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La vita culturale: università, musei, gallerie e biblioteche

    Vita culturale

    L’istruzione

    E consuetudine misurare la cultura di una popolazione con la percentuale degli analfabeti. E qualche cosa, ma molto poco, per non dire quasi nulla, per caratterizzare il grado e il tipo di cultura di un ambiente umano.

    Comunque non sarà inopportuno riferire che al censimento 1951 risultavano ancora nella regione 262.862 analfabeti oltre i 6 anni d’età (pari all’8,14% della popolazione totale oltre quell’età). Per province la percentuale massima è di Forlì col 12,9%, seguita da Ferrara e Ravenna con poco meno del 12%. Nelle altre province i valori si aggirano fra il 6,7% (Modena) e il 5,7% (Bologna). L’analfabetismo appare dunque più lento a sradicarsi nella collina e montagna romagnola e nelle basse ravennati e ferraresi.

    Indubbiamente i valori delle altre province sono abbassati dalla quasi totale scomparsa del fenomeno nella popolosa zona pedemontana.

    Comunque è di conforto uno sguardo al passato. Nel 1871 gli analfabeti in Emilia passavano addirittura il 70% della popolazione in età di oltre 6 anni; all’inizio del secolo erano ancora il 46%; nel 1931 si riducevano al 15%; oggi siamo sull’8% ed anzi indubbiamente meno, dal 1951 al 1959. La piaga è avviata a scomparire.

    Guardando l’altro lato della medaglia, nello stesso censimento 1951 risultavano, in tutta la regione, oltre 28.000 laureati, circa 101.000 diplomati, 170.700 licenziati di scuola media inferiore (scuola media, avviamento e simili), 2.183.357 licenziati da scuole elementari e 481.487 «alfabeti» (come si esprime la statistica ufficiale) privi di titolo di studio.

    Alla statistica più recente pubblicata (anno scolastico 1956-57) gli alunni delle scuole elementari erano 302.130; quelli delle scuole medie e di avviamento 65.752, delle scuole tecniche e istituti professionali 6824, degli istituti tecnici 18.396, dei ginnasi e licei 12.002, degli istituti magistrali 8667, dell’istruzione artistica 2816.

    Tralasciando le scuole medie e di avviamento, possiamo dire che negli istituti di istruzione secondaria superiore della nostra regione l’indirizzo tecnico prevale, se pur di poco, su quello umanistico: 28.000 di contro a meno di 21.000 studenti.

    Le quattro Università della regione accoglievano, in quell’anno accademico, 19.844 studenti (di cui 12.014 a Bologna). Le Facoltà più frequentate risultavano quelle di scienze fisiche, matematiche e naturali (comprese la chimica, la geologia, ecc.) con oltre 3000 studenti; quelle di medicina con 2767 studenti; di economia e commercio con 2473 e di giurisprudenza con 1685. Superavano il migliaio, unite, anche le due Facoltà letterarie di Bologna (lettere e filosofia, magistero) con 1229 studenti.>

    Come noto, queste cifre non riflettono propriamente le vocazioni professionali della popolazione della regione, come esprimono invece l’importanza della funzione culturale delle sue Università, in quanto numerosissimi sono ancora, anzi in termini assoluti ben di più che in passato, i giovani che vi accorrono da altre regioni, vicine e non vicine ed anche dall’estero. Come, per converso, non mancano coloro che pur nati o residenti nella regione vanno a compiere i loro studi superiori o parte di essi in altre Università.

    In complesso dunque la popolazione scolastica assommava nel 1956-57 a 436.431 allievi, pari addirittura al 12% della popolazione totale della regione.

    Essi erano ripartiti fra 3845 scuole elementari, 166 scuole medie, 155 scuole di avviamento, 40 scuole tecniche e    professionali,    4    istituti tecnici agrari, 6 industriali, 19 commerciali, 11 per geometri, 6 femminili, 32 ginnasi-licei classici, 25 licei scientifici, 32 istituti magistrali, 20 istituti artistici, 4 Università (con 24 Facoltà).

    Le radici della cultura emiliana

    Ma le radici della cultura emiliana sono ben più profonde e robuste che non possa apparire da queste aride cifre.

    Se — come vedremo — non si può parlare di un’arte emiliana, di una speciale tradizione d’arte emiliana, si può ben parlare di una speciale tradizione di cultura emiliana. Particolarmente per la presenza di quei focolari che ne sono state e sono le Università dell’Emilia, ben quattro tuttora fiorenti a Bologna, a Modena, a Parma, a Ferrara.

    Ravenna: tomba di Dante.

