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Le attività industriali e commerciali

    Attività industriali e commerciali

    Le risorse del sottosuolo

    Prima di passare alla trattazione delle singole risorse del suolo e del sottosuolo delle Marche è interessante mettere in evidenza le maggiori caratteristiche che sono alla base dell’attività economica della regione.

    L’andamento del rilievo, le forme del suolo, il clima sono tutti fattori che influiscono veramente nell’utilizzazione delle risorse, tanto che come si è visto la fonte prima dell’attività economica delle Marche è l’agricoltura, che tuttavia per le condizioni naturali non ha trovato fino ad ora possibilità di uno sviluppo a carattere intensivo. Non si può dire che la regione sia stata favorita da ricchezze di sottosuolo, tali da incrementare la grande industria moderna, infatti le poche ricchezze legate alla struttura litologica del terreno hanno determinato soltanto lo sviluppo dell’industria domestica e artigiana; tuttavia anche questa regione, che per ora risulta essere una zona depressa, tende, per le maggiori disponibilità di energia motrice e per il miglioramento delle vie di comunicazione rese più comode e rapide, ad evolversi anche nel campo industriale.

    La natura non ha favorito la regione soprattutto per quanto riguarda quei minerali che oggi servono per il funzionamento della grande industria, come i combusti-bili fossili, il petrolio, il rame ed altri metalli, e infatti vi sono diffusi i terreni delle ère terziaria e mesozoica, particolarmente ricchi di gessi miocenici, zolfo, calcari e altri materiali da costruzione. Il minerale zolfifero, che si trova localizzato al di sotto degli strati gessosi del Miocene superiore, si sviluppa in due fasce, una più interna o appenninica, che si estende dal Montefeltro al confine marchigiano, sino a nord di Fabriano, interrotta dal Gruppo del Carpegna e dal Monte Nerone, con le miniere

    attive di Perticara (Mercatino Marecchia), Cabernardi (Sassoferrato) e Murazzano (tra Sassoferrato e Fabriano); l’altra fascia, più esterna o adriatica, assai discontinua, si inizia a destra del Foglia sino ai giacimenti zolfiferi della regione di Cìngoli, con le miniere più importanti di Talacchio di Albani (Urbino), di Serrungarina (a sud-ovest di Montemaggiore di Pesaro); connessa con le risorse minerarie è la raffineria di zolfo a Bellisio, nel Comune di Pergola. Il gesso offre pure abbondante materia prima, sia come pietra da costruzione (per scale, stipiti, ecc.), sia come gesso da presa, estratto dalle cave di Camerano, del Cònero, di Beiforte del Chienti, di Sas-sofeltrio e Mombaroccio.

    Fabriano, fornace di laterizi.

    Diga sul Metauro presso Fossombrone.

     

    Per l’abbondanza dei terreni cenozoici e terziari sono diffusi i calcari più vari, utilizzati come materiale da costruzione e per la fabbricazione di calce e di cemento: ottimi i calcari bianchi del Monte Cònero (Sirolo e Ancona), i calcari da scogliera delle cave della Rossa (Serra San Quirico), quelli di San Severino, Pesaro, Matelica e Serrapetrona; l’alabastro del territorio della Genga, l’eccellente calcare litografico delle falde del Monte Petrano (Cagli), ma fra tutti il più noto è il travertino d’Ascoli (lapis asculanus) del Pleistocene, usato da tempo come rinomato materiale da costruzione.

    Largamente utilizzate mediante cottura per stoviglie e laterizi sono le argille turchinicee del Pliocene, che, in forma di potenti strati, ricoprono i gessi miocenici. Altra materia prima ricavata dal terreno affiorante, sono le arenarie del Miocene, che in quasi tutti i centri marchigiani vengono usate per la pavimentazione stradale. Le più note sono quelle estratte dalle cave di Serra San Quirico, di San Donato a nord di Fabriano, di Cìngoli presso San Esuperanzio e di San Severino. Poca importanza per l’industria estrattiva marchigiana hanno gli scisti bituminosi e i sedimenti di lignite affioranti, ad esempio, nell’alto corso del Potenza, dell’Esino o del Sentino, al di sotto di Sassoferrato. Nella zona montana di Sassoferrato e in quasi tutto il gruppo del San Vicino, sono frequenti gli ossidi fenici (limonite ed ematite), utilizzati, nel passato, per l’estrazione del ferro.

    Se la recente costituzione litologica non favorisce il territorio marchigiano per i giacimenti minerari, lo rende invece ricco di sorgenti d’acqua mineralizzata, termale, solfurea, ferrugginosa e salso-iodica. Le più conosciute sono le p .iso-iodiche saline (temperatura 15°) dell’Aspio presso Ancona, ad azione purgativa le solfureo-termali (temperatura 37°) di Acquasanta del Tronto, note sin dall’epoca romana, e quelle di Penna San Giovanni.

    Lago artificiale di Valcimarra (alta valle del Chienti).

    Per quanto la mancanza di molte materie prime necessarie alla grande industria moderna, abbia contribuito a mantenere l’agricoltura come base fondamentale dell’economia marchigiana, tuttavia anche qui come in altre parti d’Italia, si tende ad una fisionomia economica agricolo-industriale, con l’utilizzazione di quelle poche condizioni favorevoli all’installazione e allo sviluppo industriale. L’energia delle acque correnti condotte ad azionare centrali idroelettriche è stata adoperata sempre più largamente specialmente dopo la seconda guerra mondiale. I bacini artificiali creati per la produzione di energia idroelettrica sono in prevalenza localizzati nella « quinta marchigiana esterna » del San Vicino, che costituisce la propaggine orientale dell’Appennino marchigiano. In questa zona le precipitazioni sono abbondanti in primavera ed autunno e scarse in estate, con medie annue di 1200-1300 mm. ; si determina, quindi, la necessità di creare dei bacini, che immagazzinino le acque per distribuirle poi in modo regolare; i corsi d’acqua maggiormente utilizzati sono il Metauro con l’affluente di destra, il Candigliano, l’Esino ed affluenti, il Potenza, il Chienti ed affluenti, il Tronto e l’alta Nera.

    Campi coltivati ai piedi dell’Appennino, sullo sfondo il lago di Fiastra.

    Le Marche, che devono importare energia elettrica dalle regioni vicine, hanno 54 centrali idroelettriche con una potenza installata di 100.599 kW, distribuite in relazione alla potenza installata, secondo l’unita tabella:

    Numero delle centrali con potenza installata

    da 15.000 a 5001 kW

    da 5000 a 1001 kW

    da 1000 a 501 k\W

    non superiore a 500 kW

    Numero totale delle centrali

    4

    10

    9

    31

    54

    Le centrali di più antica creazione con potenza elettrica installata superiore a 1000 kW sono distribuite abbastanza uniformemente nelle varie province.

    Poco fa si diceva che questo tipo d’industria ha subito anche uno sviluppo recente e infatti i bacini idroelettrici costruiti dal 1953 al 1957 sono cinque ed occupano una superficie di 109 ha.; anche questi dati negli ultimi due anni hanno avuto un sensibile incremento specie per quanto si riferisce alla potenza installata, e l’evoluzione tuttora in atto non permette di dare un quadro generico dell’industria idro-elettrica. Il bacino più recente è quello installato nel 1958 a San Lazzaro alla confluenza del Metauro col Candigliano; le acque con una galleria di 7486 m. sono deviate verso la centrale di Ponte degli Alberi; la potenza complessiva è di 11.650 kW e la producibilità dell’impianto di 40 milioni di kWh.

    Di tutti questi bacini il più capace è quello di Serradora di Fiastra, nella valle del Fiastrone, con 20 milioni di me. Il valore annuo complessivo della produzione di energia elettrica marchigiana nell’anno 1953, era di 313,6 milioni di kWh; in tale valore non è compresa la potenzialità dei nuovi bacini.

    Alla utilizzazione delle risorse idriche, come si vede, si cerca di dare un incremento notevole e questo soprattutto al fine di creare condizioni favorevoli per lo sviluppo industriale di tutti gli altri settori, che attualmente è piuttosto modesto.

