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Fiumi e golfi

    Le acque

    Sguardo generale. Regioni idrografiche

    I caratteri dell’idrografia regionale dipendono sostanzialmente dalle condizioni geomorfologiche, già esaminate, e da quelle climatiche, che esamineremo nel capitolo seguente. Va rilevata però fin d’ora l’abbondanza delle precipitazioni, che raramente sono inferiori ai iooo mm. annui, ed il loro regime piuttosto irregolare, per lo più primaverile e autunnale. Ne deriva pertanto una circolazione idrica ricca, ma caratterizzata da un regime nettamente torrentizio, anche per la mancanza di alimentazione glaciale e di intermediazione lacustre. Le diverse condi-dizioni idrologiche dei terreni tendono poi a differenziare fra loro le varie zone geomorfologiche, determinando una distribuzione molto eterogenea delle risorse idriche, con notevoli squilibri fra le diverse zone. Così, nonostante le numerose opere idrauliche intraprese nell’ultimo cinquantennio, l’idrografia costituisce uno dei principali fattori di differenziazione dei « paesaggi » regionali, influendo sulla densità, sulla distribuzione e sulle forme dell’insediamento umano e condizionando molte attività economiche.

    La regione idrografica montana, per l’abbondanza delle precipitazioni piovose e nevose, possiede naturalmente le maggiori risorse idriche, a cui la morfologia conferisce un alto potenziale energetico. Grande collettore delle acque è il Tagliamento, coadiuvato nelle aree prealpine marginali dagli affluenti del Livenza e del-l’Isonzo. Anche la regione collinare subalpina riceve discrete precipitazioni, ma nella coltre di alluvioni fluvioglaciali, particolarmente estesa nell’anfiteatro morenico del Tagliamento, incomincia la dispersione delle acque, che vanno ad alimentare le grandi falde freatiche della sottostante pianura. Dai rilievi morenici nascono modesti corsi d’acqua periodici, di cui solo alcuni riescono nei periodi di piena a superare la cerchia esterna dell’anfiteatro. Le risorse idriche di questa zona sono in massima parte convogliate nel Canale Ledra, che provvede all’irrigazione di buona parte dell’alta pianura friulana orientale.

    Idrografia.

    La pianura, che riceve precipitazioni meno abbondanti, per le diverse condizioni idrologiche dei terreni, che abbiamo già visto nel capitolo precedente, presenta una sezione alta alquanto arida, per alcuni mesi dell’anno priva quasi del tutto di una circolazione superficiale, mentre a sud della zona delle risorgive, alla base delle grandi conoidi fluvio-glaciali, i fiumi provenienti dalla regione montana e collinare riacquistano buona parte delle acque perdute e si formano nuovi corsi d’acqua, originati dalle risorgive, con un regime meno torrentizio.

    L’alta pianura racchiude però nel sottosuolo cospicue falde acquifere, che possono essere raggiunte mediante pozzi. D’altro canto la ricchezza d’acque superficiali della bassa pianura, in terreni a debole pendenza, dà luogo nella zona delle risorgive e nella fascia litoranea ad estesi impaludamenti, favoriti dalla scarsa ampiezza delle maree adriatiche, che non riescono a ridistribuire le torbide fluviali. Però il volume abbondante e costante delle portate rende possibile la piccola navigazione sul tronco inferiore di alcuni fiumi, che nel passato ha rivestito anche una notevole importanza commerciale.

    Una regione idrografica a sè stante è quella carsica, che comprende ad occidente l’altipiano del Cansiglio e ad oriente il Carso monfalconese e triestino. La fratturazione e la permeabilità delle rocce calcaree determina l’assorbimento delle acque meteoriche e dei corsi d’acqua superficiali provenienti da altri terreni, dando luogo ad una caratteristica circolazione sotterranea, di cui il fiume Timavo, che scorre sotto il Carso triestino, è l’esempio più tipico. La regione carsica è pertanto estremamente arida e presenta particolari fenomeni morfologici, detti appunto « carsici », dovuti alle acque d’infiltrazione e di scorrimento sotterraneo.

    La rete idrografica della regione giulio-friulana è completamente tributaria del Mare Adriatico, ad eccezione del fiume Slizza, che scorre nel Tarvisiano e porta le sue acque al fiume Gail, affluente della Drava, nel bacino danubiano.

    Non tutti i fiumi regionali hanno però il bacino idrografico interamente compreso nei limiti della regione, sia ad occidente, dove il Livenza riceve i suoi affluenti di destra dalla provincia di Treviso, sia ad oriente, dove in seguito al trattato di pace la maggior parte del bacino isontino è passata alla Jugoslavia.

    Il Tagliamento

    Il Tagliamento, chiamato dai Romani Tilavemptus, è il principale fiume della regione e con il suo lungo corso attraverso la regione alpina e prealpina, le colline dell’anfiteatro morenico e tutta la pianura riassume le caratteristiche di tutti i fiumi friulani, cosicché a buon diritto può essere definito il tipico fiume friulano.

    Ha una lunghezza di 172 km., per cui si classifica al 12° posto fra i fiumi italiani, e possiede un bacino imbrifero di alimentazione di circa 2500 kmq., quasi completamente incluso nei limiti della regione, di cui costituisce circa un terzo dell’intera superficie.

    Il suo corso presenta, rispetto all’asse orografico delle catene alpine, una sezione longitudinale superiore, dalla sorgente alla confluenza del Fella (km. 56), ed una sezione trasversale, dalla confluenza del Fella alla foce (km. 116). In questa seconda sezione possiamo inoltre distinguere il corso medio, attraverso la regione collinare e l’alta pianura, dal corso inferiore, che ha inizio nella zona delle risorgive e si prolunga attraverso la bassa pianura fino alla foce.

    Il Fella nel Canal del Ferro.

    La gola del Lumièi.

    Il fiume nasce da una modesta sorgente, che scaturisce a m. 1195 ai piedi del Monte Miaròn, sotto il Passo della Mauria, su cui corre lo spartiacque con il bacino del Piave. Il suo solco idrografico è formato però dall’unione dei torrenti La Torre e Stabia, che nascono entrambi a quota più elevata, scendendo rispettivamente dal Monte Miaròn e dal Col Pioi. All’inizio è un ruscelletto da niente, uno zampillo fra i sassi in declivio, distillato dai pazienti nevai sulla dolomia. Ma comincia rapidamente a ingrossare e riconosce la sua vocazione torrentizia. Fino a Forni di Sopra procede in direzione sudest, ricevendo solo brevi affluenti, come il Tolina, ma poi descrive una grande curva convessa verso sud, lasciando a sinistra il vecchio solco di Vignarosa, attivo nel periodo glaciale, e viene quindi accresciuto dal cospicuo contributo del Lumièi, che è il primo dei grandi affluenti di sinistra, dopo di cui dirige il suo corso verso oriente, allargandosi in un ampio letto alluvionale. Nella conca di Villa Santina incontra le acque del Degano, a cui si aggiungono più a valle, quelle tumultuose del Vinadia, che scende dall’altipiano di Lauco, incidendo un’orrida gola. Nella conca di Tolmezzo riceve il But, ma gli giungono anche alcuni minori contributi dal versante destro, portati dal rio Ambiesta e dal rio Faèit, che sono i più notevoli affluenti di destra. Superata la conoide alluvionale dei Rivoli Bianchi, che scende fra i Monti Strabùt e Amariana, si volge a sudest verso la Sella di Mena, dove un terrazzo alluvionale di tenaci conglomerati separa la sua valle dalla depressione del lago di Cavazzo, per cui un tempo il fiume defluiva verso la pianura. Ora invece prosegue ancora verso oriente, alla base della grande conoide alluvionale del Fella, suo massimo affluente, da cui riceve un decisivo contributo, che gli permette di raddoppiare il volume delle sue acque.

    Alla confluenza del Fella termina la valle montana del Tagliamento, denominata anche Canale di Socchieve o di Ampezzo.

