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Le principali città della Toscana

    Le città principali

    Firenze

    Le più lontane origini di Firenze si possono far risalire a un primitivo villaggio italico di circa dieci secoli a. C. che sorgeva, come provano gli ossuari di un sepolcreto villanoviano, presso l’antica confluenza del Mugnone nell’Arno. Si ha poi notizia di un municipio romano che fu distrutto da Siila e di una nuova colonia fondata nel 59 a. C., della quale restano, come meglio diremo, precise testimonianze topografiche. Maggior importanza pare avere raggiunto la città ai tempi dell’Impero, quando con Diocleziano divenne sede del Corrector Italiae, del governatore cioè della Toscana e dell’Umbria.

    Ma la grande storia di Firenze, quella che dette alla città una parte così importante nelle vicende di tutta la regione e ne fece un centro politico e culturale tra i più importanti d’Europa, cominciò in realtà assai più tardi: nel Medio Evo, dopo le invasioni barbariche e le tormentate vicende che portano dall’occupazione longobarda al dominio vescovile. Dopo il Mille il fermento delle lotte condotte contro i vescovi, veri padroni della città, accusati di corruzione, di violenze e di soprusi di ogni genere, preparano le basi di quel libero Comune, che già troviamo costituito alla morte della contessa Matilde nel 1115. La Repubblica Fiorentina del XII secolo si liberò sempre più dall’influenza dei vecchi feudatari che dominavano nel contado e si fondò su un ordinamento già parzialmente democratico con due consoli, eletti tra le famiglie più potenti, un Consiglio di cento Buonomini ed un Parlamento, cui prendevano parte gli ancor pochi cittadini aventi diritti politici.

    Da allora Firenze vede il suo prestigio e la sua forza accrescersi costantemente. Un po’ per volta cadono sotto le sue armi i castelli e le rocche delle campagne circostanti e gli stessi feudatari si piegano di fronte all’espansione di una città che è in grado sempre più di tener testa persino all’autorità dell’Impero. Ma le lotte interne diventano aspre e si acuiscono durante il Trecento con la formazione dei due partiti che si scontreranno furiosamente per molti decenni: i Guelfi partigiani della Chiesa, i Ghibellini sostenitori dell’Impero. Aspre contese, bagnate di sangue, nelle quali intervengono forze esterne come Federico II, portano successivamente al potere l’una e l’altra di queste fazioni, tra cui si inseriscono, alla fine del Duecento, i partiti dei Magnati, proprietari di origine nobile, e dei Mercanti e Artieri, rappresentanti delle sempre più potenti Arti createsi intorno agli ordinamenti di Giano della Bella (di Calimala, giudici e notai, cambiaioli, lanaioli, setaioli o mercanti di Por Santa Maria, medici e speziali, pellicciai, e quelle minori: beccai, calzolai, rigattieri, ecc.). La tranquillità interna è ancora rotta successivamente dalle lotte tra Bianchi e Neri che vedono divise le famiglie più potenti, il popolo « grasso » ed il popolo « minuto », e dalle lotte sempre più frequenti con le città vicine, che approfittano delle rivalità interne per vendicarsi di Firenze e riacquistare la propria libertà e la propria supremazia.

    E straordinario tuttavia come, malgrado la violenza delle lotte interne ed esterne, l’asprezza delle vendette tra le famiglie più potenti, i continui rivolgimenti di potere, Firenze sotto la Repubblica, durante il Duecento ed il Trecento, raggiunga uno splendore artistico e culturale di eccezionale importanza ed una ricchezza industriale e commerciale, che sta alla pari delle più importanti città europee. Scrive il Villari che « le vicende della Repubblica Fiorentina trovano qualche riscontro solamente nei tempi più floridi della libertà ateniese. Invano cercheremmo, in tutta quanta la storia moderna, un’altra città piena, ad un tempo, di tanto tumulto e di tante ricchezze, nella quale, versandosi tanto sangue, fiorissero del pari le arti, le lettere, il commercio e l’industria. Lo storico quasi non crede a se stesso, quando deve descrivere un pugno di uomini che, raccolti sopra un palmo di terra, stendono i loro traffici in Oriente ed in Occidente; aprono le loro banche in tutta Europa, accumulano tesori così vasti che le private fortune bastano talora a sostenere sovrani vacillanti sui loro troni. E deve dire ancora, che questi ricchi mercanti fondarono con Dante la poesia moderna, e con Giotto la pittura; con Arnolfo, con Brunelleschi, con Michelangelo, che fu poeta, pittore, scultore ed architetto ad un tempo, innalzarono quelle stupende moli che il mondo continuerà sempre ad ammirare. I primi e più accorti diplomatici d’Europa erano fiorentini, la scienza politica e la storia civile nacquero a Firenze con il Machiavelli. In sul finire del Medio Evo quell’angusto municipio somigliava ad un piccolo punto di luce che illuminava il mondo ».

