi nuclei intermedi di Torre Pedrera e Igea Marina fra i primi due, San Mauro a Mare e Gatteo a Mare fra il secondo e il terzo, nei rispettivi salienti che dai comuni interni di San Mauro Pascoli e Gatteo si spingono fino alla spiaggia.

    Porto-canale di Cesenatico.

    Cesenatico (aggettivo diventato nome) è il porto di Cesena, da questa fondato nel 1302 e dotato di porto-canale, rifatto su disegno di Leonardo da Vinci che vi dispose un bacino a nord e un canale chiuso a sud (la Vena Mazzarini) a regolazione della marea. Nella Vena Mazzarini, curiosità da segnalare, si tengono ora in cattività alcuni delfini.

    Al piccolo centro peschereccio a T lungo la strada e il porto-canale si è aggiunto un vasto quartiere balneare con fronte a mare di qualche chilometro tracciato secondo un previggente piano regolatore a scacchiera, in atto sin dal principio del secolo, con ampi e lunghi rettifili alberati. E adesso vi hanno pure costruito un grattacielo di oltre venti piani, presso la spiaggia sulla piazza in posizione mediana, non discutiamo con qual gusto e con quale armonia nell’ambiente.

    Da Cesenàtico al nord le costruzioni, finalmente, si rarefanno: sono, da Cattolica a qui, almeno 50 km. di spiaggia, intensamente popolata e movimentata nell’estate.

    Le cifre di popolazione dei centri riportate fra parentesi si riferiscono alla popolazione residente stabile, quindi non dànno affatto un’idea dell’affollamento di questa lunga zona litorale durante i mesi estivi: punte di qualche centinaio di migliaia di presenti non sono rare, specialmente in luglio e in agosto.

    Ma ormai anche la popolazione residenziale proveniente dal di fuori non è indifferente. E fenomeno tipico dei decenni ultimi (dopo il 1920, grosso modo) riscontrato anche altrove: i pensionati, i piccoli redditieri, i cagionevoli di salute, i quali si fermano in questi, che diventano soggiorni di riposo per tutto l’anno, mentre nell’estate possono offrire qualche integrazione economica con l’affitto di parte delle abitazioni.

    Il Ravennate nel tardo impero. La città, il porto di Classe, le strade romane e la probabile linea di spiaggia al tempo di Augusto.




    Mosaico raffigurante il palazzo di Teodorico a Ravenna. (Ravenna, chiesa di S. Apollinare Nuovo).

    Cervia trae origine da un centro antichissimo (Ficocle). La cittadina attuale (6047 ab.), più a sud e più vicina al mare, è stata fondata nel 1698 su piano del romano architetto Berti. La stazione balneare è divisa in due: l’uno innanzi all’abitato, con arenile di circa un km., l’altra al di là del porto-canale, nella pineta, più recente (1924) col nome di Milano Marittima. E altro grattacielo, che per vero non stona ponendo un pittoresco contrasto fra la pineta verdissima, nella quale le costruzioni minori restano immerse e nascoste, e l’opera umana che se ne estolle nitida e potente. Ma Cervia interessa anche per le antichissime estese saline (circa 6 km. per 2), i cui prodotti sono esportati per terra e per mare.

    La striscia di pianura retrostante questa spiaggia meridionale, fra essa e la via Emilia, è stata da noi compresa nel pedemonte litoraneo e, per quello che di essa rientra nel comune di Cesena, nel pedemonte romagnolo. Essa è caratterizzata nel tratto relativamente più alto dai vistosi segni della centuriazione romana, in quelli più prossimi al mare dall’opera di bonifica del Consorzio Aria e Savio. Il comprensorio di questo si stende per 28.000 ettari (in parte anche nella provincia di Ravenna) fra il Savio, il Bevano e il Pisciatello. Le acque sono convogliate a due idrovore, una presso Cervia e l’altra a La Tagliata vicino a Cesenàtico.

    Ravenna

    Il luogo di Ravenna non par mutato, anche risalendo ad età antichissime, da quello che è. Mutate sono le condizioni del sito, quindi le forme della distribuzione pianimetrica dell’abitato.

    Per comprenderne la singolare storia bisogna richiamare la notizia di quelle che erano le condizioni del delta padano nei primi secoli di Roma e seguirne le trasformazioni fino a quel 1150, che, con la rotta di Ficarolo, ne segnò una svolta essenziale.

    Simile a Venezia, ma pur diversa Ravenna perchè si formò non entro la laguna, ma all’estremità dell’ala meridionale del delta preromano del Po, dissecata in isolette da canali e dai rami di foce del Montone e del Ronco. Umbra, si vuole, e certo soggetta poi all’influenza etnisca, come prova il nome, fu indi rifugio delle popolazioni locali durante l’invasione gallica, municipio e colonia romana. Ma già alla fine della Repubblica l’interrimento delle paludi attorno minacciava le radici della sua forza: la funzionalità del porto e l’isolamento onde era quasi imprendibile. Augusto vi fece scavare il grande porto di Classe, base navale della flotta (Classis) imperiale dell’alto Adriatico e Claudio la cinse di mura.