    Le industrie

    È noto che le Marche sono la regione meno industriale nella media delle regioni italiane; il terzo censimento generale dell’industria e del commercio del 5 novembre 1951 rilevò soltanto 42.329 esercizi con 137.972 addetti, valori che messi a confronto con quelli totali della penisola (1.504.027 esercizi con 6.781.092 addetti), dicono chiaramente come la popolazione addetta all’industria non raggiunga neppure il valore che la regione dovrebbe avere in rapporto al numero dei suoi abitanti. Inoltre consultando i dati relativi alle varie categorie industriali si può osservare che la maggioranza degli addetti lavora in esercizi artigiani o nella piccola industria.

    Il massimo di esercizi (13.520) e di addetti (54.644) spetta alla provincia di Ancona; delle due province meridionali Ascoli ha il massimo di esercizi (10.408), Macerata il massimo degli addetti (27.805).

    Per quanto riguarda la localizzazione delle industrie, si può notare che le metalmeccaniche, le chimiche e le farmaceutiche sorgono in prevalenza sulla costa per ragioni connesse all’attività commerciale che si lega appunto alla funzione portuale della costa stessa; le industrie minori e le attività artigiane sono sparse un po’ dovunque, con una maggiore concentrazione nella vallata dell’Esino, che gravita su Ancona, in quella del Tronto, e nella sinclinale limitata dai rilievi del Càtria e del San Vicino, con Fabriano, il centro principale della regione. Delle quattro province marchigiane la provincia di Ancona è quella che possiede un numero maggiore di industrie piccole, medie e grandi, alcune delle quali ben note in Italia e all’estero per la varietà e il pregio dei loro prodotti. Purtroppo, come conseguenza della seconda guerra mondiale, le attività industriali e commerciali hanno fatto registrare un rallentamento nella loro capacità produttiva anche in relazione all’incerta situazione economica interna ed internazionale.

    Legati alla distribuzione della popolazione, al clima ed al paesaggio collinare sono la coltura del gelso e l’allevamento del baco da seta, un tempo molto più diffusi tra le popolazioni contadine. Sebbene l’industria della seta stia subendo da diversi anni una flessione sconcertante, fenomeno comune a molte altre località italiane, tuttavia la bachicoltura è ancora largamente praticata in tutte e quattro le province; Ascoli e la valle del Tronto sono, in particolare, specializzate nella confezione del seme-bachi, mentre l’industria della trattura della seta ha il suo centro in Òsimo e Jesi, dove è sorto pure uno dei maggiori cascamifici nazionali. Altre filande si hanno ad Urbino, Pesaro, Fossombrone, Fano, Senigallia, Recanati, Urbisaglia, Ascoli e in molte altre località minori.

    Cause principali della flessione sopraccennata di questa antica industria, sono la graduale contrazione del consumo di tessuti serici in sèguito all’immissione in commercio delle fibre artificiali e sintetiche e la notevole importazione di seta giapponese e di cascami cinesi, consentita a prezzi di concorrenza. La trattura della seta, il cui inizio si fa risalire al 1841 quando la casa ducale di Leuch-temberg installò la prima filanda a Fossombrone, si diffuse ben presto e nel 1843 sorgeva a Jesi la seconda filanda con 28 bacinelle e già nel 1845, nella sola provincia di Ancona, esistevano 12 filande con 250 bacinelle ed oltre 1000 operai; le filande salivano nel 1924 a 37 con 2800 operai che lavoravano per oltre 6 mesi all’anno e raggiungevano nel 1928 il numero massimo con 39. Attualmente, sempre nella provincia di Ancona, esistono 22 filande che dànno lavoro a 1200 operaie per circa due mesi all’anno. Questi dati valgono a mettere in evidenza la grave crisi che ha colpito il settore.

    Nel gruppo delle industrie tessili riveste una certa importanza l’industria laniera localizzata soprattutto nelle zone dell’alta collina anconetana, maceratese e ascolana, non solo per la tradizionale fabbricazione dei cappelli di feltro, attività tipica di alcuni paesi del Montefeltro, ma anche per i filati ed i tessuti. Le industrie del cotone, della canapa e della iuta trovano la loro localizzazione in Pesaro, Jesi, Ancona, Fermo e Porto Civitanova.

    Antica è pure l’industria dei cappelli di paglia, con carattere artigiano, esercitata da un gruppo di paesi della regione fermana, prossimi al Tenna.

    Maggiore importanza storica ed economica ha l’industria della carta, che trova condizioni favorevoli per il clima umido a Fabriano e a Pioraco. Fabriano, nota sin dal Duecento, è famosa non solo per l’ottima carta di straccio a mano, da disegno, da incisione, da lettera, ma anche per le filigrane per carte valori. Questa attività si trasformò da artigianale in industriale intorno alla fine del XVII secolo ed oggi nella città conta due grossi stabilimenti; rispetto all’arte cartaria le cartiere Miliani di Fabriano si possono considerare quasi un museo storico, nel senso che accanto alle tecniche di lavorazione più progredite vengono mantenuti in vita ancor oggi i sistemi dei secoli passati, come il mulino idraulico a maglio che trasforma in pasta gli stracci di canapa e di lino. Pure Pioraco, situato nell’alta valle del Potenza, ha fama mondiale per la perfezione della carta filigranata e della carta da bollo.

    Confezione artigianale dei cappelli di paglia presso Falerone

    Le cartiere di Piòraco.

    Ascoli invece è specializzata nella fabbricazione dei cartoncini da gioco, mentre Tolentino sul Chienti e Jesi sull’Esino, hanno importanza per la lavorazione della carta-paglia. La produzione media annuale si aggira sui 148.000 quintali e negli ultimi anni che per l’industria in genere sono stati di crisi, lo sfasamento tra produzione e vendita è stato trascurabile.





     

    1957

    1958

    Produzione carta q. 169.873 174.700
    Vendita      
    Mercato interno q. 144.138 146.962
    Mercato esterno q. 5.495 951

     

    Totale q.

    I49-633

    I47-9I3

    Connessa con l’industria cartaria è l’arte della stampa che ebbe a Jesi uno dei primissimi centri d’Italia. Oggi tipografie, litografie e xilografie, dove i lavori vengono curati da artefici, custodi dell’antica tradizione, fioriscono soprattutto intorno ai due centri maggiori di Ascoli e Fabriano; importanti centri di questa tipica industria regionale, sono pure Jesi, Tolentino, Cìngoli, Recanati, Macerata ed Ancona.

    Tradizionali sono pure l’industria dei merletti a tombolo, soprattutto ad Offìda, delle campane, delle sedie (Civitanova) e l’industria delle calzature, con produzione di pantofole, scarpe di tela, sandali, calzature per bambini, localizzata specie in provincia di Ascoli. Altri calzaturifici esistono a Porto Civitanova, Ancona, Castelfi-dardo, Matelica, ecc. Rinomate, sin dal Quattrocento e Cinquecento, sono le ceramiche marchigiane con le maioliche di Pesaro, Fabriano, Recanati ed Ascoli, come pure i rami ed i ferri battuti, usati per strumenti da lavoro e per utensili domestici.

    Un cenno a parte merita l’industria delle fisarmoniche sia per la caratteristica del prodotto sia per l’importanza economica che assume; sembra che originariamente sia sorta a Castelfidardo ad opera di Paolo Soprani che nel 1863 ne avrebbe creato la prima fabbrica. Ben presto l’industria, per la crescente richiesta dei nostri emigrati negli Stati Uniti d’America, che ebbero il merito di diffonderne la conoscenza, si sviluppò con una tecnica sempre più evoluta, tanto che nel 1955 esistevano 241 fabbriche con 5.536 addetti, dei quali più del 90% localizzati nella sola provincia di Ancona. Tipico prodotto marchigiano, la produzione delle fisarmoniche rappresenta 1*80-85% di quella nazionale e quella della provincia di Ancona il 70-75%. La conquista del mercato mondiale, ha avuto come conseguenza la creazione di altre fabbriche, specie dopo la seconda guerra mondiale, nelle province di Macerata e di Pesaro e Urbino. Il più forte mercato di esportazione è ancora quello degli Stati Uniti d’America, che assorbe più della metà del prodotto totale. Buoni mercati sono pure, in ordine di importanza, quelli dell’Europa Occidentale, con la Scandinavia, Benelux, Francia, dell’Oceania, dell’America Centrale e Meridionale e dell’Asia.

    Nella tabella relativa alla esportazione si può meglio notare la consistenza dei mercati dei singoli paesi che per gli anni dal 1952 al 1957 è rilevabile anche dal grafico.