    Non abbiamo un Livio o un Virgilio; l’unico autore che figuri nelle storie letterarie della latinità classica nato entro gli attuali confini della regione è Plauto (254-184 a. C.), che si dice ed era umbro, in quanto Sarsina, in vai di Savio, dove egli vide la luce, era rimasto il centro principale degli Umbri di qua dall’Appennino, occupato da Roma poco prima (266 a. C.) e fatto città federata, senza mai riceverne coloni.

    Qui c’eran contadini che lavoravan sodo a mettere in valore, a conquistare sull’acquitrino e la macchia le terre, sempre appeso accanto al focolare il gladio che ne aveva dato loro il possesso.

    Pur nei maggiori centri una certa attività culturale doveva sussistere, se, per es., Marziale trovava ambiente adatto per soffermarvisi a dettare i suoi epigrammi in Imola, già designa Bologna con l’appellativo di culta (Epigr., III, 59) e commemora un bolognese noto a quei tempi (ultima parte del I secolo d. C.) per la sua opera poetica :

    Funde tuo lacrimas orbata Bononia Rufo

    et resonet tota planctus in Aemilia.

    Epigr., VI, 85.

    E nella letteratura didascalica dovrebbe aver luogo un Castricio, autore di una opera sull’orticoltura ricordata da Plinio il Vecchio ed è forse lo stesso C. Castricio Calvo, che in una lunga epigrafe funeraria, trovata mutila a Forlì, esponeva tutto un proprio programma tecnico e sociale di agricoltore.

    E comunque soltanto nella tarda latinità, che possiamo notare in Ravenna, assurta a capitale dell’Occidente, poi dei domini bizantini, un centro d’intensa vita culturale, quella Ravenna che accolse Boezio, romano (morto nel 524 d. C.) e Cassiodoro, d’origine calabrese (480-575), ambedue ministri di Teodorico, autore l’uno dell’accorato De consolatione philosophiae e l’altro di ponderose opere di erudizione, considerati, per quanto già di ispirazione cristiana, gli ultimi campioni della letteratura latina.

    Ancor prima di loro San Pietro Crisòlogo (Bocca d’Oro) di Imola (circa 406-450), vescovo di Ravenna, dove primeggiò nel Concilio ivi tenuto, s’inscrive con un certo rilievo nell’incipiente letteratura cristiana coi suoi Sermones.

    Centro dunque d’intensa vita culturale Ravenna, oltre che di azione politica e di attività economica. Ne sono riprove le stesse manifestazioni dell’arte costruttiva e figurativa che osserveremo, le quali non potevano svilupparsi se non in un ambiente culturalmente raffinato e non senza riflessi — a lor volta — su questo.

    Altrove, fuor che Ravenna, nel più « oscuro Medio Evo » gli interessi culturali trovano rifugio nei monasteri.

    Il più antico e famoso è quello di Bobbio, fondato nel 612 dall’irlandese San Colombano, che vi morì e vi è sepolto. Retto dal 643, circa, dalla regola di San Benedetto, fu con Montecassino per qualche secolo il principale centro culturale monastico d’Italia. Ivi erano scuole e uno « scrittorio » che salvò e riprodusse (purtroppo anche con la pratica del palinsesto) i manoscritti raccolti in una biblioteca, che nel secolo IX, secondo un catalogo scoperto dal Muratori, conteneva già 750 codici.

    Altro centro culturale notevole fu l’Abbazia di Nonàntola, pure benedettina, fondata nel 751 o 752. Saccheggiata dagli Ungari nell’899, fu ricostruita e dal secolo XI al XIII conobbe il suo maggior fiore.

    Più o meno contemporanea l’Abbazia di Pomposa, sorta nel VII-Vili secolo e ricordata in documenti per la prima volta nel IX. I suoi possessi estesi in terreni fertili, saline e paludi da pesca, erano retti sin d’intorno il 1000 da statuti propri, gli « Statuti Pomposiani ». Nell’XI secolo in particolare modo esplicò la sua funzione di centro culturale: qui San Pier Damiani scrisse parte delle sue opere; qui fu educato Guido d’Arezzo, il celebre riformatore della musica.

    La tomba di San Colombano protettore d’Irlanda, nella cripta dell’abbazia di San Colombano (Bobbio).

    Abbazia di Pomposa.

    Molto più tarda, relativamente, l’Abbazia di Chiaravalle della Colomba nell’alta pianura piacentina, ad est di Fiorenzuola d’Arda, fondata intorno al 1135 per impulso di San Bernardo di Chiaravalle.

    L’ultimo dei grandi centri culturali religiosi costituitisi nel Medio Evo può considerarsi quello che si raccolse intorno alla tomba di San Domenico, a Bologna (1221). In questa città (1218-21) venne a compiere la sua opera terrena il grande Santo che in picciol tempo gran dottor si feo

    Vedi Anche:  Il Reno, il Po, gli altri fiumi e le sorgenti

    Par., XII, 85.

