Vai al contenuto

Tipi di paesaggio e articolazione

    I tipi di paesaggio e l’articolazione

    I tipi del paesaggio emiliano

    Una storia geologica complessa (tanto che la sua ricostruzione lascia tuttora aperte non poche e non lievi controversie); una grande varietà litologica in affioramento, che va dalle pile di arenarie macigno ai terreni sciolti limosi e torbosi del delta padano ancora in formazione, dai calcari e dai gessi alle marne, ai sabbioni argillosi, alle argille azzurre, dagli argilloscisti e dai flysch tipici ai conglomerati e alle argille scagliose col loro corredo di interclusi calcarei, arenacei e ofiolitici; una graduale differenziazione di clima, da quello relativamente mite del litorale a quello estremo delle zone più alte, passando per i variati aspetti intermedi della « bassa » più lontana dal mare, della pianura interna, della fascia pedemontana e dei fondo-valle: questi i determinanti fisici fondamentali della varietà dei paesaggi emiliani.

    Da ciò, nei componenti di essi, la plastica varia dall’alta montagna alla spiaggia marina; lo sviluppo del reticolo fluviale (indi un’attiva erosione normale) se pure a carattere torrentizio; le fasce altimetriche della vegetazione, peraltro questa profondamente rimaneggiata e ridotta dall’intervento umano a poche diffuse forme essenziali spontanee e coltivate; la disseminazione delle dimore sparse, l’allineamento dei centri urbani lungo il pedemonte, il disegno della rete stradale regolato dalla grande via romana a sua volta appunto adeguata alla direttrice naturale pedemontana; la popolosità del piano e dei fondi valle…

    E la storia plurimillenaria di invasioni e regressioni di popoli, di sovrapposizioni di civiltà provenienti dall’esterno e di autonomie sociali e politiche insorte dall’interno, di lotte per domare il piano acquitrinoso e portare greggi e industrie su per la montagna: tutti altri determinanti antropici, dominati o eccitati dall’ambiente fisico o su esso reagenti, onde profonda impronta ne rivelano i componenti edilizi del paesaggio (strade, ponti, città, canali, fabbriche, dimore…) ma anche quelli vegetali e idrografici.

    Dal vario combinarsi di codesti componenti (plastico, idrografico, vegetale, edilizio) e dei loro determinanti (litologico, climatico, antropico) deriva una varietà considerevole di paesaggi. Essi tuttavia possono raggrupparsi in alcuni tipi ancorché numerosi. Taluni in netto contrasto, come il paesaggio aspro e brullo dei più alti crinali (Cusna, Cimone, Corno alle Scale) e quello piatto di acque sottili e ondulazioni appena emergenti delle valli comacchiesi; o come il ricco paesaggio profondamente umanizzato della cimosa pedemontana, densa di città e cittadine, di contro al misero, semideserto paesaggio delle argille scagliose, sulle quali si arrampicano a fatica pei pendii instabili, a tratti discontinui, il querceto e la macchia arbustacea.

    Il Corno alle Scale in tenuta invernale.

    Altri tipi invece, specie nel piano, si differenziano per sfumature, come là dove prevale o è largamente presente il frutteto, e dove i campi sono intercalati dai filari vitati, e dove s’allargano in enormi appezzamenti senza un albero.

    Ancora, tipi che contrassegnano vaste estensioni, come quelli delle « basse », o che si presentano più e più volte entro zone più o meno larghe e lunghe, come quelli pedemontani, collinosi e montani; e altri particolarmente originali, che contrassegnano limitate estensioni, ove affiora una particolare formazione litologica (es., gessi)

    o si sviluppa un particolare fenomeno (es., calanchi) o si conserva una particolare formazione vegetale (es., pineta).

    Volendo tuttavia riunire e ordinare i tipi fondamentali di codesti paesaggi, cominceremo col distinguere tipi a plastica accidentata e a plastica pianeggiante e fra quelli avremo tipi a plastica molto accidentata e tipi a forme molli.

    Nei primi comprendiamo anzitutto il paesaggio aspro e brullo delle più alte vette e crinali e quelli sparsi, anche più in basso e ravvicinati al piede del rilievo, determinati dall’affioramento delle groppe gessose (paesaggio tipico ne è quello della Vena del Gesso in Romagna, mentre quello sùbito sopra Bologna, fra Idice e Reno, più interessante per lo sviluppo del carsismo, è molto meno aspro) o dalla protrusione di pacchi di strati calcarei o calcareo-arenacei fortemente inclinati, come a San Marino, o tavolari come nella dantesca Pietra Bismantova.

    Paesaggio di bassa montagna e collina romagnola: Corzano (Forlì).

    Aspro inoltre si presenta talora il paesaggio delle strette tagliate dai corsi d’acqua nelle arenarie, come la forra del Reno fra Ponte della Venturina e Pracchia.

    Aspro infine e desolato, in plaghe discontinue ma numerose, il particolare paesaggio dei calanchi nei loro anfiteatri rovinosi e brulli finemente plasmati in innumerevoli creste e vallecole dal dilavamento nelle argille.

    Questi i paesaggi più aspri. Scendendo sui declivi dell’alta montagna, più o men dolci, su flysch, arenarie, molasse, il carattere differenziatore fondamentale dei paesaggi è dato dal rivestimento vegetale, nelle fasce successive e più o meno interrotte, dall’alto in basso, della faggeta, del castagneto e, meno conservato, del querceto. Dove non degradato dal diboscamento o, eccezionalmente, arricchito di abetaia. E di queste due forme ultime due tipici paesaggi, in accostamento suggestivo, puoi vedere salendo per la valle del Bidente fino alla mirabile foresta di Campigna, salvata dai Granduchi sul crinale della Romagna-Toscana per girare poi e rientrare in Romagna dal Passo dei Mandrioli affacciandosi al dantesco orrore dell’alta vai di Savio.

