Vai al contenuto

Strade, ferrovie, porti e navigazione

    La circolazione

    Le direttrici di movimento

    L’Emilia prende nome da una strada e tal nome esprime il fatto che in questa trova la nota più caratteristica della sua individualità, lo strumento fondamentale della sua unità.

    Abbiamo già più volte avuto occasione di fare intendere che le direttrici naturali della circolazione nell’Emilia-Romagna sono dettate da tre fattori fondamentali: i° la striscia pedemontana che raccorda gli sbocchi delle valli e apre l’accesso alla pianura; 2° nella montagna la successione delle valli e dei contrafforti con direzione comune, grosso modo, da sudovest a nordest; 30 nella pianura i rilevati relitti fra le bassure interposte fra l’uno e l’altro degli antichi alvei fluviali, rilevati appena sensibili nell’altimetria, ma pur tali da indirizzare i movimenti umani, e ancor essi con direzione da sudovest a nordest e da ovest a est. A questi tre elementi se ne può aggiungere come quarto nella zona litoranea quello costituito dagli antichi lidi disposti quasi frontalmente rispetto alle direttrici precedenti e che consentono quindi movimenti da sud a nord e viceversa nella fascia più orientale della regione.>

    Le strade

    Considereremo separatamente le strade del pedemonte, della montagna e della pianura.

    Sulla striscia pedemontana si sono succedute le piste preistoriche, poi la via Emilia (che pur attraverso molteplici adattamenti si svolge ancor oggi sostanzialmente sull’antico tracciato); nel secolo scorso la strada ferrata e ora finalmente l’autostrada, già costruita nel tratto da Piacenza a Bologna come tronco della « autostrada del Sole » e prossimamente nell’altro tratto da Bologna a Rimini.

    Presso Bologna ne dirama poi già il tronco per Firenze, che dovrà poi proseguire per Roma e Napoli.

    Qui dunque, nel pedemonte, per tutta la sua lunghezza, è la via Emilia tuttora l’asse dei collegamenti interni alla regione e di quelli con l’esterno, che tutti ne diramano.

    Non aveva visto e udito il poeta il flusso rombante, perenne, tumultuoso degli automezzi che oggi la percorrono, vi si ingolfano, vi si sorpassano a vicenda, travolgendo (e non sempre, purtroppo, metaforicamente) quello che dai lati l’accompagna di motociclisti, ciclisti, pedoni, rombante, perenne, tumultuoso come un fiume in piena.

    La via Emilia a Ozzano (Bologna).

    Pure aveva intuito in questa l’immagine più appropriata quando, vólto al Po, aveva detto:>

    Strada non è, ma grande fiume anch’essa.

    È la sua fonte appiedi d’una rupe di Roma…

    Poi sbocca ai campi, sale ai monti, fende

    le roccie, inoltra per le sacre selve;

    finché dall’Arco del Trionfo sgorga,

    Po, nel tuo regno…

    Pascoli, Canzoni di Re Enzio, VII.

    Nella montagna le strade di penetrazione hanno seguito di volta in volta il suggerimento dei contrafforti o quello dei fondivalle. Nel passato era preminente il primo e tuttavia non tanto numerose sono le strade o i tronchi di strada di crinale, quanto i tratti che sul fianco dei declivi seguono a una certa e variabile altezza il tracciato delle valli. In tempi più recenti le strade di penetrazione sono discese nei fondivalle, seguendo più dappresso gli alvei dei corsi d’acqua, tutt’al più aggirandosi sui terrazzi più bassi. Molto più rade, e le più soltanto recenti, le strade trasversali rispetto ai contrafforti, quelle cioè congiungenti una valle con l’altra a distanza dalla striscia pedemontana.

    Le strade della montagna non sono però soltanto determinate per la penetrazione e la congiunzione dei centri sparsi di fondovalle, di declivio e di cresta fra essi e con l’asse pedemontano e la pianura, ma anche per l’esigenza di mettere in comunicazione i paesi al di qua e al di là dell’Appennino. Per questa funzione diventa determinante essenziale la posizione dei valichi, insieme con la loro altitudine e pervietà.

    Oggi tali strade sono piuttosto numerose, da quella che d’in capo alla vai Trebbia per il passo della Scoffera porta a Genova, a quelle che per i valichi di Verghereto e di Viamaggio congiungono le valli del Savio e della Marecchia col bacino del Tevere.

    Tutte, o quasi, codeste valli e i valichi cui fanno capo sono stati percorsi da movimenti ab antiquo, ma i rapporti fra l’Italia centrale tirrenica e la nostra regione in età romana furono serviti principalmente dalla Flaminia per il Furio, Fano e Rimini. Più a nord correva la diramazione deM’Aemilia Scauri da Lucca a Parma. Questa e la più meridionale faentina, che risaliva il Lamone alla volta di Firenze, sono le sole strade documentate con certezza (salvo i dettagli di percorso) in quell’età, se non si conta il tronco della Postumia che da Placentia per Clastidium (Casteggio) girava a Derthona. « In complesso — scrive il Barbieri che all’argomento ha dedicato un informato e penetrante studio — la mancanza di lati positivi fa pensare che nessuna strada maestra corresse direttamente tra Bologna e Firenze prima del Medio Evo ».

    Notevole interesse presentavano tuttavia già allora e più nel Medio Evo i rapporti fra la conca di Firenze e Bologna, cuore dell’Emilia. La strada più antica di queste medioevali, più battuta e fors’anche, almeno a tratti e per qualche tempo, selciata o inghiaiata, fu quella della Futa.