    Le Università

    Ma vi era venuto probabilmente proprio perchè già Bologna era diventata un grande centro di cultura laica, raccogliendo l’eredità di Ravenna, decaduta dopo la conquista carolingia.

    La tradizione ha voluto fissare la data di fondazione dello Studio bolognese al 1088 e collegarla con un « trasporto » dei libri giustinianei da Ravenna a Bologna. Anzi con un falso del XIII secolo si era tentato di riportarne le origini addirittura a un privilegio di Teodosio.

    Si ammette ora che nel secolo XI esistesse in Bologna una scuola di arti liberali accanto alla quale, nella seconda metà del secolo, sorse una scuola di diritto, di cui appare esponente il legis doctor Alberto, ricordato nel 1067. Questa scuola assurse a fama prima con Pepone (intorno al 1090) e poi specialmente con Irnerio, bolognese (1055 ?-i 125 ?), cui si deve il rinnovamento degli studi giuridici col ritorno all’esame completo della genuina e integrale codificazione giustinianea.

    Suo altro merito fu di aver formato un primo gruppo di discepoli e prosecutori illustri, i «quattro Dottori»: Bulgaro, Martino, Jacopo, Ugo. Costoro e gli altri « Glossatori », come furono designati per antonomasia, formarono e svilupparono la scuola giuridica bolognese, la cui produzione fu infine raccolta sistematicamente da Accursio (1182-1258 o ’60) nella Glossa magna, testo fondamentale ancora per parecchi secoli. Sono commovente testimonianza di quanto sensibile alla loro opera e agli interessi culturali fosse la città gli aerei sepolcri monumentali levati in loro onore nelle piazze intorno a San Domenico e San Francesco.

    A questi cultori del diritto romano, cioè civile, si affianca un altro grande maestro del diritto canonico, Graziano, che, insegnando nella scuola claustrale dei Santi Felice e Naborre, compilò intorno al 1140 il celebre Decretimi o Concordantia discordantium canonum, la prima sistemazione scientifica del Diritto della Chiesa allora vigente. E anche la sua scuola ebbe allievi illustri, come i futuri pontefici Alessandro III e Gregorio VII, Stefano da Tournay, Bernardo da Pavia, Uguccione da Pisa, tutti,

    Chiesa di San Domenico a Bologna e tomba di Rolandino de’ Passageri (a sinistra) sia pur diversamente, benemeriti degli sviluppi del sistema legislativo della Chiesa. E poi, più tardi, gli allievi degli allievi, fra i quali Innocenzo III.

    Nel frattempo si sviluppava, accanto a queste, la primitiva modesta scuola di arti liberali, dalla quale uscivano tra la fine del XII secolo e il principio del XIII i celebri Dettatori di rettorica. Figura a sè assume lo studio della medicina, come applicazione della filosofia naturale, specie per opera di Taddeo d’Alverotto, che qui insegnò dal 1260 in poi. E si individuavano poi cattedre di filosofia, di astrologia, di chirurgia, la scuola di notariato, ecc.

    « Così gradualmente, ma sicuramente — scrive il De Vergottini — lo Studio bolognese, studio generale per la generalità in tutto il mondo cristiano medioevale dei titoli di studio in esso conseguiti, diventava studio generale anche perchè in esso gli insegnanti si estendevano a quaelibet licita facultas; l’università del sapere medioevale trova in esso l’espressione più completa: dal diritto civile e canonico alla teologia, alla filosofia, alla matematica, alle lettere ».

    Non è il caso di riportare molti nomi, oltre quelli già dati, fra i tanti anche illustri di italiani e stranieri che lo frequentarono. Citiamo Dante, anche perchè rende acconcio ricordare la funzione particolare, che venne ad assumere l’incontro qui di tanti italiani dalle varie parti della Penisola e della Padania nella formazione dell’italiano letterario, il « volgare illustre » del De Vulgari eloquentiae e quello in cui cantavano i poeti del dolce stil novo, fra i quali spiccava il bolognese Guido Guinizelli.

    Scolaro in Bologna era poco più tardi Francesco Petrarca (dal 1323 al 1326). Di altri bolognesi o studenti a Bologna ricorderemo ancora soltanto Giovanni Pico della Mirandola (1463-94), Niccolò Copernico (1473-1543), il Tasso, Marcello Malpigli (1628-94), Eustachio Manfredi (1674-1739), L. F. Marsili (1658-1730), Antonio M. Vaisalva (1666-1723), G. B. Morgagni (1682-1771), e giù giù fino a Luigi Galvani (1737-98), Giuseppe Mezzofanti (1774-1849) e Pellegrino Rossi (1787-1848), fino a Giovanni Pascoli (1855-1912) e a Guglielmo Marconi (1874-1937).

    Chiesa di San Domenico a Bologna e tomba di Rolandino deè Passageri (a sinistra).

