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L’agro pontino, la piana di fondi e la fascia costiera fino al Garigliano. Le isole ponziane

    L’agro pontino, la piana di fondi e la fascia costiera fino al Garigliano. Le isole ponziane

    Della Pianura Pontina abbiamo illustrato altrove le condizioni naturali, quali furono descritte da tanti visitatori dal secolo XVI in poi, quali furono rappresentate nei patetici, notissimi versi dell’Aleardi (Il Monte Circello), quali si potevano osservare ancora un quarantennio fa, prima delle opere di bonifica che l’hanno redenta, ed abbiamo poi anche esposto, nelle linee generali, le vicende di queste grandiose opere con accenno anche agli aspetti attuali, quali più sorprendono il viaggiatore: rete stradale e popolamento. In conseguenza dello sviluppo delle comunicazioni stradali e ferroviarie la regione che era dapprima come avulsa dai territori limitrofi, ha ormai avviato con essi rapporti di traffico che vanno sempre più intensificandosi. Il popolamento è avvenuto nel contempo mediante la costruzione di case rurali isolate, di centri di servizio (borghi, alcuni dei quali in via di trasformazione) e di veri e propri centri urbani, intersecati da una fitta geometria di strade. Oggi, l’Agro Pontino bonificato è abitato da circa 134.000 persone, che traggono i loro mezzi di sostentamento dall’agricoltura, dal commercio e dall’industria; quest’ultima attività, come si è visto, ha ricevuto di recente un fortissimo impulso.

    I centri della Pianura Pontina

    La consolare Via Appia da Velletri corre in prossimità del margine orientale della regione e su di essa sono solo due città, entrambe anteriori alla bonifica, Cisterna e Terracina, e nell’intervallo, dove la strada si slancia in un ininterrotto rettifilo di circa 45 km. (la cosiddetta «Fettuccia»), vecchi casali e numerosi borghi: Casale delle Palme (a poca distanza è Borgo Carso), Borgo Tor Tre Ponti, Borgo Faiti (già Casale Foro Appio) e Posta di Mesa con i ruderi di un sepolcro romano e due pietre miliari dell’antica Appia. Il rettifilo è ancora affiancato per qualche chilometro da un duplice filare di superbi olmi che, oltre a dar vita al paesaggio, conferiscono alla Regina viarum l’aspetto solenne di un viale quasi interamente ricoperto di una volta di rami, come quella di un parco.

    Cisterna, antica stazione di sosta lungo la Via Appia (Tres Tabernae) e vecchia borgata agricola, crebbe durante e dopo la bonifica soprattutto perchè vi presero sede, prima temporanea poi permanente, lavoratori assunti per le opere di bonifica stessa; gravemente devastata nell’ultima fase della seconda guerra mondiale per lo sbarco degli Alleati ad Anzio (gennaio 1944), è stata, in pochi anni, interamente ricostruita. Notevoli il Palazzo Baronale (secolo XVI), edificato dai Caetani sui ruderi della rocca (dopo averla presa ai Frangipane) e la fontana Biondi, eretta a simbolo della vittoria sulla malaria. Aveva già nel 1951 poco più di 7000 ab. nel centro, ora tocca i 10.000; il comune è salito da oltre 14.100 ab. nel 1951 a poco più di 16.500 ab. al 1961.

    L’industria è, come si è detto, in via di progressivo sviluppo per la vicinanza di Roma e la presenza di due grandi vie di comunicazione: l’Appia e la linea ferroviaria Roma-Napoli.

    Ma per visitare la regione si dispone oggi di una via che direttamente congiunge Roma con Latina (Via Pontina) e di una magnifica via litoranea che da Anzio va a Sabaudia e a Terracina; di questi ultimi due centri diremo tra breve. Fra l’Appia e la strada costiera ora detta, quasi a proseguire la Pontina, è la « Mediana », una nuova arteria stradale che da Latina porta a Terracina: mantenendosi per lungo tratto a fianco del Parco Nazionale del Circeo si congiunge alla litoranea da Sabaudia e San Felice Circeo, a breve distanza dal lido marino. Tutta questa recente rete stradale consta ancora di molte altre strade longitudinali e trasversali di notevole importanza e di una rete regolare di strade secondarie di bonifica, in modo che tutti i borghi, le case coloniche, i centri, ecc., risultano collegati.

    Da Roma, superata l’EUR, si imbocca la Via Pontina lungo la quale si nota il continuo sorgere o espandersi di centri abitati, quali Tor de’ Cenci, Casal di Decima, la ricordata Pomezia ed altri ancora in collegamento o al processo di sviluppo e — nello stesso tempo — decentramento urbanistico di Roma, o al costituirsi di nuclei e zone industriali ai lati dell’arteria principale o nelle confluenze delle strade secondarie sempre sulla Pontina, o all’installarsi di fabbriche sui due lati della statale, sebbene a distanza le une dalle altre. I centri collegati allo sviluppo delle nuove industrie si possono osservare con maggiore frequenza tra il 28° ed il 31° km., prima cioè di entrare’ nell’ambito della Pianura Pontina (al 35° km.), che molti ancora ne presenta. E non mancano d’altra parte plaghe — dove fino a non più di 10-15 anni fa si estendevano i latifondi — trasformate in vigneti, frutteti, colture specializzate, punteggiate di case, lavorate con trattori ed irrigate a pioggia. Ma gli stabilimenti industriali sottraggono sempre più terreno coltivabile ed alterano profondamente il paesaggio con celere ritmo.

    Poco dopo (al km. 44,5) si trova Aprilia, il comune della provincia di Latina più vicino alla capitale, sorto all’epoca della bonifica pontina ed inaugurato il 29 ottobre 1937 (istituito il 25 aprile 1936), staccando dal territorio del Governatorato di Roma una superficie di 177,6 kmq. I suoi primi abitanti furono piccoli proprietari coltivatori o coloni del Veneto e dei vicini comuni di Anzio e Nettuno, oltre ad operai per i lavori di bonifica.

    Subì moltissime distruzioni durante la guerra (particolarmente dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio fu centro di furiose battaglie) ed oggi, completamente ricostruita, è una ridente cittadina adagiata sopra un pianoro con vasto panorama. Nella caratteristica Piazza Roma, davanti alla chiesa di S. Michele Arcangelo, è la statua del Santo, opera di V. Crocetti. E di pochi anni il suo imponente sviluppo, che ha segnato nella popolazione la maggiore espansione fra tutti i comuni della provincia (nel periodo 1951-61 è passata da 6943 a 15.782 ab. con un incremento pari al 127%; nel centro si avevano al 1951 poco meno di 2000 ab.). Ciò è dovuto alla sua felice ubicazione, in zona piana, quasi al centro fra la confluenza di due importantissime strade (Nettunense e Pontina) e di due ferrovie (Roma-Napoli e Roma-Nettuno); oltre ancora al richiamo esercitato dal beneficio delle leggi per l’industrializzazione del Mezzogiorno (1951), che, come è noto, includendo anche le province del Lazio meridionale, hanno dato vita a notevoli complessi industriali posti in vicinanza del grande mercato di consumo che è Roma. Per effetto di tale combinazione di circostanze, Aprilia è diventata una zona assai interessante ai fini della localizzazione industriale, ed il paesaggio è ampiamente punteggiato da ciminiere, fabbricati, torri, ecc. Anche l’agricoltura è fiorente nel territorio di Aprilia per la presenza di vigneti (in parte « a tendone ») impiantativi — da poco più di un decennio — da profughi italiani provenienti dalla Tunisia. Generalmente gli investimenti effettuati da questi coltivatori hanno avuto esito positivo, come dimostrano centinaia e centinaia di ettari di piccole, medie e grandi aziende trasformati in vigneti moderni (per la produzione di uva da vino e da tavola), in frutteti, in orti, popolati di case rurali adeguate alle esigenze delle famiglie. Una cantina sociale provvede alla raccolta di parte delle uve e successive elaborazioni.