    Esportazione delle fisarmoniche

     

    Anno 1957

     

    Anno 1958

     

    Mercati di destinazione

    Pezzi %

    Valore %

    Pezzi %

    Valore %

    Nordamerica

    66,65

    65,05

    57,78

    56,02

    Europa Occidentale

    18,03

    20,97

    21,30

    20,62

    Oceania

    4,27

    4,20

    7,46

    6,11

    America Centrale e Meridionale

    1,72

    1,46

    6,67

    10,65

    Asia

    6,55

    5,92

    3,.46

    2,96

    Africa

    2,78

    2,40

    1,84

    I.03

    Europa Orientale

    1.49

    2,6l

    Il mercato U. S. A., come si vede assorbe una minore quantità di prodotto e la diminuzione ha aperto nell’intero settore una crisi preoccupante. Tra le cause che hanno influito negativamente sull’esportazione, sono la concorrenza dei paesi dell’Europa Orientale, quali Germania Est, Polonia, Cecoslovacchia, che stanno invadendo i mercati consumatori con prezzi assai bassi sebbene con prodotti di qualità inferiore; l’istituzione di dazi doganali elevatissimi (Argentina e Brasile) e la produzione propria di alcuni paesi (Giappone, Jugoslavia, Brasile). In sèguito alla crisi l’industria si è in parte trasformata e si è iniziata la produzione di piccoli organi elettrici, mediante la conversione di una parte del materiale tecnico ed organizzativo, prima assorbito dalla produzione delle fisarmoniche. Questi piccoli organi elettrici, contenuti in un astuccio a valigia e facilmente trasportabili, hanno acquistato, in breve tempo, una discreta popolarità, sì da provocare una larga serie di ordinativi non solo dal mercato interno, ma anche dall’estero e soprattutto dagli Stati Uniti d’America. E da ritenere, quindi, che tale industria possa superare la crisi ed avviarsi verso un periodo di tranquillità.

    Altra tipica industria è quella delle « corone da rosario », che ha come centro principale Loreto; essa è esercitata da oltre un migliaio di operai, in genere donne, che esplicano prevalentemente la loro attività a domicilio. La maggior parte della produzione dei rosari è esportata nei mercati degli Stati Uniti e del Canada dove il livello dei prezzi è determinato, in particolare modo, dalla concorrenza giapponese; solo gli U. S. A. assorbono oltre il 50% delle esportazioni.

    Alle industrie caratteristiche marchigiane, seguono in ordine di merito economico le grandi industrie regionali, che sono tra le più antiche e diffuse, come l’industria delle fornaci, quella molitoria e quella della concia delle pelli. La preparazione del « cotto » usato come materiale costruttivo, è una prerogativa degli artigiani marchigiani apprezzatissimi in tutta Italia. La localizzazione delle fornaci per laterizi è legata alla costituzione del suolo cioè alla presenza delle argille plastiche del Pliocene, diffuse nelle basse piane fluviali e nella zona collinare dell’Appen-nino. Grandi e fiorenti fornaci di laterizi troviamo a Senigallia, Falconara, San Benedetto del Tronto, Potenza, Grottammare nella fascia litoranea; a Mondavio, Orciano, Osimo e Macerata a metà collina; Fermignano, Jesi, Chiaravalle e Castel di Lama in fondovalle. Tra queste una particolare menzione meritano i due stabilimenti di Falconara Marittima e di Osimo, dotati di modernissimi e potenti impianti e di operai specializzati. Anche questa industria, come qualsiasi altra industria della regione, secondo le statistiche del 1958, è in fase di rallentamento, se non addi rittura in crisi e ciò è da porsi in relazione non soltanto all’industria edilizia, pure in notevole flessione, ma soprattutto alla situazione economico-fmanziaria generale della regione stessa, ormai considerata zona depressa. L’industria cementizia pure, che utilizza come materia prima calcari e marne locali, sta assumendo sempre maggiore sviluppo: nella sola provincia di Ancona si contano quattro stabilimenti, di cui il più importante è, senza dubbio, quello della « Italcementi » di Senigallia. Fornaci da gesso, che utilizzano il materiale locale, hanno il loro centro in Porto Recanati.

    Esportazione delle fisarmoniche (numero e valore)

    Intimamente connessa con l’agricoltura, è l’industria molitoria, disseminata in tutti i capoluoghi di provincia e nelle zone di maggiore popolamento. Le farine sono oggetto di notevole esportazione e vengono assorbite dai mercati dell’Italia meridionale, da quelli di Roma e di Bologna. Modernissimi e grandiosi molini troviamo ad Ascoli, Porto Civitanova, Chiaravalle, Macerata ed altrove. Ascoli è uno dei maggiori mercati di paste alimentari: esse vengono largamente esportate nel Lazio ed in Calabria.

    Visso, fornace di laterizi.

    Le concerie di pelli, sebbene risentano più di ogni altra industria della crisi generale, sono ancora fiorenti nell’alto maceratese, nella provincia di Ancona e nel Chienti (Tolentino e Pausula).

    Industrie relativamente recenti sono quelle dei tabacchi che hanno a Chiaravalle un grande stabilimento, e dei mobili (Ancona, Recanati e Macerata). In relazione all’industria del legno, nella provincia di Ancona trovasi una fabbrica che lavora articoli di lusso per fumatori, che vengono principalmente esportati all’estero. In questo settore il prodotto è lavorato quasi interamente a mano.

    Recenti sono pure l’industria dello zucchero e della distilleria, localizzati, in particolare, ad Ancona, Jesi e Senigallia; dei fiammiferi (a Jesi e a Macerata), della birra (a San Giusto sul Chienti) e dei cicli (a Macerata e Porto Civitanova).

    Recentissime, cioè appartenenti al nostro secolo, sono le industrie meccaniche e metallurgiche, che stanno acquistando sempre maggiore importanza nell’economia generale della regione.

    La maggiore delle industrie, in questo settore, è il « Cantiere Navale di Ancona » il quale, costruito dall’antica Camera di Commercio nel 1843, fu ceduto in sèguito alla società « Cantieri Navali Riuniti ». Inaugurato nel 1889, subì negli anni successivi varie trasformazioni ed ampliamenti ed oggi occupa un’area di oltre 130.000 mq.

    Cantiere per motopescherecci a Porto Civitanova.

    Una nave in allestimento nei cantieri navali presso il porto di Ancona.

    Ancona, i cantieri navali.

    Il cantiere, l’unico del medio Adriatico, oltre che alla costruzione e riparazione di navi, provvede anche alla costruzione di macchinari industriali (motori Diesel, moto-compressori per gas e macchine per l’industria saccarifera), alla costruzione di carpenteria metallica in genere ed alla costruzione e riparazione di carri ferroviari.

    Di una certa importanza sono pure i cantieri navali di Pesaro e Fano, in cui si effettuano lavori di costruzione, riparazione e ordinaria manutenzione

    delle navi, affiancati anche da una attività armatoriale, oggi piuttosto ridotta per i bassi noli.

    In sèguito alla rarefazione di richieste per la costruzione di nuove unità, nonché per la concorrenza estera, prevalentemente tedesca e giapponese, i cantieri navali minori e pertanto il cantiere di Ancona, stanno entrando in una crisi invero preoccupante. A tal fine si cerca di modificare le attrezzature in modo da aggiungere alle attività già esistenti quella di ricostruzione del naviglio peschereccio fuori uso e quella di costruzione di motopescherecci in legno e ferro destinati alla pesca d’alto mare, di natanti da diporto, di rimorchiatori, e di convogliare la produzione verso i paesi rivieraschi del basso Mediterraneo.

    L’industria delle macchine agricole ed olearie è diffusa un po’ ovunque con piccole unità, ma il più consistente e tradizionale centro di produzione è a Jesi; la produzione in generale ha subito una flessione sconcertante in questi ultimi anni per il mancato assorbimento del mercato interno. Degne di menzione sono pure le fabbriche di motocicli e per la produzione di impianti e macchine da molini della provincia di Pesaro e Urbino.