    Nel Quattrocento ormai si è imposta nella vita fiorentina l’attività commerciale, estranea in un primo tempo a quella politica, di una potente famiglia, quella dei Medici, che un po’ per volta diventa sempre più influente, fino ad assumere, attraverso contrastate vicende, l’effettivo controllo della vita cittadina. Attraverso Cosimo e Lorenzo la Signoria Medicea si impone oramai stabilmente, e salvo brevi periodi di dominazioni esterne, i Medici diventano i veri padroni della città, che assurge a capitale del Ducato e del Granducato della Toscana. La storia di Firenze riassume ormai quella di tutta la regione, di cui già si è parlato.

    Pianta di Firenze del XV secolo, disegnata da Pietro del Massaio, nella « Cosmographia » di Claudio Tolomeo.

    Il Granducato Mediceo dura fino al 1737, quando estintosi l’ultimo discendente della famiglia, Gian Gastone, succede al trono Francesco duca di Lorena.

    Nel 1860 Firenze proclamò finalmente la propria annessione al Regno d’Italia e ne fu la capitale dal 1865 al 1871. Per quanto riguarda la storia della città dal Quattrocento ai nostri giorni, rinviamo comunque al capitolo generale sulla storia della regione.

    II Duomo e il Battistero di Firenze. Nello sfondo Santa Croce, il Palazzo con la Torre del Bargello e il Campanile della Badia Fiorentina.

    Firenze nella seconda metà del XVI secolo (Gallerie Vaticane).

    Il castrum della colonia del 59 a. C., le cui linee sono ancora ben visibili entro la pianta della città attuale, era cinto da mura di quasi due chilometri di lunghezza e aveva il centro ove oggi si apre la moderna piazza della Repubblica: di forma rettangolare, era tagliato da strade orientate secondo i punti cardinali, contrariamente a quanto avvenne nella centuriazione dell’agro circostante le cui strade seguivano invece l’orientamento del fiume: differenza questa che deve forse collegarsi alla preesistenza di un’altra colonia distrutta, come si disse, da Siila.

    Le mura medievali restarono forse quelle romane con lo stesso orientamento delle strade interne o furono comunque ricostruite, verso la fine dell’VIII secolo, sul medesimo tracciato; solo verso sud si creò un ampliamento a punta per comprendere un borgo sorto all’esterno. Entro il perimetro romano-medievale, che comprendeva circa 23 ettari, « lo sviluppo della città in cui predominava l’interesse difensivo era chiaramente verticale. Nel ristretto spazio della cerchia antica si contavano più di cento torri (nel 1180 ne sono documentate trentacinque, ma in seguito si arrivò a contarne fino a duecentocinquanta). Il tracciato stesso delle strade veniva modificato per interessi di difesa. Fu così che il vecchio centro di Firenze assunse, pur nell’approssimativo rispetto della scacchiera romana, una planimetria frastagliata, divenne un sistema così irrazionale di vie, di vicoli, di piazzette che, cessate le ragioni difensive per cui era sorto, la vita ne rifuggì e là dove avevano abitato i signori i quali avevano trasferito in città, in uno spazio ristrettissimo, la morale del castello, trovò alloggio la plebe declassata, i poveri, la popolazione del mercato, e più tardi una parte di quelle torri fu chiusa e trasformata in ghetto. Nell’Ottocento non si troverà di meglio che spazzar via tutto » (Michelucci-Migliorini).

    Strade della vecchia Firenze, in Oltrarno (Via del Campuccio).