    Dove il diboscamento non ha troppo degradato il suolo, e così nei terrazzi e ripiani, si alternano le colture solite: granaglie, foraggere, legumi, e, se appena possibile, vite. Piccoli centri disseminati qua e là rannodano la popolazione, mentre piuttosto scarse e rade sono le case isolate.

    Ancor più arrotondate e dolci, con terrazzi intermedi e terminali, le forme della media montagna, in argille, marne, sabbioni, con prevalenza di campi coltivati e alberati di varia disposizione a seconda delle forme plastiche e dell’andamento dei corsi d’acqua, con pochi piccoli centri e più numerose case sparse.

    Ma altre intercalazioni vi sono, nella media montagna, e le più tristi, là dove affiorano le argille scagliose, povere di rivestimento vegetale (querceto a placche, macchia) sino a sterpeti e chiazze nude ruinose. Le noti sin lungo le ferrovie; specialmente lungo la Parma-Spezia, non appena, dopo Fornovo, la vai di Taro penetra e sale nella media montagna.

    Tali paesaggi, più o meno puri e più o meno mistiformi, si dilungano anche nella zona di media montagna e fin nella collina con forme di transizione, nelle quali le formazioni vegetali naturali cedono sempre più largamente il posto ai campi e ai vigneti.

    Così pure all’accostarsi dei fondivalle, dove questi si presentino più ampiamente terrazzati, anche in montagna, ma specialmente nella media montagna, il paesaggio, addolcito ancor più nelle forme plastiche, si arricchisce di coltivi, di case sparse, di strade, di centri.

    Il tipo o i tipi dei fondivalle (chè parecchie vallate presentano caratteri originali, per una certa industrializzazione come la vai di Taro o la vai di Reno o per particolare intensità di traffici) si riallacciano a quelli dominati dalla plastica pianeggiante.

    Fra questi ultimi spicca il tipo del pedemonte, caratterizzato dalla più intensa umanizzazione, che va dal vivacissimo traffico lungo la grande direttrice della via Emilia, raccordante gli sbocchi delle valli, alla successione dei grossi e medi centri urbani, intercalata di una folla di casali e case sparse; dal minuto appoderamento, che reca ancora i riflessi della centuriazione romana, alla corona degli orti irrigui circondanti molti centri urbani, alla serie degli stabilimenti industriali, che si succedono da Rimini a Piacenza con notevoli concentrazioni a Forlì, a Bologna, a Modena, a Reggio, a Parma, a Piacenza.

    Le torri di Brisighella su spuntoni gessosi.

    Non senza ulteriori differenziazioni locali di paesaggio, se il declivio della collina incomba alto dappresso, come a Bologna, o attenuato e lontano come a Parma o a Piacenza.

    Scendendo dal pedemonte al nordest, fin che non si giunga alle valli da pesca di Comacchio, da un lato, e al litorale riminese, da l’altro, i tipi di paesaggio si differenziano per sfumature, intercalandosene variamente e ripetutamente la presenza. Non contrasti di plastica e di clima; scarsi di idrografia, chè i fiumi cominciano ad essere arginati poco sotto la fascia pedemontana; neppur notevoli di popolamento, che è ovunque piuttosto intenso e a centri, borgate e case sparse. Il contrasto più vivo è fra il minuto appoderamento dell’alta pianura, con appezzamenti alberati e disposizione graticolare, disseminate innumerevoli case sparse e casali o borgate, colture avvicendate e variatissime dal pomodoro a pieno campo (Parma) al frutteto (Imola, Cesena), dalla bietola alla canapa, oltre al frumento, mais, foraggere, ecc., tanto più oggi che vi si diffonde l’irrigazione da pozzi profondi. E dall’altra parte l’estensione dei vasti appezzamenti a monocoltura della « bassa », tipicamente detti « larghe », disalberati, con più rade ma più grosse dimore sparse, con l’orizzonte dominato dagli alti argini che contengono i fiumi, le lunghe strade diritte, i canali di raccolta, le idrovore.

    Variano codesti due aspetti fondamentali estremi le forme di trapasso e miste delle zone di più antica bonifica, e li variano specialmente talune varietà di coltura. Non solo più in alto, come s’è già notato, ma anche nelle «larghe» della bassa: granaglie, foraggere, bietola, canapa e infine, spiccando in modo particolare come componente del paesaggio — anche se per modeste estensioni — la risaia del basso Bolognese e contrade vicine.

    Inoltre, nella bassa del « delta » sembra necessario ormai riconoscere un tipo a sè nel paesaggio delle aree investite dalla Riforma agraria con l’appoderamento, l’allineamento delle nuove dimore rurali « sparse » e l’enucleazione dei « centri dei servizi ».

    Poi, come s’è pure accennato, sono le valli da pesca di Comacchio e, attraverso transizione, il paesaggio «terracqueo» dei lobi e delle sacche del delta padano; le placche di paesaggio boschivo sugli antichi lidi (bosco della Mèsola nel Ferrarese, pineta di Ravenna e di Cervia); infine l’originale paesaggio litoraneo balneare della Riviera romagnola, da Cervia a Cattolica, l’estiva « costa gioiosa » in vivo contrasto con la più settentrionale « costa silente ».