    L’industria moderna annovera nelle Marche anche l’industria chimica, che solo nella provincia di Ancona vanta due stabilimenti di fama nazionale per ottimi ed apprezzati preparati chimici e farmaceutici. In Ancona ha sede pure una grande industria per la spremitura di semi di ricino, di lino e di vinaccioli. Uno stabilimento chimico assai apprezzato è quello di Montemarciano (provincia di Ancona), gestito dalla Montecatini per la produzione di concimi ed acido solforico e che, risorto dalle rovine della guerra, occupa oggi circa 200 operai. In Ascoli i maggiori stabilimenti industriali sono quelli per la produzione deH’elettrocarbonium, del carburo e della calciocianamide. Stabilimenti chimici per la produzione di concimi sono localizzati pure a Porto Recanati e a Sant’Elpidio.

    Una grande ed importante industria che influisce in maniera rilevante nell’economia della regione è la raffineria dell’Anonima Petroli Italiani (A. P. I.), che, iniziata la sua attività nel gennaio del 1951 a Falconara Marittima, ha raggiunto uno sviluppo tale da occupare un posto di prim’ordine nelle industrie petrolifere italiane. La crescente attività può essere osservata dal seguente prospetto:

    Anni

    Importazioni greggio intonnellate

    | Esportazioni prodotti finiti in tonnellate

    tonn.

    tonn.

    1951

    269.401

    7.745

    1952

    421.084

    65.083

    1953

    666.628

    198.786

    1954

    804.201

    355.886

    1955

    788.363

    432.504

    1956

    834.162

    392.557

    1957

    999-575

    491.339

    In questi ultimi anni si è accertata la presenza nel sottosuolo marchigiano di idrocarburi; al loro rinvenimento seguirà, senza dubbio, un’ulteriore evoluzione delle attività industriali. Il primo pozzo funzionante è quello di Rapagnano (provincia di Ascoli) in attività dal 1952 e dal quale si estraggono oltre 4 milioni di me. l’anno.

    L’industria estrattiva dello zolfo, pur risentendo di una certa contrazione, primeggia ancora nelle miniere di Cabernardi presso Sassoferrato, la cui produzione, che nel periodo prebellico raggiungeva le 60.000 tonnellate annue, è alquanto diminuita in seguito aH’esaurimento dei giacimenti; il prodotto veniva largamente esportato dal porto di Ancona in Germania, Inghilterra, Finlandia, Egitto, Grecia, Turchia e Sud Africa. Attive sono pure le miniere di Perticara nel Comune di Novafeltria in provincia di Pesaro. Connessa con l’industria estrattiva è la raffineria di zolfo di Bellisio Solfore nel Comune di Pergola, la quale peraltro risente della flessione che ha colpito questo settore.

    Come conclusione si può dire che le Marche in questi ultimi anni hanno sensibilmente migliorato le proprie attrezzature al fine di ottenere risultati tali da fronteggiare la concorrenza. Tuttavia, come conseguenza di un rallentamento delle attività produttive per effetto del minor assorbimento da parte dei mercati interno ed estero, flessione di carattere nazionale e mondiale, la regione marchigiana si può considerare una zona depressa, specie sul piano industriale.

    Commercio

    Connesso con le attività agricole e industriali e con lo sviluppo delle comunicazioni è il commercio, che non trova, del resto, nelle Marche per le particolari condizioni naturali, facile possibilità di sviluppo. La regione isolata dagli Appennini dal resto della penisola, si stende dai monti al mare con un paesaggio assai vario, per lo più montuoso e collinare, con valli a decorso parallelo, che non hanno certo agevolato i collegamenti delle sue parti; le coste, pur essendo importuose, risultano la zona di più intenso insediamento umano; infatti la fascia litoranea offre maggiore viabilità ed è inoltre legata ad una delle principali fonti di sostentamento: la pesca. Sui 174 km. di coste si succedono a brevi intervalli numerosi centri, quali Fioren-zuola di Focara, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Porto Recanati, Porto Civita-nova, Porto Sant’Elpidio, Porto San Giorgio, Pedaso, Cupramontana, Grottammare, San Benedetto, molti dei quali sono ora dei centri commerciali ed industriali di un certo valore. Meno numerosi, ma con una fiorente evoluzione commerciale ed industriale, sono i centri che si distribuiscono alle spalle della fascia litoranea, o in prossimità del corso medio dei fiumi, quando questi hanno superato la ruga più esterna del San Vicino, oppure tra le rughe del Càtria e del San Vicino. Tra i più noti sono degni di menzione, anche per la loro importanza storica, Fossombrone, Jesi, San Severino, Tolentino, Urbisaglia, Ascoli, Òsimo, Macerata, Urbino, Sassoferrato, Fabriano, Matetica e Camerino.

    Considerando la distribuzione della popolazione attiva, cioè gli individui di età superiore ai io anni dediti ad una attività nei diversi rami economici, si può avere un orientamento definito sull’attività commerciale della regione. Secondo i dati ufficiali del censimento del 1951 la popolazione attiva risulta di 640.454 unità ripartita come segue:

    Ripartizione popolazione attiva secondo attività economiche (1951).








     

    Cifre Assolute

    Percentuali

    Categoria

    Marche

    Italia

    Marche

    Italia

    Agricoltura

    385.867 8.261.160

    60,2

    42,2

    Industria e trasporti

    157.566 7.075.008

    24,6

    36,1

    Commercio

    48.857 2.395.171

    7.6

    12,2

    Altre

    48.164 1.845.941

    7,6

    9,5

    Totale

    640.454 19.577.280

    100

    100

    Raffrontando i vari dati si può osservare sùbito come modesta sia l’entità della popolazione addetta ai commerci; infatti soltanto il 7,6% è interessata a tale attività, valore che è inferiore di quasi la metà di quello della regione italiana (12,2%). Sebbene il commercio non sia largamente praticato, tuttavia ogni centro della regione è dotato di provvisti ed avviati negozi, di mercati in cui il commercio può essere fatto in sede fissa o in forma ambulante; il commercio al minuto prevale sempre su quello all’ingrosso.

    Ditte commerciali al 4 novembre 1951.


      Marche   Italia  

    Unità

    Addetti

    Unità

    Addetti

    Commercio ingrosso

    1.633

    4.501

    75.960

    244.388

    Commercio minuto

    12.272

    21.615

    501.860

    957.617

    Alberghi e pubblici esercizi …….

    3.247

    6.300

    135.115

    324.679

    Attività ausiliarie del commercio…..

    830

    1.201

    36.565

    62.874

    Totale

    17.982

    33.617

    749.500

    1.589.558

    Ai dati generali che si riferiscono alle cifre assolute degli addetti e delle unità commerciali si possono affiancare valori percentuali che valgono meglio a chiarire l’aspetto della regione in questo settore.

    L’ampiezza media dell’impresa ottenuta in base al rapporto tra il numero delle unità locali e quello degli addetti ha un valore piuttosto basso in confronto a quello nazionale.

    Addetti al commercio al 5 novembre 1951

    Numero (migliaia)

    Per unità locale

    Marche

    33,6

    1,86

    Italia

    1.589,5

    2,10

    D’altra parte anche gli indici di sviluppo commerciale paragonati a quelli delle altre parti d’Italia, indicano come nelle Marche, l’organizzazione commerciale raggiunga un valore di poco superiore a quello dell’Italia meridionale:

    Indici di sviluppo commerciale nel 1951

    % rispetto ai totali d’Italia

     

    Indice di sviluppo commerciale

    Popolaz. presente

    Addetti

     

    Ancona

    0,84

    0,70

    0,83

    Ascoli Piceno

    0,68

    0,45

    0,66

    Macerata

    0,63

    0,43

    0,68

    Pesaro e Urbino

    0,70

    0,52

    0,74

    Marche

    2,86

    2,11

    0,73

    Italia centrale

    18,45

    18,10

    0,98

    Italia settentrionale

    44,58

    56,60

    1,26

    Italia meridionale

    36,97

    25,30

    0,68

    Passando ora alla considerazione dei prodotti, i principali che alimentano correnti di esportazione all’interno ed all’estero sono per volume e valore, i cereali, gli ortaggi, il bestiame, le armoniche ed alcuni tipi di carta pregiata, seguiti dalle esportazioni di scarpe, cappelli di feltro e di paglia, ceramiche, lavori in ferro e rame battuto e infine lo zolfo.

    Il frumento, forse, costituisce la voce più sostanziale, esportato in grano, in farina o in forma di paste alimentari. Le farine in genere vengono assorbite dai mercati dell’Italia meridionale, da quelli di Roma e di Bologna, mentre le paste alimentari sono largamente esportate nel Lazio ed in Calabria.