    In questa sezione il versante di gran lunga più importante del bacino idrografico è quello di sinistra, che comprende tutta la massa delle Alpi Carniche e Giulie, profondamente frazionata dalle valli trasversali degli affluenti Lumièi, Degano, But e Fella, mentre la catena prealpina, su cui corre lo spartiacque di destra, è troppo vicina al corso del fiume per permettere lo sviluppo di affluenti notevoli.

    Dei quattro maggiori affluenti alpini, il Lumièi è importante soprattutto per la grande diga che sbarra il suo corso alla Maina, formando un esteso bacino di riserva idrica per la centrale elettrica situata più a valle. Questo torrente scende dal Monte Pièltinis e scorrendo verso oriente raccoglie le acque della grande conca di Sauris, alla cui formazione ha notevolmente contribuito. Poi piega verso sudest e, attraversando la catena calcareo-dolomitica, incide una pittoresca gola, in cui scorre incassato. Sbocca nella valle tilaventina presso Ampezzo, dove taglia il conglomerato alluvionale, gettandosi nel Tagliamento fra Socchieve e Preone, dopo un percorso di 22 chilometri.

    Il torrente But a Timau.

    Molto più importante è il torrente Degano, che si forma presso Pièrabeck dalla confluenza del rio Fleòns e del rio Bordaglia, provenienti rispettivamente dalle pendici settentrionali dei monti Chiadenis e Volaia, nella Catena Carnica. Ha un corso prevalentemente trasversale, lungo 37 km., in cui riceve alcuni importanti affluenti, abbastanza ben distribuiti fra i due versanti. Il primo notevole contributo gli viene nella conca di Forni Avoltri dal rio Acqualena, proveniente dal Passo di Cima Sappada, torrente che convogliava un tempo nel Degano le acque del rio Sesis, successivamente catturato dal Piave. Più a valle il rio Morareto gli porta le acque del Monte Cogliàns, mentre dalla Sella di Ravascletto lo raggiunge il Margò, formando una sezione della Valcalda. A breve distanza dalla confluenza di quest’ultimo, incontra anche il torrente Pesarina, suo massimo affluente, che proviene dalla Forcella Lavardèt, scorrendo in una caratteristica valle longitudinale, denominata anche Canale di San Canciano, lunga circa 20 chilometri. La confluenza del Margò e del Pesarina, in corrispondenza di terreni particolarmente ero-dibili, forma l’ampia conca di Comegliàns, quadrivio idrografico di grande importanza per l’insediamento umano e per le comunicazioni, da cui con facilità si passa per la Sella di Ravascletto alla valle del But e per la Forcella Lavardèt al Comèlico. Più a valle il Degano si allarga nella conca di Ovaro e riceve ancora, poco prima della foce, il discreto contributo del Chiarsò di Raveo, che scende dal Col Gentile. La vallata del Degano, che sbocca nella conca di Villa Santina, prende anche il nome di Canale di Gorto.

    Il torrente But presenta molte analogie con il Degano, ma per la sua direzione e le caratteristiche del suo bacino, percorre una valle molto più ampia, allargata dalla transfluenza del ghiacciaio del Gail attraverso le soglie di Monte Croce e di Promosio. Quale sua sorgente si considera il Fontanone di Timau, ricca polla d’acqua che scaturisce dalla scoscesa pendice del Pizzo di Timau e raggiunge con una cascata di circa 50 m. il fondovalle, unendosi al rio Collinetta, che proviene dallo spartiacque principale. Il But scorre dapprima in un ampio letto alluvionale di origine lacustre a debole pendenza, formato dal lago Moscardo, giacché il corso del fiume fu più volte sbarrato, anche in epoca storica, da colate di fango (lis musis) provenienti dal Monte Paularo. Dopo aver superato la stretta di Infratòrs, riceve i primi notevoli contributi: il torrente Pontaiba, che scende dalla Sella di Ligo-sullo, e il Gladegna, che proviene dalla Sella di Ravascletto, formando l’altra sezione della Vaicalda. La confluenza di questi corsi d’acqua in corrispondenza di terreni molto teneri, ha formato anche qui un’ampia conca, chiamata di Paluzza o di Sùtrio, corrispondente a quella già ricordata di Comegliàns, a cui non è inferiore per importanza antropogeografica. Attraverso la Sella di Ravascletto si accede alla vai Degano, mentre per quella di Ligosullo si passa nel canale del Chiarsò d’Incaroio. Più a valle, il But deve superare presso Arta la conoide di deiezione e di frana del torrente Randice, che un tempo gli sbarrava il corso, costringendolo a formare un secondo bacino lacustre. Non molto lontano dalla foce, presso Cedarchis, riceve infine il Chiarsò d’Incaroio, suo massimo affluente, lungo circa 20 km., che forma lo stretto canale d’Incaroio, traendo origine dalla confluenza del rio Cercevesa e del rio Lanza, che provengono dalle selle omonime, raccogliendo le acque della Catena Carnica; dopo aver attraversato la conca di Paularo, scorre incassato fra i Monti Tersadia e Sernio, formando alla foce una grande conoide. La valle del But, che sbocca nella conca di Tolmezzo dopo un percorso di 33 km., prende anche il nome di Canale di San Pietro.

    Il torrente Aupa con sullo sfondo la Creta Grauzaria

    Ma il maggiore affluente del Tagliamento è il Fella, che con il suo lungo corso di oltre 50 km. separa le Alpi Carniche dalle Giulie, e raccoglie le acque di oltre 700 kmq. di territorio, rappresentando circa un quarto dell’intero bacino tilaven-tino. Questo fiume cambia frequentemente direzione, descrivendo un’ampia « esse » dalla Sella di Camporosso alla foce, ma nel suo percorso possiamo distinguere una sezione longitudinale, dalla Sella di Camporosso a Pontebba, denominata vai Canale, da una sezione prevalentemente trasversale, da Pontebba alla foce, denominata Canale del Ferro. Il versante idrografico più importante è quello di sinistra, da cui scendono i principali affluenti: Dogna, Raccolana e Resia, che provengono dallo spartiacque isontino e frazionano con lunghi solchi longitudinali le Alpi di Raccolana. Dal versante destro, che presenta una struttura geomorfologica più complessa, scendono il torrente Pontebbana, che separa la Catena Carnica dalle Alpi di Moggio, e il torrente Aupa, che attraversa quest’ultimo settore alpino scorrendo fra i gruppi montuosi del Monte Sernio e del Zuc del Bòor.

    Il Tagliamento dopo la chiusa di Venzone.

    Il Tagliamento presso Spilimbergo dove il letto è largo 3 km.

    Il Fella nasce dall’Alpe di Ugovizza e scorre dapprima verso la Sella di Camporosso, su cui passa lo spartiacque ponto-adriatico. Prima delle glaciazioni, il ramo sorgentifero attuale defluiva verso il Gail, giacché lo spartiacque era situato più ad occidente. L’espansione del ghiacciaio del Gail creò le condizioni favorevoli alla sua cattura da parte del Fella, che in precedenza aveva origine dalle aspre pendici della catena del Montasio, da cui ora scende il rio Sàissera, che forma la Vaibruna. Dalla Sella di Camporosso il Fella procede fino a Pontebba in un largo letto ghiaioso a debole pendenza, in cui si gettano alcuni torrenti provenienti dallo spartiacque principale. A Pontebba riceve il Pontebbana (14 km.), che scende dal Pian di Lanza e viene alimentato da alcuni importanti affluenti, come il rio Prado-lina, il rio Studena e l’impetuoso rio Bombaso, che scende dal Passo di Pramollo; fino al 1918 segnò il confine italo-austriaco. Quindi il fiume piega bruscamente verso sud e percorre una valle profonda e tortuosa, in cui riceve dalla sinistra gli affluenti Dogna e Raccolana. Dalla stretta di Chiusaforte alla conca di Moggio riprende un andamento quasi longitudinale e si allarga nuovamente in un ampio letto in cui sbocca il torrente Resia, suo massimo affluente (20 km.), che divide le Alpi dalle Prealpi Giulie, e più a valle il torrente Aupa, che scende dalla Sella Cere-schiatis, non molto distante da Pontebba. Superata la conca di Moggio, piega quindi verso sudovest ed in mezzo ad una imponente conoide confluisce nel Tagliamento fra Amaro e Stazione per la Carnia.