    Fin dal secolo XII se ne ha memoria, ma ancora nel Sei-Settecento conservava il suo carattere piuttosto di mulattiera che di strada. Quando doveva passare un qualche corteggio di personalità, si doveva mandare innanzi tutta una spedizione per adattare il fondo nei punti più scoscesi o tormentati da frane e acque dilavanti e per approntare il passaggio dei torrenti con mucchi di fascine o ponti improvvisati. Solo a partire dalla seconda metà del Settecento (1762) venne sistemata a carrozzabile permanente. Il carattere medioevale le è rimasto come via di dorsale a forti e numerose pendenze, nonostante che il tracciato abbia subito numerose varianti per essere adattato ai mezzi moderni.

    La strada statale « pistoiese » nel tratto tra Granaglione e Pontepetri che segna col fiume Reno il confine tra Emilia e Toscana.

    Altra mulattiera seguiva le valli del Setta e del Bisenzio, passando per Castiglione dei Pepoli, poi, priva di manutenzione, andò in rovina e solo al principio del XIX secolo si fece sentire la sua esigenza. Oggi è provinciale.

    La strada del Reno, la Porrettana, invece è affatto recente. Lunghe trattative, iniziate dal 1835, condussero solo nel 1842 all’inizio dei lavori concordati fra il governo pontificio e quello toscano. La strada seguì il fondovalle fino a Porretta, e poi, deviando lungo il Limentra di Sambuca, per il passo della Collina raggiunse Pistoia. Successivamente una variante (la Pistoiese) risalì ancora il Reno da Porretta per Pracchia alla conca di Piastre.

    Ponte cosiddetto degli Alidosi sul Santerno a Castel del Rio,

    Le altre principali strade di attraversamento dell’Appennino a nordovest di Bologna sono cinque.

    1. La più antica è la « pontremolese » oggi strada statale 62 della Cisa da Parma a Pontremoli per il passo della Cisa (1041 m. sul mare). Essa risale il crinale divisorio fra Taro e Sporzana, poi fra Taro e Baganza. Antica, nel Medioevo detta « strada Romea di Monte Bordone » e disputata accanitamente da Comuni e feudatari nel tratto Fornovo-Pontremoli, ma fino al principio dell’Ottocento a fondo naturale e senza ponti, quindi oltremodo disagevole. Napoleone fu il primo a farla progettare come strada moderna (1809), quando egli teneva Parma unita a Genova e alla Toscana nell’Impero. I lavori, sospesi nel 1814, ripresi da Maria Luigia nel 1833, furono completati soltanto dopo il 1859.
    2. Una bella strada, ma relativamente recente, >è la via Giardini ora strada statale 12 dell’Abetone e del Brennero, da Modena a Lucca per il Passo dell’Abe-tone (1388 m. sul mare.). Nel tratto emiliano, in gran parte come strada di crinale sullo spartiacque fra Secchia e Panaro, fu costruita dall’ingegner Pietro Giardini nel 1766-76 per ordine di Francesco III d’Este. Dall’altra parte venne, pressappoco in pari tempo, prolungata nella Toscana granducale col nome di via Ximenes, da quello del costruttore, il gesuita Leonardo Ximenes.
    3. Iniziata quasi contemporaneamente la statale del valico del Cerreto (strada statale 63; valico a 1261 m. sul mare) va da Reggio ad Aulla. La sua costruzione, voluta nel 1785 da Ercole III d’Este, fu però interrotta nel 1795 e portata a compimento soltanto da Francesco IV nel 1823-30. Se ne rileva che i rapporti diretti fra i domini estensi di qua e di là dell’Appennino si svolgevano fino a tutto il Settecento per le disagiate mulattiere che facevano imprecare l’Ariosto, quando fu mandato a governare la Garfagnana (1522-25).>
    4. Fra le due dell’Abetone e del Cerreto si svolge la minore via Vandelli, che appunto fu poi progettata per mettere in diretta comunicazione Modena con quella sua antica dipendenza attraverso la Foce delle Radici (1529 m. sul mare.). Iniziata nel 1852 fu però compiuta solo nel 1894.
    5. La strada della vai Trebbia (strada statale 45), infine, va da Piacenza al passo della Scoffera (678 m. sul mare) e Genova.

    L’Emilia-Romagna nella Tabula Peutingeriana (copia medioevale di carta romana dell’età imperiale, IV secolo d. C. ?).

    L’autostrada del Sole all’altezza di Fidenza.

    A sudovest di Bologna sono altre cinque transappenniniche.

    1. La strada Montanara sale lungo il Santerno da Imola a Firenzuola, donde prosegue nella cosiddetta Postale bolognese, sistemata fino dal 1367 dalla Repubblica Fiorentina per collegarsi a questo suo saliente estremo, e poi prolungata ad innestarsi nella strada della Futa (onde il nome).
    2. La Faentina da Faenza a Borgo San Lorenzo (Firenze) vuoisi seguire una direttrice antica, addirittura romana, e lo si è già detto, ma come strada vera e propria è recente. Essa segue il Lamone e valica il crinale alla Colla di Casaglia (m. 913), già in Toscana.
    3. La Tosco-romagnola (strada statale 61), da Forlì a Pontassieve, risale la valle del Montone fino al passo del Muraglione (907 m.);
    4. L’Umbro-casentinese (strada statale 71) segue da Cesena il Savio e poco sopra Bagno di Romagna si sdoppia: la 71 prosegue per il passo dei Mandrioli (m. 1173) alla volta di Bibbiena (Casentino) e Arezzo; la 3 >bis (Tiberina), che se ne distacca, risale ancora il Savio e per il molto più basso valico di Montecoronaro o di Vergherete, in trincea (m. 853), scende nella valle del Tevere.
    5. Ultima consideriamo la strada della Marecchia da Rimini al Passo di Via-maggio (m. 988) per Sansepolcro e la vai Tiberina.

