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La valle dell’Aniene

    La valle dell’Aniene

    Per chi voglia da Roma recarsi a visitare la regione collinosa e montana del Lazio orientale, la miglior via di accesso è costituita dalla Via Tiburtina, che oltre Tivoli continua col nome classico di Via Valeria.

    La Tiburtina uscendo da Roma traversa una propaggine urbana a carattere industriale ed operaio, della quale si è già fatto cenno, tocca o avvicina popolose borgate e, tenendosi sempre sulla destra dell’Aniene, ma a qualche distanza dal fiume, raggiunge Bagni di Tivoli, già modesta località nota per le sue sorgenti solforose (Acque Albule), ora assurta a movimentato centro, poi traversa l’Aniene a Ponte Lucano, oltre il quale incontra il ripido gradino dei Monti Tiburtini, coperti di oliveti. Qui l’antico e il moderno sono a contatto : in cospetto ai grandiosi ruderi della Villa Adriana, della quale scavi recenti accrescono di giorno in giorno l’imponenza, è sorto da pochi anni uno dei maggiori complessi industriali del Lazio. Da Ponte Lucano (m. 47 s. m.), in 6 km. la strada conduce, con viva salita in mezzo ad un annoso oliveto, a Tivoli.

    Tivoli

    Tivoli, la romana Tibur — che da taluni si ritiene fondata dai semileggendari Siculi del Lazio (ancora in età augustea un quartiere della città si chiamava Siculo) — è uno dei più antichi insediamenti che si conoscano nella regione, tra quelli, almeno, che sono sopravvissuti, con continuità di vita urbana, dall’età preromana fino ai tempi nostri. E situata a 175-232 m. su un ripiano calcareo alla sinistra dell’Aniene, nel punto dove questo fiume, dopo essersi insinuato fra i Monti Ripoli e Catillo, gira intorno a quest’ultimo e salta, con una serie di cascate, il ripido gradino sopra accennato, per scendere nella Campagna Romana. Su questa la città si affaccia come da una balconata che offre estesi panorami fino al mare, ai Colli Laziali, ai Monti Sabatini, al Soratte.

    La topografia e l’aspetto delle cascate sono più volte cambiati in tempi storici per l’opera di erosione delle acque precipitanti dal frastagliato orlo: nella sistemazione attuale parte di esse discendono in cascatelle pittoresche, ma la parte maggiore è convogliata nella Cascata grande attraverso una duplice galleria artificiale, costruita per interessamento di papa Gregorio XVI, dopo lunghi studi seguiti ad una disastrosa piena del 1826, dall’architetto Clemente Folcili; quello stesso che sistemò la Villa Gregoriana, dalla quale si godono visioni panoramiche delle cascate.

    Sulle origini della città e sul periodo preromano non si hanno notizie sicure : Tibur era peraltro sicuramente considerata città sabina. L’arx si trovava probabilmente là dove sorge ora il celebre tempio rotondo denominato falsamente di Vesta o della Sibilla, che era invece un sacello di Ercole, veneratissimo patrono della città. Questa era cinta di mura con cinque porte; il perimetro è stato ricostruito ed il suo territorio calcolato a 300-400 kmq. Il foro corrispondeva all’attuale Piazza dell’Olmo ed ivi si ergeva il principale tempio alla divinità protettrice. Per lungo tempo troviamo Tivoli come membro importante della Lega Latina e quasi sempre in lotta con Roma (anche durante il periodo della minaccia gallica). Sciolta la lega, Tivoli fu federata a Roma, poi, dopo la guerra sociale i Tiburtini ebbero la cittadinanza. Nell’età di Siila Tivoli si ingrandì e fu circondata da mura; ma non abbiamo indicazioni attendibili sul numero dei suoi abitanti. Sul finire della Repubblica, durante il primo secolo dell’Impero e anche più tardi, insigni personaggi — come Cesare, Augusto, Sallustio, Caio Cassio, Catullo, Orazio, ecc. — vi fecero dimora temporanea o ebbero nei dintorni ville e poderi: sontuosa la villa di Quintilio Varo, per non dire della già menzionata villa di Adriano, che era in realtà molto più che una villa, un complesso estesissimo di grandiosi, magnifici edifici con tutti gli accessori atti a render piacevole il soggiorno e a consentire una superba ospitalità. Allora Tivoli per la sua vicinanza a Roma veniva quasi considerata come un’appendice dell’Urbe.