    Il corso mediano del Tagliamento inizia con la grande curva che il fiume descrive verso sud, per incunearsi fra le Prealpi di Cavazzo e quelle del Torre, fra cui si è scavato un profondo solco trasversale. Presso Venzone riceve l’impetuoso contributo del torrente Venzonassa, che scende dalla Forcella Musi, fra i monti Plauris e Chiampòn. Quindi si sposta verso sudovest, percorrendo il margine occidentale della piana di Osoppo, alla base delle Prealpi dell’Arzino, allargandosi in un letto di quasi due chilometri, in cui subisce notevoli perdite d’acqua. Presso Peonis incontra il Leale, che assieme agli affluenti Palar e Melò gli porta le acque di un esteso bacino prealpino carnico. Minore è invece il contributo del Ledra, proveniente dalle Prealpi Giulie, le cui acque sono catturate presso Ospedaletto per alimentare il grande canale d’irrigazione. Prima di sboccare in pianura il fiume si rinserra fra le colline subalpine, ma a monte della profonda stretta di Pinzano riceve ancora dalle Prealpi Carniche l’Arzino, lungo affluente (28 km.), che scende dal Monte Valcalda e scorre in una profonda valle denominata Canale di San Francesco o d’Asio. Quindi si distende nell’alta pianura in un enorme letto ghiaioso, che fra Spilimbergo e Carpacco riesce a raggiungere i tre chilometri di larghezza. La grande permeabilità di questa coltre alluvionale determina la quasi completa sparizione delle sue acque per la maggior parte dell’anno, nè in migliori condizioni arriva l’ultimo dei suoi affluenti, il Cosa, che scende dai monti Ciaurlèc e Pala e scorre per buon tratto in pianura, parallelo al suo collettore, in cui si versa a valle di Spilimbergo, dopo un percorso di 30 chilometri.

    Vedi Anche:  Usi, costumi, credenze e cultura del Friuli

    Il Tagliamento a Latisana, nella bassa pianura.

    Il corso inferiore del Tagliamento comincia fra Codròipo e Casarsa, dove ai fianchi della grande conoide alluvionale si manifesta la rinascenza delle acque del sottosuolo, che defluiscono sulla destra verso il Livenza e il Lèmene e sulla sinistra verso lo Stella. Però alla base di questa conoide anche il Tagliamento riguadagna una buona parte delle acque perdute a monte, grazie alle numerose risorgive del suo letto, che si restringe notevolmente ma diviene anche più tortuoso, per la pendenza troppo debole. Questo fatto determinò anzi nel passato frequenti divagazioni del fiume, che un tempo si spingeva, almeno con un suo ramo, fino a San Vito, proseguendo poi nell’attuale alveo del Lèmene verso Por-togruaro. Da Fraforeano alla foce segna il limite occidentale della regione giulio-friulana, scorrendo fra le province di Udine e di Venezia. A Cesarolo il suo corso comincia ad essere navigabile, ma un tempo le imbarcazioni riuscivano a raggiungere Lati-sana, che era un notevole scalo fluviale. Il fiume attraversa con ramo unico il suo vasto delta, raggiungendo il mare fra le lagune di Marano e di Càorle.

    Il Tagliamento ha un regime fortemente torrentizio, con piene autunnali e primaverili ed una accentuata magra invernale. Siccome nel corso mediano subisce forti perdite, per la grande permeabilità del suo letto, la massima portata si verifica sùbito a valle della confluenza del Fella, all’idrometro di Pioverno, che ha registrato nel periodo 1933-1944 una media di 92,5 metri cubi al secondo, corrispondenti ad un deflusso di quasi tre miliardi di metri cubi annui.

    Il Tagliamento nell’alta pianura scorre fra una serie di terrazzi alluvionali e si fraziona in numerosi rami, che racchiudono isolotti ghiaiosi.

    Portate medie mensili in mc./sec. del Tagliamento alle varie stazioni idrometriche montane e per i periodi di osservazione indicati.

    L’Isonzo

    Il secondo fiume della regione è l’Isonzo, chiamato dai Romani Sontius, che raggiunge una lunghezza di 136 km., mentre con il suo bacino di circa 3400 kmq., supera lo stesso Tagliamento. Questo grande bacino, che comprende buona parte delle Alpi e Prealpi Giulie e degli altipiani del Carso, venne completamente annesso all’Italia nel 1918 e costituì la base territoriale della provincia di Gorizia, ma dopo il recente trattato di pace è passato per circa due terzi alla Jugoslavia. Il confine politico infatti taglia il fiume poco a monte di Gorizia, cosicché rimane nella nostra regione solo il corso inferiore, per una lunghezza di poco più di 40 km. e con un bacino di circa 1200 kmq., che manda per lo più le sue acque al Torre, l’unico affluente isontino che scorra completamente in territorio italiano.

    Il fiume ha un andamento molto irregolare, caratterizzato da frequenti cambiamenti di direzione, dovuti essenzialmente alle direttrici orografiche delle Alpi

    Giulie. Questa sezione alpina si presenta infatti con una serie eli catene parallele, orientate da nordovest a sudest, che il fiume deve seguire per lunghi tratti prima di poter attraversare. Dobbiamo perciò suddividere il suo corso nei vari segmenti che lo costituiscono, e precisamente una prima sezione,’tipicamente alpina, fra la sorgente e la confluenza deH’Uccea, una sezione intermedia, dalla confluenza dell’Uccea a quella dell’Idria, in cui segna il limite fra le Alpi e le Prealpi, una sezione tipicamente prealpina, fra la confluenza dell’Idria e lo sbocco in pianura, presso Gorizia, ed infine una sezione di pianura, da Gorizia alla foce.

    L’Isonzo presso Gorizia.

    La vallata isontina presenta una morfologia molto varia, particolarmente influenzata dalle espansioni glaciali pleistoceniche e dalla confluenza dei maggiori affluenti, che hanno formato delle ampie conche.

    Il fiume nasce da alcune ricche sorgenti, a quota 940, fra il Monte Iàlluz e il Passo Moistrocca, ma il solco idrografico è formato dalla confluenza di questo maggiore ramo sorgentizio con uno più elevato che scende direttamente dal Passo Moistrocca. Scorre dapprima in direzione sudest, percorrendo la selvaggia vai Trenta; presso Na Logu piega verso sudovest e procede con minore veemenza in una valle longitudinale, raddrizzando fra Sonzia e Plezzo il suo corso verso occidente. Nella conca di Plezzo riceve il notevole contributo del Coritenza, che scende dal Monte Màngart e porta all’importante Passo del Predìl, sul confine italo-iugoslavo. A Saga incontra il rio Uccea, proveniente dal Passo di Tanamea, che è tagliato a metà percorso dal confine politico, cosicché tutta la sua alta vallata è rimasta in territorio italiano.

    L’Isonzo nella piana di Gorizia visto dal Monte San Michele. Sullo sfondo le Prealpi e le Alpi Giulie.

    Dopo Saga il fiume attraversa l’asse orografico in una stretta forra e si volge verso sudest, allargandosi in un’ampia vallata glaciale, che costituisce la sezione più densamente abitata di tutto il suo corso. Nella conca di Caporetto riceveva prima delle glaciazioni le acque del Natisone, che furono poi costrette dalle morene glaciali ad aprirsi un’altra via. I due fiumi sono ora separati da una bassa insellatura, denominata Starasella, importante fin dall’antichità per le comunicazioni fra la pianura friulana ed i valichi alpini del bacino isontino. Più a valle, alla confluenza deH’Idria, si apre la grande conca di Tolmino, da cui risalendo il torrente Baccia si accede al Passo di Piedicolle.

    Traversata la conca di Tolmino, il fiume cambia nuovamente direzione, piegando ancora una volta a sudovest. Scorre dapprima in una valle abbastanza ampia, fra l’alto Collio e l’altipiano della Bainsizza, ma poi si rinserra in uno stretto canale, poco agevole per le comunicazioni, in cui il deflusso delle acque è più volte interrotto da grandi dighe, che permettono di utilizzare il suo potenziale energetico. Qui il suo corso si fa più tortuoso e dopo un’altra virata a sudest riprende nuovamente la direzione iniziale, ma prima di superare la stretta di Salcano, per cui raggiunge la pianura, riceveva dal Vallone di Chiapovano un lungo affluente, poi sparito nel sottosuolo per l’erosione carsica.