    Di contro a tutti codesti paesaggi, che sono individuati dai loro aspetti estensivi, diremo in una parola: rurali, sta infine il paesaggio urbano. Pur nelle varie forme, che assume luogo per luogo secondo gli elementi naturali cui i singoli agglomerati si sovrappongono secondo la loro storia, i loro caratteri architettonici, sociali, economici, la loro intensità di sviluppo, è, come tipo, un tipo a sè che di sè informa, interamente copre un tratto più o meno vasto di territorio, ma in un modo specifico, inconfondibile. Quello solo, forse, che, se paesaggio umano è per la nostra ambizione paesaggio creato da l’uomo, unico può accostarsi al concetto.

    Vedi Anche:  I dialetti, le tradizioni e i caratteri antropologici

    Di tutti, di questo come degli altri, si deve ancora dire che sono caratterizzati anche dall’intensità della loro evoluzione in atto, massimo ovviamente dove più spiccano i componenti umani o determinati dall’uomo.

    Il paesaggio suggestivo della dantesca Pietra Bismantova.

    Nel paesaggio pedemontano è bastato il tempo di una generazione a renderne irriconoscibile a chi ne sia stato lontano, non certo il fondo, ma il volto. Se ritorno col pensiero agli anni della mia adolescenza debbo ricrearmi nel ricordo i distacchi che stavano fra un centro e l’altro della Via Emilia serrata ancora dappresso dai campi coltivati con le loro case coloniche distanziate, e la via bianca di polvere in cui si frantumava la ghiaia sotto i cerchioni di ferro delle ruote di barrocci e carrozze. Quella che ora è nera di bitume e affollata di flusso continuo nei due sensi di veicoli a motore, dai mastodontici treni stradali e autopullman alle vetturette utilitarie, alle « moto » guizzanti, ai « motorini ». Mentre tutta una serie di costruzioni l’accompagna d’ambo i lati, corrodendo, invadendo la campagna con stabilimenti, magazzini, distributori, case d’abitazione, serie che si protende non solo da una parte e dall’altra dalle città maggiori, ma anche dai centri minori tendendo in certi tratti addirittura a saldarli, sì che la strada attraverso la campagna sempre più tende ad assumere il carattere di tutta una sola gigantesca via urbana.

    Altro tipo che ha subito e subisce intensa evoluzione è, ovviamente, quello delle zone di bonifica. Sono scomparse o vanno scomparendo le plaghe acquitrinose, che la canalizzazione e le idrovore hanno e mantengono prosciugate, sostituendovisi sempre più rassodati e rigogliosi i coltivi. Sono scomparse o scompaiono l’una dopo l’altra le caratteristiche « casse di colmata », le quali ormai hanno adempiuto il loro compito o l’uomo frettoloso ha integrato con l’idrovora.

    Chè non si tratta soltanto di evoluzione dei tipi in se stessi, ma di variazioni dell’estensione del loro rispettivo dominio. Il paesaggio urbano invade il paesaggio rurale. Il paesaggio delle bonifiche si sostituisce a quello delle « valli » e fra non molto anche sull’ultima grande valle, quella del Mezzano, si stenderà la pianura coltivata.

    E a sua volta il paesaggio delle « larghe » della bonifica cede ampie aree al tipo della pianura appoderata conseguente alla Riforma.

    E la stessa spiaggia silente del nord non è più tanto silente, perchè vi sono giunti gli avamposti di un’economia balneare, come a Marina di Ravenna di qua e alla Marina Romea di là dal Candiano, a Porto Garibaldi, al Lido degli Estensi.

    La differenziazione zonale

    La differenziazione subregionale interna, a prima vista, se ritenessimo preminenti nel determinarla le condizioni fisiche, dovrebbe apparire anzitutto  in una regione di montagna e una di pianura, con  l’intermedio di una regione di collina.

    Su questa base ha proceduto l’Istituto Centrale di Statistica (Istat) nello stabilire una ripartizione del territorio nazionale, applicata quindi anche a quello della nostra regione, in circoscrizioni statistiche.

    Ripartizioni e denominazioni sono state introdotte, la prima volta, preparandosi la compilazione del Catasto agrario 19io (pubblicazione interrotta dalla guerra 1915-1918 senza che ancora avesse compreso l’Emilia-Romagna). Poi, con qualche correttivo, costituirono l’inquadramento del Catasto agrario 1929. La pubblicazione di questo è stata in fascicoli provinciali e per ciascuna provincia contemplava «regioni agrarie » di montagna, collina e pianura, suddivise a loro volta in « zone agrarie ».

    Una nuova revisione, i cui risultati sono stati pubblicati nel 1958, ha molto opportunamente sostituito il termine di « zona altimetrica » a quello di « regione agraria », attribuendo quest’ultimo alle minori circoscrizioni incluse in ciascuna « zona alti-metrica » d’ogni provincia. Inoltre per ciascuna zona ha anche introdotto la specificazione di « interna » e « litoranea ».

    Con tutto ciò sembra ancora che, nel caso specifico della nostra regione, tale prima ripartizione zonale sia ancora inadeguata. Tanto più che, evidentemente, non basta la considerazione dell’economia agricola (pur se preminente nella struttura economica e sociale del paese) per rendersi conto di come la regione si articoli in unità subregionali distinte, ciascuna caratterizzata non da un solo aspetto o da un gruppo di aspetti ma da tutto il complesso dei componenti del suo paesaggio e della sua vita, che è economica, ma anche sociale, culturale, morale, ecc.

    Impianto di irrigazione nella zona di bonifica ferrarese.

    Milano Marittima: la pineta di Cervia e pianura romagnola.