    Le antiche strade di pianura presentano andamenti meno, ma non molto meno serpeggianti di quanto non appaiano proiettati in piano orizzontale quelli della montagna. Ciò in quanto essi siano stati tenuti a seguire il serpeggiare degli alvei fluviali e ad evitare le bassure allora acquitrinose. Tale aspetto presentano tuttora, nelle grandi linee, le congiungenti dei maggiori centri, così fra Bologna e Ferrara come fra Bologna e Ravenna, così fra le città dell’Emilia occidentale e i centri sul Po, come fra Forlì e Ravenna.

    In vivo contrasto con tali tracciati si presentano quelli rettilinei, a graticolato, ereditati dalla centuriazione romana nelle sue zone di colonizzazione come oggi nelle zone di bonifica.

    I due tipi (serpeggiante e rettilineo) si intrecciano spesso, in un intrico sempre più complesso di fitte comunicazioni per tutta la pianura.

    Di alcune « grandi vie » romane in questa si hanno numerose notizie, ma non tutte di facile interpretazione. Ed è legittimo il dubbio che anche queste principali siano state proprio tutte e per tutto il loro percorso e duraturamente costruite « alla romana », cioè lastricate, e che non si sia trattato, almeno in parte, di strade a fondo naturale, più o meno consolidate artificialmente. E tuttavia strade organizzate per la presenza di stationes definite e per sicurezza di traffico.

    Intensità del traffico medio giornaliero di persone con autoveicoli sulle strade statali nel 1955.

    Intensità del traffico medio giornaliero di merci sulle strade statali nel 1955.

    Comunque ne indicheremo quelle che appaiono men dubbie. È certo, intanto, che una via Popilia andava da Rimini ad Aitino e Aquileia, passando, secondo la Tabula Peutingeriana, per Ravenna, Butrio, Augusta, Sacis ad Padum, Neroma, eccetera.

    Il nome ne viene dal console P. Popilio che la sistemò nel 131 avanti Cristo.

    La difficoltà di riconoscerne il percorso sta nell’identificazione delle località. Da Rimini a Ravenna questa difficoltà non c’è. La strada non poteva non correre sul litorale.

    Da Ravenna a Sacis ad Padum (evidente « passo » del Po) passando per Augusta, che dovrebbe corrispondere a Magnavacca (ora Porto Garibaldi) la distanza complessiva è data in 24 miglia: poco più di 35 chilometri.

    Il passo è stato riconosciuto dal Borgatti sul Po di Volano in località Cella. La successiva stazione di Neroma corrisponderebbe a Codigoro. Poi, dopo altre 12 miglia, Adriani, cioè Ariano Vecchio.

    Altra via conduceva da Bologna ad Aitino e Aquileia. Di dove si staccasse dalla via Emilia è discusso: forse da Bologna stessa, da Castelfranco o da Modena. Pare comunque che transitasse per Finale Emilia e che il suo passaggio del Po a Vicus Varianus corrispondesse a Vigarano. Strabone la chiamava Emilia e fu anche detta poi Emilia Altinate.

    La Tabula indica anche una via da Ravenna ad Ostiglia, che attraversava il Po di Primaro e lo costeggiava sulla sponda sinistra: via ad Hostiliam per Padum. Essa dovrebbe corrispondere nel primo tratto alla strada da Ravenna a Sant’Alberto e poi all’argine sinistro del Po di Primaro fino a Ferrara, seguendo il Po vecchio di Ferrara di qui a Ficarolo e da ultimo il Po vivo da Ficarolo a Ostiglia.

    All’estremo nordovest, infine, certa è la via da Reggio a Brixellum (Brescello), donde, passato il Po, volgeva a Cremona, allacciandosi alla rete viaria transpadana. Men chiaramente documentata l’altra che da Piacenza doveva raggiungere Cremona direttamente o piuttosto anch’essa per Brixellum, in quell’età testa di ponte di grande interesse.

    Certo è che, comunque abbiano avuto più o meno buona costruzione e manutenzione in età romana, tutto andò in malora nel Medioevo. Le strade si ridussero alle piste tradizionali sugli stessi e su altri tracciati esposti a deviazioni o sostituzioni secondo le vicende degli alvei dei corsi d’acqua e delle bassure acquitrinose.

    I documenti ci parlano piuttosto di preoccupazioni per canali navigabili che non per strade.

    Soltanto nella tarda Rinascenza e specialmente poi nel Settecento, costituitisi stati abbastanza vasti e complessi, perdendosi sempre più le possibilità della navigazione interna e facendosi più vive le esigenze di movimenti di cose e persone, le piste principali vengono consolidate e può cominciarsi a riparlare di vere e proprie strade anche in pianura.

    Le fondamentali, a voler ricordare soltanto quelle oggi classificate come statali, sono nella sezione occidentale e settentrionale: la Cremona-Piacenza (che prosegue con la statale di vai Trebbia); la Parma-Guastalla (tronco della statale della Cisa), confluente nella Reggio-Borgoforte-Mantova (tronco della statale del Cerreto); la Modena-Rèvere (assunta come tronco della statale dell’Abetone e del Brennero); la Bologna-Ferrara.

    Nel Medioevo a lungo si ha testimonianza di una « Romea », strada o forse piuttosto soltanto direttrice di movimenti relativamente intensi fin oltre il Mille, che doveva seguire, per lo meno nei tratti più meridionali, l’antica Popilia. Oggi con lo stesso nome la si sta richiamando in vita fra Ravenna, Comacchio, Adria alla volta di Venezia.