    Nella piana di Gorizia il fiume si allarga in un ampio letto ghiaioso, racchiuso fra una serie di terrazzi alluvionali, in cui le acque cominciano a disperdersi. Presso Savogna riceve il cospicuo contributo del Vipacco o Frigido, suo massimo affluente, che scende dalla Selva di Piro e scorre in un ampio solco fra la Selva di Tar-nova e il Carso goriziano, ma appartiene al territorio italiano solo con gli ultimi cinque chilometri di percorso, in cui procede a meandri ai piedi del Carso monfal-conese. Quindi l’Isonzo s’incunea fra i colli di Farra e l’altipiano carsico, che costeggia fino a Sagrado, dove una parte delle sue acque vengono deviate nel Canale De Dottori, per l’irrigazione dell’Agro monfalconese. A valle di Casse-gliano l’alveo isontino si presenta molto spesso asciutto, per la forte permeabilità del letto, nè diversa è la situazione dopo l’incontro dell’alveo del Torre, che perde a sua volta le acque nel lungo corso di pianura. Ma fra Pieris e Turriaco anche l’Isonzo attraversa la zona delle risorgive e ricupera una parte delle acque perdute. Presso San Canziano ha inizio il grande apparato deltizio, costituito da vari rami, di cui solo alcuni sono attualmente attivi. Gli studi cartografici del Desio hanno messo in luce come lo spostamento progressivo della foce isontina in età storica sia avvenuto da occidente ad oriente, utilizzando successivamente gli alvei denominati Tiel, Primero, Averto, Isonzato, Isonzo Vecchio e Sdobba. Ma anche quest’ultimo ramo è ormai poco efficiente e una buona parte delle acque preferisce raggiungere più direttamente il mare attraverso il ramo Quarantìa, disturbando l’equilibrio della laguna gradese. Il ramo principale dello Sdobba, fortemente sovralluvionato, si allunga invece per circa 7 km. fra la bonifica del Fossalòn e il golfo di Panzano, limitato da argini che proteggono le terre redente dalla bonifica.

    Anche l’Isonzo ha un regime decisamente torrentizio, con piene autunnali e primaverili. Siccome nel corso inferiore perde gran parte delle sue acque, la maggiore portata viene registrata dopo la confluenza del Vipacco. Essendo il suo bacino molto più piovoso di quello del Tagliamento, la portata media annua è molto più elevata, aggirandosi in media sui 134 metri cubi al secondo.

    Fra i maggiori affluenti isontini vi è il Torre, lungo circa 65 km., tipico fiume prealpino, dal regime estremamente torrentizio. Il suo corso è abbastanza equamente diviso fra la regione prealpina montana e collinare e quella di pianura, ma il suo bacino si estende in massima parte sul versante sinistro, da cui scendono i maggiori affluenti. Ha origine da una ricca sorgente situata a m. 523, sulle pendici meridionali della catena del Monte Musi. Procedendo verso sud, separa il gruppo montuoso del Chiampòn dal Gran Monte e poi si allarga in un’ampia vallata collinare, in cui riceve da destra il contributo del torrente Vedronza. Supera quindi la zona degli ellissoidi calcarei, scorrendo incassato ai piedi della Bernadia, ma poi si distende fra le morbide colline di Tarcento, dove incontra il torrente Cornappo, che scende dalle pendici meridionali del Gran Monte. Presso Zom-pitta ha inizio il percorso di pianura, in cui il fiume perde rapidamente tutte le sue acque per la forte permeabilità del suo letto e per la derivazione di canali irrigui. Per circa 25 km., fino a Soleschiano, presenta un grande alveo ghiaioso, percorso solo durante i periodi di piena, in cui confluiscono gli alvei di alcuni torrentacci, come il Malina (Malignimi Flumen). Presso Soleschiano riceve il contributo del Natisone, suo massimo affluente, e poco più a valle quello dello Iudrio, ma anche queste acque vengono rapidamente assorbite dal suo letto e vanno ad alimentare la falda freatica della pianura friulana ed i fiumi di risorgiva. Solo qualche chilometro prima della foce il fiume entra nella zona delle risorgive, ma sbocca subito nel-l’Isonzo, presso Pieris, con una portata media irrilevante.

    Il Torre forma, prima di sboccare in pianura, le pittoresche cascate di Crosis

    Il Natisone a Cividale scorre già incassato nei conglomerati alluvionali.

    I conglomerati incisi dal Natisone.

    Il Natisone è pure un notevole fiume prealpino, lungo circa 47 km., ma il suo corso ha un andamento assai più vario del Torre e la sua vallata ha avuto fin dall’antichità grande importanza come via naturale delle comunicazioni transalpine. Però è tagliato ben due volte, tra Platischis e Bergogna ed alla Sella di Stupizza, dall’attuale confine politico, che assegna il suo corso mediano alla Jugoslavia. Il fiume viene formato dalla confluenza del rio Bianco e del rio Nero, che scendono poco distanti uno dall’altro, dal versante meridionale della catena del Montemaggiore. Dapprima procede tortuosamente verso sudest, portandosi a breve distanza dall’Isonzo, in cui un tempo defluiva direttamente attraverso la Sella di Starasella. Poi con un’ampia curva si incunea fra i monti Mia e Mataiùr, raggiunge la stretta del Pùlfero, orientandosi decisamente verso sudovest. Superati gli ellissoidi calcarei si allarga in un’ampia vallata collinare, in cui riceve da sinistra il notevole contributo dell’Àzzida, formato a valle di San Leonardo dalla confluenza dei torrenti Còsizza ed Erbezzo ed accresciuto presso la foce dall’Alberone. A valle di San Pietro il fiume si restringe nuovamente nella stretta di Purgessimo, sboccando in pianura a Cividale, ma molto al disotto del piano alluvionale, cosicché fino ai colli di Bùttrio scorre profondamente incassato nei conglomerati alluvionali. Pertanto non perde che una modesta parte delle sue acque, che riescono a raggiungere il letto del Torre, dove però vengono rapidamente assorbite.

    Lo Iudrio merita anche di essere ricordato sia per la sua notevole lunghezza che per la funzione di confine politico che più volte ebbe nel corso della storia regionale e che tuttora assolve, dopo il recente trattato di pace. Nasce dalle pendici del Monte Còlovrat, a breve distanza dall’Isonzo, e scorre in una stretta valle, quasi parallela a quella isontina, segnando il confine fino a Prepotto. Attraversa quindi il basso Collio e, dopo un breve corso in pianura, in cui riceve gli affluenti Corno e Versa, raggiunge con buona parte delle sue acque il letto del Torre, pochi chilometri a monte della sua confluenza nell’Isonzo.

    Il Livenza

    Al limite occidentale della regione scorre il fiume Livenza, chiamato dai Romani Liquentia; per la sua lunghezza e l’ampiezza del suo bacino, che si estende essenzialmente sul versante friulano, può essere considerato il terzo fiume regionale, per quanto gli affluenti di destra e lo stesso suo corso inferiore appartengano al Veneto. Il fiume presenta caratteri molto diversi dai due precedenti,

    poiché si sviluppa completamente in pianura, con debole pendenza e corso molto tortuoso, ed ha un bacino di alimentazione interamente prealpino. Essendo poi formato dalle acque che vengono assorbite dall’altipiano calcareo del Cansiglio, ha una certa affinità con i fiumi carsici e, poiché proviene dalla zona di rinascenza della falda idrica, può a buon diritto figurare fra i fiumi di risorgiva, con cui ha in comune il regime abbastanza costante delle sue portate.