    La prima originalità che emerge nella regione emiliana a determinarne una differenziazione interna di troppo diversa da quella che per altre regioni può consentire la semplificazione delle tre zone di pianura, collina e montagna, è la presenza della lunga striscia pedemontana che si sviluppa da Cattolica a Piacenza. Ne sono caratteri distintivi: la continuità; il più o men brusco mutamento delle pendenze con una intermedia fra quelle pronunciate del rilievo accidentato a monte e quelle minime del piano a valle; il collegamento che in essa avviene degli sbocchi delle valli affiancate su l’unico piano antistante; la natura stessa del terreno; l’abbondanza di acque freatiche e infine la funzione nel sistema naturale delle comunicazioni e con ciò quella storica. Sono tutti coefficienti che vi hanno determinato l’originale aggruppamento e allineamento in serie di grossi e vivaci centri urbani, di colture intensive, di industrie e commerci, ecc.

    Appare pertanto indispensabile distinguere anzitutto la regione emiliana non in tre, ma nelle quattro zone fondamentali della pianura, del pedemonte, della collina e della montagna.

    La differenziazione subregionale

    Questa la prima differenziazione in funzione del rilievo.

    Essa tuttavia risulta dalla ricerca di caratteri di omogeneità su più o men vasto spazio.

    Per vero le unità regionali (o subregionali che si debbano chiamare) non sono tanto individuate da una loro omogeneità interna, quanto dalla loro organicità, dalla loro esistenza come qualcosa di organico, di vivo, in unità di vita, in coordinamento delle espressioni di questa, in (tendenziale) armonia di elementi in concorso.

    Se pensiamo dunque di risalire alla individuazione delle subregioni dagli effetti che esse riflettono in quanto costituiscono ambienti unitari, anche se non omogenei, di vita, ci è debito osservare — prima di tutto — che la montagna si spezzetta in tante unità minori, spesso fortemente distinte per caratteri naturali, economici, sociali in funzione della loro storia (effetto e causa ad un tempo, cioè di questa), riflessi anche in aspetti esteriori, come dialetti o forme edilizie, folclore o preferenze politiche.

    Ci si sentirebbe portati allora a vedere fondamento della differenziazione regionale anche un altro dato naturale: quello costituito dalle forme plastiche concave continue del rilievo, indicate comunemente da un momento che ne è effetto (ma morfogene-ticamente anche causa, per lo meno concorrente) cioè come « bacini idrografici ».

    Ma neanche la ripartizione della regione in bacini idrografici può esaurire il compito di riconoscere la reale differenziazione subregionale. Non soltanto per il fatto che essa sostanzialmente si arresta allo sbocco o poco sotto lo sbocco delle valli nel piano (gli spartiacque in pianura, difficilmente riconoscibili come s’è già detto, non differenziano ambienti eterogenei, anzi sono essi stessi incerti e mutevoli, in passato per diversioni naturali dei corsi d’acqua, oggi poi anche per gli interventi umani: canalizzazioni, scoli) nè soltanto perchè nella montagna stessa, fidando del solo dato naturale, ciascun bacino di fiume principale si articola a sua volta nei bacini degli affluenti e subaffluenti fino a portarci, volendo rigorosamente seguire un tal criterio, a una frammentazione che è, sì, in natura nei confronti del fatto plastico e del fatto idrografico, ma non nella considerazione integrale dell’ambiente quale va tenuta presente nella ricerca del riconoscimento di unità subregionali. Nella montagna stessa queste si individuano attraverso altre considerazioni. Anzitutto nel fatto che le unità montane si coordinano non tanto intorno a qualcuno dei centri che in esse sorgono, quanto nei centri maggiori che si susseguono nella fascia pedemontana, allo sbocco delle valli principali. Voglio dire, per es., che la montagna bolognese non si coordina tanto in Porretta o in Vergato quanto proprio in Bologna, come quella parmense non tanto in Borgo Val di Taro o in Fornovo quanto proprio in Parma.

    Foresta di Campigna e valle del Bidente di Campigna poi di Corniolo.

    Non solo, ma l’area di dominio diretto di codesti centri pedemontani, diffondendosi nel piano, richiama una parte di questo a unità di vita con le valli sovrainfluenti. Qui intanto è la ragione della formazione di quelle grosse unità politiche d’altri tempi, rimaste ancor oggi come unità territoriali comunali a cavaliere della via Emilia, quali i comuni di Reggio Emilia, Modena, Bologna, Imola, Faenza, Forlì, Cesena, estesi nel piano e sul colle.

    Subregioni (sopra) e zone altimetriche (sotto) in parallelo.

    E qui anche una spiegazione dell’origine delle circoscrizioni provinciali, che si affiancano da Piacenza a Forlì: circoscrizioni oggi amministrative, ma vitali. E tuttavia vitali in modo particolare sono anche le unità intermedie (intermedie fra comuni e province) che grosso modo si adeguano ai principali bacini idrografici fino allo sbocco in piano e ciascuno con un proprio tratto, per così dire, di « avanterra » nel piano stesso.

    Con caratteri di comunità di vita evidenti sotto tanti aspetti, per cui tratto per tratto può riconoscersi la pianura di quella montagna e la montagna di quell altra pianura.

    Vedi Anche:  La vita culturale: università, musei, gallerie e biblioteche

    Si potrebbero elencare, come individuabili in modo particolarmente accentuato venendo da sudest al nordovest, il Riminese, il Cesenate, il Forlivese, il Faentino, l’Imolese, il Bolognese, il Modenese, il Reggiano, il Parmense, il « distretto » di Fidenza-Salsomaggiore, la vai d’Arda con Fiorenzuola, il Piacentino, la vai Tidone e così via.