    Quanto al suo ordinamento, nei primi tempi l’unità dello Studio era soltanto morale. Nel termine si assommavano le scuole dei vari Dottori, ciascuna delle quali costituiva una « società » capeggiata dal maestro e convivente in franchigia. Per difendersi dalle ingerenze del Comune, gli scolari si strinsero poi in due compatte associazioni, una comprendente gli studenti citramontani (cioè italiani) e l’altra gli ultramontani. Esse avevano a capo, ciascuna, un Rettore eletto dagli studenti stessi, con un proprio statuto, che il Comune, dopo lunghe lotte, si impegnò a rispettare. E rispettò per lo meno fino al Cinquecento, quando il consolidato reggimento pontificio ridusse tali statuti a un valore puramente formale.

    Seguirono poi varie vicende, fra le quali la più importante fu l’assorbimento dell’Istituto delle Scienze e delle Arti fondato da L. F. Marsili, mentre ne rimaneva e sussiste tuttora la collaterale Accademia delle Scienze.

    Bologna: tombe dei Glossatori dietro l’abside di San Francesco.

    Attualmente l’Università comprende tutte le Facoltà previste dall’ordinamento nazionale degli studi superiori, all’infuori di quella di architettura.

    Anche lo Studio di Parma è uno dei più antichi d’Italia. Già nel secolo XI esisteva qui una scuola ove si insegnavano le sette arti liberali. Nel secolo XII vi fiorivano un collegio di medici e uno di giuristi’. Più volte soppressa, l’Università sempre risorse per volontà del Comune. I due periodi di maggiore floridezza furono nella prima metà del secolo XVII, per impulso del duca Ranuccio I, e nella seconda del XVIII quando Ferdinando I passò all’Università i beni confiscati ai Gesuiti. Nel 1831 fu chiusa ed ebbe poi contrastate riprese. Notevole sviluppo ha infine avuto nel secolo attuale e oggi consta di sei Facoltà: medicina, giurisprudenza, scienze, economia e commercio, farmacia e veterinaria.

    Mausoleo di Guglielmo Marconi: in alto la Villa Grifone dove egli eseguì il suo primo esperimento di radiotrasmissione.

    Di un antico Studio modenese si hanno notizie dal secolo XII che vanno fino al 1330. Dal Trecento al Cinquecento si tennero a Modena letture di carattere superiore, ma senza un’organizzazione universitaria vera e propria. L’attuale Università data soltanto dal 1774. Oggi comprende, oltre la giuridica e la medica, altre due Facoltà (scienze e farmacia).

    L’Università di Ferrara fu fondata nel 1391 da Alberto I e sotto gli Estensi conobbe periodi di grande splendore, specialmente nel Cinquecento per l’altezza che vi raggiunse l’insegnamento della medicina. I pontefici, dopo la devoluzione del Ducato alla Chiesa, ne riconobbero gli statuti e i privilegi antichi, ma essa decadde fin che nel 1806 Napoleone la soppresse. Ricostituitasi come Università libera, venne fatta di Stato solo poco prima della recente guerra mondiale. Oggi comprende quattro Facoltà: la giuridica, che è la più antica, la scientifica, la farmaceutica e la medica, solo di recente completata.

    Altri istituti di alta cultura, che ebbero ed hanno tuttora una notevole efficacia, sono le Accademie, che fioriscono nelle stesse sedi universitarie ed anche in altre città, talune con tradizioni nobilissime.

    Musei e Gallerie

    I musei archeologici organizzati o suscettibili di riorganizzazione in Emilia sono 33 : il che si traduce in « uno dei più alti indici di densità museografica di tutto il territorio nazionale », come si esprimeva testé il Mansuelli.

    Il più cospicuo è il Museo civico di Bologna, che aduna una serie di vecchie collezioni (del Marsili, del Palagi, ecc.) insieme ai più recenti eccezionali copiosi apporti preistorici e protostorici particolarmente in riguardo alle civiltà villanoviana ed etrusca, oltre che dell’età romana. Comprende anche una ricca sezione medioevale e moderna e, annesso, il Museo del Risorgimento.

    Vedi Anche:  Il clima, le temperature, l'umidità e le precipitazioni

    Il secondo grande Museo è quello nazionale di Spina a Ferrara, di recente costituzione (1935), ma già ricchissimo di bronzi, ambre e specialmente di ceramica attica dei secoli V e IV avanti Cristo.

    Terzo può dirsi il Museo archeologico di Sàrsina, arricchito dagli scavi compiuti fra il 1928 e il 1942 nella necropoli romana di Pian di Bezzo.

    Il Museo nazionale di antichità di Parma ha avuto origine sin dal Settecento come museo centrale dello Stato parmense. Il primo importante nucleo vi è stato recato dagli scavi di Velleia, fra cui la lex della Gallia Cisalpina e la Tavola alimentaria.