    Il notevole sviluppo di Firenze nel XII secolo, quando la popolazione uscì dalle antiche mura e nuovi borghi sorsero all’esterno in forma di lunghi caseggiati seguendo le strade che partivano dalle porte principali, portò alla costruzione, iniziata nel il72 e rapidamente realizzata, di nuove mura che comprendevano uno spazio ben più grande, di quasi cento ettari, dalla forma grossolanamente quadrangolare, estese anche sulla sinistra dell’Arno. Sul fiume, sul quale era stato costruito già avanti il Mille il celebre Ponte Vecchio, originariamente in legno, saranno poi costruiti il Ponte alla Carraia nel 1218, il Ponte alle Grazie nel 1236, il Ponte Santa Trinità nel 1251.

    Non era passato un secolo che l’espansione della città rivelò queste mura insufficienti ad accogliere il sempre crescente numero di abitanti e impose un’altra più larga cerchia, la cui costruzione si iniziò infatti nel 1284 e terminò nel 1333 con una larga visione, anche troppo ottimistica, dello sviluppo urbano futuro: lo spazio racchiuso era infatti oltre cinque volte (506 ettari) quello delle mura precedenti, sì che gli edifici urbani non riuscirono anche nei secoli successivi — quando tra l’altro la popolazione diminuì invece di accrescersi, fino al Cinquecento — ad occupare tutto il suolo disponibile, lasciando numerosi tratti a campi ed orti e soprattutto a giardini interni di palazzi e di conventi. A ciò si deve se la Firenze di oggi, dilatatasi ben oltre la vecchia cinta urbana, conserva nel centro diversi spazi verdi, che possono tuttavia sfuggire all’occhio del visitatore perchè racchiusi in gran parte tra edifici e tra muri.

    Firenze. Palazzo Vecchio, di notte.

    Le terze mura il cui andamento si riconosce oggi nei grandi viali di circonvallazione, ebbero un orientamento diverso dalle precedenti e un tracciato poligonale che si estendeva per un largo tratto in Oltrarno: entro di esse nel Trecento e nel Quattrocento la città attraversò un periodo di eccezionale floridezza economica e demografica e si rinnovò profondamente con l’eliminazione di molte vecchie casette e torri medievali e la costruzione di grandi edifici, di sontuosi palazzi di famiglie private, di grandi edifici religiosi, intorno a cui si sistemarono le nuove strade. « Le tetre e anguste case-fortezza del Duecento vennero sostituite da vasti e magnifici palazzi o trasformate in case d’affitto ed empori commerciali, col pianterreno ridotto a officine, magazzini, botteghe; per far luogo invece a chiese grandiose come quella di Santa Reparata, o a pubblici palazzi quale quello della Signoria, si dovette ancora ricorrere a demolizioni. Le nuove chiese furon sempre più ampie; i nuovi palazzi ebbero cortili, giardini, altane, logge aperte. Il Quattrocento dette a Firenze la grazia squisita delle sue linee pure e armoniose che perdurò anche nel Cinquecento » (T. C. I.).

    Se le terze mura compresero una superficie sovrabbondante per le necessità edilizie di allora e dei secoli successivi, ciò non impedì che al di fuori delle porte principali, ove si diramavano le più importanti vie di comunicazione, si sviluppassero diverse borgate, costituite spesso soltanto da una duplice fila di misere case, con stalle per le bestie e locande per i viaggiatori, piccoli esercizi commerciali, che preferivano restare fuori dalla cerchia daziaria. Si stabilirono cioè fino da allora le naturali direttrici di quello sviluppo urbano che si sarebbe manifestato in modo imponente alcuni secoli dopo. La maggiore sicurezza raggiunta in epoca moderna con la stabilità politica granducale favorì ancora questo processo di sviluppo dei suburbi, che furono tuttavia distrutti ancora nel 1529 entro il raggio di un miglio per motivi di difesa. Nel 1622 si apriva un grande viale, dalla Porta Romana alla villa del Poggio Imperiale; alla metà del Settecento le Cascine venivano trasformate in parco pubblico, mentre mercati, ospedali, cimiteri, ville di soggiorno, locande, si accrescevano sempre di più fuori dalle mura.