    Una individualità distinta da codeste unità subregionali conservano, fino a un certo punto, da una parte taluni « cantoni » della montagna, come il Frignano sopra Modena, o hanno avuto per lungo tempo, come la così detta Romagna Toscana sopra Forlì, o rivelano dalla parte opposta, e in modo ben più netto, le contrade della bassa che si incentrano principalmente intorno a Ferrara e Ravenna.

    All’incontro, le dette unità longitudinali rispetto ai corsi d’acqua tendono a rivelarsi coordinate in gruppi di adiacenti più che non differenziate aH’interno nelle zone altimetriche. E il processo naturale che si è riflesso nella storia e che nella storia ha trovato il suo coefficiente più robusto per tradursi in differenziazione economica e sociale.

    I grandi comuni (in regime democratico o di signoria) si sono formati intorno ai centri più vitali della via Emilia e poi si sono connessi in unità politico-territoriali maggiori: così Parma e Piacenza con Fidenza, Fiorenzuola e Guastalla in uno dei Ducati; così Modena e Reggio nell’altro Ducato; così poi Bologna e Forlì e Rimini e Ravenna nelle Legazioni, che assorbirono anche il Ducato Ferrarese.

    Le province

    I grandi comuni medioevali con la loro rispettiva zona d’influenza dettano dunque tuttora i lineamenti fondamentali delle circoscrizioni provinciali, le quali quindi non sono affatto arbitrarie, ma hanno un substrato naturale e storico, che, oltre tutto, spiega la loro particolare vitalità già affermata.

    Il territorio della provincia di Bologna corrisponde ancora a quello della Legazione pontificia secondo il Motu-proprio 21 dicembre 1827, ma soltanto pressappoco. Variazioni al riparto si ebbero in sèguito al decreto 27 dicembre 1859 del dittatore L. C. Farini, per le quali la provincia di Bologna acquistava i comuni di Imola, Dozza e Mordano, già nella Legazione di Ravenna, e perdeva quelli di Poggio Rena-tico, Sant’Agostino, Crevalcore e Sant’Agata e le frazioni al di là del Reno del comune di Galliera, territori passati alla provincia di Ferrara, oltre che il comune di Castelfranco Emilia aggregato a quella di Modena. Già neH’anno seguente, tuttavia, i comuni di Crevalcore, Sant’Agata e Castelfranco venivano reintegrati alla provincia di Bologna.

    Successivamente si ricomponeva l’unità della valle del Santerno, passando alla provincia di Bologna anche i comuni di Castel del Rio, Tossignano e Fontanelice, ma soltanto nel 1884.

    La circoscrizione rimase immutata fino al 1929, quando il comune di Pieve di Cento passava dalla provincia di Ferrara a quella di Bologna e il comune di Castelfranco Emilia da questa a Modena.

    Le origini delle attuali circoscrizioni provinciali di Parma e Piacenza possono farsi risalire al 1821 quando Maria Luisa divise il territorio del suo stato nei tre Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, oltre la Delegazione ducale del Valtarese.

    Nel 1848 Guastalla fu ceduta al Duca di Modena, in potere del quale rimase fino al 1859, restando nell’Italia unita a far parte della nuova provincia di Reggio nell’Emilia.

    Nella stessa occasione il Parmense perdeva la parte transappenninica o Pontre-molese, che era aggregata alla provincia di Massa-Carrara. Abbiamo già ricordato poi le variazioni della provincia di Piacenza lungo il confine con l’Oltrepò pavese. Inoltre nel 1924 i comuni di Bardi e Bóccolo de’ Tassi erano passati dalla provincia di Piacenza a quella di Parma; nel 1926, soppresso il comune di Bóccolo, due sue frazioni (Monteregio e Cassimorano) erano reintegrate alla provincia di Piacenza.

    La provincia di Modena è poi costituita dal territorio delle due antiche province estensi di Modena e del Frignano, con la detta aggiunta — relativamente recente — di Castelfranco (1929).

    I territori delle province di Forlì, Ravenna e Ferrara corrispondono, pressappoco, a quelli delle tre omonime legazioni pontificie, quali riordinate dopo la Restaurazione.

    In particolare il Ferrarese con la Restaurazione stessa perdeva definitivamente i territori già disputati fra gli Estensi e Venezia oltre il Po di Goro e con la ripartizione del 1859 anche il comune di Lugo, passato a Ravenna. Infine nel 1929, come s’è detto, ne era staccata Pieve di Cento, passata a Bologna.

    La provincia di Forlì rimase nei limiti della vecchia Legazione fino al 1927, nel quale anno ricevette l’aggiunta dell’intero circondario di Rocca San Casciano (dodici comuni), sottratto alla provincia di Firenze, cui era aggregato sin dalla fine del Trecento, costituendovi la così detta Romagna Toscana.

    Dalla provincia di Ravenna, infine, il territorio della vecchia Legazione, ricevuta nel 1859 l’aggiunta del Lughese, era diminuito dei comuni dell’Imolese, aggregati successivamente alla provincia di Bologna nello stesso 1859 e nel 1884, come si è visto (1).

    Le subregioni fondamentali

    Raggruppamenti ulteriori, quando occorrano sintesi più elevate, conviene notare ancora dello stesso genere cioè per unità affiancate: una Emilia occidentale o dei Ducati (2) da una parte; una Romagna dall’altra; il Bolognese frammezzo, a coordinamento e transizione; nel nordovest infine la bassa Ferrarese.