    La Via Pontina riprende dopo Aprilia e, oltrepassato Borgo Piave, giunge a Latina (fino al 1945 Littoria), una città artificiale inaugurata il 18 dicembre 1932, a meno di sei mesi dalla posa della prima pietra (30 giugno 1932), capoluogo della nuova, omonima provincia dal 18 dicembre 1934. Fu scelta, in località (detta Quadrato) che prima della bonifica era occupata da macchia folta ed intricata, per la posizione centrale nell’area bonificata ed a breve distanza (7 km.) dal Tirreno e a 8 km. dalla stazione (Borgo Latina Scalo), sulla direttissima Roma-Napoli.

    Latina non ha, quindi, una storia perchè essa si confonde con quella della millenaria palude sebbene noi pensiamo che la sua nascita rappresenti il miglior monumento che si sia potuto erigere a testimonianza del trionfo del duro lavoro dell’uomo per dominare l’aspra natura. Il suo nucleo originale era a pianta ottagonale, con due piazze centrali vicinissime, nelle quali sorgono i più importanti edifici pubblici: Piazza del Popolo, la principale, e Piazza della Libertà, dalle quali s’irradiano larghe strade rettilinee ed ampie zone destinate a verde ; questo piano non fu peraltro potuto mantenere nel successivo, notevole sviluppo urbano, espresso in nuovi quartieri moderni, verso la periferia, con costruzioni elevate. Popolata dapprima da coloni provenienti dal basso Veneto e poi da altri dell’attuale provincia, ha per cattedrale la bella chiesa di S. Marco. I maggiori edifici pubblici sono i Palazzi del comune con portico e torre centrale, della Prefettura, del Genio Civile, dell’Intendenza di Finanza, degli Studi, ecc.

    La pianta ottagonale di Latina.

    Veduta aerea di Sabaudia.

    Leggermente colpita durante l’ultimo conflitto, vide invece devastati i borghi e le case rurali circostanti: nel 1951 aveva quasi 17.000 ab. nel centro, ma quasi 35.200 nel comune (al 1936 si avevano 19.650 ab.), che comprende 13 borghi ed alcune migliaia di case sparse. Al 1961 la popolazione totale del comune superava i 49.300 abitanti. Nella località dove sorse Latina al censimento del 1911 si avevano 225 persone presenti, al censimento del 1921, 175 ed a quello del 1931, 454 persone presenti e 353 residenti. Poco meno di un migliaio di persone dimoravano nelle frazioni del territorio oggi appartenente al comune di Latina. Questi dati ora riportati testimoniano la profonda trasformazione demografica avvenuta nella zona.

    La Torre di Fogliano, distrutta nel corso dell’ultima guerra.

    Lo straordinario sviluppo del capoluogo, oggi una città popolosa, fiorente ed attivissima, si deve non solo ai progressi dell’economia agricola e delle attività commerciali, ma in particolare al sorgere di industrie (in continuo sviluppo), alcune delle quali ubicate anche presso lo scalo ferroviario, per la particolare posizione geografica e per la già ricordata legislazione a favore del Mezzogiorno.

    Inoltre Latina è ben collegata sia con Roma che con Napoli dalla direttissima Roma-Napoli ; ed un è grande centro di scambi commerciali e di traffici e servizi automobilistici: questi ultimi provvedono pure ai collegamenti con Roma e con i paesi della provincia, dei Lepini e con la valle del Sacco. Posta sulla congiungente Roma-Napoli, Latina è destinata a divenire una delle maggiori città satelliti dell’Urbe.

    Sul Tirreno è una florida marina (Foce Verde e Capo Portiere); al comune appartiene il Lago di Fogliano, sede di caccia e pesca.

    Altri comuni sorti in seguito alla bonifica sono Pontinia e Sabaudia. Pontinia, inaugurata il 18 dicembre 1935, è posta fra una fitta rete di strade interpoderali e non lontana dal fiume Sisto. E un centro importante, popolato fino dall’inizio da coloni emiliani e da gruppi di abitanti della stessa provincia, sia sotto il profilo agricolo e zootecnico che — più di recente — per le industrie in corso di installazione. La città aveva poco più di ino ab. al 1951, mentre l’intero comune, che ha molta popolazione sparsa, raggiungeva gli 8600 abitanti. Al 1961 si avevano 8300 abitanti.

    Sabaudia fu inaugurata il 15 aprile 1934 (il 5 agosto dell’anno precedente era stata posta la prima pietra come centro balneare e di sports nautici); è situata, infatti, su una specie di penisola tra i due bracci del lago omonimo, detti dell’Annunziata e della Caprara, in una regione prima della bonifica coperta da macchie foltissime ad eccezione di una piccola chiesa, S. Maria della Sorresca, che dava nome al lago. La funzione cui era destinata non ha avuto dapprima sviluppo notevole: oggi peraltro lungo le rive del lago, sull’alto cordone di dune che lo separa dal mare e sulla sabbiosa spiaggia sottostante sono sparsi ville, alberghi e ristoranti, stabilimenti balneari, campi da tennis, bar e piscine, ecc. (la cosiddetta Baia d’Argento). Vi sono ancora scuole di equitazione, di sci nautico, ecc., mentre il lago — scavalcato da un recentissimo (giugno 1965), elegante ponte che unisce la città al mare — è sede di importanti regate e manifestazioni di canottaggio e di motonautica. La città, attraente per la sua configurazione urbanistica (interessanti la chiesa della SS. Annunziata con un grande mosaico del Ferrari ed il Museo Archeologico nel Palazzo del municipio) e per la posizione sul lago, aveva poco più di 2700 ab. al 1951, ma nell’intero comune, che comprende alcuni borghi e popolazione sparsa, ne contava 7709 cresciuti a 8750 al 1961. Al comune di Sabaudia appartengono, oltre il lago omonimo (detto più spesso, in passato, di Paola o della Sorresca), anche gli altri due laghi costieri di Monaci e di Caprolace, e parte del Parco Nazionale del Circeo. Non mancano alcuni stabilimenti industriali.

    San Felice Circeo e la costa verso Terracina.

    Come si è detto, Sabaudia si raggiunge — oltre che attraverso le ricordate strade provinciali e di bonifica alle spalle dei laghi — da Anzio-Nettuno per una via litoranea che ha favorito il sorgere delle ricordate marine di Latina e Sabaudia; le costruzioni si moltiplicano lungo la costa fino ad alcuni anni fa spopolata.

    La strada costiera prosegue per circa 12 km., girando all’interno le falde del Monte Circeo, fino a San Felice Circeo, già modesto villaggio medioevale, posto in bellissima posizione e sul versante orientale del monte. Il suo nucleo antico (secolo IV a. C.), ancora cinto in parte di mura, non è sul mare, ma ammassato su una altura (300 m.) in vista al Tirreno e con magnifico panorama. Presso il picco del Circeo (541 m.) si trovano altre antiche vestigia. Nel centro si conservano una caratteristica piazza medioevale, il castello (secolo XII) e la torre dei Templari. Anch’esso ha avuto uno sviluppo recentissimo con una elegante marina, sulla costa ad est, disseminata di ville e luoghi di soggiorno che si prolungano sulle dirupate falde del Promontorio Circeo, ricco alla base di grotte marine con reperti fossili del Paleolitico medio e superiore. Notissima è la più volte ricordata grotta Guattari per il ritrovamento (1939) di un cranio umano di circa 60.000-70.000 anni fa (Alberto C. Blanc). Il cranio — oltre ad una mutilazione nella regione temporale destra — presenta l’allargamento intenzionale del forame occipitale, segno della conoscenza, già in quei lontani tempi, di credenze magiche ancor oggi praticate dai Melanesiani e da altri popoli primitivi cacciatori di teste. Nella stessa grotta ed all’esterno di essa furono in seguito trovate altre mandibole umane incomplete, appartenenti ad individui dello stesso tipo al quale appartiene il cranio.

    Lo sviluppo turistico, che ha reso noto San Felice Circeo per lo sci nautico e la pesca subacquea (il mare che circonda il Circeo è ricco di speci pregiate: spigole, sogliole, ecc.), ha, purtroppo, sempre più alterato la fisonomia del Parco Nazionale.

    La cittadina aveva poco più di 2700 ab. nel 1951, ma l’intero comune, con popolazione sparsa, ne contava 4637 saliti ad oltre 5300 ab. al 1961. Si hanno cave di alabastro (onice), che per la sua trasparenza, durezza e colorazione è fra i migliori d’Italia. Una scuola di artigiani provvede alla sua lavorazione; le campagne danno squisiti vini ed uve da tavola.