    Poi ha accolto anche la documentazione fondamentale per lo studio della civiltà delle terramare emiliane.

    Museo di Velleia (Piacenza).

    Copioso e notevole anche il materiale raccolto nel Museo civico di Reggio, che illustra tutta la successione di civiltà nel territorio reggiano, da quelle litiche alla romana. Nello stesso edifìcio è raccolto il Museo di storia naturale Spallanzani, uno dei più ricchi d’Italia fra quelli congeneri che non siano annessi a istituti universitari.

    A Ravenna il Museo nazionale di antichità e quello Arcivescovile rivestono estremo interesse per il periodo del basso Impero e dell’età bizantina.

    Vanno ricordati ancora il Museo lapidario estense di Modena, il Museo archeologico di Forlì (per il Museo etnografico vedi cap. X), quello di Rimini, purtroppo gravemente manomesso dalla guerra, quello di Imola, gli antiquaria di Velleia e di Marzabotto, il Museo nazionale della Ceramica a Faenza, ecc.

    Quanto alle Gallerie d’arte medioevale e moderna, se non ce n’è una che possa paragonarsi agli Uffizi o a Brera, a tacer delle romane, non ne mancano di notevoli: la Pinacoteca nazionale di Bologna, la Galleria nazionale e la Pinacoteca Stuard di Parma, la Pinacoteca comunale nel Palazzo dei Diamanti, Palazzo di Schifanoia e

    il Museo Boldini a Ferrara, la Galleria Estense di Modena, la Galleria Fontanesi di Reggio, la Galleria d’arte del Collegio Alberoni e quella d’arte moderna Ricci-Oddi a Piacenza. Tutte particolarmente importanti per la conoscenza delle scuole locali, ma anche con una larga documentazione estesa da quelle toscane, romane, venete alle straniere, dai pregiotteschi ai moderni.

    Raccolte minori e pure di non trascurabile interesse sono nelle stesse città sin qui ricordate e in altre, come Forlì, Rimini, Cesena, Faenza, Imola, Cento.

    Biblioteche e archivi

    Strumento e segno dell’intensa vita culturale le Biblioteche. Le maggiori sono naturalmente nelle quattro sedi universitarie. Senza contare le specializzate annesse agli istituti, emerge la Biblioteca universitaria di Bologna, fondata nel 1712, con 290.000    volumi, 11.663 cinquecentine “, un migliaio di incunaboli, codici medioevali, manoscritti, opuscoli, ecc. Nella stessa città, la Biblioteca comunale, allogata nel monumentale Archiginnasio (sede dello Studio dal 1563 al 1803), conta oltre 520.000 volumi e 12.000 manoscritti, poi opuscoli, documenti, lettere, ecc. Le due Biblioteche si integrano formando un cospicuo patrimonio librario, particolarmente ricco per la parte moderna nella prima, per l’antica nella seconda.

    La Biblioteca Palatina di Parma, fondata nel 1769, dispone di preziosi codici, 1617 incunaboli, 280.000 volumi. Essa possiede inoltre la collezione completa delle edizioni del Bodoni e delle matrici del famoso tipografo.

    La più antica delle biblioteche emiliane è però l’Estense di Modena, formatasi a Ferrara alla fine del Trecento e qui trasportata nel 1598. Nel Settecento ebbe bibliotecari illustri L. A. Muratori e G. Tiraboschi. Insieme con l’Universitaria possiede 334.700 volumi, 15.810 «cinquecentine», 1653 incunaboli, codici di altissimo pregio, opuscoli, manoscritti.

    Ma pure in altri centri sono notevoli biblioteche, come la Classense di Ravenna; la Comunale Ariostea di Ferrara; la Comunale di Piacenza, ove si conserva il più antico codice dantesco di data certa (1336); la Civica di Reggio, che possiede la più ampia raccolta delle edizioni, autografi e ricordi dell’Ariosto; la Comunale di Forlì, cui è aggregata la Biblioteca romagnola Piancastelli, la più ricca raccolta di materiale bibliografico e iconografico riguardante la Romagna; la Malatestiana di Cesena, famosa per l’eleganza architettonica dell’ambiente in cui è accolta, appositamente costruito nel 1447-52, ma anche per il materiale librario che ne fa l’esemplare più antico e perfetto delle biblioteche conventuali umanistiche; la Gambalunga di Rimini, che risale al 1617. E poi altre ancora da non trascurare: la caratteristica Biblioteca dei Filopatridi di Savignano di Romagna, vivace centro culturale nel Settecento e primo Ottocento, le Comunali di Imola e di Faenza, ecc.

    Strumenti preziosi di ricerca scientifica e in larga misura documenti anche di vita culturale sono poi gli archivi di Stato di Bologna e delle antiche capitali ducali e numerosi archivi comunali, raccolti, conservati e ordinati con amore.