    Esportazione grano della regione (in quintali)


    Province

    1951

    1952

    Ancona 527.736 678.797

    Ascoli Piceno

    142.675

    205.647

    Macerata

    552.998

    663.177

    Pesaro e Urbino

    317.100

    694.930

    Totale 1.540.509

    2-242-551

    Gli ortaggi vengono non solo assorbiti dai mercati interni ma alimentano pure i mercati dell’Europa centro-settentrionale, con direzione prevalente verso i mercati della Germania (cavolfiore).

    In notevole aumento sono le esportazioni di bestiame, rappresentate, quasi in assoluta maggioranza, da bovini e da polli. I bovini sono avviati nelle regioni limitrofe, verso i maggiori centri della Penisola soprattutto come animali da macello, con un valore in peso vivo di 109.000 quintali; pure il pollame, con una disponibilità di carne viva per l’esportazione di 32.744 quintali, determina cospicue correnti commerciali con tutte le regioni italiane.

    La carta e le ceramiche come si è fatto cenno più sopra a proposito dell’industria, alimentano pure notevoli correnti di scambio in Italia e all’estero.

    Nel settore commerciale della regione il porto di Ancona occupa un posto preminente, come emporio e come anello di congiunzione con l’Oriente e il Levante; tuttavia la sua importanza è alquanto diminuita, in questo dopoguerra, come riflesso, non solo della situazione politica ed economica nazionale ed internazionale, ma anche in rapporto al mutamento dell’orientamento dei traffici, dato che ora sono quasi cessati gli sbocchi con i paesi dell’altra sponda dell’Adriatico e con quelli dell’Oriente. Infatti se si esamina il movimento commerciale del porto di Ancona, si rileva una progressiva e graduale contrazione; la cifra più bassa è raggiunta in circa un ventennio nel 1950.

    Anno

    Merce sbarcata

    Merce imbarcata

    Movimento complessivo

    1947

    863.307

    3.884

    867.191

    1948

    661.951

    10.635

    672.586

    1949

    530.429

    26.937

    557.366

    1950

    407.461

    24.772

    432.233

    1951

    521.948

    20.761

    542.709

    Il porto di Ancona, per la sua felice posizione geografica, al centro della regione, e quale importante capolinea di linee ferroviarie per l’Italia del nord, del sud e per Roma, è sempre stato un porto prevalentemente di importazione. Il movimento delle merci indica la prevalenza quasi esclusiva delle merci sbarcate; le merci imbarcate infatti rappresentano soltanto il 3 % del movimento commerciale del porto stesso. Le merci imbarcate che provengono dalla regione marchigiana ed umbra e da una parte dell’Abruzzo, sono costituite soprattutto da vino ed olio, pasta alimentare e conserve, frutta ed ortaggi, zolfo, laterizi e cementi, manufatti delle industrie tessili e meccaniche, prodotti chimici e specialmente medicinali. Circa la metà delle merci del retroterra è trasportata dalla navigazione di cabotaggio ed è destinata ai porti minori dell’Adriatico ; il porto di Ancona cioè adempie ad una funzione di redistribuzione, nonché di rifornimento per via mare, delle altre regioni italiane. Le altre merci che appartengono in prevalenza ai fasci di rotte volti verso ovest e cioè verso il Mediterraneo centrale ed occidentale ed al fascio oltre Gibilterra, sono date in prevalenza dallo zolfo, richiesto in special modo dalle zone vinicole della Spagna e della Francia, dai paesi dell’Asia e dall’Australia e dalle regioni dell’industria tessile e della gomma di Francia, Germania e Gran Bretagna; dalla bauxite dell’Abruzzo e dal cemento dell’industria marchigiana imbarcato per la Germania, la Francia e la Gran Bretagna, il Belgio e i Paesi Bassi; da macchine, medicinali, tessuti di lana, di cotone e di seta, da vini pregiati e da pasto ; queste ultime merci sono inviate con prevalenza in Asia e in Africa. Più interessante è l’esame delle merci sbarcate dato che costituiscono la quasi totalità del movimento commerciale; anzitutto la merce che ancor oggi rappresenta più della metà del traffico d’importazione, è il carbone fossile, con un valore che ha toccato nel 1949 il 60% del movimento totale, nel 1950 il 56% e nel 1951 il 54%. Destinato soprattutto al rifornimento delle Ferrovie dello Stato, è pure richiesto dal mercato privato di una gran parte della Romagna e dell’Emilia.

    Panorama del porto di Ancona.

    La Germania, che prima della guerra teneva il primato per le esportazioni di carbone in Ancona è ancora la principale fornitrice, seguita dalla Gran Bretagna. Al secondo posto troviamo i fosfati ed i concimi chimici, che si importano in quantità rilevante dalla Tunisia e dall’Egitto, richiesti come fertilizzanti dal retroterra agricolo del porto di Ancona e daH’industria chimico-agraria, diffusa sul litorale marchigiano-romagnolo.

    Seguono i cereali ed in particolare il grano, con un movimento che si è mantenuto, in questi ultimi anni, sulle 60.000-70.000 tonnellate; essi provengono in prevalenza dall’Argentina e dal Canada. Al contrario la juta e le piriti, che prima della guerra alimentavano un traffico notevole, sono quasi del tutto scomparse. Un progressivo aumento dei traffici si ha in relazione all’intensificazione e all’incremento delle importazioni di petrolio, in particolare di gasolio, destinato alla raffineria della A. P. I. di Falconara, per cui il porto di Ancona sta diventando uno dei maggiori porti petroliferi d’Italia; tale nuova attività potrà ravvivare il suo movimento che, in forte contrazione soprattutto per la mancanza di sbocchi e di scambi con l’altra sponda, in particolare con Zara e con i paesi della penisola balcanica, risente più d’ogni altro porto deH’Adriatico la crisi che ha colpito il settore. Il movimento di passeggieri che prima della guerra era rilevantissimo specie con Zara e Fiume, è oggi quasi completamente cessato.

    L’importanza che il traffico portuale ha nei confronti di quello regionale è messa in evidenza dal movimento delle stazioni di Ancona Centrale e Marittima, che provvedono allo smistamento delle merci nelle regioni limitrofe; tra le merci caricate, che rappresentano la corrente di maggiore importanza, figurano soprattutto i combustibili ed i prodotti chimici con un valore complessivo di 310.049 tonnellate; le merci in arrivo sono solo 1/8 di quelle in partenza (21.143 tonnellate nel 1950) con prodotti siderurgici e generi alimentari, destinati all’industria ed al consumo delle Marche.

    La città di Ancona con una parte del porto.

    La circolazione

    La differente utilizzazione del suolo delle Marche e la naturale povertà del medesimo determinò lo stabilirsi di vie di comunicazione tendenti ad assolvere il compito degli scambi tra ambienti geografici diversi, in particolare a mettere a contatto aree poste a differente altitudine e ad allacciare rapporti con le altre regioni; solo in questo modo nel tempo si è potuto raggiungere un certo equilibrio tra le risorse locali ed i bisogni della popolazione che in alcune ristrette aree raggiunge una densità più elevata di quanto potrebbero sopportare le risorse stesse. Oltre che agli scambi, in questa regione le vie di comunicazione servono anche per le necessità turistiche, cioè per un settore economico il cui sviluppo è ancora in buona parte potenziale. La morfologia delle Marche però ha opposto numerosi ostacoli alla formazione di una rete stradale capace di mantenere un certo equilibrio fra le varie necessità sia economiche che antropiche; gli ostacoli sono costituiti soprattutto dalla posizione della regione compresa in una fascia allungata tra il mare e gli Appennini, frazionata da una serie di incisioni vallive che nella parte più a monte sono spesso strette e profonde. La natura stessa del suolo, spesso costituita di terreni pliocenici, di sabbie, di ghiaie e di calcari, poco stabili e con inclinazione ora molto forte ora dolce, è stata un fattore negativo nei confronti delle comunicazioni.

    Dati gli elementi fisici del paesaggio si sono venute a costituire nella regione due direzioni principali nelle arterie stradali: Tuna longitudinale rispetto alla catena appenninica diretta da sud a nord, l’altra invece trasversale con direzione prevalente est-nordest. Quest’ultimo fascio forse in quanto ad importanza è preponderante sul primo, poiché serve oltre che per le comunicazioni con l’esterno per l’allacciamento fra le differenti fasce altitudinarie della regione ad economia diversa.