    Si giunge così all’Ottocento e all’Unità d’Italia, quando inizia il periodo di grande sviluppo demografico e topografico della città, proseguito con ritmo crescente fino ai nostri giorni: abbattute le mura, in occasione del trasferimento a Firenze della capitale d’Italia (1865) e sostituite da una splendida cintura di viali, l’agglomerato urbano cominciò da un lato ad infittirsi nel vecchio centro col sacrificio di molte aree verdi e la creazione di quartieri stretti e malsani, dall’altra ad estendersi soprattutto sulla destra dell’Amo, fino a lambire le colline (quartieri residenziali fuori Porta San Gallo) e a dilatarsi poi nella pianura a est, a ovest, a nordovest del vecchio centro. I nuovi quartieri, privi di propria autonomia economica, ma semplici appendici della vecchia città, si riempirono di case di abitazione, distinguendosi chiaramente quelli borghesi, costituiti soprattutto da ville affiancate l’una all’altra con giardini retrostanti, e quelli più popolosi, dalle strade strette, con negozi e botteghe artigianali, stalle e rimesse. Nello stesso tempo sorgevano fuori della cerchia di circonvallazione gli impianti ferroviari (stazione Leopolda a Porta Prato e stazione Maria Antonia che sarà la futura stazione centrale presso Santa Maria Novella nel 1847-48), il macello, che un tempo si trovava a San Frediano, il mercato del bestiame, che aveva luogo in precedenza in piazza Beccaria, le fonderie del Pignone, già in San Frediano, il manicomio e altri edifici di interesse pubblico. Si iniziò cioè già in quel periodo il processo di decentramento di molti servizi che caratterizzano lo sviluppo di tutte le città moderne e che portano alla distinzione di quartieri specializzati.

    Case sul fiume Arno, presso Ponte Vecchio, prima della distruzione da parte dei Tedeschi durante l’ultima guerra.

    Panorama di Firenze e della sua conca.

    La costruzione di numerose tranvie extra-urbane, per le quali Firenze ha un primato in Italia, favorì questo processo, che vide presto l’inclusione entro l’area cittadina di casali e piccoli centri originariamente isolati: il piano di ampliamento della città, influenzato forse dalla retorica della grandezza e dalla preoccupazione delle apparenze, subordinava il risanamento dei quartieri più cadenti alla costruzione di grandi opere nuove, e fu studiato e diretto tra il 1864 e il 1877 dal ben noto architetto Giuseppe Poggi, a cui si deve tra l’altro il progetto dei celebri viali dei Colli e del Piazzale Michelangelo. Verso la fine del secolo tuttavia, dopo il 1885, grandi opere di sventramento e ricostruzione rinnovarono il vecchio centro, creando strade adatte al nuovo traffico ed edifici alti e moderni in luogo delle lunghe serie di cadenti casupole, ma si formò in tal modo, un quartiere centrale, dalla struttura abbastanza regolare, che successivamente mostrerà di mal innestarsi sia dal punto funzionale che estetico, con quelli vicini, dove restano numerosi i vicoli e le strade della Firenze di un tempo.

    Alla fine del XIX secolo l’espansione fuori mura aveva ormai raggiunto oltre 250 ettari e continuò con ritmo più veloce in questo secolo: 600 ettari in vent’anni, mantenendo le naturali direzioni di sviluppo, cui abbiamo già accennato.

    Particolarmente intenso, ma ancora assai disordinato, lo sviluppo urbano dopo l’ultima guerra, quando la città si è venuta largamente estendendo con nuovi aperti quartieri, soprattutto nella pianura ad ovest e ad est del vecchio centro. Si sono così saldati al capoluogo in un solo vasto agglomerato i borghi di Careggi, di Castello e di Sesto Fiorentino, che pure resta Comune autonomo, quelli di Nòvoli e di Perè-tola e, a sud dell’Arno, quelli di Legnaia e di Scandicci, pure Comune autonomo, e altri ancora. In direzione est, l’abitato si è allargato verso Bagno a Rìpoli, oltre San Salvi, fino a Ponte a Mensola, a Varlungo e a Rovezzano. Minore l’espansione verso sud e verso nord, dove si estendono le colline giustamente protette da una eccessiva urbanizzazione.

    Sviluppo pianimetrico della città di Firenze.