    Ma più vitale si è sviluppata, poi e finora, l’Adriatica più interna aggirante le valli di Comacchio, da Ravenna per Argenta a Ferrara. Il tratto litoraneo da Ravenna a Rimini, dove s’innesta nella Flaminia, è invece più o meno lo stesso dell’età romana.

    In complesso la rete stradale comprende oltre 20.000 km., di cui 1270 statali. In rapporto all’estensione territoriale è la seconda fra quelle di tutte le regioni italiane, con km. 93,4 su 100 kmq.

    Le ferrovie

    Più liberamente ha teso a congiungere i centri vitali della regione fra loro e con le altre parti d’Italia la rete ferroviaria.

    Non però senza che i suoi lineamenti generali non ripetano quelli fondamentali della rete stradale.

    L’allacciamento ferroviario alla Lombardia e al Piemonte fu una delle prime preoccupazioni dopo l’unità. Nello stesso 1859 fu costruito il tronco Piacenza-Bologna, nell’anno successivo quello da Piacenza a Stradella e iniziato il lavoro per la Bologna-Ancona terminato nel 1861, contemporaneamente al completamento della Piacenza-Milano. La rete adriatica, gestita fino al 1905 da società private, riunite poi quasi tutte in unica Compagnia concessionaria, si accresceva nel 1862 della Bologna-Ferrara (solo dopo il 1866 proseguita fino a Rovigo) e nel 1863 della Bologna-Pracchia, primo tronco della « Porrettana » prolungato l’anno successivo fino a Pistoia unendosi così alla rete toscana.

    Traghetto sul Po a Piacenza (prima della ricostruzione del ponte stradale) e ponte ferroviario.

    Nel 1874 fu costruito il terzo ponte ferroviario sul Po, a Borgoforte, unendo Modena a Mantova e Verona. Dall’asse Piacenza-Bologna, oltre questa, diramavano altre tre parallele sud-nord: la Fidenza-Cremona; la Parma-Casalmaggiore-Piadena-Brescia; e la Bologna-Ostiglia-Verona, destinata a diventare, dopo la liberazione del Trentino, elemento della grande linea assiale del Brennero Roma-Berlino.

    La sistemazione definitiva della Rimini-Ravenna-Ferrara fu conseguita soltanto nel 1889. Altre linee s’intrecciarono poi nella Romagna, congiungendo Ravenna via Castel-bolognese e via Faenza alla Bologna-Rimini.

    Prima della fine del secolo altre due trasversali appenniniche furono inaugurate: la Faenza-Firenze nel 1893 e la Parma-Spezia nel 1894.

    L’ultima grande opera ferroviaria, progettata prima dello scoppio della guerra europea, ma completata soltanto nel 1934, fu la costruzione della «direttissima» Bologna-Firenze via Prato, che ha accelerato di assai le comunicazioni dirette sulla linea assiale Milano-Bologna-Firenze-Roma. Ciò si ottenne specialmente col traforo della Grande Galleria dell’Appennino, la più lunga interamente in territorio italiano (m. 18.507), una delle più lunghe del mondo.

    La rete ferroviaria di Stato misura oggi, in Emilia, 1055 km. (in buona parte elettrificati) cui vanno aggiunti 540 km. di linee secondarie, gestite da società private.

    Intensità del traffico medio di persone e merci sulle ferrovie statali nel 1955.

    La navigazione interna

    Attiva dev’essere stata la navigazione interna nel Medioevo e sin verso il Seicento, come provano i numerosi « navigli » e « canali navili » e i « porti » dei documenti e della toponomastica. Ad eccezione del Po, i corsi d’acqua naturali col loro regime torrentizio e lo scarso e instabile fondo non vi si prestavano.

    Ma probabilmente già nel Cinquecento e certo nei secoli successivi se ne pronunciò una lenta ma continua decadenza.

    « A’ nostri tempi e non da molto — diceva G. B. Aleotti nella sua allocuzione a papa Clemente Vili nel 1589 — li vedemmo navigabili (i rami di Po a Ferrara) per modo che abbiamo ammirato la grandissima quantità delle navi da gabbia, che provenendo d’Inghilterra e di Fiandra solevano scaricare a Ferrara le molte merci, delle quali Venezia oggi dispensiera si è fatta a tutta Lombardia ». E mostra conservata nell’arsenale una delle galere tolte in battaglia sul Po dal cardinale Ippolito ai Veneziani, commentando: «Non è da dubitarsi che non furono condotte a Ferrara sopra carri, ma che vi vennero per Po ».

    Della decadenza si sono indicate varie cause naturali, come l’indirizzo assunto dal maggior volume delle acque del Po, gli interrimenti portati dal Reno nel Ferrarese, l’instabilità degli alvei torrentizi, e cause politiche, come la divisione del territorio fra Stati di una certa solidità, reciprocamente gelosi, ed economiche, come una certa generale contrazione dell’attività di scambio, specialmente di quella diretta coi paesi rivieraschi dell’Adriatico e transmarini. Ma la causa fondamentale è forse una e semplicissima: il progresso dell’arginatura dei corsi d’acqua e dei canali stessi, col conseguente interrimento e innalzamento del loro fondo.

    Del resto la storia di questi canali è interessantissima. Molti di essi hanno avuto origine come scoli dei fondivalle inferiori e dell’alta pianura a congiungersi con quelli della bassa.