    Nel frazionamento dell’Impero e di fronte alle minacce barbariche Onorio ne fece il centro strategico e politico della sezione occidentale (anno 402). Cadde però sotto l’urto degli invasori e Odoacre prima, Teodorico poi vi posero la loro capitale (476-526). Conquistata dai Bizantini nel 540, restò la base dei loro domini in Italia.

    In questi secoli V e VI è l’età d’oro di Ravenna. I monumenti superstiti, e non sono pochi, rappresentano il più ricco complesso di documentazione dell’arte di ispirazione bizantina in Italia: dal Battistero, che è un’ottagonale terma romana, adattata nel V secolo, dal cosiddetto mausoleo di Galla Placidia, sorella d’Onorio e madre di Valentiniano III (2), e dalla chiesa, da lei medesima voluta, di San Giovanni Evangelista al battistero degli Ariani, al mausoleo di Teodorico e a Sant’Apollinare Nuovo da lui costruito, alla basilica di Sant’Apollinare in Classe, alla mirabile ottagonale chiesa di San Vitale compiuta da Giustiniano, la cui immagine vi trionfa con quella di Teodora, opere tutte imponenti e armoniose per architettura e arricchite di splendidi mosaici.

    Ravenna: chiostri francescani.




    Lenta, inesorabile seguì la decadenza dopo Giustiniano, anche se soltanto nel 751 sia riuscito ai Longobardi di impossessarsi di Ravenna e soltanto per pochi anni.

    Assegnata alla Chiesa, essa costituì uno dei primi Comuni. Ebbe un nuovo breve periodo di floridezza con la signoria dei Polentani, gli ospiti di Dante. Poi passò sotto il predominio di Venezia, che anzi la tenne soggetta dal 1441 al 1509. Infine venne in diretta soggezione del Pontefice.

    Nei secoli successivi gli avvenimenti principali furono la costruzione di un nuovo canale di accesso al mare, per il quale fu richiamato l’antico nome di Candiano (1652), la diversione dei fiumi Ronco e Montone, che vennero convogliati al mare a sud della città in unico alveo (Fiumi Uniti) nel 1737 e infine la sistemazione del canale marittimo, che prese nome da Clemente XII Corsini, compiuta con molti sforzi dal 1754 in poi. Altro momento essenziale della storia di Ravenna è infine rappresentato dall’inizio dell’opera di sistematica bonificazione nelle campagne intorno, dagli ultimi decenni del secolo scorso divenute sempre più popolose e feconde.

    La cinta murata, per lunghi tratti conservata, ha un andamento poligonale bizzarro, concludendosi al nordest con la vasta rocca di Brancaleone, iniziata dai Veneziani nel 1457 e smantellata nei secoli successivi.

    All’interno la città si addensa specie nel centro e nordovest con un dedalo di vie e viuzze che hanno per direttrici fondamentali tre grandi radiali (ora vie Diaz, Cavour e Mazzini). La stazione ferroviaria è ad oriente, fra le mura e la darsena del porto. A questo dà accesso il canale Corsini, largo circa 300 m. e lungo 11 km. Lungo il percorso sono sistemate altre banchine, stabilimenti, eccetera.

    Pur ancora prima che vasti spazi interni non ne siano stati occupati, la città si è espansa fuori le mura, cominciando col grosso borgo San Biagio sulla via di Faenza (a nordovest) e coi sobborghi meridionali di San Rocco e Garibaldi, sulle vie di Forlì e di Rimini, poi anche intorno, a sudovest e oltre ferrovia a nordest ed est, con quartieri nuovi più o meno rarefatti.

    Ecco Ravenna come appariva fra « le città del silenzio » alla fine del secolo scorso :

    Ravenna, glauca notte rutilante d’oro,

    sepolcro di violenti custodito

    da terribili sguardi,

    cupa carena grave d’un incarco

    imperiale, ferrea, construtta

    di quel ferro onde il Fato

    è invincibile, spinta dal naufragio

    ai confini del mondo,

    sopra la riva estrema…

    D’Annunzio, Laudi, II.

    Così appariva nell’iperbole della poesia dannunziana. Ma oggi è ben altro che soltanto un sepolcro di glorie passate.

    Secondo la più volte ricordata statistica dei grandi comuni il centro urbano risulta esteso su 3968 ettari con 38.034 abitanti. La densità appare inferiore a 10 ab. per ettaro, perchè nell’area è evidentemente compreso largo spazio di periferia con edilizia ancora sporadica. Si aggiungono poi sei sobborghi (Porto Fuori, Sant’Apollinare in Classe Fuori, Madonna dell’Albero, San Bartolomeo, San Marco, Villanova) con altri 11.890 ettari e 7150 ab. (0,6 ab/ha.).