    La periferia fiorentina e la città tutta risentono di questo poco regolato sviluppo e presentano non facili problemi di funzionalità e di traffico. Solo nel 1963 si è giunti, dopo anni di studi e di progetti, alla formulazione di un ampio, organico piano regolatore, legato al nome dell’architetto Detti, piano che prevede per il futuro uno sviluppo secondo criteri adeguati alle esigenze di una città di cui è prevista una continua larga espansione e salvaguarda le ormai rare aree verdi e le zone di interesse paesistico, accentuando le distinzioni funzionali e le possibilità di movimento tra quartiere e quartiere.

    La popolazione di Firenze, che alla metà del Cinquecento contava circa 63.000 abitanti, salì alla fine di quel secolo a 90.000 per ridiscendere poi nel XVII e XVIII secolo a cifre oscillanti tra 60.000 e 80.000. Solo con l’inizio dell’Ottocento si ebbe una notevole ripresa, che con costante ma non rapido aumento, portò gli abitanti a 115.000 al censimento 1861. Alla fine del secolo si erano già superati i 200.000 e col 1930 i 300.000. Il censimento del 1951 registrò 374.000 abitanti nel Comune e quello del 1961 oltre 438.000 (alla fine del 1963 455.000 residenti).

    Firenze. Il nuovo quartiere dell’« Isolotto ».

    Siena

    Nel cuore della Regione, al centro di un paesaggio di colli e di basse montagne, fra le valli dell’Arbia e dell’Elsa, sorge Siena, la più importante città della Toscana centro-meridionale, che le tradizioni culturali e il patrimonio artistico rendono giustamente famosa. Rivale di Firenze durante il Medio Evo e fino alla metà del Cinquecento, fu patria di potenti famiglie ed estese la sua influenza politica ed economica nella Toscana interna e in quella marittima.

    Sono incerte le sue origini. Una leggenda la vuole fondata dai Galli Senones, un’altra da Senio, figlio di Remo, il quale vi si sarebbe rifugiato per sfuggire all’ira dello zio Romolo. Su un primitivo centro etrusco fu fondata comunque da Augusto una colonia militare, ed in epoca romana vuole la tradizione che la Sena Julia (o Urbs Lupaia, dalla lupa romana che ne costituiva e ne costituisce l’insegna) fosse evangelizzata da Ansano Anicio, nobile romano martire della persecuzione di Diocleziano.

    Veduta di Siena del XVI secolo.

    La città subì devastazioni durante le invasioni barbariche; sotto i Longobardi, però, fu un centro importante ed ebbe propri vescovi e gastaldi, sostituiti, questi ultimi, durante la dominazione dei Franchi, dai conti. Nel XII secolo la città si eresse in libero Comune, e sostituì al conte i consoli. Essa ebbe allora da lottare prima con il vescovo e poi con i feudatari, che riuscì a debellare, costringendo a patti i maggiori ed obbligando i minori a stabilirsi in città. Divenuta ben presto il centro del ghibellinismo toscano, Siena si mostrò contraria al papa Alessandro III nella lotta che questi ebbe a sostenere col Barbarossa; e, se si eccettui un breve periodo di dissenso per cui fu assediata — se pure invano — da Enrico di Svevia (1186), fu poi sempre in ottimi rapporti con l’Impero, che le concesse privilegi non indifferenti.

    Rivale della guelfa Firenze, fu con essa in lotta fin dal 1141, e nel 1235 dovette accettare, dopo alterne vicende, una dura pace che le tolse Montalcino e Poggibonsi. Seguì un periodo di calma, durante il quale fiorirono le arti ed i commerci, ed il popolo ottenne di partecipare al governo della città mediante un Consiglio formato da ventiquattro cittadini, istituito allo scopo di moderare l’assolutismo podestarile e l’influenza delle grandi famiglie; a capo di questo fu eletto nel 1252 un Capitano del Popolo, cui venne affidata l’amministrazione della giustizia criminale ed il comando delle compagnie militari della città.

    Ben presto, però, riprese la lotta con Firenze, che mirava ai porti della Maremma. L’effimera pace del 1254 non pose fine alle rivalità, che culminarono nel 1260 nella decisiva quanto sanguinosa battaglia di Montaperti, in cui Siena, forte dell’aiuto di Manfredi, di Lucca, di Pisa, di Cortona e dei fuorusciti fiorentini, fece strage dei suoi nemici, i quali lasciarono sul campo ben 10.000 morti e 15.000 prigionieri: la grande strage « che fece l’Arbia colorata in rosso ».