    L’arte

    Come manca di unità e di individualità la storia politica sviluppatasi nella regione, così e ancor più manca di personalità la sua storia dell’arte, intendendo questa anzitutto nelle sue espressioni architettoniche e figurative, come comunemente è intesa.

    Non si può parlare, in alcun periodo e per alcun ramo, di scuole emiliane, ma soltanto per brevi interrotti periodi di scuole locali e più a lungo di manifestazioni locali di scuole formatesi fuori regione, essenzialmente in Lombardia, nel Veneto e più che tutto in Toscana, ed ovviamente con l’influsso di correnti generali del gusto e del pensiero, come la romanica, la gotica, l’umanistica, la barocca e così via fino alla romantica e alle ultime raffinatezze ed estrosità di oggi.

    Dei monumenti dell’età romana pochissimo è rimasto (l’arco d’Augusto e il ponte di Tiberio a Rimini sono i soli ben conservati); abbastanza numerosi invece i prodotti funerari e musivi: sculture raccolte nei Musei da Rimini, Ravenna, Bologna, Modena, Parma, Velleia, Brescello, ecc.; e pavimenti a mosaico trovati in passato e frequentemente tuttora.

    La prima importante serie di manifestazioni artistiche di rilievo prende nome da Ravenna, dove, già preannunciata da opere della più tarda romanità, come il Mausoleo di Teodorico e la Basilica Ursiana (questa purtroppo rifatta e quasi irriconoscibile), si sviluppa col dominio bizantino nel secolo V. Sono chiese, battisteri, sepolcri tuttora conservati e restaurati, con una ricca ornamentazione musiva, prezioso documento di costumi oltre che di gusti.

    Esaurito verso l’VIII e IX secolo il ciclo ravennate anche nei suoi echi (Abbazia di Pomposa, Pieve di Bagnacavallo), è la volta del romanico. Ormai rimaneggiato e irreparabilmente trasformato il duomo di Bologna (San Pietro), il più antico monumento romanico resta il duomo di Modena, ultimato nei primi anni del secolo XII e decorato di tipiche sculture. Il vanto ne va a un maestro Wiligelmo e alla sua scuola, che operano ancora nella cattedrale di Piacenza, nel duomo di Ferrara, nell’Abbazia di Nonantola. Altro maestro illustre, di poco più tardo, è l’Antelami, di origine provenzale, alla cui opera e influsso si devono architetture e sculture del duomo di Parma e di quello di Fidenza.

    Nè mancano pitture parietali. Se ne incontrano di pregiottesche, forse dello stesso Cimabue.

    Ma la prima manifestazione di una scuola pittorica locale si ha a Rimini. Sono giotteschi, che Giotto stesso (il quale vi lavorò, come lavorò a Ferrara, in opere perdute) lasciò dietro di sè ad affrescare abside e cappelle di Sant’Agostino e a dar vita a tutta una intensa attività, per circa mezzo secolo, in Rimini e nella Romagna.

    Duomo di Modena e campanile detto Torre Ghirlandina.

    Altro centro d’arte si forma nel frattempo a Bologna. Esso fiorisce per tutto il Trecento e oltre sotto l’influsso gotico, che si vuol connesso alla numerosa presenza di ultramontani al già famoso Studio, non senza, peraltro, echi di Toscana.

    Nella pittura il maggior campione ne è Vitale da Bologna. A lui e alla sua scuola si devono numerosi affreschi conservati o rimessi in luce a Mezzaratta, in San Petronio e altrove.

    Nel campo della scultura l’opera di maggior valore del periodo è l’Arca di San Domenico dovuta a Nicola Pisano e a suoi discepoli, ma ancor più interessanti, da un certo punto di vista, sono altre, che testimoniano una scuola prettamente locale nella serie delle tombe dei Glossatori, così vivaci e immediate nella loro rappresentazione di scene della vita dello Studio, fino al monumentale altare di San Francesco (1388-92), una delle opere più rilevanti e tipiche della scultura tardo-gotica in Italia.

    Vedi Anche:  La flora e la fauna emiliana

    Anche per l’architettura è Bologna il centro di maggiore importanza nel Trecento, dai palazzi pubblici e dalle chiese al San Petronio, iniziato nel 1390.

    Nel Rinascimento Ferrara, accogliendo le nuove ispirazioni che le vengono dalla Toscana, diviene il centro artistico preminente. Così nell’architettura, specie per Biagio Rossetti (1447-1516), che trasformò l’aspetto della città col suo piano regolatore e con insigni chiese e palazzi. Così nella pittura Cosmè Tura (1432-95), Francesco del Cossa (1435-78), Ercole de’ Roberti (1456-96), Dosso Dossi (1479-1542).