    Il fiume ha origine presso Polcenigo, a soli m. 40 s. m., da due copiose sorgenti, la Santissima e il Gorgazzo, che scaturiscono ai piedi dell’altipiano del Cansiglio e sono alimentate dalle acque che spariscono nelle « buse » carsiche di questo grande ellissoide calcareo. Ma numerose polle affiorano qua e là formando una palude intersecata da rivoli e canali nascosti fra l’erba. « I rami dei salici — scrive L. Damiani — accarezzano l’acqua trasparente che lascia intravvedere l’allargarsi e il dissolversi dei cerchi in corrispondenza delle polle… Le acque si increspano appena a causa della scarsissima pendenza del terreno. Salici e canne, giunchiglie, pioppi e vincastri se ne stanno immobili, avvolti in un silenzio ovattato ».

    Vedi Anche:  Densità e distribuzione della popolazione nelle città e nelle campagne

    Dopo l’unione dei due rami sorgentiferi, il Livenza scorre in un largo letto attraverso la palude del Loncòn, dove il terreno è madido di acqua e una rete di sottili canali si irradia per la campagna. « A Sacile il fiume si diparte in sette bracci che attraversano la città tra un dedalo di ponti, uno specchiarsi di ville e di palazzi dall’armoniosa linea veneziana, un lussureggiare di orti, un curvarsi di salici, un gioco di tinte lievi », per cui non suona retorico alla città il nome di « Giardino della Serenissima ». Più a valle incontra il primo notevole affluente, il Meschio, che proviene dal solco vallivo compreso fra l’altipiano del Cansiglio e il Col Visentin e segue per breve tratto il confine fra le province di Udine e Treviso, che poi continua sullo stesso Livenza. Il fiume bagna Francenigo e Brugnera, centri importanti per l’artigianato del mobile, e Portobuffolè, dove fino ad alcuni decenni or sono arrivavano le imbarcazioni che risalivano dal mare. La navigazione fluviale raggiungeva un tempo Sacile e, risalendo il corso del Meduna e del suo affluente Noncello, anche Pordenone. Dopo la confluenza del Meduna, suo massimo tributario, il fiume si allontana dai confini della nostra regione; proseguendo il suo corso verso sudest, riceve sulla sinistra il Fiume e il Sile, provenienti dalla zona delle risorgive, e sulla destra il Monticano, che scende dalle colline di Conegliano. Dopo un percorso di circa 115 km. sbocca nel Porto di Santa Margherita, presso Càorle, ma negli ultimi chilometri il suo letto ha subito notevoli modificazioni in seguito alle opere di bonifica ed alla costruzione del canale navigabile (Litoranea Veneta).

    I meandri del Livenza testimoniano la scarsa pendenza del suo letto.

    Il Livenza a Sacile, a pochi chilometri dalle sorgenti è un fiume ampio e tranquillo.

    Il Meduna, che con il suo affluente Cellina raccoglie le acque della maggior parte delle Prealpi Carniche, possiede un bacino di alimentazione che costituisce quasi i tre quarti di tutto il bacino liventino. Però il suo contributo idrico è molto irregolare, a causa del suo regime fortemente torrentizio, ed anche poco abbondante, poiché disperde buona parte delle sue acque nel lungo percorso di pianura. Più importante è invece il suo corso montano che, come quello del Cellina, è dotato di un elevato potenziale idroelettrico, per la struttura geomorfologica del bacino e l’abbondanza delle precipitazioni annue.

    Il fiume ha origine a m. 579 dall’unione del Canal Grande, proveniente dallo spartiacque tilaventino, e del Canal Piccolo, che scende dalla Forcella Caserata. Scorre dapprima in un’ampia valle longitudinale fino alla conca di Tramonti, in cui riceve il torrente Viellia, che scende dallo spartiacque tilaventino. Poi si volge verso sud, tagliando l’asse orografico delle catene prealpine. A Ponte Radi è sbarrato da una grande diga, che forma il lago di Tramonti, in cui si gettano, dagli opposti versanti, il torrente Silisia, che proviene dalla Forcella Clautana, e il Chiarzò. A valle di Meduno buona parte delle sue acque sono deviate per l’irrigazione, mentre il resto si disperde nell’ampio letto ghiaioso, che oltre il colle di Sequàls si presenta asciutto per la maggior parte dell’anno. Incontra sulla destra gli alvei del Còlvera, che proviene da Maniago, e del Cellina, suo principale affluente. A oriente di Cordenòns entra nella zona delle risorgive, dove, abbandonando la grande conoide formata dalle alluvioni sue e del Cellina, riacquista una parte delle acque disperse nei « magredi » dell’alta pianura. Poco prima della foce riceve dalla destra il Noncello, che si forma nella zona delle risorgive presso Pordenone.

    Le sorgenti del Cellina, a monte di Claut.

    La gola del Cellina, con le caratteristiche marmitte di erosione.

    Il Cellina ha un bacino idrografico più ampio del suo collettore, costituito da gruppi montuosi molto aspri ed elevati, in mezzo ai quali ha inciso una vallata profonda e pittoresca. Nasce non molto distante dal Meduna, sotto la Forcella Caserata, e scorre dapprima verso sud, nell’ampio Vallone di Giere, in cui però perde tutte le sue acque che sono assorbite dalla poderosa coltre alluvionale. Risorge a quota 750 da un caratteristico cavernone detritico, scorrendo poi verso occidente nella valle Clautana. Nella conca di Claut riceve dalla destra i torrenti Settimana e Cimoliana, che scendono con un lungo e accidentato percorso dallo spartiacque tilaventino. Dopo essersi disteso nella piana di Pinedo, formata da un antico bacino lacustre, si dirige verso sudest, aprendosi uno stretto varco fra il Monte Resettùm e il Col Nudo. Attraversa poi la conca di Barcis e si rinserra in un’orrida forra, dove è sbarrato da una grande diga, che forma il lago di Barcis. Sbocca in pianura presso Montereale, perdendo rapidamente le sue acque, incanalate per l’irrigazione o assorbite dal suo letto.

    Le sorgive del Timavo, a San Giovanni di Duino.

    Il Timavo

    Fra i maggiori fiumi regionali vi è infine il Timavo, tipico fiume carsico, che scorre nel Carso triestino con un percorso in gran parte sotterraneo.

    Dopo il Nilo, non c’è fiume che come questo abbia esercitato un fascino così profondo su tutta l’antichità, per il mistero che ha sempre aleggiato attorno alle sue sponde e per le incertezze che ancora oggi permangono sull’esatta provenienza delle sue acque e sugli itinerari del suo bizzarro percorso sotterraneo nelle viscere del Carso. La vicinanza della foce alle sorgenti, l’improvviso erompere delle acque, l’immediata navigabilità, sono tutti elementi che hanno eccitato la fantasia degli uomini, fin dalla notte dei tempi. Alle fonti del Timavo si ricollegano i miti classici di Giasone e degli Argonauti, di Antenore e di Diomede e le credenze cristiane delle trombe che saranno suonate dagli angeli in questo sito nel giorno del giudizio universale. Ma non mancano anche delle interessanti testimonianze storiche, poiché già un secolo prima dell’età cristiana il filosofo Posidonio, citato da Stra-bone, accenna all’inabissamento del Timavo in una voragine, calcolando di circa 130 stadi (24 km.) il suo corso sotterraneo. E Virgilio, parlando di Antenore, racconta che raggiunse la fonte del Timavo:

    …..Unde per ora novem vasto cum murmure montis

    It mare praeruptum, et pelago premit arva sonanti.

    La folla di leggende e di miti che albergano sulle sponde di questo fiume stanno in sostanza a dimostrare la sua importanza geografica e commerciale e preludono, come osserva lo Sticotti, alla formazione delle città romane di Aquileia e di Tergeste.

    Il fiume, che ha una lunghezza di circa 95 km., per le caratteristiche idrologiche dei terreni che attraversa non possiede un bacino di alimentazione ben definito, ma possiamo ritenere con il Boegan che raccolga le acque di un’area di circa 870 kmq. Il suo corso si suddivide in tre parti ben distinte: una sezione superiore superficiale, in cui prende il nome di Reca, che in sloveno significa semplicemente « fiume », dalle sorgenti all’inghiottitoio di Nacla, con una lunghezza di 55 km. e un bacino imbrifero di 480 kmq.; una sezione mediana sotterranea, solo parzialmente riconosciuta, dall’inghiottitoio di Nacla alle sorgive di San Giovanni di Duino, con un percorso approssimativo di 38 km. ed un bacino ipotetico di almeno 390 kmq.; infine una breve sezione inferiore, nuovamente superficiale, dalle sorgive al mare. Solo una parte della sezione mediana e quella inferiore rientrano negli attuali confini regionali.

