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Il clima, le temperature, l’umidità e le precipitazioni

    Il clima

    Il clima emiliano e i suoi fattori

    Morfologia normale, dunque, plasmata dall’erosione fluviale in un modellamento esemplare di valli conseguenti e susseguenti, all’infuori che nella sottile striscia della Vena del Gesso, coi suoi modesti esempi di forme carsiche. Di un modellamento glaciale soltanto segni numerosi, ma ciascuno di limitatissima estensione, nelle zonule più alte dell’Appennino emiliano.

    Tutto questo in connessione con l’orogenesi e con la natura litologica, ma anche in stretta connessione col clima, con le condizioni e vicissitudini normali dell’ambiente atmosferico, donde muove direttamente (degradazione, dilavamento) o indirettamente (corsi d’acqua) l’attività modellatrice del rilievo.

    Del paesaggio il clima di per sè, a rigore, è piuttosto un « determinante », che un « componente ».

    Ciò che noi vediamo, sentiamo, non è il clima in sè, sono i fenomeni atmosferici che lo costituiscono in successione nel tempo, gli aspetti del « tempo » (benedetto termine ambivalente; i nostri padri distinguevano tempus e tempestas, ma chi si sentirebbe di augurare per domani una buona tempesta, bona tempestas?).

    Ma è attraverso queste manifestazioni che il clima si rivela anche alla nostra immediata sensibilità.

    Venite dall’Italia centrale, dalla Toscana, e penetrate nel lungo budello onde il treno sottopassa il crinale appenninico. Lasciate un paesaggio argentato di olivi fruscianti al fresco rezzo, un cielo terso, un sole alto, e all’uscita vi trovate immersi nella caligine di una nebbia, di una pioggerella sottile, sotto il cielo basso di nuvole cupe, che vi accompagnano sino al piano. Quando ciò vi accade, e non sarà di rado, avete la sensazione precisa, profonda, di essere passati da uno ad altro ambiente climatico ben distinti e diversi. Siete venuti nel dominio del clima emiliano.

    Cumulo-nembi su Bologna.

    Che definiremo non soltanto per contrasti, ma cercheremo di caratterizzare in se stesso, nei suoi elementi costitutivi.

    I contrasti infatti non sono così vivaci con la Padania a settentrione come con la Toscana, chè anzi il clima emiliano o, meglio, i climi di pianura nei quali si differenzia cedono a quelli padani pei gradi di una lenta transizione.

    Da Parma a Piacenza a Lodi a Milano, da Cento a Ferrara a Rovigo a Padova, da Rimini a Comacchio a Venezia, la normale sensibilità di un viaggiatore non avverte un trapasso, che è nascosto dalla sua stessa gradualità.

    Se d’autunno è una nebbia, questa si addenserà sempre più accostandosi al Po ma non avrà mancato di circondarci sin dall’uscita dei fondivalle appenninici. Se d’inverno è una coltre nevosa, questa ci apparirà variamente distribuita, ma non per immediata zonatura in rapporto alle distanze dal sud al nord o dal sudovest al nordest. Se d’estate, non sarà il passaggio del Po a farci uscire dal torrido incombere di un sole implacabile sul piano fra il piede della collina e la fascia mitigata dall’influenza marittima.

    La varietà e la gradualità si presenteranno piuttosto già nel seno stesso della regione, a tacer d’altro in funzione del rilievo e della distanza dal mare. Onde appunto, come abbiamo già avvertito, non tanto su un clima emiliano-romagnolo converrà soffermare la nostra attenzione, quanto sui climi della regione.

    Presentano pur essi tuttavia alcuni caratteri fondamentali di insieme: una limitata mediterraneità, non senza qualche aspetto nettamente continentale, specie nella zona pedemontana occidentale; estati calde, inverni piuttosto rigidi, abbondanza di precipitazioni sulla montagna, con graduale diminuzione scendendo, e quindi scarsa in pianura; neve ogni anno, ma in quantità e durata considerevoli, normalmente, soltanto in montagna; precipitazioni prevalenti in autunno e, meno, in primavera.