    Il ponte Nomentano sul fiume Aniene

    Nel Medio Evo la situazione di Tivoli ne accentua una funzione che già si intrav-vede nel periodo precedente: quella di baluardo a sbarramento della principale via di accesso dall’Abruzzo (e perciò dal Napoletano) a Roma. Quasi tutte le sue complesse vicende — atti ostili, assedi, occupazioni, trapassi spesso cruenti di dominazioni — sono direttamente o indirettamente connesse con questa funzione. Per quanto sin dal secolo VI i Papi ne facessero il centro amministrativo dei propri possessi in Sabina, Tivoli parteggiò spesso per gli imperiali (lo stesso Federico Barbarossa ingrandì la città e ne rafforzò la cinta murata nei settori nei quali mancava la protezione naturale del fiume e delle cascate), ma soprattutto cercò di mantenere, barcamenandosi nelle varie contese, una propria autonomia; fin dal secolo IX aveva ordinamenti comunali e il suo territorio si estendeva dalla Campagna Romana ai confini dell’Abruzzo; comprendeva circa cinquanta castelli e più o meno nominalmente anche l’Abbazia di Su-biaco. Una « Provincia di Tivoli » compare alla metà del secolo XIII, ma come appartenente al Districtus urbis e dipendente dal Senato Romano. Durante il periodo avignonese — ricco anche questo di complesse e alterne vicende — Tivoli riconquistò la sua autonomia; ma a partire dal secolo XV fu legata, quasi senza interruzioni, alla Santa Sede. Da allora data un’estensione della città dal più antico nucleo in basso, a una zona più alta (quartieri di S. Croce e del Trevio dove ancora sussistono edifici di architettura quattrocentesca). A Pio II si deve l’erezione della robusta rocca a quattro torrioni, sul sito dell’antico anfiteatro già precedentemente fortificato. Sisto IV vi ripristinò antiche istituzioni, come l’Università delle Arti, e chiamò Me-lozzo da Forlì ad affrescare la chiesa di S. Giovanni; Alessandro VI vi fece ripetuti soggiorni. Adriano VI la fece sede di un proprio governo (1522), il che favorì lo sviluppo della città, bruscamente interrotto agli inizi dai saccheggiatori di Roma nel 1527, ma presto ripreso per opera di insigni governatori. Eccelle fra essi il cardinale Ippolito II d’Este, che eletto nel 1550 fece costruire da Pirro Ligorio la celeberrima Villa d’Este, col magnifico palazzo, massima attrattiva della città anche ai giorni nostri, specie dopo le recenti opere di restauro. Con Ippolito d’Este che fondò a Tivoli un’accademia si inizia anche un notevole periodo di vita culturale della città, che offrì frequente ospitalità a grandi figure rappresentative delle lettere, delle arti, della musica, ecc. Quale fosse l’aspetto della città al principio del secolo XVII, si può rilevare dal bel «Ritratto della città di Tivoli» stampato a Roma nel 1612 da Antonio De Paulis.

    Tivoli.

    Tivoli. Il cosiddetto tempio di Vesta.

    Tivoli e Villa d’Esté,

    Tuttavia nel 1656 quando fu fatto il primo censimento pontificio, Tivoli contava appena 4000 ab., e superava di poco questa cifra al principio del secolo XVIII; nel 1782 erano circa 5900, ma compresi quelli dei dintorni immediati, del resto non numerosi. Dopo una lieve flessione negli ultimi decenni del secolo XVIlì e nei primi del XIX si avvertì un costante aumento. Tivoli era stata avversa alla Repubblica Romana del 1798-99, anzi insorse a favore delle truppe napoletane che riconquistarono Roma.