    Nella deficienza delle strade di pianura durante il Medioevo sono diventati e, più, sono stati attrezzati a canali di navigazione. Poi nel tratto superiore sono stati adattati a canali industriali, da un lato allacciandoli ai fiumi con derivazioni ad incremento delle acque, da l’altro interrompendone la lieve pendenza con chiuse e salti per molini. In tempi successivi sono diventati a loro volta canali irrigui e dalla fine del secolo scorso alla metà dell’attuale questa funzione è divenuta la preminente. Ora assistiamo, pur nel perdurare delle funzioni irrigue e molitorie, a un nuovo presentarsi e accentuarsi di una funzione industriale, ma nuova, non in quanto a fornitura di energia, ma di acqua necessaria per taluni processi produttivi in sviluppo, come cartiere e specialmente zuccherifici.

    Questa è la storia, intanto, del Canale dei molini di Imola e Massalombarda, cui allo scrivente accade di essere preposto. Imola aveva il suo porto a Consèlice (Caput Silicis, a capo della via Sèlice, un tipico diritto cardo ereditato dalla centuriazione romana). Ma come facessero imbarcazioni ad arrivare a Consèlice dal mare o dalle lagune oggi proprio non si capisce. Eppure arrivavano se nel 1099 si trovò opportuno addirittura un trattato di navigazione fra Imola e Venezia.

    E suppergiù cose simili si possono dire dei « navigli » di Bologna (che aveva il suo porto a Corticella), di Modena, di Reggio e così via.

    Si vuol vedere nello sviluppo delle costruzioni stradali e del traffico su strada nel Settecento un altro motivo del diminuito interesse per la navigazione interna, ma forse esso è da considerarsene più un effetto che una causa.

    Certo si è che il colpo di grazia alla navigazione su fiumi e canali venne dato dalle ferrovie.

    Un lieve risveglio, sul Po e sui canali superstiti del Ferrarese, si è avuto dopo l’unità, negli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi dell’attuale.

    Ai trasporti di pietrame, sabbie, ghiaie, si sono aggiunti, per brevi tratti, quelli di altre materie prime e gregge ingombranti, fra le quali apparivano interessanti le bietole. Oggi si preannuncia una certa ripresa, specialmente sulla via del Po pei trasporti del petrolio greggio alla volta di Mantova e Cremona. Nel 1958 si è costituita una S. N. I. (Società di navigazione interna) per iniziativa delle Amministrazioni provinciali di Cremona e Parma. Più modestamente ancora sui canali del Ferrarese, principale quello del Po di Volano da Ferrara a Migliarino, donde un ramo volge a Codigoro e altro per Comacchio, destinato a essere reso atto a grossi natanti fino a Porto Garibaldi.

    In progetto è pure una congiunzione diretta di « grande navigazione » da Ferrara a Ravenna.

    Per ora l’unico approdo di un certo interesse sulla sponda emiliana del Po è a Pontelagoscuro, sbocco appunto di Ferrara e della sua zona industriale e congiunto mediante la « biconca Boicelli » alla rete dei canali della provincia.

    Bettoline in navigazione sul Po.

    Ravenna : l’imbocco del porto canale dal 1754 ad oggi.

    I porti

    Pur con 122 km. di sviluppo di coste l’Emilia-Romagna non conta più di un porto mercantile, e ancor modesto : quello di Ravenna. La spiaggia, bassa e sabbiosa da un estremo all’altro, non consente l’accostamento del naviglio moderno. Anche nell’antichità soltanto il porto di Ravenna potè fiorire, in condizioni di ambiente diverse, cioè come porto lagunare, conservato in efficienza con onerosi lavori fino al periodo bizantino.

    Poi scadè al grado di porto-canale (Canale Corsini o Candiano) sul tipo degli altri per vero assai minori ed essenzialmente pescherecci, come quelli di Rimini, Cesenatico e Cervia, che ebbero un modesto movimento anche mercantile nel Medio Evo e nel Rinascimento. Soltanto il porto-canale di Cervia ha conservato un certo interesse, per via delle saline locali, come esportatore appunto di sale.

    In tempi recenti il Canale Corsini di Ravenna ha consentito una ripresa di attività mercantile, che ora viene sviluppandosi e più promette di svilupparsi in funzione di porto industriale coi grandi lavori in corso (vedi capitolo XVII).

    Altri ancor più piccoli porti-canali pescherecci si sono poi accompagnati ai centri balneari di Cattolica, Riccione, Bellaria.

    Situazione particolare e sorte propria hanno avuto il porto di Comacchio, antichissimo in laguna o meglio in valle, e il suo recente avamporto di Magnavacca, ora Porto Garibaldi.

    In sostanza per il traffico con l’estero via mare i centri interni dell’Emilia si servono piuttosto dei porti liguri-tirrenici e di Venezia. Su La Spezia gravita il Parmense, ma anche questo è servito ancora con maggiore intensità da Genova, mentre in Bologna vengono a sovrapporsi le sfere d’influenza di Genova e di Venezia, e perfino di Livorno oltre che di Ravenna.

    La navigazione aerea

    Deficiente affatto, ancora, è infine l’organizzazione dei servizi aerei. La regione è sorvolata, ma non toccata, dalle aviolinee Roma-Venezia, Roma-Monaco e Roma-Vienna e, ad occidente, dalla Roma-Milano. Soltanto in estate frequenti sono i voli in regime di autorizzazione (chartered) ma senza un preciso obbligo di orario, sulla rotta dall’Europa nordoccidentale a Rimini (praticamente giornalieri da Londra), ancora sulla fatale direttrice della via Emilia. Ma questi stessi, come i voli sportivi, nell’Emilia debbono appoggiarsi agli aeroporti militari ammessi al traffico civile, scarsi di numero e modestissimi (salvo appunto quello di Rimini-Miramare) nelle loro attrezzature e possibilità. In costruzione (1959) un piccolo aeroporto civile a sud di Forlì.