    Il Reca-Timavo nasce dal Monte Dletvo, non molto distante dal Monte Nevoso, e scorre in tutto il suo corso superiore in direzione nordovest, ricevendo numerosi, ma brevi affluenti, alcuni dei quali si inabissano prima di raggiungerlo. Giunto nella zona di contatto fra i terreni marnoso-arenacei impermeabili e quelli calcarei, fratturati e solubili, il fiume comincia a subire nel suo letto rilevanti perdite, finché si inabissa in una grotta a galleria presso Nacla, a 317 m. sul mare. Il suo corso sotterraneo si può seguire per poco più di 2 km., in cui il fiume attraversa varie cavità intercomunicanti, riapparendo alla luce in corrispondenza delle grandi voragini di San Canziano, che furono inghiottitoi attivi in una precedente fase regressiva del suo corso superficiale. Le grotte di San Canziano costituiscono un meraviglioso itinerario turistico, ma sono rimaste purtroppo al di fuori del territorio italiano. Dal lago Morto, estremo punto raggiungibile del corso sotterraneo, incomincia il mistero del Timavo, scientificamente risolto solo per quel che riguarda la continuità del corso superiore con quello inferiore ad opera del Timeus, che fra il 1907 e il 1910 effettuò una serie di ricerche attraverso l’immissione nelle varie acque del bacino di anguille contrassegnate e di sostanze tanniche coloranti, mediante l’esame del « plancton » e della « facies » bactérica e la misurazione degli indici di radioattività. Del migliaio di grotte che sono state scoperte nel bacino del fiume, le maggiori si trovano lungo un solco idrografico che da San Canziano si allunga fino a San Giovanni di Duino, passando per Corgnale, Trebiciano, Villa Opicina, Borgo Grotta Gigante, Aurisina e Slivia. Questo solco, certamente formato da un antico corso d’acqua superficiale, viene comunemente considerato come l’asse idrografico del fiume sotterraneo, ma in realtà le acque del fiume si possono raggiungere solo nell’abisso di Trebiciano, a 329 m. di profondità, corrispondenti ad una quota di 12 m. sul mare. Questa interessante cavità, che fu considerata per molto tempo la più profonda del mondo, venne scoperta nel 1841 dal Lindner che scendendo nei pozzi carsici cercava di raggiungere il corso sotterraneo del Timavo nella speranza di risolvere l’assillante problema del rifornimento idrico di Trieste. Dopo un anno di lavoro, egli raggiunse il fondo nella grande caverna che porta il suo nome, alta 80 m., lunga 150 e larga 90. La struttura dei pozzi denuncia chiaramente l’azione del movimento vorticoso delle acque salenti dal basso. Infatti le piene del fiume, che entra ed esce nella grotta attraverso dei sifoni, sono imponenti e talvolta la massa d’acqua invade tutta la caverna e più raramente, anche parte deirultimo pozzo, arrivando fino a 115 m. sul mare. Quando si verifica una piena, già a duecento metri dall’ingresso della grotta si sente un rumore tanto forte, che fa pensare al passaggio di un treno, dovuto alla impetuosa corrente d’aria che viene espulsa dalle acque ascendenti. In questa grotta, che si trova in territorio italiano, circa 6 km. a nordest di Trieste, il fiume presenta però una portata media molto inferiore a quella delle sorgive di San Giovanni, per cui dobbiamo supporre che esso riceva altri considerevoli contributi nei restanti 23 km. di corso sotterraneo, oppure che per l’abisso di Trebiciano, come ha recentemente cercato di dimostrare il Maucci, passi solo un ramo minore del Timavo, mentre il ramo principale passerebbe più a sud, ricevendo il contributo di un grosso affluente proveniente dal solco di Castelnuovo. Comunque sembra accertato che dopo l’abisso di Trebiciano il fiume non corra più sospeso, in un unico letto, ma disperda le sue acque sul livello piezometrico di base, a causa dell’esiguità della pendenza. La presenza di un cospicuo orizzonte marnoso-arenaceo costiero costringe le acque a defluire nel golfo di Panzano, ma la loro riapparizione si fraziona in numerose sorgive, su una fronte di qualche chilometro.

    Profilo longitudinale del Timavo con le varie pendenze del suo letto e le cavità naturali lungo il suo percorso (da E. Boegan, Il Timavo).

    Le prime sorgive sono quelle di Aurisina, 13 km. a nordovest di Trieste, che in numero di nove scaturiscono al livello del mare, ma sono catturate dal 1901 per l’approvvigionamento idrico della città di Trieste. Le sorgive principali sono però quelle di San Giovanni di Duino, che formano il corso inferiore del fiume. Sono costituite da una serie di fenditure della massa calcarea, situate 4 m. sotto il livello del fiume, da cui ascendono le acque sotterranee, dando luogo su una fronte di 300 m. a tre ricchi rami sorgentizi, larghi rispettivamente 40, 20 e 30 metri. Dopo un percorso individuale di circa 300 m. questi rami formano un grande fiume dalla portata media di 20 metri cubi al secondo, che raggiunge il mare dopo soli 1250 metri. Poco prima della foce il Timavo riceve però sulla destra l’affluente Lòcavez, che assieme alla Roggia Moscenizza raccoglie le acque di altre minori sorgive carsiche del Timavo stesso e del Vipacco, disperdendole però in parte nella palude del Lisèrt. Una parte delle acque di queste minori sorgive viene catturata dall’Acquedotto Randaccio, principale rifornitore idrico della città di Trieste.

    Gli altri corsi d’acqua

    I minori corsi d’acqua della regione si possono distinguere, a seconda della loro origine e dei loro particolari caratteri, in due gruppi: quelli che si formano nell’anfiteatro morenico del Tagliamento e quelli che hanno origine nella zona delle risorgive.

    Dall’anfiteatro morenico del Tagliamento scendono verso sud numerosi corsi d’acqua periodici, studiati dal Lorenzi, i quali sono denominati « lavie » e si disperdono nelle alluvioni permeabili dell’alta pianura friulana orientale, senza riuscire a raggiungere nè i fiumi che provengono dalla zona montana, nè la zona delle risorgi ve. Solo due di questi torrenti, il Corno di San Daniele e il Cormòr, rivestono notevole interesse, per la maggiore lunghezza del loro alveo e l’eccezionale volume delle loro portate di piena, che raggiungono la zona delle risorgive e allagano migliaia di ettari di terreni agrari, richiedendo onerose sistemazioni idrauliche. Questi torrenti nascono entrambi dal colle di Buia, fra la seconda e la terza cerchia dell’anfiteatro morenico, e sono gli unici corsi d’acqua d’origine intramorenica che riescono a superare la cerchia esterna, sboccando in pianura.

    Il Corno di San Daniele varca la cerchia esterna fra i colli di San Daniele e d’Arcano e si allunga in direzione sudovest, disperdendosi fra Codròipo e Bertiolo. Le sue acque in piena sono però raccolte da un canale artificiale, il Taglio del fiume Stella, in cui confluiscono vari ruscelli di risorgiva. Il suo alveo, che raggiunge una lunghezza di circa 40 km., ospita per buon tratto il Canale Ledra.

    Il Cormòr attraversa la cerchia esterna dell’anfiteatro morenico fra i colli di Brazzacco e di Tricesimo e prosegue in direzione sudest, con un alveo complessivo di oltre 40 km., raggiungendo con le sue acque di piena la zona delle risorgive fra Talmassòns e Castiòns. Per evitare i frequenti straripamenti il suo corso inferiore venne arginato e rettificato, mentre più recentemente è stato costruito un canale artificiale che convoglia le sue acque di piena direttamente nella Laguna di Marano.