    Entro queste ripartizioni, per una visione più minuta (ma non cosi analitica, minuziosa come quella per comuni) conviene vedere la differenziazione nelle quattro zone altimetriche già indicate, che nelle singole province individuano altrettanti « comparti ».

    Da queste considerazioni è derivata la ripartizione della regione emiliano-romagnola alla quale ci siamo adoperati da tempo (3). Essa si conclude nella definizione di quattro grandi subregioni, comprendenti rispettivamente: la ia le province di Piacenza, Parma, Reggio e Modena, suddivise a loro volta ciascuna in quattro comparti di montagna, collina, pedemonte e pianura; la 2a la provincia di Bologna, suddivisa come sopra; la 3a le province di Ravenna e Forlì insieme (Romagna), suddivise in sei comparti, per considerare — oltre montagna, collina e pedemonte — i particolari caratteri del pedemonte litoraneo di Rimini e delle pianure litoranee di Ravenna e interna, per intenderci, di Lugo; la 4* subregione, infine, costituita dalla provincia di Ferrara, distinta in alto e basso Ferrarese. Se si procede a scopo conoscitivo, converrebbe, inoltre, considerare fuori della provincia di Bologna l’Imo-lese, aggregandolo alla Romagna, di cui tradizionalmente ed anche sotto numerosi aspetti etnologici, sociali e culturali fa parte.>

    Delimitazione delle zone e dei comparti

    Questi sono — e, ben inteso, a nostro avviso, ma avviso maturato da lunga esperienza e ponderato studio — i fatti.

    Per dare rappresentazioni statistiche dei caratteri quantitativi di queste ripartizioni (area, popolazione, economia, ecc.) non abbiamo potuto sottrarci alla necessità pratica di tracciare confini territorialmente definiti fra le riconosciute ripartizioni subregionali. Confini che devono di necessità adeguarsi a confini comunali, considerando cioè tutto il territorio di un comune nell’una o nell’altra zona, nell’una o nell’altra subregione, anche se per un carattere naturale (altimetria, forme del rilievo, idrografia, ecc.) una parte del territorio di qualche comune dovrebbe più rigorosamente assegnarsi ad una zona ed altra a diversa. Rigore, d’altronde, che sarebbe spesso sostanzialmente illusorio, in quanto l’unità territoriale minima più robustamente individuata attraverso la storia, nell’economia e nella società odierna, è proprio il comune, il comune preso in tutta la sua interezza.

    Per quelle necessità pratiche e appoggiandoci su questo criterio — così come, del resto, hanno fatto il Catasto agrario per le vecchie « regioni » e « zone » e l’Istat per le sue nuove circoscrizioni — abbiamo proceduto all’attribuzione di tutti i territori comunali, ciascuno preso nella sua totalità, all’una o all’altra delle ripartizioni proposte.

    La « zona di montagna » della nostra ripartizione corrisponde in pieno a quella dell’Istat, mentre per definire la zona pedemontana occorrerà sottrarre un certo numero di Comuni dall’Istat attribuiti alla pianura (alta pianura) e qualcuno anche dalla « collina ».

    La zona pedemontana facciamo incominciare in provincia di Piacenza coi dieci Comuni tolti alla pianura lungo l’allineamento Sarmato-Piacenza-Fiorenzuola d’Arda più Alseno, che sarebbe stato assegnato alla collina, mentre è pur esso attraversato per lo mezzo dalla via Emilia ed ha su questa il capoluogo.

    Per ragioni analoghe, della finitima provincia di Parma comprendiamo nella zona pedemontana il comune di Fidenza. E poi i tre comuni di Fontanellato, Fontevivo e Noceto, i cui confini corrono per notevole tratto lungo la via Emilia stessa (pur se    i territori di Piacenza e    Noceto    arrivano    nella loro estremità meridionale sin oltre la isoipsa dei 100 m. sul mare).

    Ancora in provincia di Parma potrebbe essere discussa l’attribuzione del comune di Vigatto, ricostituito nel 1952 e già parte di quello di Parma stessa. Questo territorio scende sin quasi alle porte della città e d’altronde per i dati di censimento si trova ancora compreso in quello: si è pertanto ritenuto di comprenderlo ancora nella zona pedemontana. D’altronde anche la recente ripartizione dell’Istat lo escluderebbe dalla zona di collina. Così come il comune di Montechiarùgolo, che perciò assegniamo anch’esso alla zona pedemontana.

    Articolazioni in zone, subregioni e comparti.

    Delle province di Reggio nell’Emilia e di Modena assumiamo in questa soltanto Comuni già esclusi dalla collina, e precisamente sette del Reggiano e sei del Modenese. Taluni fra essi nell’estremità meridionale salgono sin oltre i 100 m. sul mare, ma anche questi si spingono al Nord fino nel piano, non solo, ma hanno i loro centri capoluoghi allineati lungo le vie di raddoppiamento e arroccamento che corrono accanto all’Emilia. Per contro si unisce alla zona pedemontana l’intero territorio di Gàttatico, che si stende massimamente in piano, a Nord della via Emilia: e ciò per due ragioni: i° perchè un suo saliente meridionale l’attraversa; 2° perchè il capoluogo è vicino ad essa e vi è congiunto direttamente con una strada, che costituisce l’arteria principale del Comune.