    Il rimanente del vastissimo comune, uno dei più estesi d’Italia (66.338 ha.), comprende altri 46.614 ab., di cui 18.717 in centri minori e 27.897 in nuclei e case sparse.

    Le funzioni odierne che hanno dato nuovo impulso, dapprima modesto, negli ultimi anni sempre più rilevante, allo sviluppo urbano di Ravenna, sono venute fino a ieri oltre che dall’interesse turistico di risonanza mondiale, dal suo porto, unico fra Ancona e Venezia, e dalla sua posizione di centro di coordinamento di una vasta plaga agricola, divenuta sempre più fiorente per le opere di vecchia e recente bonifica.

    L’attività industriale si era fatta non trascurabile nell’interguerra (zuccherifici, concimi, raffineria petroli, molitura); nel 1936 occupava 8214 addetti, nel 1951 9204.

    Ma in questi ultimi anni una nuova fonte di ricchezza si è presentata nel vasto e ricco campo metanifero a nord della città (si parla di un’area di 11 km. per 2,5). Tutta una nuova zona industriale si sviluppa a sinistra del canale Corsini, con grandi stabilimenti fra i quali il maggiore produce gomma sintetica che potrebbe bastare a tutto il consumo nazionale e viene anche esportata. Altro grande stabilimento è la raffineria petroli della B.P., che del greggio e di acqua dolce si approvvigiona mediante tubazioni, che fanno capo ad una piccola isola d’acciaio su palafitte oltre 6 km. al largo del molo di Porto Corsini. Ad essa s’accostano direttamente anche le più grosse petroliere che solcano l’Adriatico. Di conseguenza viene sviluppandosi il porto, al quale si sta preparando un ampio avamporto fra dighe.

    Pianta di Ravenna nel 1957.

    Rocca di Lugo.

    Il Ravennate

    Oltre il vasto Comune, la diretta sfera d’influenza di Ravenna per la raggiera di vie che ne diparte, si stende per quella che abbiamo indicato come « pianura interna », cioè a Russi (3211 ab.), Bagnacavallo (4693 ab.), Lugo (12.502 ab.) e Massa Lombarda, già ricordata, ad Alfonsine (4606 ab.) e a Sant’Alberto (1853 ab.) sulla sponda meridionale delle valli di Comacchio.

    Dove era l’antica Selva Litana fu poi Lugo castello degli arcivescovi di Ravenna; appartenne agli Estensi dal 1377 al 1598; nel secolo XIV sostenne l’assedio di quel famoso signore di La Palisse che « un quarto d’ora prima d’esser morto era ancora vivo». Famosa è anche la sua insurrezione contro gli occupanti francesi nel 1796. Oggi è in ispecie un fiorente mercato, di bovini ed altro, frequentato da largo raggio intorno.

    Alfonsine deve il nome, secondo la tradizione, ad Alfonso I d’Este. Nell’aprile 1945 vi si svolse un aspro combattimento, nel quale le nostre truppe del Gruppo Cremona e le alleate si aprirono la strada per l’ultima avanzata verso Ferrara e il Po.

    E da una parte la pianura interna, la solita pingue pianura romagnola, fitta di abitanti e centri. Vi superano i 2000 ab., oltre i citati, Villanova, Voltana e Consèlice.

    Non vi mancano attività industriali. Si notano particolarmente zuccherifici a Granarolo, Massa Lombarda, Mezzano (al margine della cassa di colmata del Lamone).

    E più in basso, specialmente intorno alla città e al nord, la stesa piatta delle « larghe » di più recente bonifica, tuttora disalberate, con le caratteristiche colture cerealicole, foraggere, della barbabietola e un dì della canapa, e le grandi stalle bovine.

    Due sono gli enti di bonifica principali: il Consorzio della bassa pianura ravennate (69.776 ha.,  tutti a scolo naturale) e i Consorzi riuniti di bonifica e scolo di Ravenna (58.500    ha., di    cui 11.217 a scolo meccanico). L’ultima grande cassa di colmata, quella del Lamone, ha ormai esaurito il suo compito. Il fiume, canalizzato, è stato riportato a sfociare direttamente in mare.

    Nella zona delle bonifiche si svolge, in parte, l’opera della riforma agraria dell’Ente Delta, di cui si parlerà nel capitolo seguente.

    E infine la zona litoranea della pineta, ora smembrata nelle tre di Cervia fra le saline e il Savio, di Classe dal Bevano ai Fiumi Uniti, e di San Vitale, la più lunga, dal canale Corsini fin verso la foce del Reno.