    Ma i Senesi non riuscirono a trarre vantaggi duraturi da questa vittoria; dopo la morte di Manfredi e di Corradino, infatti, essi furono duramente battuti nella battaglia di Colle Val d’Elsa (1269) dai Fiorentini collegati con i Francesi ed i guelfi senesi fuorusciti. Gli esuli guelfi rientrarono, allora, in città ed il governo, dopo varie trasformazioni, venne nelle mani di una oligarchia di ricchi mercanti (governo dei Nove), i quali dal 1292 al 1355 assicurarono alla città pace e prosperità, adottando una politica guelfa e mantenendo buoni rapporti con Firenze. Fu questo il periodo migliore per Siena, durante il quale furono edificati i palazzi più belli, che ancor oggi l’adornano, ed il suo Studio acquistò larga fama.

    Ma le guerre ch’essa combattè a fianco di Firenze contro Lucca e Pisa, anche se vittoriose, esaurirono le sue finanze, e la peste del 1348 uccise circa due terzi della popolazione. Nel 1355 il governo dei Nove fu abbattuto da una rivolta popolare sostenuta dai Tolomei, Salimbeni, Piccolomini e Saracini; in sua vece fu costituito un governo di soli popolari. Seguirono cambiamenti frequenti fra il 1386 e la fine del secolo, causati da inimicizie e lotte di partiti (contro le quali predicarono Santa Caterina e San Bernardino), di cui approfittò Firenze, la quale conquistò Montepulciano ed altre terre. Siena si pose, allora, sotto la protezione dei Visconti che l’ebbero in signoria dal 1399 al 1404, anno in cui fu formato un nuovo governo, il quale fece pace con Firenze e potè riconquistare la Maremma ed i porti marittimi.

    Siena in una veduta dell’inizio del XVII secolo.

    Nuove lotte interne portarono in seguito altri mutamenti, finché nel 1487 Pan-dolfo Petrucci, capo dei fuorusciti, riuscì a rientrare in città ed a stabilirvi un governo apparentemente rappresentativo, ma in realtà dittatoriale, che tenne, salvo una breve espulsione (1503), fino alla morte (1512); nel 1523 anche i suoi successori erano cacciati definitivamente.

    Nel 1530 Siena cadde sotto gli imperiali, che formarono un nuovo governo a favore dei grandi mercanti; ma nel 1552 il popolo insorse e riuscì a cacciarli dopo tre giorni di dura lotta, grazie anche all’aiuto in armi e denaro concessole dalla Francia. A questa la città si dette allora per riconoscenza; ma nel 1555 Carlo V, spinto da Cosimo I de’ Medici che aspirava al dominio della città, dopo averne devastate le terre, la faceva assediare da un esercito formato da Tedeschi, Spagnoli ed Italiani e comandato da Gian Giacomo de’ Medici, marchese di Marignano. Il 17 aprile dello stesso anno Siena dovette arrendersi, dopo essere stata duramente provata dalla fame e dalla peste, che ridussero la sua popolazione a soli ottomila abitanti. Circa settecento famiglie si ritirarono, allora, a Montalcino, dov’era Piero Strozzi che, alla testa dei fuorusciti fiorentini, aveva combattuto in aiuto dei Senesi, e dove per quattro anni ancora si mantenne un governo repubblicano. Carlo V investì il figlio Filippo di Spagna del possesso di Siena e di parte del suo territorio e questi, in seguito alla pace di Cateau Cambrésis (1559), cedette lo Stato senese (compreso Montalcino, abbandonato dagli esuli) a Cosimo I; Orbetello, Talamone, Porto Ercole, Monte Argentario e Porto Santo Stefano formarono lo Stato dei Presidi e furono sotto il vicereame di Napoli fino al 1801, anno in cui vennero aggregati al Regno d’Etruria.

    Ricostruire anche approssimativamente la topografia della città romana è assai difficile; essa, comunque, dovette avere una pianta press’a poco quadrata e fu cinta da mura, le quali rimasero fino all’XI secolo. In tale epoca, data la florida situazione politica ed economica del Comune ed il conseguente notevole aumento demografico che aveva fatto sorgere alcuni borghi all’esterno della città, si dovettero demolire le antiche mura e provvedere alla costruzione di una nuova più larga cinta. La città assunse allora la forma triangolare e fu suddivisa in tre Terzi: di Città, a sudovest, corrispondente all’area di più antica origine; di San Martino (così detto dalla chiesa omonima), corrispondente alla zona centrale e di sudest; di Camollìa, corrispondente alla zona che si era andata sviluppando dalla Croce del Travaglio (presso il Campo) verso nord.