    Per l’illustrazione delle condizioni climatiche dell’Emilia-Romagna ci gioviamo qui largamente della recentissima monografia dell’Albani, indicata nella nota bibliografica.

    I fattori del clima emiliano vengono da lei distinti in generali, regionali e locali.

    Fattori generali si considerano i rapporti di posizione della regione con la latitudine, col bacino mediterraneo e la massa continentale europea e rispetto ai grandi centri d’azione del tempo: l’anticiclone atlantico delle Azzorre, quello continentale di nordest (rispetto all’Emilia) e quello sahariano, e i cicloni atlantici settentrionali.

    Strato cumuli al tramonto.

    Fattori regionali la posizione rispetto all’arco alpino, all’Appennino settentrionale, alla pianura padana e all’Adriatico.

    La latitudine colloca la regione in posizione mediana fra l’Equatore e il Polo (il corso del Po segue all’incirca il parallelo dei 450 nord), onde il clima è tipicamente temperato, ma la situazione a distanza dell’Oceano, ancorché un braccio del Mediterraneo si prolunghi sino a lambirne la costa, conferisce ad esso un certo carattere di continentalità. Ad accentuarlo contribuisce il fatto che l’arco alpino arresta o attenua le dirette influenze oceaniche da nordovest e il rilievo appenninico quelle mediterranee da sudovest, mentre l’immediata influenza dello specchio marino adiacente è modesta, per la ristrettezza dell’Adriatico chiuso fra terre, e gli influssi continentali, sorpassando le basse soglie dinariche, possono raggiungere la regione dal nordest.>

    I fattori locali poi determinano la varietà dei climi zonali e, appunto, locali in senso più stretto, in funzione della varia altimetria, deU’orientamento generale delle valli da sudovest a nordest e della conseguente varia esposizione al sole e alle correnti atmosferiche, complicandosi nella sezione collinare e montana per le molteplici e variatissime forme del rilievo.

    Situazioni bariche e tipi di « tempo ».

    Le situazioni bariche e i movimenti di masse d’aria, che determinano i principali tipi di tempo nell’Emilia, crediamo di poter riassumere nei termini seguenti.

    Frequente neH’inverno è il flusso di aria continentale fredda proveniente dall’anticiclone est-europeo, che staziona a lungo, talora per qualche settimana, con lunghe calme e forti nebbie, determinando anche il fenomeno della cosiddetta inversione delle temperature fra la pianura e qualche zona, anche relativamente elevata, dell’Appennino.

    Vedi Anche:  I dialetti, le tradizioni e i caratteri antropologici

    Lo stesso flusso tuttavia, quando in pari tempo si presenti un’area depressionaria sul Tirreno settentrionale, può trovarsi sospinto ad ingolfarsi ed elevarsi sul versante appenninico, determinando precipitazioni anche abbondanti. È in questa configurazione che la bora si fa sentire fin sul litorale romagnolo, dove — per aver attraversato l’Adriatico — porta nubi e umidità.

    Una seconda situazione si ha quando proviene da est aria di origine mediterranea, sospinta sull’Adriatico e sui Balcani e quindi verso la Padania. E aria umida calda, che dà luogo a precipitazioni, in genere passeggere. La situazione può presentarsi anche nell’inverno, ma più spesso in autunno (ottobre) e all’inizio della primavera (marzo, aprile).

    Altra situazione non molto dissimile, ma assai meno frequente, si ha in corrispondenza di una forte depressione sul Golfo di Genova. Aria mediterranea al suolo proviene allora dall’Adriatico sull’Emilia da est-sudest, mentre altre masse, alte, ancor più calde e umide, affluiscono da sud-sudovest, portando piogge abbondanti. Tale evento si produce particolarmente in aprile.

    Alto-strati e strato-cumuli su Bologna.

    Ancora nell’inverno non è infrequente il caso che l’Emilia sia raggiunta da venti asciutti e relativamente caldi, originariamente « venti di caduta » del versante alpino. (In Emilia stessa, del resto, non è rarissimo il fenomeno del föhn,> quando le masse d’aria accumulatesi a ridosso del versante sudovest dell’Appennino, costrette ad attraversarlo dopo aver condensato i loro vapori, si riscaldano adiabaticamente scendendo lungo l’opposto versante padano).