    Vedi Anche:  La Sabina

    La strada litoranea si ricongiunge, poco dopo Torre Olevola (una delle tante torri di difesa ed avvistamento, che ancora si conservano lungo tutta la costa da Astura al Garigliano), alla Mediana; si percorre poi tutto l’arco costiero — toccando pure Torre Badino ed il porto-canale — sempre attraverso campagne a vigneti, e si raggiunge l’Appia, all’estremità nordovest di Terracina.

    Terracina

    Anche Terracina, nel suo superstite nucleo più vecchio, non è sul mare, ma su un estremo sprone dei Monti Ausoni, che scende ripidissimo sul mare nella parte più interna dell’insenatura lunata tra il Circeo e il Promontorio di Gaeta. Come città è antichissima; è la volsca Anxur (secolo VI a. C.), che i Romani presero una prima volta nel 406 a. C., poi, perdutala per qualche tempo, la tennero saldamente a partire dagli ultimi decenni del secolo IV, come baluardo a difesa della Via Appia; fu colonizzata e poi mutò il nome di Anxur in quello romano di Terracina. La posizione geografica di Terracina domina la sua storia. Traiano l’ampliò e la dotò di un porto, che divenne anzi il più importante della costa tirrenica tra Ostia e Gaeta; ebbe anche importanza come stazione termale per la presenza di sorgenti sulfuree nei dintorni, che pullularono di ville, ed avevano belle colture. Ma il porto, che utilizzava la foce del fiume Amaseno, era soggetto ad interrarsi e Terracina fu saccheggiata prima da Alarico, poi più volte dai Saraceni, onde la parte marittima deperì, e la città si ridusse sullo sprone montano, dove fu cinta di mura (in parte su sostruzioni volsche) con alte e grandiose torri e un castello (dei Frangipane), poi ridotto a case di abitazione.

    Terracina dal Monte Sant’Angelo.

    Terracina. Il tempio di Giove Anxur ed il Pisco Montano.

    Questa Terracina medioevale conserva ancor oggi l’aspetto di altri vecchi centri lepini, con case addossate, a scala esterna, finestre a bifore ogivali e viuzze strette con cavalcavia ed archi rampanti; nella grandiosa Piazza del Municipio — l’antico Foro — si hanno monumenti di eccezionale importanza: principale il Duomo, costruito sull’area dell’antico tempio di Roma e Augusto, consacrato già nel 1074, col campanile romanico del secolo XII. Nelle adiacenze della piazza i bombardamenti dell’ultima guerra hanno riportato alla luce vari resti di monumenti romani, fra i quali spiccano quelli imponenti del tempio Capitolino (forse secolo I a. C.).

    Terracina, che vanta tradizioni cristiane antichissime (oggi è sede vescovile), affievolitisi i legami col ducato bizantino di Napoli dopo che decadde la sua funzione marinara, si legò al Patrimonio di S. Pietro sin dall’882. Contro i Saraceni annidati alla foce del fiume Garigliano (882-915), tornò ad essere un baluardo per i Pontefici, la « porta del Lazio », che nel corso dei secoli la fecero oggetto di particolari provvidenze.

    I grandiosi lavori di bonifica pontina effettuati sotto Pio VI (a partire dal 1777), ricondussero Terracina al mare: egli fece costruire il nuovo porto-canale all’estremità della Linea Pio, munito di un modesto molo ed avviò il popolamento del nuovo Borgo Marina, dislocato alla periferia occidentale della città, nel quale vennero a stanziarsi anche abitanti discesi da centri delle montagne interne (Terelle, Valle-corsa, ecc.), in nuclei separati. Fino a poco tempo fa il Borgo Marina era costituito da piccole case con solo pianterreno, abitate per lo più da pescatori napoletani. Terracina che nel 1656 aveva appena 1500 ab. e nella prima metà del secolo XVIII ne contava 2200-2400, crebbe rapidamente dopo la costruzione del porto-canale e del sobborgo marittimo, estendendosi successivamente anche ai lati della Via Appia: aveva 3800 ab. nel 1787, 5466 nel 1853, 7376 nel 1871 e 11.000 circa nel 1901.

    Oggi non si può più parlare di sobborgo marittimo. La città moderna, sebbene molto provata dai bombardamenti dell’ultima guerra, è risorta in pochi anni e si è notevolmente sviluppata ed estesa verso il mare: è un florido centro marittimo con belle costruzioni, alberghi, ville, stabilimenti balneari che costellano la cosiddetta « costa azzurra o riviera di Circe », zona di particolare interesse balneare e turistico. Le campagne bonificate sono intensamente coltivate, specialmente a vigneti, la cui uva, il « moscato di Terracina » è notissima. Il clima mitissimo d’inverno, essendo la città protetta a nord dai monti e aperta verso sud, permette la vegetazione tipicamente mediterranea con palme, fichi d’India, agrumenti oltre ai rigogliosi vigneti.

    Comincia anche qui ad affermarsi un’attività industriale a fianco all’attività peschereccia che ha una ricca flottiglia di natanti, attrezzati particolarmente per la pesca costiera. Vi sono fabbriche di mattonelle, infissi ed avvolgibili, un mobilificio, un calzificio, stabilimento di elettrodomestici ed industrie alimentari (lavorazione di pomodori in conserva).

    Dal 1892, Terracina era collegata direttamente con Roma (via Velletri) da una linea ferroviaria che divenne in seguito poco efficiente, con l’apertura della direttissima Roma-Napoli: oggi, abolito il tratto Priverno-Velletri, la linea collega Terracina con la stazione ferroviaria di Priverno-Fossanova sulla Roma-Napoli.

    II traffico maggiore è, pertanto, assorbito dall’Appia. Nel 1951 Terracina aveva 17.474 ab- in città (nucleo antico e marina) e 26.492 nel comune, che comprende numerosi nuclei e case sparse; al 1961 superava i 29.700 abitanti.

    Sovrasta a Terracina il dirupato Monte Sant’Angelo (227 m.) sulla cui cima era l’acropoli della città: le spettacolari rovine del tempio di Giove Anxur (secolo I a. C.) sorgenti, con imponenti arcate lungo un fronte di 60 m., su una grandiosa platea, sulla quale — secondo una tradizione — Teodorico eresse una fortezza, possono oggi essere visitate percorrendo una recente strada che si arrampica per 3 km. con numerosi e vivi tornanti: dall’alto si gode un magnifico panorama sulla Pianura Pontina, il Circeo, la piana di Fondi, le Isole Ponziane. A vivaci colori lo descriveva già M.me de Staël in Corinne ou l’Italie (1807).

    Da Terracina l’Appia risaliva un tratto della rupe a picco, ma Traiano ne rettificò il percorso, isolando l’estremo sprone della rupe — oggi detto Pisco Montano (m. 100) — con un taglio verticale di 120 piedi (sono visibili ancora le cifre di 10 in 10 piedi), pari a 36 metri. La colossale opera, che permise il passaggio lungo il mare della Via Appia, è ancor oggi una delle principali curiosità di Terracina.