    Tutte le strade per poter superare l’ostacolo naturale opposto dagli Appennini sono costrette a passaggi obbligati per i valichi più facili e più depressi ; procedendo da nord verso sud s’incontra prima al limite con l’Emilia il Passo di Viamaggio di 988 m. che mette in comunicazione la valle della Marecchia con la vai Tiberina; successivamente la Bocca Trabaria di 1044 m. che congiunge il Metauro con la stessa vai Tiberina; la Bocca Serriola di 730 m., il Passo della Scheggia di 575 m., il Colle di Fossato di 740 m., il Passo di Colfiorito di 818 m., già spostato sul versante umbro e quello di Forca Canapine di 1543 m.

    La posizione dei vari valichi, dipendenti dall’andamento delle catene appenniniche, fa sì che il tracciato delle vie di comunicazione sia disposto quasi ad angolo in modo da rendere più lunghi e più faticosi i percorsi.

    Le strade transappenniniche furono già utilizzate dagli Etruschi e dai Romani e derivarono dalla trasformazione di precedenti mulattiere costruite alle volte con andamento assai irregolare per allacciare i castelli o i vari centri posti o in pendio o al margine di piccole sommità. Dagli Itineraria Romana del Miller si possono desumere le principali direttrici delle comunicazioni che, facendo nodo a Foligno, si diramavano verso la costa; la Flaminia dirigendosi approssimativamente verso nord e dopo aver attraversato il Passo della Scheggia e la Gola del Furio entra nel bacino del Metauro per raggiungere il mare a Fano. L’altra direttrice invece volge ad est e forma due nodi, il primo ad Urbisaglia da cui deriva una diramazione a sud verso Ascoli Piceno e una a nordest verso Osimo e Ancona; il successivo nodo di Pau-sula invece fa biforcare la strada verso Porto San Giorgio e Porto Recanati. Un’altra strada proveniente da Roma, la Salaria, raggiunge il mare sulla sinistra del Tronto. Tutti questi tronchi raggiunto il mare si inseriscono in una strada costiera che segue tutto il litorale.

    La Gola della Rossa lungo l’Esino e la via Clementina.

    A queste vie antiche trasversali rispetto alla catena appenninica se ne aggiunsero nel tempo altre necessarie a soddisfare le più evolute esigenze del traffico e tra esse sono la strada del Chienti, che entrando nel versante adriatico attraverso il Passo di Colfiorito è l’arteria più breve che collega Roma col medio Adriatico; la Clementina che dal Passo di Fossato discende nella lunga Gola della Rossa e si insinua nella piana alluvionale dell’Esino inferiore, terminando sul litorale adriatico, e ancora più a nord la via che mette in comunicazione le Marche con l’Umbria passando dalla Bocca Serriola e quella più importante, la via di Toscana, che penetra nella valle del Metauro da Bocca Trabaria.

    Una tipica strada marchigiana di dorsale.

    Queste vie che la natura ha segnato attraverso l’Appennino sono ardue e mentre nella bassa pianura hanno un tracciato di tipo idrografico, che segue l’andamento dei corsi d’acqua principali, nella regione collinare o più propriamente montana hanno un tracciato di tipo orografico, che segue cioè le sommità delle dorsali; le anticlinali che disposte a cortina si susseguono a costituire l’orografia, sono spesso tagliate da gole profonde che le strade stesse debbono superare e al margine delle quali spesso sorsero centri fortificati di difesa.

    L’importanza economica che queste vie hanno sempre rivestito può essere ricavata dalla distribuzione dei centri lungo i loro percorsi, per esempio quelli lungo la via Clementina come Jesi, o lungo la via di Toscana: Fermignano, Urbania o lungo la via Flaminia, come Cagli e Cantiano, Fossombrone; specie la posizione di quest’ultimo è interessante allo sbocco del Metauro in pianura, a guardia del ponte sul fiume e della via Flaminia.

    Molto più complesse si presentano neirinsieme le vie longitudinali che non hanno trovato dei percorsi già predisposti dalla natura e che debbono superare le serie di colline che separano i vari solchi fluviali; nell’insieme si può dire che i collegamenti longitudinali hanno soltanto una funzione locale e per i raccordi tra le varie valli sono soggetti oltre che a percorsi poco comodi ad un forte frazionamento. Il collegamento più completo è quello che percorre la media collina e che con un continuo susseguirsi di piccoli dislivelli grosso modo va da Fossombrone fino a Pausula.

    Carattere del tutto diverso ha la grande via litoranea, detta Aprutina a sud del Monte Cònero e via delle Marche o Lauretana a nord del medesimo; collegandosi a nord con la via Emilia, essa costituisce il tratto medio adriatico della grande arteria italiana Brindisi-Po.

    Nel complesso si può dire che le vie di comunicazione nelle Marche hanno fino ad oggi assolto bene i compiti commerciali loro affidati; il maggiore sviluppo delle comunicazioni trasversali ha favorito gli scambi con la Toscana e con l’Umbria integrando le deficienze delle rispettive economie. Così, ad esempio, attraverso le strade della montagna sono giunti al piano i prodotti oleari dell’Umbria e della Toscana, il legname e le castagne, mentre direzione inversa hanno percorso i cereali, i prodotti dell’allevamento specie la carne. Lungo la principale arteria longitudinale invece i principali prodotti sono stati quelli ortofrutticoli e quelli della pesca.

    Se si esamina la funzione dei porti in questo allacciamento degli scambi interregionali, una certa importanza per le Marche è assunta soltanto dal traffico collegato con il porto d’Ancona che, come dice il Merlini, estende il suo retroterra economico a nord fino a Bologna, entrando per questo in concorrenza con i porti tirrenici, ma solo limitatamente alle merci che provengono dall’Oriente.

    Nell’insieme le comunicazioni marchigiane, come si vede, hanno una funzione limitata che non raggiunge mai una importanza nazionale e le ragioni di tale limitatezza dipendono quasi esclusivamente dalla morfologia della regione; il Merlini nell’esaminare i collegamenti tra il nord e il sud rileva che il traffico può essere alimentato soltanto da quello proveniente dalla via Emilia e dalla via Ravennate che però, non appena si innesta nell’Adriatica, deve superare la stretta tra Rimini e Pesaro, difficile sia per la pendenza della strada che per la presenza di numerosi centri abitati. Questo tronco di strada breve come percorso ma pieno di difficoltà per lo svolgimento agevole di un traffico veloce, è anche responsabile del fatto che le strade dei valichi dell*Appennino marchigiano non riescono a richiamare il traffico nazionale.

    Infatti qualunque traffico che dal versante tirrenico si dirige a nord nel versante adriatico percorrendo una di quelle strade, o la Flaminia per la valle del Metauro, o la Fabrianese per la valle dell’Esino, o la Maceratese lungo l’Aspio e il Potenza, deve necessariamente passare per la collina pesarese.

    La strada Adriatica incontra un secondo ostacolo presso Ancona, costituito dal complesso collinoso dei Monti di Ancona che si eleva alle spalle della città e dalla sbarra trasversale del Pinocchio che guadagna con un’ardita salita.

    Così le strade appenniniche marchigiane pur brevi nei confronti dei collegamenti con Roma, hanno sempre avuto soltanto una limitata funzione interregionale e anche con l’aumento del traffico sono relativamente poco congestionate.

    A questo inconveniente che è grave nei confronti dello sviluppo commerciale e industriale della regione, forse potranno porre rimedio le autostrade che sono in progetto: quella congiungente Bologna-Ancona-Pescara e che proseguendo per Foggia e Bari dovrebbe successivamente collegarsi alla Bari-Napoli.

    Ad onta delle considerazioni relative all’importanza delle vie di comunicazione marchigiane, se si dà uno sguardo al loro sviluppo si può osservare come nel complesso siano molto estese e come in rapporto alla superfìcie della regione siano inferiori solo a quelle dell’Italia settentrionale e superino, in rapporto alla popolazione, quelle di tutte le altre regioni italiane. Complessivamente hanno uno sviluppo totale di 20.836 km. e comprendono 673 km. di nazionali, 1.808 km. di provinciali, 7.969 km. di comunali e 10.386 km. di vicinali; il forte sviluppo delle ultime due categorie è una conseguenza diretta della densità e della distribuzione della popolazione sparsa.