    Le forme rinascimentali penetrano anche a Bologna, pur se soltanto dalla seconda metà del Quattrocento, testimoniate tuttavia da opere pregevolissime come i palazzi del Podestà e Bevilacqua.

    Ma un nuovo centro d’arte si forma a Parma. Ne inizia lo splendore il Correggio (Antonio Allegri, 1478-1534) con l’impronta della sua possente personalità. E lo seguì un altro grande, Francesco Mazzola, il Parmigianino (1503-40). Determinante fu l’influsso di questi due artisti su alcuni sviluppi di tutta la pittura italiana.

    Non sono da dimenticare peraltro il bolognese Primaticcio, il modenese Niccolò dell’Abate, il forlivese Melozzo e gli altri minori, che introdussero e diffusero anche nei piccoli centri della regione le influenze raffaellesche e michelangiolesche.

    Nell’architettura cinquecentesca vanno almeno ricordati, anche in un rapido sguardo come questo, il capolavoro di Leon Battista Alberti, il Tempio Malatestiano di Rimini (circa 1460), e più tardi le nobili opere del Vignola (Iacopo Barozzi, 1507-1573) e del bolognese Terribilia (Francesco Morandi, morto nel 1603).>

    Nel campo della scultura il Rinascimento nell’Emilia è essenzialmente bolognese. Qui Iacopo della Quercia lavorò per tredici anni (dal 1425 alla morte) al portale maggiore di San Petronio. Qui restano i documenti più significativi del ciclo di Niccolò dell’Arca, dal rivestimento scultoreo della tomba di San Domenico (donde egli trasse il nome) alla mossa e realistica composizione della Pietà di Santa Maria della Vita.

    In ambedue si riflettono con non minore potenza espressiva che eleganza l’ispirazione gotica e l’ispirazione classica mutuata dai Toscani.

    Lo stesso Michelangelo giovane collaborò poi con alcune statuette all’Arca e in età più matura formò la statua di Giulio II davanti a San Petronio (1508) purtroppo distrutta pochi anni dopo (1522). Infine un ultimo capolavoro chiude la serie della scultura rinascimentale bolognese: il Nettuno del Giambologna (1566). Ma diffuse per tutta l’Emilia sono altre opere notevoli ispirate ai modelli di Niccolò come nel modenese Guido Mazzoni, ai toscani come in Agostino di Duccio a Rimini, Rossellino e Francesco di Simone a Forlì, Tomaso Fiamberti a Forlì e Ravenna, Lorenzo Bregno a Cesena, ecc.

    Campanile e battistero del Duomo di Parma.

    Rimini: Tempio Malatestiano.

    Apartire dal Seicento anche per la pittura Bologna assume un ruolo importante. Si forma una vera scuola bolognese attorno ai Carnicci (Ludovico 1555-1616, Agostino 1557-1602, Annibaie 1560-1609), che fondono in una originale armonia gli orientamenti correggeschi e veneti con quelli del classicismo romano. Da questa scuola escono alcuni dei maggiori artisti del secolo, come il bolognese Guido Reni (1575-1642), il Guercino (G. F. Barbieri, di Cento, 1591-1666), i bolognesi Francesco Albani (1578-1660) e Domenichino (Domenico Zampieri, 1581-1641).

    L’architettura religiosa e civile del Sei e Settecento fiorisce pure a Bologna e nelle altre città emiliane con opere notevoli. Fra gii autori vanno ricordati in modo particolare i Bibbiena, bolognesi (Ferdinando, 1657-1743, Francesco, 1659-1739 e Gio. Carlo, ?-1700).>

    Non seguiremo ulteriormente lo sviluppo delle manifestazioni artistiche nella regione: una folla di nomi, di persone e luoghi ci viene innanzi. E d’altronde non vi sono in codeste manifestazioni, in genere, aspetti tipici locali o regionali.

    Ci limiteremo ad annotare alcuni nomi di artisti nati ed operanti in regione, i quali non ci sembra giusto lasciar del tutto sotto silenzio.

    Fra i pittori ricorderemo così almeno i bolognesi Bartolomeo Cesi (1556-1629), Carlo Cignani (1628-1719) e Luigi Crespi (1709-79), e infine i Gandolfi che alla metà del Settecento possono considerarsi gli ultimi epigoni della scuola bolognese.

    Dell’Ottocento segnaleremo Antonio Fontanesi di Reggio (1818-82), Luigi Serra di Bologna (1846-88), i due grandi ferraresi Giovanni Boldini (1842-1931) e Gaetano Previati (1852-1920), Achille Lega di Brisighella (1899-1934) per chiudere col contemporaneo L. Filippo de Pisis, ferrarese (1896-1956). Dei viventi sarà consentito fare il solo nome di Giorgio Morandi, bolognese.