    La piana di Fondi ed i vicini centri

    L’Appia raggiunge poi, fiancheggiando le ultime propaggini meridionali dei Monti Ausoni e a poca distanza dalle frastagliate rive del Lago di Fondi (dominato dalla Torre del Pesce), la « Torre dell’Epitaffio », eretta nel 1568 sotto Filippo II di Spagna, e la « Portella », località che segnavano il confine (fino al 1861 ) tra lo Stato Pontificio ed il Regno di Napoli, ed in seguito (fino al 1927) tra Lazio e Campania. Il tratto tra l’Epitaffio e la Portella era la zona neutra tra i due Stati. Ma prima di queste località, meno di 2 km. dopo Terracina, si dirama dall’Appia la nuova, magnifica via litoranea (Via Fiacca), che passa al margine del Salto di Fondi, taglia la piana omonima, costeggia i laghi Lungo e San Puoto e tocca Sperlonga, singolare paese appollaiato su uno sprone del Monte San Magno (Aurunci); svolgendosi ancora con gallerie e viadotti lungo la pittoresca costa rocciosa, interrotta da insenature sabbiose (spiagge di Bazzano, S. Agostino — un tempo paludosa — S. Vito, Ariana, ecc.) e verdeggianti promontori ricchi di torri e grotte marine (abitate dall’uomo nel Paleolitico medio), quasi sul percorso di una via romana secondaria, la Via Fiacca (aperta il 184 a. C. e che le dà l’attuale nome), raggiunge, in uno splendido scenario di verde e di mare, Gaeta. La strada Fiacca, di eccezionale interesse turistico, ha posto i presupposti per la valorizzazione di una stupenda costiera prima inaccessibile. L’Appia, invece, gira ai piedi dei rilievi che circondano la piana di Fondi, verso Monte San Biagio e Fondi, e risale tra i dossi tondeggianti degli Ausoni e degli Aurunci una stretta aspra, brulla e selvaggia (Vallone Sant’Andrea), toccando l’altitudine di 268 m. al Passo d’Itri. Prosegue poi in discesa fra sproni rocciosi coperti di olivi e rari carrubi, raggiungendo una piccola valle vigilata dalle pendici dei Monti Aurunci (Monte Sant’Onofrio, 392 m.) nel cui fondo si è espansa la parte più recente dell’antico centro di Itri, che raggruppa le primitive abitazioni alle falde e sopra un colle dominato da un robusto castello con maschio centrale e mura turrite. Itri fu importante località, nel corso dei secoli passati, perchè guardava uno dei passi obbligati della consolare Appia. E patria del già ricordato Fra Diavolo, strano bandito e « guerrigliero » valoroso nella lotta contro i Francesi nei primi anni del secolo scorso. La cittadina aveva quasi 6200 ab. al 1951, mentre tutto il comune ne contava 7130, discesi a 6805 dopo un decennio a causa dell’emigrazione verso gli Stati Uniti ed il Canada per l’abbandono delle campagne. Notevole è ancora la produzione di olive (note però col nome di olive di Gaeta) per olio e per salamoia.

    Itri.

    Lasciato questo centro, l’Appia entra nella forra formata dalle estreme propaggini dei Monti Orso e Vivola, che si fronteggiano, ed incisa dal rio d’Itri. La valle poi si apre e la strada scende verso il mare, sempre fiancheggiata da oliveti e vigneti, in vista dell’incantevole Golfo di Gaeta; si riunisce alla Fiacca, alle porte di Formia, dopo aver lasciato sulla destra la cosiddetta Tomba di Cicerone, grandioso sepolcro romano a forma conica su base quadrata.

    Prima di Fondi una diramazione dell’Appia porta a Monte San Biagio, caratteristico paese alle pendici meridionali del Monte Calvo (gruppo degli Ausoni), che ha l’attuale nome dal 1863 (prima Monticello e poi Monte San Vito). Dal paese, che conserva un castello feudale con ruderi di alcune torri, si gode il bellissimo panorama della sottostante piana di Fondi, guadagnata dal tenace lavoro dell’uomo alle rigogliose colture di agrumeti, vigneti, ecc. La cittadina (a 3 km. dalla stazione ferroviaria sulla linea

    Sperlonga. Panorama del piccolo centro che sorge su uno sprone del Monte San Magno; in primo piano, la strada litoranea Fiacca di recente costruzione.

    Il castello baronale di Fondi.

    Roma-Napoli) aveva 2224 ab. al 1951, mentre in tutto il comune, con molta popolazione sparsa, se ne avevano 5312, saliti al 1961 a poco più di 5500 abitanti, Le campagne circostanti sono coltivate specialmente ad agrumi, vigneti ed ortaggi.

    Fondi, quasi al limite settentrionale della piana a contatto con le radici dei Monti Ausoni ed Aurunci, è antica città aurunca, poi occupata dai Volsci e menzionata già nel 338 a. C., al tempo della guerra latina; municipio romano nel 188 a. C., fu cinta di mura nel secolo I e conserva ancora quasi intatta questa cinta racchiudente un perfetto quadrilatero. L’Appia vi rappresenta il decumanus maximus; il cardo maximus, i cardines e i decumani minores sono ancora rappresentati dalle vie che si tagliano ad angolo retto, cosicché Fondi è un eccellente e raro esempio (almeno nel Lazio) della classica pianta urbanistica romana. Era già legata a Roma dai primi tempi dell’alto Medio Evo (secolo V) e subì gravi devastazioni da parte dei Saraceni (846); donata poi dai Pontefici ai ciuchi di Gaeta si staccò durante il secolo X. Dal secolo XIII fu sede di ducato dipendente dalla Chiesa e dal XIV passò in possesso dei Caetani, anzi fu capoluogo del loro vasto e possente feudo. Dei secoli XIV e XV sono i suoi più cospicui monumenti, tra i quali la chiesa di S. Pietro e la massiccia rocca a pianta rettangolare con torri merlate agli angoli e fiancheggiata da un torrione cilindrico con base quadrata. La decadenza s’inizia col passaggio agli Aragonesi che la dettero in feudo ai Colonna e ai Gonzaga. Giulia Gonzaga, vedova di Vespasiano Colonna, aveva cercato di rialzare le sorti della città, ma nel 1534, il pirata Ariadeno (Khair-ad-Din) Barbarossa, fallito il tentativo di rapire la bellissima donna, rovinò la città facendo strage dei suoi abitanti. Altre incursioni piratesche sopravvennero poi. Dopo la breve dominazione dei Carafa, che tentarono di risanare la piana, la decadenza piuttosto si accentuò: nel 1669 Fondi non aveva più di un migliaio di abitanti.

    Nel recente incremento topografico la città è uscita dalla regolare pianta quadrata; la campagna si è popolata di case rurali nella piana bonificata, occupata da vaste distese di agrumeti, frutteti e colture orticole. Una nota caratteristica dà al paesaggio la vegetazione già meridionale: fichi d’India, aranceti, palme. Il comune, che aveva circa 6600 ab. nel 1861, 7447 nel 1881, 10.699 nel 1911» ne contava 19.212 nel 1951 (dei quali meno di 13.000 nel centro e 5600 in case sparse); oggi supera i 21.700 abitanti. Ma la funzione di Fondi, che guardava un tempo la grande via di accesso al Napoletano, è mutata; essa è un notevole mercato agricolo (agrumi in specie) e di bestiame; è stazione ferroviaria sulla direttissima Roma-Napoli. Vi sono stabilimenti per lo sfruttamento delle arance e dei limoni, per la produzione di conserve alimentari, caseifici, fabbriche di mattonelle, ecc. Al comune di Fondi appartiene il lago omonimo, mentre l’altro di San Puoto è diviso a metà con il comune di Sperlonga.

    Fondi, secondo il Pacichelli (1703)

    Una via di Sperlonga.

    Sperlonga è un pittoresco borgo marinaro con le sue case a grappolo, quasi a picco sul mare, e le caratteristiche viuzze interne con angiporti, scalette esterne e terrazze. Nota fin dall’antichità per le numerose grotte marine (speluncae, da cui l’attuale nome), che si aprono lungo i circostanti promontori, ha visto ritrovare (1957) notevoli frammenti di un grande gruppo statuario e gran massa di cimeli di ogni genere nella più famosa delle sue grotte, quella detta di Tiberio — sulla spiaggia dell’Angolo — ove l’imperatore romano amava soggiornare, attratto dalla silente bellezza dei luoghi e del mare sempre azzurro. Molti sono i resti del palazzo di Tiberio e di ville romane con piscine nei suoi dintorni. Gli interessanti reperti archeologici venuti alla luce hanno ora trovato degno posto in un Museo Archeologico Nazionale — inaugurato nel 1963 — posto a breve distanza dalla grotta, poco dopo l’abitato di Sperlonga, a valle della strada litoranea per Gaeta. Esso contribuirà ancor più a valorizzare il patrimonio archeologico di cui è ricca tutta la zona.