    Vedi Anche:  Distribuzione della popolazione e tipi della casa e dei centri

    Villa Adriana. Il Teatro marittimo visto dall’alto.

    Villa Adriana. Ruderi delle Biblioteche

    Napoleone favorì la città erigendola a capoluogo di un circondario che comprendeva 54 comuni. Nel riordinamento amministrativo attuato da Pio VII nel 1816, Tivoli compare come capoluogo di « governo distrettuale » con 5484 abitanti. Questi sono saliti a 7147 nel censimento del 1853; incremento notevole in meno di 40 anni, dovuto anche al fatto che Gregorio XVI aveva promosso il primo sfruttamento dell’energia idraulica per usi industriali con la costituzione di un consorzio di utenti. Tivoli aveva già avuto mole e ferriere, lanifici e cartiere nel Rinascimento; le cartiere furono ora le prime ad avvantaggiarsi dei nuovi sviluppi delle industrie. Nel 1871 la popolazione era cresciuta a 8105 ab. dei quali 7730 in città; nel 1881 si erano quasi raggiunti nel centro i 10.000 ab., nel 1901 i 12.000, nel 1921 si erano superati i 15.000, nel 1931 si toccavano i 18.000. Tivoli era ormai divenuto un vivace centro industriale: oltre alle cartiere, vi erano sorte officine tipografiche, fabbriche di cappelli, di coltellerie, ecc. Ma durante la seconda guerra mondiale la città subì severi bombardamenti che danneggiarono in parte anche il vecchio centro; le ricostruzioni presto avviate hanno pertanto modificato alquanto la fisonomía della città. All’ingresso della strada proveniente da Roma, là dove sorgeva un gruppo di vecchi edifici, è stato creato un ampio piazzale con alberi e giardini dal quale si gode un vastissimo panorama; alcune delle vecchie strade sono state ampliate, la città si è dilatata con sobborghi specie ad est lungo la circonvallazione. Un quartiere è sorto anche sulla destra dell’Aniene. Secondo il censimento del 1951 Tivoli città contava 19.673 ab., ma l’intero comune ne annoverava quasi 25.000, poiché in esso sono compresi oltre il centro di Bagni, quelli più vicini di Villa Adriana e Ponte Lucano, oltre a circa 3000 ab. in case sparse o piccoli nuclei. Le frequenti e comode comunicazioni con Roma per mezzo di servizi automobilistici (dell’Azienda comunale di Roma) inducono ad abitare a Tivoli molti che per ragioni di lavoro convengono quotidianamente nella capitale: la cittadina rientra perciò ormai in quella che può dirsi la banlieue di Roma. Le attività industriali, molto ravvivate, tendono, come si è visto altrove, a spostarsi in basso, intorno a Ponte Lucano, che può considerarsi una filiazione di Tivoli. Si moltiplicano inoltre le ville e più le abitazioni rurali nelle fertili campagne circostanti (oliveti, vigneti, frutteti). Dopo il 1951 l’incremento della popolazione nell’intero comune è avvenuto con un ritmo che ha pochi riscontri nel Lazio (34.067 ab. nel 1961, cioè aumento del 36,6%).

    Tivoli presenta oggi una molteplicità di aspetti quale è raro trovare in città di analoga entità demografica: avanzi cospicui di monumenti antichi (oltre il già menzionato tempio detto della Sibilla, il contiguo tempio rettangolare dedicato all’eroe eponimo della città, Tiburto, e altri ruderi), chiese insigni di varie epoche (la Cattedrale, S. Lorenzo, S. Silvestro, S. Biagio, S. Maria Maggiore, S. Pietro, ecc., con pitture e affreschi di pregio), torri, campanili, poi la meravigliosa Villa d’Este e la Villa Gregoriana con le pittoresche cascate, e accanto ad esse la Tivoli nuova con le moderne costruzioni, le ampie strade in stridente contrasto con quanto rimane delle viuzze dei superstiti angoli del vecchio centro. Le varie attrattive, la comodità di accesso da Roma e la facilità di continuare la visita con quella di Villa Adriana spiegano anche il crescente afflusso di visitatori italiani e stranieri, onde Tivoli è oggi uno dei maggiori centri turistici del Lazio. Tivoli è tuttora un centro culturale notevole soprattutto per merito della Società Tiburtina di Storia e Arte, continuatrice ed erede dell’antica Accademia letteraria degli Agevoli.