    Il sistema stradale costituito dall’insieme delle vie nazionali, provinciali e comunali se pure ben tracciato è poco adatto al traffico pesante per la scarsa larghezza delle strade ma soprattutto, come si è visto, per la pendenza e quindi i maggiori scambi commerciali della regione si effettuano per mezzo delle ferrovie. Queste, ad onta dell’importanza che rivestono dal punto di vista economico, hanno uno scarso sviluppo, tanto che le Marche nella graduazione generale dell’Italia rispetto alle ferrovie vengono a trovarsi al terz’ultimo posto rispetto alle altre regioni, dopo la Lucania e la Sardegna. Nel complesso si hanno circa 600 km. di ferrovie con densità di 5,8 km. ogni 100 kmq. e soltanto il 35% dell’area totale della regione si trova ad una distanza da o a 5 km. da una linea ferroviaria, il 30% ad una distanza da 15 a 25 km., mentre all’estremità settentrionale della regione, cioè nel Montefeltro e all’estremità meridionale in corrispondenza dell’area montana dei Sibillini e del Vettore, tale distanza varia da 25 a 35 km. Questa situazione di netto sfavore può in buona parte essere messa in rapporto con le condizioni orografiche della regione che non solo determinano difficoltà per la costruzione, ma frazionano anche le correnti del traffico tanto da rendere poco conveniente il servirle con tronchi ferroviari.

    I tronchi ferroviari che servono la regione sono la litoranea adriatica Bologna-Rimini-Ancona e la Ancona-Pescara; il primo tratto a due binari ed elettrificato (1958) è il più antico, essendo entrato in funzione nel 1856; si mantiene parallelo alla costa e alla strada nazionale Adriatica fino a Pesaro. Il tronco Ancona-Pescara entrato in funzione nel 1861-62, è stato elettrificato solo recentemente; il tracciato, come la strada Adriatica, deve superare i Monti d’Ancona e per questo usufruisce di una galleria di 1600 m. e successivamente, discendendo la valle dell’Aspio e aggirando il promontorio del Cònero, torna presso la costa in vicinanza di Porto Recanati.

    Rete stradale e ferroviaria.

    A questa linea di grande traffico si innestano dei tronchi che penetrano verso l’interno della regione o superano la dorsale appenninica; il più importante è la Ancona-Roma che si innesta alla litoranea a Falconara; fu aperto nel 1866 ed elettrificato nel 1939. Il suo percorso relativamente facile nella bassa e media valle delFEsino, si fa difficile quando deve superare due volte il crinale appenninico, l’una con la galleria della Rossa, lunga 1220 m., l’altra con quella di Fossato, lunga 1800 metri.

    La Metaurense aperta nel 1916 si stacca dall’Adriatica a Fano e, raggiunto Fer-mignano, si riallaccia alla Urbino-Pergola-Fabriano innestandosi nel circuito Ancona-Roma; l’attività di questa ferrovia era stata sospesa nel 1933, poi fu riattivata fino a Fossombrone dal 1941 al 1943, infine ha ripreso nel 1948 dopo che furono riparati i danni dell’ultima guerra.

    Il tronco Civitanova Marche-Albacina dopo aver toccato Macerata e San Severino, si raccorda con la linea Matelica-Camerino e quindi si innesta anch’essa nel tronco Ancona-Roma.

    Nella parte meridionale della regione vi sono due tronchi a breve raggio e raccordati soltanto con la litoranea Adriatica, senza sbocco nella direzione dell’Ap-pennino: la linea Porto San Giorgio-Amandola che risale la valle del Tenna e quella Porto d’Ascoli-Ascoli Piceno che penetra attraverso la valle del Tronto.

    Dalla prima impostazione della rete ferroviaria non vi sono state nella regione delle estensioni soprattutto perchè in ogni parte vi è la tendenza non a moltiplicare le linee, ma piuttosto a migliorare quelle esistenti, sia come tracciato che come armamento; le ferrovie vengono cioè considerate in funzione economica e per questo hanno un interesse molto relativo le cifre della loro densità. Il Castiglioni, considerando in generale il problema della rete ferroviaria italiana, faceva notare questo già nel 1936 e poneva anche in evidenza che lo stesso rapporto tra l’estensione delle ferrovie e la popolazione va considerato con cautela in quanto molti fattori naturali ed umani concorrono a rendere più o meno utile lo sviluppo delle ferrovie in una determinata regione.

    Il porto-canale di Pesaro.

    La rete ferroviaria marchigiana come si è visto è meno densa nella parte meno popolata della regione e invece mostra un certo infittimento, rappresentato soltanto dall’agganciamento di due linee importanti, in vicinanza del centro maggiore: Ancona.

    I tronchi meglio serviti sono quello Ancona-Roma e successivamente quello Ancona-Bologna e dall’osservazione di questo si possono grosso modo ricavare le principali direttrici del traffico; l’intensità di questo è maggiore nella provincia di Ancona alla quale seguono quella di Macerata, Ascoli Piceno e poi quella di Pesaro, comunque però sia per i viaggiatori che per le merci esso si mantiene sempre entro limiti inferiori a quelli del resto d’Italia. Inoltre lo scarso sviluppo unitario della rete ferroviaria marchigiana fa sì che le comunicazioni fra i capoluoghi e il resto delle rispettive province siano frammentarie e a volte indirette, anzi per Ascoli Piceno si può dire che tali comunicazioni non esistano.

    Nel complesso della distribuzione regionale delle comunicazioni non si verifica un forte squilibrio fra le stazioni abilitate al servizio merci e quelle al servizio viaggiatori; il numero complessivo è rispettivamente di 85 e di 97. Il traffico viaggiatori risulta assai poco sviluppato in corrispondenza del tronco ferroviario compreso tra Porto San Giorgio e Ascoli Piceno oltre che tra Fano e Falconara. Questo però non conduce alla conclusione che il traffico sia scarsamente sviluppato nelle medesime aree, perchè l’uso delle ferrovie varia da luogo a luogo e spesso alla deficienza del traffico ferroviario si accompagna uno sviluppo dei servizi automobilistici sulla rete delle strade ordinarie.

    Non solo nelle due aree poco fa ricordate, ma in genere in tutta la regione l’iniziativa privata ha cercato di colmare la deficienza dei mezzi di trasporto ferroviari, promuovendo lo sviluppo di autolinee che oggi costituiscono una delle reti italiane più dense, tanto che Macerata, con le sue 15 linee irradianti in tutte le Marche e nelle regioni limitrofe, è uno dei principali centri automobilistici d’Italia.

    Nelle Marche funzionano oltre 400 autolinee, di cui 383 permanenti che provvedono al collegamento dei vari centri con i capoluoghi delle province e con i territori marginali della Romagna, Umbria, Lazio reatino e Abruzzo teramano. Inoltre durante l’estate in relazione ai centri di cura, specie lungo il litorale, funzionano delle autolinee stagionali che collegano i centri dell’interno con il mare e delle autolinee di vero e proprio turismo, che collegano i centri principali come Ancona e Pesaro con la Lombardia (Milano), la Toscana (Montecatini), l’Umbria (Assisi e Cascia).

    Le condizioni geografiche non sono tali da rendere la costa atta ad assolvere in generale il compito delle comunicazioni o di un vivace movimento commerciale soprattutto per i bassi fondali ; il retroterra naturale inoltre non è servito da vie di comunicazione naturali e rapide e la stessa morfologia regionale impedisce il formarsi di un retroterra economico sufficientemente vitale.

    Il promontorio del Cònero rompe l’uniformità del litorale permettendo di distinguere la parte settentrionale nella quale i lidi sabbiosi costruiti dallo sbocco dei fiumi in mare sono stati utilizzati da porti-canali ; la parte meridionale nella quale è continuo l’insabbiamento dei fondali non ha permesso la formazione di porti-riparo. La sutura fra l’una e l’altra parte è rappresentata dal porto di Ancona che è noto come approdo di ricupero. Esso non ha comunicazioni facili con il retroterra ma la morfologia locale, che fin da principio ha offerto la possibilità di creare un approdo, e poi la situazione topografica ne hanno fatto nel complesso un porto discreto nel quale le correnti e la forma dell’imboccatura permettono un facile ingresso alle navi, e le maree per quanto molto sensibili non ne danneggiano la vita; a questo insieme di condizioni favorevoli si debbono naturalmente aggiungere le opere portuarie destinate a prolungare il riparo naturale.