    Ma l’incremento edilizio proseguì a ritmo molto intenso, sicché alla metà del secolo successivo fu necessario costruire una nuova cerchia di mura, mentre un’altra ancora più ampia, che in gran parte esiste tuttora, fu innalzata nella seconda metà del XIII secolo.

    Notevole fu, durante il periodo comunale, lo sviluppo monumentale all’interno della città. Il Terzo di Città, ch’era il più importante, si abbellì di capolavori architettonici come la cattedrale, l’ospedale e la chiesa di Santa Maria della Scala, il Palazzo del Capitano di Giustizia e quelli degli Squarcialupi, dei Saracini, dei Nerucci, dei Buonsignori, dei Marsili, la Loggia della Mercanzia, le chiese del Carmine e di San Agostino.

    Nel Terzo di San Martino furono costruite le chiese di San Giorgio, San Martino, Santo Spirito, dei Servi di Maria e cospicui palazzi.

    Il Terzo di Camollìa ebbe uno sviluppo topografico più tardo. Lungo la via, che dalla porta omonima lo attraversa fino al centro della città, furono edificati i palazzi Salimbeni, Tolomei, Ugurgieri, Spannocchi, Malavolti, e le chiese di San Cristoforo, San Donato, Santo Stefano, San Pietro alla Magione, Fontegiusta; su due sproni, che si staccano rispettivamente ad ovest e ad est dalla dorsale sulla quale corre la via suddetta, sorsero le chiese di San Domenico e San Francesco. Ai due lati della dorsale scendevano, staccandosi dalla strada principale, le medesime vie che esistono ancor oggi.

    Sotto i Medici fu costruito il Forte di Santa Barbara (1560) e si demolì il tratto di mura fra la via del Romitorio, presso la chiesa di Sant’Andrea, e Camporegio; i due estremi furono poi congiunti con i baluardi della Fortezza. In tal modo rimase in clusa nel territorio urbano una nuova area, parte della quale fu adibita a galoppatoio e prese il nome di « Lizza ». Il granduca Leopoldo I di Lorena trasformò poi la Fortezza in pubblico passeggio; nel 1779 fu trasformata in giardino pubblico anche la « Lizza », che un secolo più tardi fu ingrandita ed abbellita.

    Siena. Palazzo Pubblico.

    Nel 1926 fu iniziato il risanamento edilizio di alcuni quartieri sovraffollati (Salicotto, San Martino, Porta Ovile, Porta Pispini), le cui condizioni igieniche erano veramente disastrose; qualche anno più tardi sorgeva il nuovo quartiere di Ravacciano sulla collina situata di fronte a Porta Ovile, e si cominciava a costruire anche all’esterno delle porte Romana, San Viene (Pispini), Camollìa.

    Da anni ormai è allo studio un piano per migliorare il sempre più intenso traffico stradale, che si svolge in maniera veramente disagevole per le vie cittadine eccessivamente strette e prive di parallele alle arterie principali; ma la cosa presenta non poche difficoltà, perchè certi edifìci, che sarebbe necessario demolire a questo scopo, sono intangibili per il loro valore storico od artistico.

    Veduta di Siena al principio del sec. XVII.

    Siena è divisa dalle mura in città interna e città esterna, che si distinguono per caratteri particolari e nettamente diversi. La prima conserva il tipico aspetto della città medievale, costituita com’è, nella quasi totalità, di vecchi edifìci addossati gli uni agli altri; poche sono le costruzioni recenti, le quali, comunque, si uniformano nello stile alle altre. Essa si sviluppa principalmente lungo la dorsale dei tre colli, sulla quale si svolgono naturalmente anche le tre strade principali, che partono dalla Croce del Travaglio nel centro della città.