    Veduta aerea d’una parte di Villa Adriana.

    Maestosi cipressi e ruderi di Villa Adriana.

    Tivoli vista dalla Villa Adriana.

    La villa Adriana, posta nella campagna a sud di Tivoli, è formata dalle rovine della grandiosa villa imperiale, fatta costruire dall’Imperatore Adriano tra il 126 e il 134 d. C. Egli vi fece riprodurre monumenti e luoghi, visitati nei suoi viaggi nel Mediterraneo orientale. In fondo si vede il Canopo, valletta artificiale, attraversata da un canale, lungo le sponde del quale si trovano colonne e statue.

    I centri della media valle dell’Aniene

    Chi percorra la via che risale l’Aniene a monte di Tivoli e che ha assunto ormai il nome di Via Valeria, ha pur sempre continui richiami all’antichità — ruderi imponenti e pittoreschi di acquedotti, avanzi di ville, monumenti vari —, all’alto Medio Evo benedettino, all’età feudale con le sue rocche e i castelli, ai più tardi secoli del Medio Evo e al primo Rinascimento, tutto in vivace contrasto anche qui con le manifestazioni dell’epoca attuale: la ferrovia, l’intenso traffico automobilistico, le centrali idroelettriche con le loro complicate sistemazioni.

    Ma ferrovia e strada hanno esercitato finora un modesto richiamo sulla popolazione. I paesi sono — con una sola eccezione — lontani dalla strada, arrampicati su dossi o su cocuzzoli e tutti si assomigliano : un agglomerato di case grigie, spesso assai alte, dominate da un castello, talvolta ormai in rovina, con una chiesa in posizione vistosa; tutti collegati alla Valeria da strade che si snodano tortuosamente, ma senza sobborghi nuovi lungo la via o presso le stazioni ferroviarie. Se alcune località furono abitate già in età antica, la struttura di questi villaggi — luoghi baronali come furono denominati sotto il dominio papale fino al 1870 — è prettamente medioevale; non manca tuttavia qualche gruppo di abitazioni recenti.

    Anticoli Corrado.

    Unica eccezione è Vicovaro, l’antica Varia, che peraltro anch’essa non è proprio sulla strada, ma su un ripiano un po’ più in alto (308 m.), ma sulla Valeria ha un sobborgo recente. Varia, città degli Equi, poi associata alla Lega Latina e in seguito colonia romana, ebbe una duplice cinta murata: dovette dunque essere un centro ragguardevole; distrutta, a quanto si dice, dai Saraceni, fu ricostruita nei limiti ristretti dell’antica arx e dalla fine del secolo XII al XVII fu feudo degli Orsini. Il Palazzo baronale, alcune chiese, tra le quali il singolare tempietto di S. Giacomo, a pianta ottagonale, una spaziosa piazza le conferiscono un aspetto cittadino.

    Degli altri centri, sulla destra della Valeria (sinistra dell’Aniene), Castel Madama (453 m.) trae il suo nome attuale (si chiamava prima Castrum Sancii Angeli) dal soggiorno che vi fece la figlia di Carlo V, Margherita d’Austria; Saracinesco, a 908 m. su un cocuzzolo che da lontano sembra quasi inaccessibile, si dice abbia avuto origine da un gruppo di Saraceni, ivi rifugiatisi dopo la rotta subita per opera di Carlo il Calvo che pose fine alle loro scorrerie nella vallata (ma la tradizione non ha alcun fondamento sicuro); Anticoli Corrado, in posizione quanto mai pittoresca a 512 m., è celebre per la bellezza delle sue donne che in passato servirono in paese, e pure a Roma, da modelle a pittori anche famosi (e taluni artisti vi soggiornano ancora); Sambuci, più lontano (a 434 m.), è anch’esso in posizione pittoresca a dominio di una strada che si addentra fra i Monti Prenestini e i Ruffi.