    Sperlonga è divenuta in questi ultimi anni frequentata stazione balneare e notevole centro turistico per la sua particolare posizione e per le bellissime spiagge dell’Angolo, di Marina degli Olivi e di Bazzano, specialmente dopo l’apertura della Via Fiacca (1958), che ha tolto la cittadina — come anche Gaeta —- dal suo naturale isolamento, posta infatti lontana da grandi vie di comunicazione (la stazione ferroviaria è a Fondi, 12 km. distante). Sperlonga aveva 2513 ab. al 1951, mentre il comune, che superava di poco i 2800 ab., al 1961 ha raggiunto quasi i 3400 ab. (1521 nel 1861). La parte più recente della cittadina, tutta a ville, va sviluppandosi lungo la Marina degli Olivi ed alle falde del vecchio centro. Le principali attività economiche della popolazione sono date dalla pesca costiera e dalle colture degli agrumi ed orticole, condotte quest’ultime in serre di nylon (diffuse anche nelle campagne di Fondi e Gaeta). A Sperlonga appartiene il Lago Lungo; quello di San Puoto è — come si è detto — diviso a metà con il comune di Fondi poiché si trova sulla linea di confine comunale.

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    Una strada, di recente rettificata, unisce Sperlonga con Itri (un’altra con Fondi), attraverso le groppe calcaree degli Aurunci che si dirigono verso il mare e hanno il nome, come si è visto, di Colli Cecubi. Ampie aree a oliveti e a sughereti concorrono a rendere particolarmente vari gli aspetti naturali del paesaggio attraversato dalla strada mentre nuove prospettive d’insediamento stabile si vengono da aprire per questa zona.

    Gaeta e la costiera fino al Garigliano

    Gaeta è in una posizione molto singolare sull’estrema punta orientale di un promontorio, culminante nel Monte Orlando (171 m.), estremo sprone di un costone degli Aurunci, in parte coperto di pini, che ripara la rada. Esso, che in più punti, specie a sud, cade a picco sul mare, e una piccola penisola unita alla terraferma da un sottile istmo (largo poco più di 600 m.) detto « Montesecco », che per ragioni di difesa della piazzaforte fu reso pianeggiante (1852). Di là da questo verso nord, cioè verso Formia, si allunga sull’arco costiero l’antico Borgo che, nel 1897, costituito a comune autonomo prese il nome di Elena; ora è ricongiunto a Gaeta della quale forma una sezione a sè denominata Porto Salvo (dal 1927); l’altra sezione, la parte della città entro le mura, ha il nome di Sant’Erasmo, patrono della città. Dall’altro estremo dell’istmo, sul mare aperto, è la spiaggia di Sérapo (larga 100 m. in media e lunga circa un chilometro e mezzo), compresa fra il Monte Orlando ad est ed il Promontorio della Catena ad ovest.

    La vecchia Gaeta — il cui nome si ricollega, secondo alcuni a quello della nutrice di Enea, Caieta, cantata da Virgilio (ma questo etimo è per vero assai incerto), secondo altri (Strabone) alla voce dei Laconi, Kaié-ac = insenatura di mare — per tutta l’antichità non costituiva una città per sè, in confronto ai vicini centri (Fondi-Formia-Minturno) che raccoglievano l’attività economica ed amministrativa del territorio, ma un rinomato luogo di villeggiatura ed un porto di notevole importanza. Sin dall’ultimo secolo della Repubblica e durante l’Impero, sulle colline circostanti, lungo la lunata spiaggia della rada di Gaeta e su tutta la ridente costiera fino a Sperlonga sorsero suntuose ville, giardini pensili, piscine, templi, imponenti mausolei; tutto il territorio, soggiorno estivo ed invernale di personaggi insigni (Cicerone, ecc.) e di imperatori (Antonino Pio, ecc.), era intersecato da strade; la dolcezza del clima e la bellezza dei luoghi trovarono concordi poeti e prosatori antichi. Crebbe d’importanza nell’alto Medio Evo, dopo l’invasione longobarda (secolo VI) e per le incursioni saracene, che distrussero Fondi, Formia e Minturno (846); sede di vescovato (fin dal secolo Vili) divenne poi anche capitale di un autonomo ducato (839-1032), che coniava proprie monete (follari) ed era fiorente per commerci marittimi ; col tempo il duca dovette accordare ai suoi cittadini ampie franchigie, preludio del comune. La città, cinta di mura e con un robusto castello (ampliato nel corso dei secoli), costituiva per la sua posizione una piazza marittima fortissima, che contribuì ad allontanare definitivamente il pericolo saraceno (battaglia del Garigliano del 915); dopo la morte dell’ultimo duca indigeno (1032), trascorse un periodo di complesse vicende, contesa tra duchi longobardi e normanni, poi venne in mano di Ruggero II (1140), ma conservò le sue franchigie, la sua libertà, le sue attività marittime. Ampliate e irrobustite sempre più le sue formidabili fortificazioni (i bastioni di Carlo V sono del 1516-38), divenne la principale piazzaforte del Reame di Napoli sul Tirreno; sostenne vittoriosamente numerosi assedi (la sua storia ne conta una quindicina); fu spesso rifugio di Pontefici, in momenti torbidi per Roma (l’ultima volta vi si rifugiò Pio IX, il 25 novembre 1848). Nel 1571 aveva veduto partire Marcantonio Colonna, l’ammiraglio della flotta pontificia alla battaglia di Lepanto, e lo salutò trionfatore al suo ritorno, quando depose nella cattedrale lo stendardo clonatogli da S. Pio V. L’ultimo assedio fu quello del 1860-61 che segnò la fine della dominazione borbonica e l’inizio del nuovo Stato unitario italiano.

    Promontorio di Gaeta.

    Veduta aerea di Gaeta.

    Una veduta di Gaeta da Monte Orlando. In primo piano, la sezione Porto Salvo.

    La vecchia Gaeta è caratterizzata dalle sue case ammassate, dalle viuzze tortuose in un dedalo di ripide scale con angiporti, cavalcavia, solitarie bifore, portali, cam- paniletti e giardini pensili, che formano un insieme pittoresco, dominato dall’imponente e turrito castello. Tutto intorno sa di medioevale puro e affascinante che si nota nelle finestre delle case, negli architravi, negli stipiti dei portoni, nelle numerose scalette esterne degli edifici, nell’angustia dei vicoli, nel colore dei muri, nelle pietre delle strade, nei consunti stemmi delle varie famiglie nobili con simboli in rilievo. Ma vi sono anche monumenti insigni, come il Duomo, consacrato già nel secolo XII e rifatto nel 1792, ricco di tesori e memorie artistiche, col bel campanile romanico-moresco (alto 57 m.), compiuto nel 1278; altre chiese di stile romanico e gotico con successivi adattamenti (S. Giovanni a mare, S. Lucia, S. Domenico, SS. Annunziata, ecc.), alcuni nobili palazzi (Ladislao, Caetani, ecc.) e, di recente un Museo Diocesano (nel Duomo), dove le opere d’arte d’ingente valore — opportunamente restaurate — hanno ricevuto un’ordinata sistemazione, formando nuovi motivi di attrazione per i visitatori del centro.

    La struttura urbanistica del vecchio Borgo, sorto lungo la rada fin dal secolo IX, è stata d’altra parte determinata dall’orientamento predisposto dalle colline e dalla linea della costa, raggiunta con una viabilità ortogonale intersecata all’origine da una sola via principale longitudinale.

    Durante la seconda guerra mondiale tutta la città fu oggetto di bombardamenti con notevoli distruzioni, cui seguirono le sistematiche devastazioni operate dai Tedeschi, che raserò al suolo il nascente sobborgo balneare di Serapo, le contrade « Spiaggia » e « Pizzone », edifici pubblici e privati, gli impianti portuali, ecc.

    Gaeta aveva poco più di 4600 ab. nel 1459 (1° censimento aragonese), saliti intorno ai 12.000 nel 1669. Nel 1735 superava di poco gli 8200 ab., dei quali peraltro non più di 3000 in città ed il resto nel Borgo, che era essenzialmente abitato da gente dedita alle attività marinare ed agricole, mentre in città abitavano funzionari, professionisti, militari, commercianti: le funzioni dei due nuclei erano dunque ben distinte. Nel 1789, Gaeta aveva 2370 ab. e quasi 9200 il Borgo; nel 1864 si avevano, per le due circoscrizioni, 4509 e 10.486 abitanti. Nel 1871, Gaeta aveva circa 7200 ab. e 11.200 il Borgo; nel 1881, a Gaeta quasi 6200 ab. e circa 11.450 al Borgo; nel 1901, dopo la separazione dei due comuni, soli 5625 a Gaeta e 11.169 ad Elena; nel 1921 le cifre rispettive erano 7030 e 12.280, che permettono così di osservare, per quasi due secoli, l’accrescimento della popolazione del Borgo rispetto a quella del vecchio nucleo, che intristisce entro la cerchia murata.