    Questa stessa situazione barica nell’estate dà luogo a manifestazioni temporalesche. La massa d’aria oceanica, che da nordovest raggiunge le Alpi, scendendo nella pianura padana è relativamente fredda rispetto a quella che qui ristagna, e il suo arrivo quindi dà luogo a quei fenomeni che accompagnano il passaggio di un fronte freddo, cioè a violenti temporali, che scoppiano sulla pianura, anche troppo frequenti da fine giugno ad agosto, con grandinate sparse.

    Nell’estate comunque prevale il flusso di aria calda e asciutta dal sud e, in genere, verso nordest.

    Tipiche di questa stagione sono poi le situazioni regionali dovute al fatto che la vai padana occidentale si riscalda, nelle ore diurne, più di tutta la restante e la depressione tende a spostarsi verso ponente. Prevalgono allora in Emilia venti locali intorno a levante e, in genere, da nordest al mattino e da sudest nel pomeriggio.

    Temperatura

    Venendo ora a parlare dei singoli elementi del clima, cominceremo dalle temperature. I dati raccolti ed elaborati dall’Albani e che in parte riportiamo in tabelle nell’appendice, si riferiscono al venticinquennio 1926-50. Essi riguardano le temperature vere dell’aria osservate al suolo, o pressappoco, e, comunque, non ridotte al livello del mare, chè in una trattazione corografica non avrebbero senso.

    Le curve, che la stessa autrice ha costruito e sono qui riprodotte, vanno peraltro intese con una certa avvertenza, in quanto esse per forza, pur cercando di seguire certi andamenti locali facilmente presumibili (rientranze lungo le vallate, prominenze ai contrafforti) sono in sostanza curve perequate, tenendo conto cioè della successione delle stazioni di osservazione e non delle mille e mille variazioni locali imposte daH’altimetria, dalla morfologia, dall’esposizione al sole e alle correnti atmosferiche, ecc.

    La temperatura media contrassegna, a grandi linee, una distinzione di zone analoga a quella già osservata da un punto di vista geografico integrale.

    Isoterme di luglio. Venticinquennio 1926-1950.

    Isoterme di gennaio. Venticinquennio 1926-1950

    Le più elevate si riscontrano in pianura e soprattutto nella parte di essa ad oriente del Reno: intorno ai 140. Nella collina si abbassano, ma in genere non più che a 13°. Nella montagna soltanto al disopra degli 800 m. sul mare non si raggiungono medie di io0. Le più basse, naturalmente, nelle stazioni oltre i 1000 m. sul mare.

    Ma più che le medie annue, interessano quelle della stagione più calda e della più fredda, e il loro divario, che è quasi dappertutto intorno o sopra i 20°, indice significativo del grado di continentalità del clima. Rappresentiamo le prime, con rAlbani, mediante le medie di luglio, le seconde con le medie di gennaio.

    Le temperature medie del mese più caldo fanno distinguere nella pianura tre zone: una orientale, più prossima al mare, racchiusa nell’isoterma dei 230, fra Cesenatico e il Po di Tolle; una centrale, che è la più calda, racchiusa nell’isoterma dei 25°,5, una elisse che comprende Bologna; e una terza zona, che inizia sul mare fra Rimini e Cattolica e fascia il piede della collina con temperature da 250 in meno, diminuendo verso nordovest.

    Nella collina e montagna le medie estive decrescono con l’altitudine, da 23° in meno fin sotto i 20° oltre i 1000 m. sul mare.

    La media delle temperature diurne massime giunge a punte oltre i 30° a Bologna, Cesena, Parma e nell’alta pianura bolognese e modenese.

    Nel gennaio la zona fredda della pianura piemontese si spinge fin di qua da Parma con media di poco superiore allo zero.

    Una curva di o°,5 circonda, proprio al centro della regione, una piccola area che da Anzola, sulla Via Emilia, sale la valle del Panaro sin oltre Vignola.