    Vedi Anche:  Il nome e l'estensione del Lazio attraverso i secoli

    Sulla sinistra di chi risale la Valeria (destra dell’Aniene) sono San Polo dei Cavalieri, a 650 m. in posizione ardita visibile da lontano e rimarchevole per il suo castello e il borgo medioevale raccolto intorno a quello; Mandela (a 487 m.), detta prima del 1870 Cantalupo Bardella (il nome attuale deriva da quello della località antica che Orazio definì rugosus frigor e pagus); Cineto Romano a 521 m. e Roviano a 523 m., entrambi su cocuzzoli, a breve distanza dalla strada, ma quasi imminenti (specie Roviano) su di essa.

    La valle dell’Aniene nel tratto ora descritto alterna sezioni più larghe, nelle quali il fondo e le prossime pendici sono ben coltivate, con predominio di colture arboree, e sezioni più incassate. In una di queste si trova, su un pittoresco sprone a picco, il solitario convento di S. Cosimato, con le sue grotte scavate nella rupe, sul quale aleggiano fosche leggende benedettine; ma la gola è sbarrata oggi da una diga e un bacino artificiale anima una centrale idroelettrica. Ancora il più stridente contrasto fra antico e nuovo. Un breve slargo della valle corrisponde allo sbocco nell’Aniene del suo affluente di destra, il Licenza — gelidus Digentia rivus di Orazio — che viene da nord. Anche in questa amena valletta — nella quale sono i cospicui ruderi di una villa appartenuta, secondo l’opinione prevalente, al poeta Orazio — i paesi sono in alto su dossi isolati: Roccagiovine a 518 m. col suo bel castello, non lungi dall’antico fanum Vacunae, Licenza a 478 m., Percile a 575 metri. La strada che percorre la valle, prosegue verso Orvinio e raggiunge, come si è già visto, la Salaria.

    La valle del Licenza col paese omonimo.

    Più a monte una sezione pianeggiante abbastanza ampia occupa il fondovalle nel quale confluisce il fosso Bagnatore. Domina da nord questa pianura, importante come nodo stradale, Àrsoli, sdraiato a 473 m. alle falde del Monte Sant’Elia, su una pendice coronata dal grandioso Castello Massimo, uno dei più imponenti della regione; accanto al vecchio borgo, con strade in viva salita, un nascente sobborgo si allinea presso la stazione ferroviaria. Più lontano, sul versante opposto del Sant’Elia è Rio-freddo (670 m.), località che si ritiene fondata dai benedettini di Subiaco. Poco più avanti, al Piano del Cavaliere, presso lo spartiacque tra Aniene e Turano, la Via Valeria entra in Abruzzo.

    Nei comuni della valle dell’Aniene a monte di Vicovaro, dei quali si è fatto parola, la popolazione è da tempo in stasi o in regresso accentuatosi talora nel secolo attuale. Il massimo regresso si constata per Saracinesco, il centro più elevato ed appartato: la popolazione, che era di 544 ab. nel 1871, dopo esser salita a 876 nel 1911 è ora (1961) discesa a 180; lo spopolamento appare evidente dal numero delle case abbandonate e cadenti. Anticoli Corrado mostra, molto meno accentuata, la stessa tendenza: 1388 ab. nel 1871, 2061 nel 1911, 1257 nel 1951, 1109 nel 1961. Lo stesso si può ripetere per Mandela (717 ab. nel 1871; 802 nel 1901; 667 nel 1936; 662 nel 1961), per Sambuci (746 ab. nel 1871 ; 1027 nel 1901 ; 818 nel 1951 ; 719 nel 1961), per Roccagio-vine (479 ab. nel 1871 ; 504 nel 1901, 393 nel 1951 ; 310 nel 1961). A Cineto il regresso è stato pressoché continuo (da 1241 ab. nel 1871 a 810 nel 1911, a 814 nel 1951, a 700 nel 1961). Anche Arsoli non si è sottratto a questo fenomeno: 1836 ab. nel 1871, 2200 nel 1911, 1805 nel 1951, 1731 nel 1961. Analogo è il comportamento di Riofreddo.