    Gaeta, secondo il Pacichelli (1703).

    Oggi Gaeta — cessate le sue funzioni di piazzaforte (abolita ufficialmente nel 1927) — ha assunto altro sviluppo. Nella vecchia città, i danni dei bombardamenti sono stati riparati, quasi tutta la cinta di mura lungo il mare demolita, formata così una passeggiata a mare sul piccolo porto S. Maria, che, come per il passato, è rimasto approdo di modeste navi, soprattutto da pesca, di cabotaggio e da diporto (motoscafi, cutter, yacht, ecc.). Il nucleo urbano della sezione Porto Salvo si è molto sviluppato, nel dopoguerra, con potente impulso nel settore edilizio e tende a diventare, oltre che centro di pesca (con le « lampare » e con reti « a strascico »), sede di notevoli attività industriali e di attrezzature che permettono lo sbarco delle merci dalle navi che approdano nella rada. Sérapo, ricostruite di nuovo le numerose ville circostanti ed in rapida espansione, è oggi — attrezzata con numerosi stabilimenti balneari, alberghi e ristoranti — una delle spiagge più frequentate del Lazio meridionale. Il centro della città si è spostato: esso è ora una grande piazza sull’istmo dove convergono le sue tre parti. Gaeta ha ancora un maestoso lungomare che, snodandosi lungo tutto l’arco dello storico golfo, ha concretamente attuato l’unità della città, rompendo le varie barriere cresciute nei secoli fra i nuclei urbani, trasformandola in un centro moderno e vivace. E unito per ferrovia a Formia dal 1892, inoltre si giova, per le comunicazioni terrestri, dell’Appia e ancor più della nuova via litoranea, già ricordata, che raggiunge Terracina.

    Fiorente è l’agricoltura nel territorio comunale (specialmente ortaggi), ma la popolazione sparsa è modesta. Nel 1951 Gaeta (Sant’Erasmo, Porto Salvo e Sérapo) aveva 17.548 ab., il comune 18.323; al 1961 il comune raggiungeva i 20.570 ab., cioè quasi 730 per kmq. (il più densamente popolato della provincia, la cui media supera di poco i 142 per kmq.).

    Cessate le servitù militari, il Monte Orlando viene attrezzandosi a parco; sulla cima, raggiungibile con una strada panoramica a tornanti, è il grandioso mausoleo circolare di Lucio Munazio Planeo (detto volgarmente Torre d’Orlando), amico di Cesare, Cicerone e Augusto e fondatore delle città di Basilea e Lione; dall’alto si apre un panorama magnifico sul golfo, i Monti Aurunci, il Massicco, le Isole Pon-ziane ed Ischia. All’estremità sudoccidentale del monte la rupe precipita nel mare rotta da tre fratture verticali; qui è la cosiddetta Montagna Spaccata, alla quale si accede dalla chiesa e monastero della SS. Trinità.

    Da Gaeta, o meglio da Porto Salvo, lungo tutta la spiaggia del golfo si succede tutta una serie di costruzioni — ville, giardini, luoghi di ritrovo, campi coltivati a vigneti ed agrumeti — di modo che il caseggiato è presso che continuo fino a Formia. Non così era in passato: anzi fino al 1862, vi erano due nuclei ben distinti, Mola di Gaeta e, più vicina a questa città, Castellone: nell’insieme poco più di 8000 abitanti.

    Ai due nuclei riuniti fu restituito l’antico nome di Formia. Questa è in realtà un centro molto antico, che peraltro, tuttavia, era costituito soprattutto da ville (di cui restano ancor oggi numerosi ruderi) e località di soggiorno: la presenza del mare, proprio nel punto dove esso è raggiunto dalla Via Appia, il clima mite, le campagne feracissime (noti i classici vini « Cecubo » e « Falerno ») costituivano un vivace richiamo per i Romani (Cicerone, Mamurra, Murena, Nerva, Apollinare, ecc., vi avevano famose ville); come porto serviva Gaeta che amministrativamente ne era una dipendenza. Formia seguì le sorti di Fondi, dal punto di vista amministrativo e fu prima civitas sine suffragio (338 a. C.), poi nel 188 città con pieni diritti (civitas optimo iure). Dopo la caduta dell’Impero d’Occidente, subì gravi devastazioni da parte dei Goti e dei Longobardi. In seguito i Saraceni la distrussero interamente (846) e dal secolo X qui non rimase che un umile borgo. Già però nel secolo Vili era in decadenza: da allora fu trasferita la sede vescovile in Gaeta; questa crebbe annettendosi anche il territorio della città distrutta. Solo nel 1300 Carlo II d’Angiò vi eresse una potente fortezza costiera — la Torre di Mola — attorno alla quale si formò l’abitato; poco dopo i Caetani, che la tennero fino al principio del secolo XIX, un castello in posizione dominante (verso il 1377), onde il nome di Castellone. I due nuclei, unitamente al già ricordato Borgo di Gaeta, fecero parte per tutto il Medio Evo e buona parte dell’epoca moderna dell’Università di Gaeta. Nel 1819 Mola di Gaeta e Castellone divennero comuni autonomi.

    Formia.

    Scauri. In alto, Minturno.

    Il censimento del 1861 dava a Formia (comune) un po’ più di 8000 ab., cifra che aumentò solo lentamente fino al principio del secolo XX, nonostante che i due nuclei si fossero estesi costituendo un unico caseggiato. Tra il 1921 ed il 1931 gli abitanti si accrebbero del 50%, anche per l’aggregazione avvenuta nel 1928 dei limitrofi comuni di Castellonorato e Maranola. Giovò a Formia soprattutto la costruzione della direttissima Roma-Napoli (1923) — dalla quale Gaeta rimase appartata — ed il sorgere di un centro balneare a Vendicio, sul litorale verso Gaeta. Il vecchio nucleo urbano, sviluppatosi parallelamente all’Appia e sui retrostanti poggi, subì gravi danni durante l’ultimo periodo della seconda guerra mondiale; ora sono stati riparati e la città è di nuovo in sviluppo.

    Il censimento del 1951 ha trovato un po’ più di 12.000 ab. nel centro, 1800 a Mara-noia, 750 a Trivio, 500 a Castellonorato, ecc.; in complesso 17.975 ab- nell’intero comune (con 4 frazioni alle pendici dei Monti Aurunci), saliti ora a poco più di 20.500 abitanti. Il nuovo cospicuo balzo si deve alle mutate funzioni di Formia, che oggi è, oltre che centro balneare e di soggiorno — molte ville sorgono specialmente alla periferia orientale — notevole mercato di prodotti agricoli (agrumi, vino, olio, ortaggi, ecc.), del pesce e dell’allevamento, e centro anche di alcune prospere industrie. Formia è, infine, importante polo di collegamenti automobilistici con i comuni del basso Lazio ed unita con la vicina Gaeta da una linea di autobus, che percorre l’arco della rada, da circa quarant’anni.

    La Via Appia prosegue oltre Formia seguendo il litorale, dove altre vivaci marine si sono sviluppate: Scauri e Marina di Minturno (frazioni di Minturno), che si vengono rapidamente popolando con ville, stabilimenti ed alberghi lungo tutta la costa ed ai lati della strada. Nella località di Scauri (che rinserra le mura megalitiche di Pirae ausonica, città già scomparsa ai tempi di Plinio il Vecchio), durante la seconda metà del secolo XV e nel seguente vi si coltivava la canna da zucchero; verso la metà del secolo XVIII vi fu pure costruita una cartiera. La popolazione scende anche qui al mare: la vecchia e caratteristica Minturno (Traetto fino al 1879), nota anche per i pittoreschi costumi femminili (la pacchiana), era già nel 1951 quasi superata per popolazione da Scauri; popolate sono anche le fertili campagne circostanti, tutte solcate di strade, con le bianche case sparse e ben coltivate a grano, ad agrumi, vigneti, oliveti e frutteti. La popolazione di Minturno città superava di poco i 3100 ab. al 1951, mentre il comune raggiungeva quasi i 14.800 ab. saliti al 1961 a poco più di 15.300. Il centro di aspetto medioevale — con interessanti monumenti del tempo — è posto su di un colle alle radici degli Aurunci, tutto rivestito di fitta vegetazione, specialmente olivi e carrubi.