    Degli scultori, tralasciando i numerosi ma punto originali del Sei-Settecento, annotiamo Tullio Golfarelli da Cesena (1853-1928), Domenico Rambelli da Faenza, Giuseppe Graziosi da Savignano sul Panaro, Ercole Drei e Pietro Fabbri da Faenza, e fra i viventi Luciano Minguzzi.

    Una schiera di architetti meriterebbe pure di essere ricordata, dai bolognesi G. G. Dotti (1724-80) e Francesco Tadolini (1723-1805), dal ravennate Camillo Morigia (1743-95) e dall’imolese Cosimo Morelli (1732-1812) a Giuseppe Mengoni da Fontanelice (1829-77) e bolognesi Alfonso Rubbiani (1848-1923) ed Edoardo Collamarini (1863-1928), amorosi rinnovatori del volto originale della loro città.>

    All’infuori delle arti figurative, gli Emiliani (Romagnoli compresi) si distinguono anche per un particolare amore alla musica. Ricordiamo che forse da Pomposa è mossa la riforma di Guido d’Arezzo che vi fu educato.

    Non possiamo qui addentrarci nella materia. Ma alcune annotazioni gioveranno.

    Monumento funebre di Guidarello Guidarelli. Ravenna, Istituto di Belle Arti.

    Bologna e Parma sono forse i centri più caratteristici, coi loro Conservatori e Accademie, in cui si sono educate generazioni di musicisti. E fra i nomi di questi basterà richiamare Gioacchino Rossini (1792-1868), pesarese, ma allievo e poi direttore del Liceo musicale di Bologna; Giuseppe Verdi, di Busseto (1813-1901); Ildebrando Pizzetti, parmense (1880-vivente) ; Arturo Toscanini, pure di Parma (1867-1957); Balilla Pratella di Lugo (1880-1955); Ottorino Respighi, bolognese (1889-1936).

    Oltre i nomi fatti, ad attestare il fervore di vita culturale e artistica nell’Emilia in ogni secolo dal Medievo in qua, è d’uopo non tralasciare, fra i tanti che nei tanti altri settori ne sarebbero meritevoli, alcuni almeno.

    I poeti anzitutto: Matteo Maria Boiardo dei conti di Scandiano (1440-1525), che nell’epica cavalleresca fa strada a Ludovico Ariosto, reggiano (1474-1533) e poi a Torquato Tasso (1544-95)
    non emiliano di famiglia nè di nascita, ma che maturò e fiorì nell’ambiente della Corte estense (dal 1565 al 1586 se pure con interruzioni), il quale l’intreccia con più aperte e sentite ispirazioni storiche e religiose, fin che Alessandro Tassoni, modenese (1565-1635) la conclude con un distacco ironico, che trova riscontro soltanto nel Cervantes.>

    Segue la reazione arcadica, nella quale trovano pur posto numerose le Accademie e i poetanti in quasi tutti i centri maggiori e minori d’Emilia e Romagna.

    Alla fine del Settecento e nella prima metà dell’Ottocento tutta una nuova scuola di neoclassici fiorisce, specialmente in Romagna, che ha per illustre esponente Vincenzo Monti, di Alfonsine nel Ravennate (1754-1828). Nè mancano in Emilia le espressioni della nuova reazione romantica. Sono due filoni, il neoclassico e il romantico, che, in un certo qual modo, si trasfondono e concludono, rispettivamente, pur nella originalità delle loro forti personalità, in Giosuè Carducci, toscano, ma operante in Bologna dal 1860 alla morte (1907) e in Giovanni Pascoli, di San Mauro di Romagna (1855-1912).

    Fra le opere dei poeti ultimi, viventi o da poco scomparsi, sia consentito alle simpatie dello scrivente di ricordare soltanto i delicati versi di Corrado Govoni, ferrarese, e Luigi Orsini, imolese.

    Lungo del pari sarebbe l’elenco dei prosatori. Fra i più recenti ricordiamo Alfredo Oriani, faentino (1852-1909), uno dei più originali e potenti scrittori politici fra il vecchio e il nuovo secolo; Antonio Beltramelli, di Forlì (1879-1930), Marino Moretti di Cesenatico, Giuseppe Bacchelli, bolognese, ed anche Alfredo Panzini (1863-1939) non romagnolo di nascita, ma che come quelli ci ha dato i quadri più vivaci e pensosi della vita del suo tempo in questo nostro paese.

    E poi ancora vorremmo ricordare come scrittori almeno l’apostolo Gerolamo Savonarola, ferrarese (1452-98), il fisico Evangelista Torricelli, faentino (1608-47), lo storico L. A. Muratori, di Vignola nel Modenese (1672-1750), il filosofo Gian Domenico Romagnosi di Salsomaggiore (1761-1835), il commediografo Paolo Ferrari, modenese (1822-89).