    Nel resto della pianura vediamo le temperature decrescere di nuovo dalla zona percorsa dall’isoterma di i°,5 fra Cremona e le foci del Po, verso il Mantovano, di qua, come di là dal fiume, dove si hanno    medie intorno a i° e meno.

    Vedi Anche:  Ferrara e il ferrarese

    La pianura sudorientale vede invece la temperatura crescere da Bologna a Ravenna sui 2° e al Riminese, dove si superano i 30.

    Nella bassa montagna il fenomeno già ricordato della inversione delle temperature si fa notare col decorso della isoterma di i°,5 a monte delle sacche di o°,5 e i° fra Piacenza e Anzola-Bazzano. Poi le medie decrescono con l’altitudine fino a isole di o° e meno nella zona delle vette fra l’Alpe di Succiso e il Corno alle Scale.

    Ovviamente interesserebbero, oltre le medie, i campi di variazione intorno alla media. Essi sono tutt’altro che trascurabili: inverni particolarmente rigidi ed estati eccezionalmente calde non rappresentano rarità. E a questo proposito che appare particolarmente sensibile l’inconveniente di disporre con facilità soltanto di medie mensili, cioè di interi mesi, quando il comportamento degli eventi meteorologici in realtà non si adegua appieno a questa ripartizione del tempo. Il periodo nel quale si riscontrano e si accentrano le più alte temperature non è il mese di luglio in sè, ma, se anche si pronuncia al principio di tal mese, continua fino alla metà d’agosto ed è dopo questa che varia, talora anche scendendo bruscamente. Così il periodo più rigido si pronuncia spesso soltanto verso la metà di gennaio e investe quasi tutto il mese di febbraio.

    Alcuni diagrammi climatici tipici.

    Precipitazioni medie annue 1921-50.

     

    Umidità e precipitazioni

    L’umidità relativa è molto elevata nella pianura emiliana, con valori medi che oscillano, fra le stazioni di osservazione dal 64% di Bologna al 74% di Piacenza e al 75% di Forlì (medie annue). In complesso si presenta minore al centro, maggiore nelle parti orientale e occidentale, con massimo in novembre e dicembre, minimo in luglio.

    L’alto indice di umidità e la lunghezza del periodo di calme favoriscono la formazione delle nebbie, frequenti in ispecie a nord della linea Bologna-Ravenna.

    Quanto alle precipitazioni, considerate nella loro media annua nel trentennio 1921-50, si nota anzitutto il contrasto fra la pianura, sulla quale sono relativamente scarse, e la montagna, dove in aree abbastanza estese dall’alto Appennino bolognese a quello piacentino si superano i 2000 millimetri. Ma tutta la zona lungo lo spartiacque, da un estremo all’altro, riceve precipitazioni oltre i 1500 mm., con larga partecipazione di nevi. Le quali ultime del resto, più o meno numerose, non mancano mai nell’inverno in nessuna parte della regione, anche se sempre più ridotte con l’andare a sudest.

    Cumuli sull’Appennino modenese (vista da Pian-delagotti).




    Le isoiete assumono poi un andamento oscillante, con salienti verso nordest in corrispondenza dei contrafforti subappenninici e rientranze in corrispondenza delle maggiori valli. Il tipo di precipitazioni della collina può dirsi limitato dall’isoieta degli 800 mm., la quale però dopo una pronunciata rientranza a sudovest di Piacenza (testimone dell’accentuata continentalità del clima di questa plaga), avanza verso nord fino a raggiungere il Po sotto Busseto e rientra nuovamente con ampi meandri a sudovest in corrispondenza alle valli del Parma, del Cròstolo, del Panaro. Da Bologna in giù segue proprio, pressappoco, il limite altimetrico (piede) della collina.

    In pianura, s’è già detto, le precipitazioni annue sono piuttosto scarse: fra gli 800 mm. e i 600 e meno di 600 del nordest.