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    Prima di Scauri si diparte una strada provinciale, discretamente frequentata dal traffico, che raggiunge Cassino; l’unico comune della provincia di Latina posto su di essa — Spigno Saturnia — è demograficamente in stasi, anzi la popolazione tende a diminuire: gli abitanti che erano 2368 in tutto il comune al 1951 (meno di 500 nel paese), sono ora (1961) 2036. Sorto in origine sul pendio est del Monte Petrella, dopo essere stato quasi completamente distrutto durante l’ultima guerra, è stato trasferito nel piano. Così la popolazione, che prima si spostava in basso per coltivare la terra, ha sentito il bisogno di vivere stabilmente dove lavora. Buona parte del suo territorio è boscosa e numerose sono le cave di argilla miocenica.

    Dalla pittoresca spiaggia di Scauri (nota fin dall’età di Roma), chiusa ad ovest dal piccolo « Monte d’Oro», il litorale sabbioso si estende — interrotto ad est da un poggio detto « Monte d’Argento » — fino al fiume Garigliano, confine naturale tra il Lazio e la Campania. Quest’ultima zona, dotata di una ombrosa pineta, è il centro di Marina di Minturno. Più avanti, ai lati dell’Appia, che qui varca il fiume su un bel ponte moderno (il vecchio ponte borbonico con le sfingi è a lato interrotto), sono le rovine di Mintumae romana, distrutta dai Longobardi (590). Vi si notano le arcate dell’acquedotto di Vespasiano, un teatro del periodo augusteo in buona parte conservato e oggi, restaurato, sede di rappresentazioni classiche estive; resti del Foro con templi repubblicani ed imperiali, della cinta di mura ed il selciato dell’antica Via Appia. Questa pianura alluvionale del Garigliano, una volta infestata dalla malaria, ed oggi coltivata a grano, granturco e fagioli (cereali che si producono in gran parte nei cosiddetti « pantani », tra la sponda destra del fiume e Monte d’Argento), e coperta da frutteti vari, vigneti di uva da tavola, oliveti, ecc. — mentre i primi stabilimenti industriali fanno la loro apparizione — fu teatro di battaglie decisive per le sorti dell’Italia meridionale. Nel 915 vi furono definitivamente sconfitti i Saraceni dalla Lega Cristiana con a capo il pontefice Giovanni X, ed allontanati dall’Italia; nel 1503 un’aspra battaglia suggellò, con la sconfitta dei Francesi, l’inizio della dominazione spagnola nel Regno di Napoli. Le ultime resistenze dell’esercito borbonico in rotta (1860), prima di ritirarsi nella fortezza di Gaeta, cercarono di ritardare invano all’esercito italiano il passaggio del fiume. Ed infine, fra l’inverno del 1943 e la primavera seguente, qui si contrapposero due teste di ponte (sulla sponda destra del fiume i Tedeschi, sull’altra gli Alleati), in una estenuante guerra di attese e di attacchi, che logorò gli eserciti e tinse di rosso non poche volte le pigre acque del Garigliano.

    Risalendo i monti, dall’Appia nei pressi di Scauri o di Marina di Minturno, si incontrano fra oliveti, agrumeti e querceti, gli agresti centri di Castelforte, dei Santi Cosma e Damiano e delle antiche Terme di Suio (le Aquae Vescinae dei Romani; la caldana putida dei documenti medioevali), ultimi nuclei della provincia di Latina a dominare la bassa valle del Garigliano.

    Castelforte, posto su una collina degli Aurunci (156 m.), con bel panorama sul fiume e verso il Tirreno, presenta le case d’impostazione medioevale fittamente addossate e appena divise da vicoli stretti e ripidi. Gravemente rovinata nel corso del passato conflitto non ha ancora restaurato tutte le sue rovine, ma sono sorti nuovi quartieri. La popolazione vive in gran parte sparsa nelle circostanti campagne, nelle masserie; al 1951 nel centro si avevano 2900 ab. mentre tutto il comune raggiungeva i 7000 ab., superati di poco al 1961.

    A Castelforte appartiene anche il piccolo centro (circa 400 ab.) di Suio con le terme (legate al vulcanismo residuo di Roccamonfina), le cui acque sulfuree, alcaline e ferruginose vengono sfruttate fin dal tempo dei Romani. Molto frequentate attualmente, sono legate ai vicini centri da servizi automobilistici.

    Santi Cosma e Damiano è comune dal 1947 con territorio staccato da Castelforte: un piccolo centro agricolo che ha subito danni nell’ultima guerra. La popolazione, in diminuzione, vive in gran parte sparsa e dedita alla coltivazione dei campi: 3148 ab. al 1951 (poco più di 1600 nel paese) e meno di 3000 al 1961.

    Le Isole Ponziane

    Delle Isole Ponziane, le sole isole laziali, abbiamo già parlato nel capitolo III per quanto riguarda le caratteristiche naturali. Si è visto che esse, poste al largo del Golfo di Gaeta, si dividono in due gruppi separati: l’occidentale composto da Ponza, Palmarola, Zannone e Gavi (9,85 kmq.), e l’orientale formato da Ventotene e Santo Stefano (1,53 kmq.); i due gruppi (con uno sviluppo costiero di 28 km. ed un corteo di piccoli scogli intorno) distano fra loro una quarantina di chilometri. Ponza, che dista dalla più vicina costa (Monte Circeo) 33 km., è collegata da linee dirette ad Anzio e Formia, e da un’altra a Napoli, che tocca anche Ventotene, Santo Stefano, Ischia e Procida; collegamenti esistono ancora tra Ponza e Ventotene e quest’isola ed il continente per mezzo delle linee da Anzio e da Formia. Appartengono al Lazio amministrativo, e precisamente alla provincia di Latina dal dicembre 1934 (ma ne furono distaccate ed aggregate a quella di Napoli dal giugno 1935 all’aprile 1937); prima appartenevano alla provincia di Napoli, anzi fino al 1927 il gruppo maggiore apparteneva alla provincia di Caserta, ed il minore a Napoli. Sono divise in due comuni corrispondenti ai due gruppi.

    Le isole di Ventotene e Santo Stefano.

    L’arcipelago ha una storia molto singolare che in parte dipende dalle sue condizioni geografiche. Fu certamente abitato già in età preistorica e agli albori della storia, popolato poi dai Volsci, come si legge in Livio; nel 311 a. C. i Romani vi costituirono una colonia e Ponza rimase sempre fedele a Roma; alla fine della Repubblica e durante l’Impero fu fiorentissima e si popolò di ville suntuose (al pari delle isole vicine), delle quali restano avanzi notevoli, ma non ebbe mai né un porto né un centro notevole; fu già fin d’allora (12 d. C.) anche luogo di relegazione di personaggi ragguardevoli. Il Cristianesimo vi penetrò prestissimo: le isole si prestavano come soggiorno appartato di monaci; a Palmarola vi era già un convento nei primi secoli del Medio Evo; nel secolo X Zannone fu ceduta ai Benedettini. Legato al ducato di Gaeta, dopo il governo dei Bizantini, l’arcipelago cominciò a subire dal secolo IX incursioni dei Saraceni (la più grave nell’813), e depredazioni da parte di pirati, da indurre i pochi abitanti ad abbandonarlo definitivamente. Le acque dell’arcipelago videro anche battaglie navali famose: nel 1301 Ruggero di Lauria vi battè la squadra di Federico II; nel 1435 il re di Sicilia, Alfonso d’Aragona, vi fu sconfitto e fatto prigioniero dalla flotta del duca di Milano, comandata dal notaio genovese Biagio Assereto. Con il secolo XII si hanno nuovamente nelle isole i monaci Cistercensi, ma le incursioni piratesche le rendono nuovamente deserte.