    Riofreddo.

    Che il fenomeno abbia precedenti in età più antiche, ce lo mostra il totale abbandono di alcune località poste a grande altezza, delle quali restano i ruderi soprattutto in Val Licenza.

    Questi paesi hanno dato un notevole contributo all’emigrazione oltre Oceano, ma il deperimento demografico recente è dovuto soprattutto a migrazioni interne. E peraltro notevole che le famiglie che lasciano i paesi non si trasferiscono, come altrove avviene, in sobborghi vicini alla strada, o in prossimità del fondovalle, ma si dirigono verso le città, Tivoli e soprattutto Roma. Nell’ultimo decennio qualcuna di queste località accenna a prendere o riprender vita come centro di villeggiatura; ciò determina il sorgere di qualche costruzione nuova, l’ammodernamento di vecchie, talora un miglioramento nei servizi, ma ciò non si riflette per ora in una ripresa demografica.

    I centri dell’alta valle dell’Aniene

    Nella pianura sotto Roviano la valle dell’Aniene muta direzione: ha inizio il suo tronco superiore del quale si è già parlato altrove segnalandone l’importanza per le ricchissime sorgenti captate dell’Acqua Marcia. Una strada che si dirama dalla Valeria nella località detta Colonnette di Àrsoli risale il fiume sulla destra dirigendosi a Subiaco e poi al Piano di Arcinazzo.

    In questo tronco si ripetono in sostanza le condizioni che abbiamo segnalato nel tronco precedente. La valle alterna sezioni più ampie con altre più anguste e le più ampie sono abbellite da colture arboree, che del resto non mancano mai sulle pendici più basse e più morbide. Un contrasto si osserva tra il versante sinistro, ricco di acque e quello destro, dove le brulle e aride montagne calcaree (Monte S. Bartolomeo 1441 m., Monte Calvo 1590 m., Monte Autore 1853 m.) si levano imponenti nella loro nudità interrotta solo da superstiti chiazze di bosco.

    Ma i centri abitati anche qui non sono in fondovalle, con la sola eccezione di Agosta; frequenti sono tuttavia le abitazioni rurali isolate.

    Sul versante destro un solo centro, Cervara di Roma, il più alto comune del Lazio (1053 m.), che si protende in modo spettacolare con le case ammassate sulla brulla pendice calcarea e con l’arcigna rocca: essa ha visto la sua popolazione, che era di 1187 ab. nel 1871, dopo un periodo di ascesa (1901-11) calare a 846 ab. nel 1951 e a 743 nel 1961; la vita è rude a così grande altezza, lo spazio coltivabile è scarso malgrado lo sforzo costante degli abitanti, e nonostante che una nuovissima, superba strada colleghi il paese sia ad Arsoli che a Subiaco, perdura l’isolamento.

    Sul versante sinistro si trovano Marano Equo (470 m.) con la sua rocca medioevale, Rocca Canterano, a 745 m., sorta intorno ad una rocca eretta su uno sprone del Monte Costasole a difesa di Canterano, paesetto situato più sotto su un’erta rupe calcarea imminente sulla valle; Rocca Santo Stefano a 665 m. con avanzi di un altro castello.

    Àgosta nella valle dell’Aniene.