    Nella provincia di Bologna, invece — salvo Anzola e Imola — è dalla zona di collina che dobbiamo distogliere i Comuni da comprendere nella pedemontana: Bologna, San Lazzaro di Savena, Ozzano, Castelsanpietro e Dozza. Sono vasti Comuni (salvo l’ultimo) che si stendono ampiamente in collina ed anche in pianura, ma sono tutti attraversati proprio pressappoco per lo mezzo dalla via Emilia e notoriamente legati nelle loro funzioni e fortune alla situazione pedemontana dei rispettivi capo-luoghi e della striscia popolosa, che li unisce. Aggiungiamo altresì Casalecchio di Reno, comunello allo sbocco della maggiore valle emiliana e ormai intimamente unito a Bologna, e inoltre il territorio di Zola Predosa, che sta fra Casalecchio e Crespellano in continuità, giungendo con un apice settentrionale fino a qualche centinaio di metri dalla via Emilia.

    Vedi Anche:  Storia dell'Emilia Romagna

    Situazione analoga a quella di Bologna è l’altra di Imola, che nella ripartizione del Catasto agrario 1929 figurava in zona di collina, mentre nella nuova dell’Istat molto più opportunamente risulta assegnata a quella di pianura. Comunque, per noi, questo territorio va compreso nella zona pedemontana.

    Di qui a sudest il confine meridionale di questa zona può farsi corrispondere a quello della nuova ripartizione dell’Istat fra pianura e collina.

    I sedici Comuni della provincia di Forlì attribuiti da essa alla zona di pianura (4) vi passerebbero tutti o, per meglio dire, sei nella pedemontana strido sensu e dieci (undici col nuovissimo comune di Bellaria) in un comparto con caratteri propri : pedemontano-litoraneo, da Cesenàtico a Cattolica.

    Ciò conviene fare anche perchè certi territori comunali come quelli di Gatteo, Savignano e San Mauro Pascoli dal piede della collina si spingono con lunghi salienti paralleli fino alla spiaggia. La zona pedemontana litoranea risulta quindi di undici Comuni e corrisponde a quella che la ripartizione dell’Istat chiama « Pianura di Rimini ».

    Può anche osservarsi che, nei valori d’insieme, salienti e rientranze nella zona pedemontana, sia dalla parte della collina, sia dalla parte della pianura, vengono in certo qual modo a compensarsi dando nel complesso ai valori statistici globali (ottenuti con le sopirne di quelli dati per i singoli territori comunali) la maggiore rappresentatività di quelle che sono l’importanza e le caratteristiche di questa tipica, originale zona della nostra regione.

    Il rimanente della provincia di Ravenna è pianura, ma convien distinguervi un comparto di pianura litoranea (Cervia e Ravenna) e uno di pianura ravennate interna (Lugo e Comuni attorno).

    L’attribuzione, infine, dell’intero territorio della provincia di Ferrara alla zona di pianura è ovvia. Soltanto è opportuno differenziare ancora un alto e un basso Ferrarese.

    Le stesse tabelle statistiche, che corredano i capitoli seguenti dedicati alle caratteristiche della distribuzione della popolazione e delle attività economiche nella regione, pongono in ulteriore evidenza le peculiarità dell’articolazione subregionale indicata, specialmente per quanto riguarda la differenziazione zonale.

    Ma non sarà inopportuno anticipare qui alcuni dei suoi contrasti più netti. Il territorio dell’Emilia-Romagna è per il 3% in pianura, per il 7% pedemontano, per il 24% in collina e per il 25% in montagna. Di contro la popolazione è per il 42% pedemontana, per il 34% di pianura, per il 15% di collina e soltanto per il 9% di montagna, le densità rispettive (globali) essendo di circa 400, 165, 105 e 57 abitanti per chilometro quadrato.

    Le circoscrizioni amministrative

    Usiamo questo termine comune per indicare tutte quelle circoscrizioni, le quali comprendendo interamente superficie e popolazione della regione o variamente ripartendole determinano l’articolazione territoriale dell’esercizio di numerose pubbliche attività e il loro coordinamento nello spazio.

    Cominciamo col notare che, se ancora non si è costituito qui l’Ente Regione prospettato dalla Carta costituzionale della Repubblica, già per molti settori esistono Enti pubblici, che stendono la propria competenza a tutta la regione o a grandi parti di essa, e libere istituzioni di coordinamento di àmbito regionale.

    Esiste così un unico Provveditorato regionale alle opere pubbliche per l’Emilia-Romagna, con sede in Bologna, dal quale dipendono gli otto Uffici provinciali del Genio civile e dipendente a sua volta dal Ministero dei lavori pubblici. A questo Istituto, fra l’altro, è commesso l’incarico di redigere il piano di coordinamento della regione, il quale dovrà avere in primo luogo il fine appunto di « coordinare » in sistema unitario, armonico tutti gli interventi programmati o in atto da parte di enti variamente competenti per settore e/o per territorio che vengono a incidere sull’evoluzione del paesaggio in quanto ambiente, strumento ed espressione di vita economica e sociale.

    L’appellativo è attribuito anche all’Ispettorato regionale dell’alimentazione e all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione ambedue pure con sede in Bologna.

    Con nome di poco diverso, ma stessa sede e giurisdizione analoga, sono gli Ispettorati compartimentali ddl’agricoltura, della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione, delle imposte e tasse, l’Ufficio compartimentale dei monopoli di Stato.

    Da tutti codesti Ispettorati e Uffici dipendono, generalmente, distinti Uffici provinciali per ciascuna delle otto province, suddivisione quest’ultima, sulla quale non ritorniamo avendo avuto motivo di farne parola più e più volte, così come non parliamo qui deH’ulteriore ripartizione in comuni, rimandando alle tabelle e alle carte per la loro distribuzione nelle singole province.

    Esistono inoltre un Ispettorato ripartimentale delle foreste, il Compartimento di Bologna delle Ferrovie dello Stato, il Compartimento della viabilità statale.