    La zona delle risorgive, dette in friulano « resultivis », da cui scendono brevi, ma numerosi e ricchi corsi d’acqua, si estende attraverso tutta la pianura friulana e l’Agro monfalconese, dalle sorgive del Livenza (m. 40) a quelle del Timavo (s. 1. m.), formando da nordovest a sudest un grande arco che passa presso Cordenòns, Codròipo, Palmanova, Pieris e Monfalcone. La sua larghezza diminuisce progressivamente da occidente ad oriente, da un massimo di 5 km. ad un minimo inferiore al chilometro, ma il suo limite settentrionale non è costante, perchè si sposta notevolmente a seconda delle condizioni di magra o di piena delle falde idriche sotterranee. Le acque scaturiscono liberamente alla superfìcie o provengono da cavità più o meno profonde chiamate « fontanai » oppure « olle », quando presentano carattere di artesianità. Non tutte le acque che scompaiono nell’alta pianura riemergono però in questa zona, poiché una parte si incunea negli strati permeabili più profondi, assumendo carattere di artesianità.

    Vedi Anche:  Evoluzione demografica

    Il Cormòr, inalveato in un robusto canale, sbocca ora nella laguna di Marano, senza arrecare più danni alle campagne.

    I principali fiumi che hanno origine dalle risorgive sono, ad occidente del Tagliamento, il Livenza, la cui particolare origine abbiamo già illustrato, il Noncello, il Fiume e il Sile, affluenti del Meduna, il Lèmene, che sbocca nella Laguna di Càorle ed interessa solo per un breve tratto il territorio regionale; fra il Tagliamento e l’Isonzo troviamo poi il Varmo, affluente del Tagliamento, lo Stella, il Tur-gnano, il Muzzanella, lo Zellina, il Corno di San Giorgio, l’Ausa e il Natissa, che hanno tutti foce diretta nelle lagune di Marano e di Grado e, nel loro corso inferiore, sono quasi tutti navigabili per le piccole imbarcazioni ed ospitano dei porti fluviali un tempo fiorenti, come Porto Nogaro sul Corno e Cervignano sull’Ausa.

    Il più importante di questi è lo Stella che raccoglie con l’aiuto dei suoi affluenti Taglio e Torsa quasi tutte le acque affioranti fra Codròipo e il Canale Cormòr. Ha una portata media annua di 34 metri cubi al secondo, ma buona parte di queste acque gli sono sottratte prima della foce dai canali d’irrigazione. Dopo aver bagnato Palazzolo e Precenicco, sbocca nella laguna di Marano con un piccolo delta.

    Il torrente Rosandra forma, a valle di Bottazzo, una pittoresca cascatella incidendo i calcari eocenici.

    Deflussi e regimi

    Nonostante il loro corso relativamente breve e la quasi completa assenza di ghiacciai, i fiumi giulio-friulani portano al mare una massa d’acqua abbastanza cospicua, in rapporto con le precipitazioni abbondanti che riceve la regione. Bisogna però ricordare che vi è un imponente assorbimento d’acque da parte dei terreni permeabili dell’alta pianura, che sono solo parzialmente restituite nella zona delle risorgive, mentre altre acque sono sottratte dalle utilizzazioni irrigue, cosicché i fiumi alpini hanno la loro massima portata allo sbocco in pianura e, comunque, tutti i fiumi, ad eccezione del Timavo, hanno alla foce una portata molto inferiore alla massima.

    Il fiume più ricco d’acqua è senz’altro l’Isonzo, giacché la maggiore piovosità si verifica proprio nel suo bacino. La maggiore portata si verifica dopo la confluenza del Vipacco e s’aggira sui 134 me./secondo. Segue per quantità d’acqua il Tagliamento, che registra airidrometro di Pioverno, dopo la confluenza del Fella, una portata media annua di 92 mc./sec. (1932-44). Il Livenza a San Cassiano, prima quindi della confluenza del Meduna, ha una portata media approssimativa di 50 mc./sec., non molto dissimile da quella dello stesso Meduna a Visinale, presso la foce, che però è influenzata dal contributo delle risorgive. Ma la sorpresa viene al posto successivo, dove non ci si attenderebbe di certo un fiume di risorgiva come

    lo Stella, la cui importanza idrografica sembra trascurabile per il suo corso relativamente breve. Invece all’idrometro di Casale Sacile si segnala una portata media di 34 mc./sec. (1926-31 e 1935-55), che corrisponde quindi a più di un terzo di quella massima tilaventina. Infine va segnalato per la sua notevole portata anche il Timavo, con una media annua di circa 20 mc./secondo.

    Questi deflussi provengono però da bacini di estensione molto disuguale, per cui è assai più indicativo conoscere la loro portata unitaria, ossia il rapporto esistente fra il numero dei litri d’acqua che il fiume trasporta nell’unità di tempo e la superficie del suo bacino. Trascurando i fiumi di risorgiva, che mancano di un vero e proprio bacino idrografico, risulta anche in questo caso la netta superiorità dell’Isonzo, con circa 60 l./sec. per kmq. Al secondo posto però figura il piccolo rio del Lago, che scorre nel Tarvisiano e si getta nello Slizza, che per l’esigua superficie del suo bacino denuncia a Villabassa un contributo di 50 l./sec. per kmq. (1953-55), superiore di quasi un litro a quello dello stesso Tagliamento, considerato all’idrometro di Pioverno (1922-44). Notevole è pure la portata unitaria del Cellina, che alle Case Stic, nel suo alto corso, registra 47 l./sec. per kmq. (1943-49), molto di più quindi di quanto porta all’idrometro più basso di Mezzocanale.

    Dando uno sguardo ai valori assoluti delle portate massime e minime, balza molto evidente il regime fortemente torrentizio della massima parte dei fiumi regionali. Nell’assenza di rilevazioni che riguardino l’Isonzo, la massima portata finora registrata è naturalmente quella del Tagliamento, all’idrometro di Pioverno, con ben 2000 mc./sec. (17 novembre 1940), ma non sono rare, nel periodo autunnale, punte superiori ai 1000 me./secondo. Piena veramente considerevole, se si tien conto del modesto bacino di dominio (52 kmq.) è quella di 454 mc./sec. registrata sul torrente Settimana alle Stalle Nucci (7 luglio 1946).

    Fra le portate minime di magra, la più elevata è naturalmente quella dello Stella, alimentato dalle risorgive, con ben 18 mc./sec. (5 maggio 1944), mentre il Tagliamento a Pioverno è riuscito a portare solo 15 mc./sec. (15 febbraio 1920). Le minime più basse sono state però segnate dai fiumi delle Prealpi Carniche, come il Cellina e il Meduna, con valori inferiori al mezzo mc./secondo.

    Le piene dei fiumi provocano non di rado inondazioni, specialmente nella pianura, quando gli enormi alvei quasi asciutti dei torrenti prealpini rigurgitano improvvisamente di enormi quantità d’acqua che i collettori sottostanti non riescono a smaltire. Particolarmente dannose sono le piene del Noncello nella zona di Pordenone e del Torre. Inondazioni si sono avute altresì nella piana isontina e nelle valli del Natisone, ma la più disastrosa che si ricordi è quella del Tagliamento che nel sec. XVIII distrusse parzialmente Latisana.

    Portate medie mensili in mc./sec. dei fiumi regionali alle stazioni idrometriche e per i periodi di osservazione indicati.

    Il regime dei fiumi regionali presenta, come abbiamo già visto, delle piene autunnali e a primavera inoltrata, a cui si contrappongono delle magre estive e soprattutto invernali. Dobbiamo però distinguere un regime alpino, in cui prevalgono i massimi primaverili in conseguenza dello scioglimento delle nevi, da un regime subalpino, in cui il massimo autunnale supera quello primaverile.

    Le portate medie massime si registrano generalmente in maggio, ad eccezione del Tagliamento a Pioverno, influenzato dal Fella, e dello Stella, che dànno i loro maggiori contributi in novembre. Il massimo del rio del Lago è invece spostato in giugno, per un maggiore ritardo nello scioglimento delle nevi. Le portate medie minime si verificano invece in febbraio, ad eccezione dello Stella, che ha un minimo estivo, in agosto, e del rio del Lago, che ritarda il minimo a marzo. Le minori differenze di portata sono naturalmente quelle dello Stella, che ha il regime più costante.