    Anche in alcuni di questi paesi la popolazione tende ad abbandonare le elevate, appartate sedi: a Cervara i 1187 ab. del 1871 sono ridotti a 743 nel 1961; a Rocca Canterano nello stesso periodo da 1232 a 580. Ma nei centri posti sulla sinistra l’isolamento, che cinquanta o sessantanni fa pesava ancora gravemente, è oggi attenuato da strade che, inerpicandosi faticosamente sugli aspri rilievi, collegano la valle del-l’Aniene con la regione prenestina che descriveremo in un prossimo capitolo.

    Vedi Anche:  I Castelli Romani

    Seguitando a percorrere la Via Sublacense, i monumenti sacri si fanno sempre più frequenti: la chiesa di S. Francesco, sulla sinistra dell’Aniene, alla quale conduce un ponte medioevale ad un arco, ci annunzia la città di Subiaco.

    Si è già detto altrove che l’aspetto della valle dell’Aniene in questo punto è stato trasformato per opera dell’uomo, allorché Nerone fece sbarrare il fiume con una potente diga, formata da una muraglia dello spessore di 14 m. e dell’altezza di 40, della quale sono ancora riconoscibili gli avanzi. Lo sbarramento diede origine a tre laghi — i Simbruina stagna di Tacito e di Plinio — o forse ampliò qualche bacino naturale preesistente; quello nuovo, del quale può ricostruirsi il perimetro, aveva forma allungata, con una strozzatura al centro che lo divideva quasi in due specchi d’acqua distinti. La diga, sormontata da un ponte detto nell’antichità pons marmoreus, resistette, mentre i laghi si venivano probabilmente interrando, fino al 1315, anno nel quale il 13 febbraio crollò per effetto di una piena che devastò l’intera vallata. Sul lago, Nerone fece erigere la famosa, sontuosissima villa, consistente in diversi edifici, sparsi in un’area molto vasta e dei quali restano cospicui avanzi ; la ravvivavano magnifici giuochi d’acqua. Si vuole che l’abitato di Subiaco avesse origine dallo stanziamento di famiglie di schiavi impiegati nei grandiosi lavori neroniani, o da nuclei stabilitisi qui alquanto più tardi, sullo scorcio del secolo V, allorché S. Benedetto costituì in questa parte della vallata — la Valle Santa — i suoi dodici cenobi. Certo è che la località viene designata come castrum già nel secolo X.

    Subiaco

    Subiaco, sdraiato su una pendice tra 400 e 470 m. di altezza, non ha, nella parte vecchia, aspetto sostanzialmente diverso da quello degli altri paesi di questa regione: vie in genere strette e tortuose (tranne le due arterie principali), che salgono verso il castello del quale si ha notizia sino dal secolo XI ; il borgo serrato intorno al castello, le grigie case di pietra, spesso con scala esterna, le gradinate interrotte da brevi spiazzi, chiese, edicole ed alcune costruzioni con elementi architettonici risalenti talora ai secoli XIII-XV, richiamano l’attenzione ed avvertono che non si ha a che fare con un villaggio.

    Ma Subiaco è famoso come prima dimora di S. Benedetto e primo centro della sua predicazione. Il Santo ritiratosi qui nel 494 aveva utilizzato, come sede dei nuclei cenobiali, le numerose caverne che si aprono nella montagna, e una di esse, il Sacro Speco è proprio la primitiva grotta ove rimase in penitenza.

    Recenti abili restauri le hanno restituito l’originario aspetto; tutta la serie delle cavità, collegate da anditi e da scale, e le due chiese, superiore e inferiore, presentano le pareti affrescate da pitture di epoche e autori diversi : un vero museo di pittura che qui non può naturalmente essere descritto nei particolari. Il monastero, del quale si hanno incerte notizie sino dal secolo VII, più sicure a partire dal IX, godette sempre i favori dei Papi ed ebbe numerose donazioni che accrebbero sempre più la sua potenza territoriale. Il sottostante monastero di S. Scolastica è del secolo XI; il suo elemento più antico è l’imponente campanile di stile romanico; il fabbricato del monastero è del secolo XIII, quasi contemporanea la chiesa, l’uno e l’altra più volte restaurati anche di recente.