    Terribile fu la devastazione che l’arcipelago subì — dopo altre precedenti incursioni — per opera del corsaro Barbarossa (1533): le isole furono quasi interamente abbandonate, divennero base d’azione dei pirati ed i vari, successivi tentativi di ripopolarle ebbero scarsissimi risultati: la numerazione del 1669 non le nomina. Il ripopolamento effettivo fu iniziato nel 1734 da Carlo di Borbone che mandò a Ponza 50 famiglie di Ischia, una piccola guarnigione e dei padri cappuccini per ricostituirvi un convento. Una colonia di Torresi nel 1772 si trasferì stabilmente a Ventotene, provvedendo a dissodare il terreno coperto da boscaglie e a coltivarlo a seminativo e vigneto. Scarso successo, poi definitivamente interrotto, ebbe l’insediamento stabile a Palmarola. L’isola di Zannone forniva solo legname e frasche dai boschi che la coprivano.

    L’opera fu così continuata da Ferdinando I cui si deve anche la destinazione di Ponza (1820) e Ventotene (1825) a luoghi di relegazione sia per condanna penale che politica (aboliti nel 1945) e di Santo Stefano a penitenziario (1785; soppresso nel 1965). Alla fine del secolo XVIII ad una breve occupazione francese ne seguì una inglese, ma dopo la restaurazione l’arcipelago tornò ai Borboni. Nel 1843 la popolazione dell’arcipelago ammontava forse a poco più di 2000 persone. Per i secoli precedenti scarse ed incerte sono le notizie sugli abitanti delle isole.

    E noto che nel 1857 partì da Ponza il tentativo di Carlo Pisacane di provocare una insurrezione nel Regno di Napoli, tragicamente finito a Sapri. Ponza era allora in condizioni molto infelici: la pesca era forse la principale fonte di risorse, ma non era esercitata nei mari locali; sulle pendici improvvidamente diboscate erano stati impiantati filari di vigneti, ma questi non erano tali da sopperire ai bisogni degli abitanti; gli strascichi delle guerre, delle secolari incursioni piratesche non erano spenti.

    Nella seconda metà del secolo scorso, tuttavia, il popolamento procedette sicuro e con notevole incremento demografico, in un ambiente naturale ancor più umanizzato e nel quadro delle attività marinare ed agricole sempre più redditizie.

    Al censimento del 1861 si ebbero 3197 ab. a Ponza e appena 1163 a Ventotene; nel 1871 — secondo i calcoli del Baldacci (nel suo ampio lavoro su Le Isole Ponziane), che escludono l’anormale presenza degli abitanti temporanei nelle case di pena ed i confinati — si avevano in complesso nell’arcipelago circa 4400 persone. Nel corso degli anni seguenti, fino al 1951, l’aumento totale si aggirò sulle 1700 persone: al 1881 la popolazione locale raggiungeva i 4500 ab. circa. Un forte aumento si nota nel 1901, toccandosi quasi i 5600 ab., ma — a partire dagli ultimi decenni del secolo XIX — si registra una forte emigrazione, soprattutto verso gli U.S. A. In seguito, tra il 1901 ed il 1921, la natalità ed i rimpatri agiscono in senso positivo sul movimento demografico; al 1921 la popolazione totale locale si aggirava intorno ai 6600 individui. Al 1931 si ebbero circa 6050 ab. e 6800 al 1936.

    Al 1951 si avevano a Ponza 4832 ab. e 1270 a Ventotene, mostrando così una sensibile diminuzione rispetto al 1936, che si è accentuata nel corso dell’ultimo decennio.

    La popolazione sparsa è ridotta nei due comuni isolani ed in diminuzione perchè va raggruppandosi in nuclei; i centri sono, in proporzione, oltremodo affollati.

    Ponza ha, al 1961, poco più di 4600 ab., cioè 474 per kmq. (densità ancora altissima per le scarse risorse del luogo), in massima parte raccolti nel centro principale che raggruppa le sue bianche, linde case intorno alla cala, abbastanza animata dal traffico marittimo locale. Vi sono altre tre o quattro borgate minori con case sparse. Altri 1070 ab. (698 per kmq., al 1961) si trovano nel comune di Ventotene, che comprende anche Santo Stefano. Palmarola non è abitata che in case-grotte, alcuni mesi dell’anno (primavera-estate), da famiglie di coltivatori di Ponza. Santo Stefano, come si è detto, continua ad essere sede di penitenziario, mentre Zannone — che ha conservato la sua coperta di macchia mediterranea — è abitata solo dal personale di servizio al faro. L’isolotto di Gavi, vicino a Ponza, è disabitato.

    Panorama dell’isola di Ponza e del suo porto dai Conti.

    Ponza. Scoglio Ravia.

    Il carico tanto eccessivo di popolazione a Ponza e Ventotene induce a coltivare minutamente il territorio, che è affiancato persino nei suoi dirupi da gradinate, ove a spalle è tuttora portato il terreno agrario. I terreni migliori sono pertanto soggetti ad una parcellazione infinitesimale.

    Ponza ha rilievo assai movimentato (280 m. nel Monte della Guardia) e coste spesso scoscese e incise da cale pittoresche. Il paesaggio è animato dalle coltivazioni a terrazze che rompono i ripidi pendii: primeggia la vite, ma si associano alberi da frutto, soprattutto fichi, e leguminose.

    Più fertile e più intensamente sfruttata è Ventotene, mentre il rilievo è quasi uniforme. Il suolo si presenta intensamente coltivato a legumi (lenticchie).

    Il mare costituisce un’altra risorsa economica, dalla quale gli isolani, costretti a vivere in un suolo limitatissimo ed ingrato, cercano di trarre il maggior vantaggio possibile. Corallo, aragoste e pesce azzurro sono le risorse fondamentali che — da tempo — gli abili pescatori dell’arcipelago ricercano spingendosi molto lontano dalle loro isole, lungo la costa tirrenica, fino all’Argentario, in Sardegna e all’Isola di Galita (Tunisia), dove risiedono per due, tre o quattro mesi all’anno, a seconda dell’andamento stagionale. Ma le difficoltà economiche in cui si dibattono le isole, dopo la soppressione del confino, sono gravi e tali da indurre la popolazione attiva ad emigrare nel continente o in America del Nord. L’estrazione della bentonite (iniziata nel 1936), a Ponza, occupa nel contempo meno di un centinaio di unità.

    Una soluzione favorevole per il disagio lamentato può ricercarsi nel turismo che, però — come fonte economica di rilievo — nonostante le molte speranze iniziali, è ancora all’origine, per la mancanza di quelle comodità che richiamano sul posto il turista. In particolare, la mancanza assoluta di sorgenti naturali e quindi d’acqua e la poca recettività alberghiera condizionano la presenza del turismo effettivamente redditizio.

    Le isole sono ora approvvigionate per mezzo di navi-cisterna dai porti del continente. Per risolvere il grave problema, ed al fine di trovare una idonea soluzione dal punto di vista igienico-sanitario e da quello economico (per l’Isola di Ventotene — a 45 miglia da Napoli — il costo di un metro cubo d’acqua trasportata, raggiunge la cifra di L. 3740), è stato — per ora — adottato a Ventotene un impianto di distillazione per termocompressione, che rende potabile l’acqua di mare.

    Fattori positivi, ancora, per un notevole sviluppo turistico sono stati il sorgere di piccoli alberghi, bei luoghi di ritrovo e l’apertura di strade panoramiche, che si snodano lungo le pittoresche cale, valorizzando così uno dei più preziosi patrimoni naturali di Ponza in particolare. E l’incremento dei collegamenti con il continente — in una visione più realistica, che tenga conto dei punti d’approdo sulla costa laziale più vicini a Roma per facilità di collegamenti (per es. : Anzio, San Felice Circeo, Terracina, ecc.) — è, d’altra parte, una premessa essenziale al progresso turistico ed economico delle isole.

    Attualmente l’arcipelago (specialmente Ponza) attira particolarmente gli appassionati della pesca subacquea e gli stranieri (in verità non molti) ed alcuni altri incantati delle bellezze ancor primitive della sua natura. Le isole non possono dunque contare, per ora almeno, su di un flusso turistico che apporti un effettivo benessere economico, come quello che interessa le Isole Partenopee.

    L’impostazione della propaganda turistica nella frase « Ponza, isola di Roma » stabilisce il giusto traguardo di una vita migliore, che deve essere raggiunto a beneficio di tutto l’arcipelago.