    La regione corrisponde altresì alla circoscrizione giudiziaria della Corte d’Appello di Bologna, cui fanno capo i Tribunali civili e penali e i circoli di Corte d’Assise con sede nei capoluoghi di provincia. Ha sede in regione, a Bologna, ma con competenza più estesa, il Distretto minerario deH’Emilia-Romagna e Marche.

    In materia di acque pubbliche il Magistrato del Po, di recente costituzione, con sede in Parma, ha pure competenza che trascende la regione, estendendosi a tutto il bacino del nostro maggior fiume. Da esso dipende l’Ufficio idrografico del Po, pure con sede in Parma, con una sezione per la parte emiliana del bacino, mentre — come già si è avuto motivo di ricordare — i restanti bacini emiliani-romagnoli rientrano nella competenza della Sezione autonoma idrografica di Bologna, la cui circoscrizione si stende anche a quelli marchigiani.

    Anche gli Uffici tecnici erariali raggruppano varie province. I quattro con sede in regione hanno le seguenti circoscrizioni: Parma e Piacenza; Modena e Reggio; Bologna e Ferrara; Ravenna, Forlì e Pesaro.

    Le Sopraintendenze dipendenti dal Ministero dell’Istruzione pubblica hanno più varia competenza territoriale. Unica per tutta la regione è la Sopraintendenza alle antichità con sede in Bologna. Le Sopraintendenze bibliografiche sono invece due: una per Bologna e le province della Romagna e delle Marche (sede Bologna) e una dell’Emilia (sede Modena). Le Sopraintendenze ai monumenti sono pure due: una a Bologna (per le province di Bologna, Modena, Reggio, Parma e Piacenza) e una a Ravenna (per le province di Ferrara, Ravenna e Forlì). Le Sopraintendenze alle gallerie sono tre: a Bologna (per le province di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna), a Modena (per Modena e Reggio), a Parma (per Parma e Piacenza).

    Semiufficiali sono anche le Deputazioni di storia patria per l’Emilia e Romagna (Bologna), per la provincia ferrarese (Ferrara), per le antiche province modenesi (Modena) e per le province parmensi (Parma). Istituzioni di libera iniziativa, ma di notevole interesse per la regione presa nel suo complesso, sono, tra l’altro, l’Unione regionale delle province Emiliano-Romagnole, l’Unione regionale delle Camere di commercio e la circoscrizione Emilia-Romagna dell’Associazione nazionale delle bonifiche.

    Parleremo qui infine anche delle circoscrizioni ecclesiastiche, giovandoci dell’utile innovazione introdotta col censimento del 1951, pubblicandosi in apposito volume la ripartizione del territorio nazionale in Diocesi e Parrocchie.

    Le diocesi sono riunite in due « regioni conciliari » : Emilia, comprendente la sede metropolitana di Modena e Nonàntola (abbazia nullius) con le suffraganee di Carpi, Guastalla e Reggio Emilia, e le sedi vescovili « immediatamente soggette » di Fidenza, Parma e Piacenza; Romagna, comprendente la sede metropolitana di Bologna con le suffraganee di Faenza e Imola, la metropolitana di Ravenna (e Cervia) con le suffraganee di Forlì, Bertinoro, Cesena, Sàrsina, Rimini e Comacchio e la sede arcivescovile immediatamente soggetta di Ferrara.

    Di queste 18 diocesi, 15 sono interamente comprese nella regione. Purtroppo la statistica dà soltanto il numero di abitanti, quindi una sola dimensione della « grandezza » di esse, per cui le diocesi maggiori risultano quelle che hanno sede nelle principali città (Bologna 758.448 anime, Modena e Nonàntola 366.444, Reggio 335.883, Parma 288.467, Ferrara 238.191, ecc.). Le più piccole sono quelle di Guastalla (69.962), Fidenza (63.597), Bertinoro (40.700).

    Altre diocesi in ordine di popolosità: Ravenna e Cervia, Imola, Faenza, Cesena, Carpi, Forlì, Comacchio.

    Ci sono poi cinque diocesi, che hanno la sede episcopale nella regione ma estendono la loro giurisdizione anche fuori di essa: Bobbio con 27.930 ab., di cui 15.020 in provincia di Genova e Pavia; Modigliana con 39.448 ab., di cui 7328 in provincia di Firenze; Sàrsina con 23.616 ab., di cui 815 in provincia di Pesaro; Rimini con 186.117 ab., di cui 5215 pure in provincia di Pesaro; Piacenza con 321.746 ab., di cui 73 in provincia di Pavia.

    Inversamente, altre quattro diocesi hanno la sede e la massima estensione fuori, ma si spingono in parte entro la regione: alla diocesi di Tortona appartengono due comuni del Piacentino con 912 anime; a quella di Pontrèmoli 2707 in vai di Taro; alla diocesi di Sansepolcro 21.487 anime nell*ex-Romagna Toscana (Forlì) ed a quella del Montefeltro 6276 della vai Marecchia (pure Forlì).

    Le diocesi a loro volta si articolano in parrocchie. Nell’Emilia-Romagna ne sono comprese 2694 (alcune con parziale giurisdizione anche fuori regione). Al censimento 1951 le piccole parrocchie, fino a 500 ab. ciascuna, erano 969 e raccoglievano 282.391 ab. (media 291). Le grandi parrocchie con 3001 ab. e più erano 283 con 1.490.967 (media 5268). Le classi centrali (da 501 a 3000 ab.) comprendevano 1442 parrocchie con 1.770.845 ab. (media 1228).