    L’abbazia si costituì in meno di un secolo un patrimonio territoriale così esteso (dalle sorgenti dell’Aniene fin quasi alle porte di Tivoli e dai confini del vicino Abruzzo alla valle del Sacco) che gli abati assunsero una potenza non solo economica, ma anche politica che ebbe il suo apogeo nel secolo XI. Allora la regione sublacense fu teatro di terribili lotte alle quali non si può accennare qui neppure di sfuggita: le vicende di Subiaco, dapprima governato da un vicecomes in nome dell’abate, poi autonomo dal 1193 con propri ordinamenti, seguirono naturalmente quelle dell’abbazia, la cui decadenza si iniziò già nella seconda metà del secolo XII. I terremoti e la pestilenza del 1348 recarono altri gravissimi colpi. Ma il monastero rimase un centro culturale di prim’ordine: è noto che nel 1465 vi sorse la prima tipografia italiana impiantatavi da due tedeschi; della stessa data sono i primi libri stampati in Italia. Nel secolo XV Calisto III eresse l’abbazia in commenda, e i commendatari si alternarono fra membri di insigni famiglie romane fino a che fu abolita nel 1915.

    Sulla popolazione di Subiaco non si hanno sicure notizie che per un periodo molto posteriore a quello del massimo sviluppo dell’abbazia. Essa contava appena 2400 ab. nel 1656 e altrettanti o poco più al principio del secolo XVIII, durante il quale si verificò peraltro un notevole incremento: circa 4700 ab. nel 1782. Anche qui, come altrove, il periodo della Rivoluzione Francese e del dominio napoleonico segnò una decadenza: meno di 4800 ab. nel 1816. Il censimento del 1853 noverò 6526 ab., il primo italiano del 1871, 7367 ab. dei quali circa 7000 in città. Da allora si verificarono oscillazioni in vario senso, di non grande entità: 9348 ab. (in tutto il comune) nel 1921, che rappresenta un momento di acme, 9178 nel 1951, 8595 nel 1961. Minimo è il numero degli abitanti nei due conventi e in altri istituti religiosi, molto notevole invece la popolazione rurale: 2228 ab. in case sparse nel 1951 (6625 soltanto in città).

    Ma Subiaco si è oggi estesa con nuove costruzioni lungo la strada principale e nel fondovalle, con strade ampie che facilitano la circolazione. In prossimità della cittadina è una centrale elettrica animata da una derivazione che dall’Aniene poco a monte degli antichi laghi, vi giunge in galleria; essa dà vita ad alcune notevoli attività industriali. Ma un’altra fonte di attività si è aperta per Subiaco da pochissimi anni : quella connessa con gli sports invernali per i quali le pendici del Monte Autore offrono eccellenti campi sciistici. Una comoda strada sale da Subiaco a Monte Livata (1429 m.) e si prolunga fino a Campo dell’Osso. Un rifugio sorge sotto la vetta dell’Autore in prossimità delle sorgenti del Simbrivio affluente dell’Aniene.

    Chi, dagli spalti del Monastero di S. Benedetto che piombano a picco sull’Aniene, si affacci a guardare la vallata, che in questo tronco superiore assume l’aspetto di una gola fra erte, nude rocce, vede profilarsi lontano, quasi aggrappato a una parete, il paesetto di Ienne, a 834 m. (1011 ab. al 1961), noto perchè teatro di alcuni episodi del romanzo « Il Santo » di Fogazzaro. Vi giunge un’ardita strada che si dirama dalla Sublacense e procede poi per Vallepietra (825 m.) alle falde del Monte Autore, luogo di riunione dei pellegrinaggi alla Santissima Trinità (1337 m.), dei quali si è fatto parola in altro capitolo.

    Da Santa Scolastica la Via Sublacense prosegue salendo ai Piani di Arcinazzo, che noi, nei nostri immaginari itinerari laziali, raggiungeremo per altra via.

    Panorama di Subiaco dalla strada dei Monasteri