    Nell’insieme però il porto ha un interesse prevalentemente commerciale mentre il movimento dei passeggeri è piuttosto mediocre; vi parte infatti un esiguo fascio di collegamenti marittimi alcuni dei quali hanno un interesse turistico, come le linee Ancona – Lussino-Fiume-Pola-Trieste-Venezia e Ancona-Rimini-Ravenna-Venezia-Trieste-Lussimpiccolo. Prima dell’ultimo conflitto facevano scalo al porto n linee di navigazione, delle quali è stata ripristinata solo quella con destinazione Adriatico-Sicilia-Tirreno, oltre a quelle di interesse turistico già sopra citate. Ogni volta poi che le condizioni del mercato sono tali da offrire un carico, fanno scalo nel porto di Ancona anche le navi delle rotte commerciali Trieste-Brasile-Plata e Trieste-Centro America-Nord Pacifico.

    Degli altri porti non è il caso di parlare come centri di comunicazione; in quelli a sud del Cònero il traffico marittimo e mercantile è più che mediocre, mentre essi hanno come già si è visto una notevole importanza peschereccia; si distingue un po’ sugli altri Porto Civitanova, specializzato per l’esportazione dei concimi chimici di Sant’Elpidio.

    A nord del Cònero i piccoli centri portuali servono di complemento al porto di Ancona ed hanno sempre un carattere commerciale; fra tutti si distingue Falconara che pur non avendo un vero e proprio porto, ma soltanto un approdo, si trova in una posizione geografica ottima nei confronti delle vie di comunicazione e anche per questo ha assunto di recente importanza per il traffico del petrolio.

    Le comunicazioni aeree non hanno attualmente alcuno sviluppo anche se la regione offre alcuni campi di atterraggio utilizzati per ora solo per esercitazioni militari.

    Loreto, scorcio panoramico.

    Il turismo

    Il turismo, che, come dice il Toschi, è un capitolo della circolazione, trova nelle Marche condizioni favorevoli e condizioni sfavorevoli al suo sviluppo. Le spiagge marchigiane che si accompagnano ad una costa bassa, lunga 174 km., le colline e la bassa montagna dell’Appennino per le loro condizioni naturali, attraggono il movimento turistico. A questo si possono aggiungere le regioni ricche di sorgenti idrominerali e i centri che esercitano, in particolare, una attrazione antropica come i luoghi religiosi, artistici, storici e culturali. Si oppongono invece all’attività turistica le forme essenziali del suolo marchigiano in genere, poiché l’andamento delle valli, con prevalente direzione longitudinale, rappresenta un ostacolo naturale alla libera circolazione, la struttura litologica del terreno con rocce argillose, impermeabili e franose e le condizioni del clima.

    Un’altra condizione sfavorevole al traffico turistico è la mancanza di una efficiente rete di strade e ferrovie che permettano un rapido spostamento; mentre le ferrovie, come si è già fatto cenno, non hanno avuto un sensibile sviluppo in questi ultimi decenni, la situazione delle strade ordinarie ha avuto notevoli migliorie soprattutto nella sua efficienza solo in tempi molto recenti.

    Il turismo nelle Marche può essere considerato sotto due aspetti: di transito e di permanenza.

    Il movimento di transito è evidentemente legato alla posizione geografica e allo sviluppo longitudinale e latitudinale delle principali vie di comunicazione che collegano le vie convergenti dalla pianura padana con il litorale del medio e basso Adriatico e questo con il versante tirrenico. Esso è realizzato soprattutto dal movimento automobilistico e dà la possibilità al viaggiatore di effettuare soste numerose, determinate da attrattive naturali, quali gole celebri, grotte principali, valichi più noti; ma soprattutto da luoghi di interesse storico ed artistico come ruderi romani, castelli, monumenti, chiese e monasteri.

    Fra le forme di turismo di transito potrebbe essere classificata anche quella che faceva di Ancona un punto di penetrazione, cioè l’inizio di una corrente turistica; si fa riferimento a quanto avveniva prima dell’ultimo conflitto mondiale, quando dal porto marchigiano partivano linee marittime plurisettimanali a carattere turistico, dirette sulla costa dalmata e particolarmente a Zara; le vicissitudini politiche hanno annullato tale movimento, contribuendo ad aggravare la situazione depressa del turismo nelle Marche.

    Panorama del centro monumentale di Urbino.

    Presenze negli alberghi (valori in migliaio).

    Il turismo di permanenza trova invece la sua localizzazione nella zona turistica di collina e bassa montagna marchigiana e nella regione litoranea. Una forma caratteristica di turismo di permanenza è quella che da alcuni anni si realizza a Senigallia e che è costituita da un nucleo ricettivo stabile di tende, destinato esclusivamente ad ospitare turisti tedeschi. Non si può definire questo nucleo come facente parte di un’area di campeggio vero e proprio, nè d’altra parte si può classificarlo fra i centri di turismo di permanenza.

    Fra i più noti centri turistici della zona collinare è Loreto, sorto e sviluppatosi quale centro di attrazione religiosa sin dalla fine del secolo XIII per la presenza della « Santa Casa ». L’afflusso di una cospicua folla di pellegrini ha determinato nel tempo la insorgenza di funzioni particolari che alla loro volta hanno favorito lo sviluppo di case religiose e di ospitalità, uffici turistici ed esercizi alberghieri, negozi fissi di vendita di oggetti religiosi, in particolare di corone che, come si è già detto, costituiscono un’industria artigianale caratteristica del luogo.

    Altri centri che attirano per l’arte, i ricordi storici e di cultura sono Urbino per la presenza del Palazzo Ducale, Carpegna per il suo seicentesco Palazzo dei conti di Carpegna e Recanati legato alla gloria di Giacomo Leopardi.

    Le bellezze naturali della regione posta alle falde degli Appennini cominciano a generare una certa corrente turistica, però qui le attrezzature e le capacità ricettive sono ancora molto arretrate e rappresentano il freno per uno sviluppo rapido delle possibilità.

    I centri montuosi che esercitano la maggiore attrazione sono Bolognola, Camerino, Cingoli, Fiastra, Penna San Giovanni, Pioraco, San Ginesio, Sarnano, Ussita, Visso ed altri meno conosciuti alle falde del Càtria e del Monte Nerone. Bolognola e Sarnano, oltre che il soggiorno estivo offrono anche ottime possibilità per gli sports invernali; inoltre Sarnano e anche Tolentino costituiscono centro di attrazione per le fonti di acque curative di cui dispongono.

    L’area marchigiana che è caratterizzata da una più estesa economia turistica è la zona litoranea nella quale lo stesso tipo di attività ha permesso la realizzazione di profonde trasformazioni del paesaggio; alle distese di sabbia si sono sostituiti i centri abitati costieri che nel 1952 raggiungevano uno sviluppo lineare di 59 km., con un insieme di vie quasi sempre a scacchiera e con un succedersi di ville, colonie marine, alberghi lungo la strada che segue la costa. La stessa vegetazione spontanea arbustacea ed arborea è stata sostituita da orti e da giardini, alternati ad impianti sportivi, specie a tennis, e inoltre a posti di ristoro, a distributori di carburanti e di lubrificanti. I centri nei quali si sviluppa l’attività balneare vanno da Gabicce a Falconara e poi dopo l’interruzione del gomito di Ancona da Numana a Porto San Giorgio.

    Nel complesso delle varie forme turistiche le Marche ospitano annualmente solo un numero di turisti pari allo 0,5% dei 5 milioni circa che vengono normalmente registrati nel nostro paese, in alberghi, pensioni e locande che rappresentano soltanto l’i% degli esercizi alberghieri italiani (20.000). Ai fini della valutazione economica esso rappresenta solo lo 0,5% dei proventi economici nazionali (20 miliardi).

    Se anche i dati sopra citati ci presentano le Marche come una delle regioni nelle quali il turismo è meno sviluppato, tuttavia bisogna riconoscere che in questi ultimi anni vi è stato un progresso considerevole, dovuto non solo al miglioramento della rete stradale e ferroviaria, alla migliore attrezzatura alberghiera, ma anche al diffondersi del turismo di circolazione di cui è pressoché impossibile fare una valutazione.

    Vedi Anche:  Crescita demografica ed emigrazione