    L’area di minima piovosità (secondo le medie del trentennio 1921-50) si riscontra sulla destra del Po, in una striscia delimitata dall’isoieta dei 600 mm., che va da San Felice sul Panaro per Ferrara e Copparo sino al delta del Po e alle valli di Comacchio.

    Il regime di codeste precipitazioni può dirsi col De Marchi sublitoraneo in quanto alla continentalità e subequinoziale in quanto all’influenza delle latitudini, che ne determina i due massimi di primavera e d’autunno e i due minimi d’estate e d’inverno. L’andamento mostra peraltro in netta contrapposizione il minimo estivo e il massimo autunnale, seguiti da un poco pronunciato minimo invernale e dal massimo primaverile pure, in genere, meno sensibile di quello autunnale.

    Osservando i singoli mesi nelle varie zone si notano alcune diversità.

    Nell’alta montagna estremamente piovoso è il novembre; ricca di piogge è pure la primavera, con un massimo in maggio. Nella media montagna si attenua il massimo primaverile e si accentua, relativamente, il minimo invernale.

    Il passaggio alle stazioni di collina è contrassegnato da una diminuzione delle precipitazioni nel mese di novembre e un relativo aumento di quelle dell’ottobre (in qualche caso con valori molto vicini o addirittura eguali), mentre il massimo primaverile resta costantemente in maggio e i due minimi in gennaio e luglio.

    Nella pianura il massimo passa decisamente all’ottobre, in primavera il mese più piovoso resta il maggio. D’estate il minimo è il luglio, ma il periodo asciutto si prolunga, generalmente, fino alla metà di agosto. E questo anzi, per qualche stazione, come Bologna e Forlì, a presentare il minimo.

    Attenuati tutti i valori assoluti, in pianura il divario fra minimi e massimi appare

    — nella media del trentennio — meno sensibile che in collina e in montagna. Tuttavia mesi del tutto, o quasi, siccitosi non mancano di presentarsi di tanto in tanto.

    In conclusione, l’Albani distingue due sottotipi: emiliano (occidentale) e romagnolo. Il primo ha un massimo in autunno — che cade nel mese di novembre in montagna e in ottobre in pianura — e un secondo massimo in primavera ; il secondo ha un massimo principale in autunno e uno secondario in inverno.

    Vedi Anche:  L'economia industriale

    Come s’è accennato per le temperature, un valore non meno importante di quello medio — nel caso delle precipitazioni ancor più che nel caso delle temperature — è la dispersione di quelli singoli, di anno in anno, intorno alla media. La si mostra costruendo una curva di durata, nella quale per ciascun valore di altezza delle precipitazioni annue (asse delle ordinate) è segnata la corrispondente percentuale di frequenze (asse delle ascisse) in un periodo dato.

    Curva di durata delle precipitazioni annue, secondo i dati dell’Evangelisti.

    Nell’Emilia, calcolata per un secolo per tutta la regione una media annua di 720 mm., la curva di durata, secondo i dati dell’Evangelisti, si svolge da un minimo di 144 mm., presente in valore percentuale del 99,99, a un massimo di 1440 mm. in quello di 0,15%.

    All’altezza media delle precipitazioni (720 mm.) corrisponde un valore del 46,06%.

    Il che vuol dire che in 46 anni su 100 le precipitazioni raggiungono almeno i 720 mm. e, in altri termini, che la probabilità pratica di ricevere almeno una precipitazione media è del 46%.

    La percentuale dei valori annui eguali o superiori a 1000 mm. è 7,36. Quella corrispondente a 504 mm., che è 88,91, può anche leggersi nel senso che gli anni del secolo con precipitazioni eguali o inferiori a 504 mm. sono stati 11.

    Per quanto riguarda la rappresentazione della caratteristica più importante ed espressiva della distribuzione, si adotta quel parametro che gli statistici chiamano differenza interquartile relativa. Assunte come precipitazione di annata ordinaria quella che ha durata del 75%, di annata umida ordinaria quella col 25% e di annata semipermanente quella col 50%, e dato che tali valori sono nella fatti specie 587, 823 e 702, l’indice di irregolarità o dispersione si calcola con (823-587): 702 = 0,351.>

    Una tale dispersione dell’evento non è trascurabile, ma nemmeno eccessiva. Può ripetersi, anche a questo proposito, l’osservazione fatta sulle precipitazioni medie: la situazione in termini assoluti non è certo l’ideale, ma in termini di confronto con altre regioni dell’Italia peninsulare appare tutt’altro che sfavorevole.