    Il commercio

    I nodi principali di tutto il sistema viario (stradale, ferrato, ecc.) sono Bologna, Parma, Piacenza, Ferrara e Rimini. Ne vedremo i riflessi (concause ed effetti) nello sviluppo e distribuzione delle attività commerciali. All’una e all’altra concorre la funzione di transito che il sistema stesso esercita, insostituibile, sui rapporti fra l’Italia centrale, l’Italia nordorientale (da Milano a Trieste) e i paesi oltre confine da questa parte.

    Al censimento industriale e commerciale del 1951 risultarono nella regione 57.430 esercizi commerciali («unità locali») con 126.621 addetti.

    Per intendere il valore di codeste cifre e specialmente se si vogliono fare confronti con altre regioni, bisogna tener presente che esse raggruppano attività di commercio in senso stretto (commercio all’ingrosso e al minuto) con altre che hanno anche carattere un po’ diverso, come gli alberghi e « pubblici esercizi » e « attività ausiliarie del commercio ».

    Appare così che il commercio all’ingrosso ha nell’Emilia-Romagna uno sviluppo relativamente considerevole anche in rapporto alla media nazionale. Se ne sono annoverate in quel censimento 6539 ditte, con 6716 unità locali e 22.237 addetti. La cosa si spiega con l’importanza che nell’economia locale hanno l’incetta e il movimento dei prodotti agricoli e zootecnici (uva e vino, cereali, farine, frutta, prodotti orticoli, sementi, animali vivi, carni confezionate, formaggi, paste alimentari, ecc.).

    Per ciò che riguarda il commercio al dettaglio, invece, nonostante che se ne osservi un grande numero di esercizi (37.021) ed anzi se ne sia lamentato un recente eccessivo incremento, essi sono ancora, in rapporto alla popolazione, intorno alla media nazionale, quindi largamente inferiore a quella delle altre regioni settentrionali. Si tratta per di più, nella grandissima maggioranza, di piccoli esercizi a carattere familiare: 37.021 unità locali con 76.171 addetti, cioè poco più di 2 per esercizio. Esercizi con oltre 10 addetti per ciascuno sono, nella classe «al dettaglio», appena 282 in tutta la regione, ed anche fra essi prevalgono quelli operanti sui prodotti agricoli alimentari (147).

    Metanodotto di Cortemaggiore-Genova sul fiume Trebbia, presso Piacenza.

    Il commercio al dettaglio si fraziona dunque in piccoli esercizi sparpagliati un po’ dovunque, con una certa concentrazione in corrispondenza dei maggiori agglomerati di popolazione.

    Il solo comune di Bologna aduna 4711 esercizi con 12.601 addetti, cioè l’8% dei primi e il 10% dei secondi. Gli altri 7 comuni capoluoghi di provincia, più Rimini, concentrano il 19% degli esercizi commerciali al minuto di tutta la regione e il 18% dei relativi addetti. Quanto agli articoli, si tratta un po’ di tutti: alimentari, tessili e affini, meccanici, chimici, ecc.

    Prevalgono di gran lunga in questa classe i primi (22.500 esercizi con oltre 46.600 addetti), seguiti da quelli per tessili, articoli di vestiario e affini (7.718 esercizi con 14.847 addetti).

    Ma numerosi sono anche gli esercizi che in realtà non presentano specializzazione, per la diffusione di quelli che trattano « generi misti », non tutti compresi nella categoria «prodotti e articoli vari» (4595 con 9231 addetti). E questi per di più si confondono non di rado con « pubblici esercizi » : la mescita di bevande con la vendita di generi di monopolio, questa con quella di mercerie ed altro, e così via.

    I magazzini generali del Consorzio agrario provinciale di Ravenna.

    Il commercio al dettaglio presenta, insomma, aspetti organizzativi ancora piuttosto tradizionali, per non dire primordiali, e ben poco moderni nella generalità.

    Ciò è dimostrato anche dalla notevole importanza che conserva il commercio ambulante, pel quale figuravano nel censimento 17.018 esercizi con 21.417 addetti.

    Non si tratta per vero più, se non in minima misura, di commercio proprio itinerante. Gli ambulanti, che fino a qualche decennio ancora numerosi si aggiravano per le campagne, passando di casa in casa col loro carico di confezioni, passamanerie, bigiotterie, ecc., s’incontrano ancora, ma rari e quasi soltanto nella montagna.

    Il massimo numero degli ambulanti odierni opera invece sui mercati, sia in quelli fissi cittadini, sia in quelli periodici nei centri maggiori e minori in occasione dei giorni detti appunto « di mercato ».

    Nei centri maggiori si hanno più giorni di mercato (2 o 3) ma fra questi ce n’è uno principale: il lunedì a Modena, a Ferrara, a Forlì, a Béttola, Scandiano, Vergato, Castel San Pietro; il martedì a Reggio Emilia, a Mirandola, a Bondeno, a Imola, a Castelfranco, Sassuolo, Salsomaggiore, Busseto; il mercoledì a San Giovanni in Per-siceto, a Rimini, a Rocca San Casciano, a Fornovo, a Bobbio, a Lugo; il giovedì a Vignola, a Carpi, a Cento, a Fiorenzuola d’Arda, a Faenza, a Forlimpòpoli, ad Argenta; il venerdì a Bologna, a Fidenza; il sabato a Parma, a Piacenza, a Ravenna, a Cesena, a Porretta, Pavullo, Borgo Val di Taro.

    Il mercato nella piazza d’Imola.

    C’è tutto un calendario settimanale dei mercati. In località minori si hanno mercati soltanto in particolari giorni deiranno, generalmente in corrispondenza di festività religiose. A questi ultimi si riserva il nome tradizionale di « fiere ».