    I laghi

    La regione non è ricca di laghi naturali, che per estensione superano di poco i 3 kmq., mentre si è arricchita recentemente di alcuni estesi ed importanti laghi artificiali, formati da grandi dighe a scopo idroelettrico ed irriguo.

    Il lago maggiore è quello di Cavazzo o dei Tre Comuni (m. 195) che occupa un antico solco fluvio-glaciale del Tagliamento, fra le Prealpi dell’Arzino (Monte Faèit) e quelle denominate appunto di Cavazzo (Monti San Simeone e Brancòt). E l’ultimo residuo di uno o più laghi che occupavano la piana di Osoppo, dopo il ritiro del ghiacciaio tilaventino, in seguito allo sbarramento morenico antistante. Ha una forma allungata di falce lunare, con una superficie media di 174 ha., una lunghezza di 4 km. ed una profondità massima di quasi 40 metri. E alimentato da un modesto immissario, a regime fortemente torrentizio, mentre a mezzogiorno le sue acque, che un tempo formavano un’estesa palude, sono raccolte da un canale e convogliate nel torrente Leale. Attualmente nel lago si scarica una condotta idrica forzata che alimenta la grande centrale elettrica di Somplago, di recente inaugurazione. Sulle rive del lago sorgono i modesti centri rurali di Somplago e di Interneppo, e un po’ discosto quello di Alesso, mentre il centro di Cavazzo Carnico, che gli dà il nome, si trova 70 m. più in alto, presso la Sella di Mena, che separa il suo bacino da quello del Tagliamento.

    Segue per grandezza il lago del Predìl o di Raibl, molto più elevato (m. 960), che si trova sul versante danubiano delle Alpi Giulie, sotto il Passo del Predìl, a monte del centro minerario di Cave del Predìl. Occupa una conca di probabile esca-vazione glaciale ed è sostenuto da una morena stadiale. Ha una forma allungata, irregolare, con una superficie di 50 ha. ed una profondità massima di 40 metri. Ha come immissario il rio del Lago e, nei periodi di piena, contribuisce per vie sotterranee all’alimentazione del fiume Slizza, che nasce più a valle appunto con il nome di rio del Lago.

    Veduta del lago di Cavazzo.

    Non molto distanti dal lago del Predìl, sempre nel Tarvisiano, ci sono i due laghi di Fusine o Weissenfels, che occupano un grandioso circo glaciale a gradinata ai piedi del Monte Màngart e sono sorretti da grandi cordoni morenici stadiali. Il lago Superiore (m. 936), che è il più meridionale, ha una forma quadrangolare, ma una superficie molto variabile che s’aggira sui 20 ha., essendo alimentato direttamente dalle acque nivali e piovane che provengono dal gruppo del Màngart. Il lago Inferiore invece ha una forma triangolare, con la base a nord ed il vertice a sud, una superficie di quasi 10 ha. ed una profondità massima di 23 metri. Riceve dal lago Superiore un immissario sotterraneo dal regime abbastanza costante ed ha come emissario il rio del Lago, affluente dello Slizza.

    Fra i minori laghetti alpini sono degni di nota quelli di Bordaglia (m. 1775) e del Volaia (m. 1959, in territorio austriaco) che occupano profondi circhi di origine glaciale nella Catena Carnica.

    Dei numerosi bacini lacustri che occupavano le depressioni intramoreniche dell’anfiteatro    tilaventino e che    sono    ora    ridotti ad acquitrini e torbiere, sopravvive solo il lago di San Daniele o di Ragogna (ni. 188), alimentato da alcuni brevi torrentelli, il quale presenta una forma rozzamente circolare, una superficie di circa 25 ha. e una profondità massima di circa 10 metri.

    Fusine in Vairomana. Il lago inferiore (m. 928), visto dalla morena stadiale che lo sostiene, con sullo sfondo il gruppo del Màngart (m. 2677).

    Un gruppo caratteristico di laghetti si trova poi nel Carso monfalconese. Questi laghi sono formati dalle acque sotterranee di deflusso del fiume Vipacco, che trapassano alcune basse conche carsiche, per cui sono classificati come laghi di trapasso carsico. Sono alimentati da alcune profonde fenditure del fondo, che fungono alternativamente da immissari e da emissari, a seconda dell’andamento delle portate del Vipacco, e le loro acque di piena defluiscono mediante sorgive carsiche nella palude del Lisèrt. Essendo quindi in stretto rapporto con l’impaludamento del Lisèrt, sono stati inclusi nel piano generale di bonifica, che prevede il loro prosciugamento per mezzo di un canale di scolo naturale, tributario della Roggia Moscenizza e, quindi, del Timavo.

    Il maggiore di questi bacini lacustri è il lago di Doberdò (m. 7), così nominato dal villaggio che lo domina dall’alto, caratterizzato da una superficie e da una profondità molto variabili e da una fitta vegetazione palustre; ma nelle massime piene si estende per oltre 35 ha. ed il suo livello riesce a salire anche di 6 metri. Gli altri laghetti sono quello di Pietrarossa, poco più di 1 km. a sud del precedente, da cui è separato da una bassa insellatura, e quello di Sablici, il cui fondo si trova a meno di un metro sopra il livello marino, cosicché la sua altezza risente anche dell’influsso delle maree.

    Il lago intramorenico di S. Daniele, con sullo sfondo la cittadina che gli dà il nome.

    I laghi artificiali sono di origine molto recente, in quanto legati allo sfruttamento idroelettrico. Hanno tutti una forma molto allungata e notevole profondità, ma il loro livello varia secondo le esigenze ddl’approvvigionamento idrico delle centrali. I maggiori bacini sono quelli del Vaiònt, di Sauris sul Lumièi, di Barcis sul Cellina, e di Ponte Radi o di Tramonti sul Meduna, ma altri grandi progetti sono in corso di realizzazione.

    I ghiacciai

    I ghiacciai mancano quasi del tutto nella nostra regione, a causa dello scarso sviluppo altimetrico delle Alpi Carniche e Giulie. Grazie però alle intense precipitazioni nevose che si verificano d’inverno sulle Alpi Giulie, il limite delle nevi permanenti si abbassa notevolmente rispetto alle altre sezioni alpine, cosicché dei modesti ghiacciai sopravvivono ancora sul versante settentrionale del Monte Canin e dell’Iof di Montasio, alimentati da profondi canaloni subverticali, ma privi di torrenti di scarico, perchè le acque di ablazione scompaiono nelle fessure della roccia.

    Tre ghiacciai sono segnalati sul Canin, attorno ai 2250 m. di altezza, nel bacino idrografico del torrente Raccolana, mentre due coni glaciali compiono il loro ultimo stadio vitale in due circhi dell’Iof di Montasio, a circa 1940 m. d’altezza, grazie ad una situazione topografica particolarmente favorevole, nel bacino idrografico del torrente Saìssera.

    Le sorgenti termo-minerali

    Completano il quadro dell’idrografia regionale alcune sorgenti termo-minerali che per la loro importanza terapeutica hanno fatto sorgere rinomate stazioni di cura e di soggiorno.

    La più importante è la Fonte Pudia o Giulia di Piano d’Arta, nella valle del But, le cui acque solforose scaturiscono a una temperatura costante di io0 da una coltre di alluvioni recenti, in rapporto con i calcari gessiferi del periodo permiano. Di tipo analogo è la sorgente di Bagni di Lusnizza, nella vai Canale, che si trova sulla riva sinistra del Fella e dà luogo ad un piccolo torrentello denominato rio dello Zolfo. Pure valorizzate sono le acque solfo-ferro-magnesiache della Pussa, in vai Settimana, e di Anduìns, nel Canale dell’Arzino.

    Di natura termale sono invece alcune sorgenti che sgorgano a oriente di Mon-falcone, utilizzate fin dall’età romana in apposite terme, ma ora in attesa di riattivazione dopo le distruzioni subite durante le due guerre mondiali. Il ripristino della stazione di cura è però condizionato anche dal prosciugamento della palude del Lisèrt, che rende poco salubre la zona.