    Cumulo-nembi incombenti su zona allagata (Bacino del Savio, 1938)

    Venti

    I dati per lo studio dei venti al suolo sono molto scarsi. Soltanto per alcune delle città maggiori si possiedono serie di osservazioni di una certa lunghezza, parecchie tuttavia discontinue e non omogenee. Rilevazioni sistematiche sono fatte da qualche decennio nelle stazioni dello Stato Maggiore dell’Aeronautica: hanno il pregio di una propria continuità e omogeneità, ma purtroppo non sono facilmente comparabili con le altre di cui si è detto sopra, essendo limitate ai venti con velocità superiore ai 5 chilometri all’ora.

    La prima discordanza che vivamente colpisce riguarda pertanto la durata delle calme, la cui percentuale risulta molto alta nelle osservazioni dell’Aeronautica, specialmente nella zona pedemontana e in pianura.

    Per la conoscenza del regime e direzioni delle correnti atmosferiche influenti sulla vita umana e su quella degli organismi, il valore di tali dati è quindi costretto nei limiti di validità della presunzione che la distribuzione nel tempo e nello spazio di tutti i movimenti nello strato più basso dell’atmosfera si adegui a quella riscontrata per i venti di velocità superiore ai 5 km/ora, presunzione ragionevole, ma non sempre e dovunque pienamente giustificata.

    Comunque è a queste osservazioni — appunto per la loro continuità ed omogeneità — che conviene attenersi come ha fatto l’Albani (vedi tabella nell’Appendice statistica).

    Come ovvio, il loro comportamento nelle varie stazioni d’osservazione dipende dal concorso di due fattori, cioè la variante situazione isobarica generale e le condizioni locali (specie il rilievo) sì da rendere ardua una generalizzazione. Tanto più che esiguo è il numero delle stazioni stesse: a fatica se n’è potuto metterne insieme quindici.

    Comunque, riguardo alla frequenza una distinzione fondamentale emerge chiara fra le stazioni di pianura (comprese le litoranee e le pedemontane) e quelle dell’alto Appennino.

    Mentre nelle prime si osservano dominanti i venti in direzione da ovest a est e viceversa, con prevalenza di quelli occidentali, nelle stazioni di alta montagna prevalgono venti in direzione meridiana e più spesso da sudovest a nordest, anche in rapporto con l’orientamento delle valli.

    Ancorché non dominanti, tipici delle basse valli e del pedemonte sono i venti discendenti lungo l’asse stesso delle valli, come la corina romagnola.

    Lungo la fascia costiera tipico è nell’inverno l’arrivo della bora del Carso e dell’alto Adriatico da nordest, che, pur giungendo con vigore attenuato, provoca notevoli abbassamenti di temperatura.

    Vento locale frequente è il garbino, da terra a mare, che si combina, forse, con la vicenda abituale delle brezze quotidiane.

    Per l’intensità del vento i dati delle 15 stazioni che l’Albani ha potuto prendere in esame per il decennio 1946-55 sono significativi, ma non certo esaurienti per conclusioni di carattere generale.

    In pianura le velocità superiori ai 35 km/ora appaiono scarsissime (7 giorni/anno a Ferrara, che è il massimo; 2 a Forlì) e scarse ancor quelle fra 16 e 35 km/ora (massimo ancora a Ferrara con 77 giorni/anno, minimo a Piacenza con meno di 30). Le punte massime raggiunte dalle raffiche rimangono al disotto dei 100 km/ora.

    Nelle stazioni di alta montagna ed in misura massima a quella del Cimone forti intensità sono invece relativamente frequenti: 47 giorni con velocità oltre i 55 km/ora, con un massimo di 216 km/ora.