    Sono giorni nei quali tutti gli esercizi commerciali lavorano in pieno, o almeno al loro massimo, ma la nota dominante (visiva) è data dagli ambulanti, che invadono certe piazze e anche le vie adiacenti, con le loro pittoresche « bancarelle » difese da tende, con la multicolore merce in mostra, davanti alla quale si affollano i villici dei dintorni, le massaie ed anche i cittadini, con un brusio, un cicaleccio che è già tutta una manifestazione di usanze tradizionali caratteristiche.

    Altre piazze o spazi idonei sono adattati al mercato del bestiame .

    Altre accolgono venditori, compratori, operatori economici in genere, che trattano all’aperto i più svariati affari, non di rado ponendo intralci e praticamente quasi insolubili problemi alla circolazione.

    Altra cosa dalle fiere locali sono le fiere campionarie, che anche in questa regione si sono costituite numerose (anche troppo numerose) nei centri maggiori e in qualcuno dei minori. Con più o meno decisa specializzazione come la Fiera di Bologna, generica, ma prevalentemente dedicata alle macchine agricole (in maggio), la Fiera di Forlì (giugno), la « Fiera dei cavalli » (e oggi motori) a Modena (aprile), la Mostra internazionale delle conserve alimentari e imballaggi a Parma (settembre), la Fiera del Santerno a Imola (agosto o settembre), eccetera.

    Legato ancora strettamente ai mercati locali settimanali o altrimenti periodici è l’attivissimo commercio del bestiame. Domanda e offerta si incontrano su questi mercati, spostandosi giornalmente da un centro all’altro secondo il loro calendario, in notevole misura ancora con la presenza fisica dei capi trattati. E con le pittoresche consuetudini dell’incontro fra venditori e compratori, che suggellano con l’assistenza dei sensali, mediante robuste strette di mano e senza alcun documento scritto, contratti che importano talora parecchie centinaia di migliaia di lire.

    Dall’esigenza della periodicità dei mercati si sottraggono soltanto certe negoziazioni, che si svolgono più intense in limitati tempi dell’anno e interessano movimenti di estensione più che regionale e anche internazionale. Così il commercio all’in-grosso dei prodotti ortofrutticoli.

    Anche per questi il maggior volume delle negoziazioni si svolge nelle grandi « piazze », come Bologna, Parma, Ferrara (e sono quelle che più decisamente concorrono alla formazione dei prezzi in corrispondenza coi maggiori centri intermediari o importatori, come Milano e Verona o Monaco di Baviera, Zurigo, ecc.). Tuttavia le transazioni si diffondono attive in tutte le zone stesse di produzione, nei loro centri minori e perfino, come suol dirsi « sull’aia ».

    Aree commerciali, secondo la carta commerciale d’Italia dell’Unione Italiana delle Camere di Commercio, Industria e Agricoltura (1960).

    Caratteri analoghi presenta l’altro commercio particolarmente intenso delle uve, dei mosti e dei vini. Nè molto diversi quello delle granaglie e delle sementi, ancorché di volume assai più modesto.

    Il quadro delle attività commerciali contemplato dal censimento speciale comprende inoltre, come s’è detto, i « pubblici esercizi » risultati 9323 con 22.030 addetti, altre 4370 unità locali di «attività usiliarie del commercio» con 6183 addetti (media meno di 1,5 addetti per unità!), e infine 8092 di «servizi vari» con 16.509 addetti.

    Fra i pubblici esercizi sono compresi da un lato quelli che esercitano anche attività propriamente commerciali, d’altro lato gli alberghi e locande, di cui ci occuperemo tosto a proposito del movimento dei forestieri.

    La correlazione con questo oltre che con la distribuzione della popolazione appare evidente quando consideriamo la ripartizione dei pubblici esercizi per province: a quella di Bologna (massimo addensamento demografico) con 1892 esercizi e 5187 addetti segue immediatamente la provincia di Forlì (per via della riviera balneare) con 1891 esercizi e 3720 addetti. Viene poi Parma con 1204 esercizi e 3050 addetti. Nessun’altra provincia raggiunge i 1000 esercizi.

    Minimo numero quello di Ravenna: 577 con 1209 addetti.

    Nel territorio dell’Emilia-Romagna è opportuno considerare il movimento turistico sotto due aspetti: di transito e di permanenza.

    Il movimento di transito è evidentemente subordinato alla posizione geografica. Nella regione confluiscono le grandi vie convergenti dalla pianura padana media e orientale, a loro volta collegate coi paesi transalpini mediante i valichi compresi tra il Sempione e Trieste. Da essa si irradia inoltre, verso sud, il fascio delle direttrici di traffico che, attraverso i valichi dell’Appennino, dalla Cisa a Verghereto, raggiungono l’Italia centrale, e, lungo la costa adriatica, l’Italia meridionale.

    Se vogliamo valutare i vantaggi economici derivati alla regione dal movimento turistico di transito è chiaro che minimo è il contributo recato da quello che si attua per ferrovia.

    Per contro uno non indifferente ne porta il movimento con autoveicoli.

    Questo infatti dà la possibilità al viaggiatore di effettuare soste numerose, ora determinate dalle attrattive naturali, ora dall’interesse storico ed artistico dei monumenti o infine dalle più prosaiche, ma non trascurabili, attrattive gastronomiche.

    La sosta, con la sua durata variabilissima da poche ore a uno o più giorni, viene così ad inserirsi tra le dette due forme tipiche del turismo: transito e permanenza.

    I limiti tra quest’ultima e la sosta diventano sempre meno distinti, poiché, se gli sviluppi recenti del movimento hanno teso a dare crescente importanza alla prima, essi tendono in pari tempo a ridurre quella della seconda, riducendo la durata della permanenza cioè di quelle che la statistica chiama « presenze ».

    Ed ancora dal punto di vista statistico sorge un’altra difficoltà, quando si cerca di individuare i valori relativi al turismo vero e proprio separandoli dai valori riferibili a quel movimento di « forestieri » che è subordinato a motivi di lavoro, di studio, di commercio e altro.

    Tali considerazioni valgono per le maggiori città, quali Bologna, Parma o Ferrara e non ultima Ravenna, le quali, note come « città d’arte », sono pure centri su cui gravitano notevoli interessi d’ordine economico, commerciale, amministrativo.

    Ne deriva, di conseguenza, che, per alcuni di questi centri, le statistiche del movimento (arrivi, presenze) esprimono solo vagamente la loro importanza turistica.

    Altro indice è costituito dall’attrezzatura recettiva, in molti casi assai espressivo.

    Nella graduatoria delle province italiane per numero di letti negli esercizi alberghieri, pensioni e locande al 30 giugno 1954, quella di Forlì era al primo posto con 30.444 letti in 1102 esercizi; prima ancora dell’Alto Adige (26.433 letti) e di Roma (23.421).

    Evidentemente tale primato è in rapporto col movimento turistico e più precisamente con la sua sottospecificazione balneare. Non dipende certo dalle particolari attrattive del capoluogo, ma da quella fascia litoranea che si estende, per la profondità di qualche chilometro, da Cattolica a Cesenatico, nella quale si susseguono numerosissimi i grandi ed i piccoli centri di attrazione.

    Qui l’economia turistica o più precisamente l’economia balneare ha determinato una caratteristica trasformazione del paesaggio, della quale abbiamo fatto cenno trattando dei « tipi di paesaggio » della regione e più diffusamente ancora parleremo nel capitolo descrittivo della Romagna (cap. XVII).

    Tale striscia, che si spinge fino nel territorio della finitima provincia di Ravenna, se pur con centri più distanziati, quali Cervia e Marina di Ravenna, può essere definita in un certo senso la sola «regione turistica» dell’Emilia-Romagna.

    Infatti, l’altra regione turistica che da noi si cerca di individuare nella zona di montagna, presenta ancora, prevalentemente, una economia basata su attività agri-cole-allevatrici e forestali ed il fattore turistico vi riveste ancora un’importanza molto limitata salvo che in alcune particolari località.

    I piccoli e i medi centri disseminati in quella che potremmo definire la « zona turistica della montagna emiliano-romagnola » sono, a questo riguardo, ben lungi dal poter sostenere un paragone coi centri di villeggiatura e turismo delle Alpi.

    Stabilimenti termali di Salsomaggiore

    Veduta di Sestola.

    Ciò nonostante è interessante notare che in questi centri appenninici, per quanto modesti, la permanenza media degli ospiti è particolarmente elevata.

    Il fatto trova una giustificazione nella lontananza dalle grandi direttrici di traffico e quindi in un prevalere delle «villeggiature» sul turismo di transito o di breve sosta.

    Oltre la « regione litoranea », denominata anche « riviera romagnola », e la « zona appenninica », non vi sono neH’Emilia-Romagna altre aree caratterizzate da una diffusa economia turistica. Notiamo tuttavia numerosi « centri turistici » di rilievo.

    Essi si trovano particolarmente distribuiti ai piedi dell’Appennino su di un allineamento pedemontano, corrispondente all’incirca alla via Emilia, fatale direttrice anche in questo come in ogni altro movimento umano, dalla preistoria ad oggi.

    Lungo questo allineamento troviamo una serie di centri che attirano come « città d’arte » e di ricordi storici, di cultura, di vita sociale. Basta pensare a Bologna, a Parma, nonché a Piacenza e Modena, per non ricordare che i maggiori.

    Ed ancora sull’allineamento stesso, notiamo numerosi « centri idrominerali » o « termali » (termini, questi, non sempre rigorosamente esatti, ma di largo uso e di facile comprensione). Primeggia, fra essi, Salsomaggiore, centro di rinomanza internazionale, seguito, a distanza, da Castrocaro e dalla Fratta presso Forlì e Castel-sanpietro Terme fra Bologna e Imola. In collina è Riolo Terme, sul Senio.

    La spiaggia di Rimini, da Sud.

    Porretta Terme, centro ben più notevole di tutti questi ultimi, si trova invece incuneato profondamente nell’Appennino, come Bagno di Romagna.

    Escluse dall’allineamento pedemontano sono altre due « città d’arte » che attirano un imponente movimento turistico: Ravenna e Ferrara.

    Ravenna, unica in Occidente per la ricchezza dei suoi monumenti bizantini e custode della tomba di Dante, vede tuttavia un movimento che, comportando generalmente soltanto una breve sosta, finisce con lo sfuggire in gran parte alle statistiche degli arrivi e delle presenze.

    La via Romea 5 km. a Sud di Ravenna (a destra Sant’Apollinare in Classe).

    Ferrara, invece, lo stupendo capolavoro degli Estensi, trovandosi su una delle vie di più vivace movimento autoturistico, cioè quella che collega Venezia e Firenze e Roma, accoglie un ben più considerevole numero di visitatori, ancorché affrettati e tale quindi da non consentire neppure in questo caso un adeguato riflesso nelle statistiche.

    Per Ferrara potremmo dunque parlare di una prevalente « sosta di passaggio » e per Ravenna invece di una « sosta di proposito », meta come è di molti visitatori che vi convergono dai centri della via Emilia e della Bologna-Venezia e da quelli della regione balneare per ritornare agli stessi luoghi di provenienza più che per transitare oltre.

    Vedi Anche:  L'economia industriale