    La città esterna si è sviluppata soprattutto lungo le principali vie di accesso, ed i suoi nuclei tendono a congiungersi fra loro, formando un ampio semicerchio a nord della città; è la zona più pianeggiante e quindi più favorevole alle costruzioni. Non si è avuta espansione verso sudovest, soprattutto a causa della morfologia del terreno che è alquanto accidentata.

    La città interna può suddividersi in numerosi quartieri, tra cui un quartiere centrale, intorno a quel tratto dell’arteria che va da piazza Postierla a piazza della Posta, per le vie di Città e Banchi di Sopra. E la zona più attiva; vi si trovano, infatti, oltre alla cattedrale ed all’arcivescovado, i palazzi della Prefettura e del Comune, vari istituti di credito, la Camera di Commercio, diverse società di assicurazioni, i più importanti studi ed uffici di professionisti, nonché alberghi e locali pubblici.

    Veduta del centro di Siena.

    Un altro quartiere è quello di Camollìa, situato nella parte nord della città, fra le mura, la Lizza e via Garibaldi, attraversato dal proseguimento dell’arteria principale cittadina. Non mancano vie strette con vecchie case piuttosto misere (vie degli Umiliati, della Magione, del Pignattello, ecc.), ma il quartiere è caratterizzato soprattutto da strade abbastanza ampie con costruzioni recenti (vie Montebello, Garibaldi, Campansi, ecc.).

    Vedi Anche:  Il clima e le acque

    Siena: accanto alla città vecchia serpeggiante sulla collina, si sviluppano i quartieri moderni fuori delle antiche porte.

    Panorama di Siena.

    Il quartiere di Ovile si trova nella ripida valle che dal centro scende verso Porta Ovile e confina con i quartieri di Camollìa e Centrale; tranne che nella parte più elevata, è caratterizzato da strade ripide e strette, fiancheggiate da vecchie costruzioni adibite ad abitazioni e magazzini. Vi si trovano aree coltivate ad orti e vigne e vi è anche la chiesa di San Francesco.

    Il quartiere di Fontebranda si sviluppa lungo una ripida valle che termina con la Porta dello stesso nome. E uno dei quartieri più popolari e vi si trovavano un tempo concerie, tintorie, filande, oggi del tutto scomparse.

    Nella zona del mercato si estendono il Salicotto, a sud delle vie del Porrione e di San Martino, un tempo quartiere popolare e malsano, oggi del tutto risanato, e l’Onda, con antiche costruzioni addossate le une alle altre lungo la via Duprè, e altre strade che salgono verso la via del Casato.

    La città esterna può suddividersi in altri quartieri, ben distinti dal punto di vista topografico: così il quartiere di Ravacciano sulla omonima collina, di fronte al quartiere di Ovile, costruito inizialmente per ospitare gli sfollati di Salicotto e divenuto poi borgata residenziale ricca di ville; il recente quartiere di Valli, quello di S. Prospero e infine gli ancor più moderni quartieri del Saracino e del Poggiarello.

    Mancano dati sulla consistenza della popolazione di Siena al tempo degli Etruschi, ma si ha ragione di ritenere che non fosse molto numerosa; probabilmente essa crebbe dopo che la città fu divenuta colonia romana, ma fu poi notevolmente decimata durante le invasioni barbariche. Molto incerti e fortemente contrastanti fra loro sono anche i dati relativi al periodo medievale, che risultano generalmente frutto di congetture.

    Il primo dato sicuro è quello fornitoci dal censimento del 1557 ordinato dal Granduca Cosimo de’ Medici, che registrò in Siena 10.500 abitanti; nel 1640 essi erano aumentati a 16.000. Seguì una breve flessione (14.645 nel 1745), dopo la quale l’incremento demografico riprese deciso: nel 1833 gli abitanti erano 18.860, nel 1843 20.333, nel 1861 22.560, nel 1871 22.965, nel 1881 25.200, nel 1901 28.375. Nel 1911, dopo che le fu aggregato il Comune suburbano delle Masse (10.810 abitanti), Siena aveva 41.673 abitanti, nel 1921 42.930, nel 1931 47.688. Il censimento del 1961 ha visto infine la popolazione del Comune superare i 62.000 abitanti, raccolti per il novanta per cento nel capoluogo.

    Pisa

    Pisa sorge su di un’ansa dell’Arno, a circa tredici chilometri dal mare, in una pianura alluvionale dominata dal Monte Pisano, dove il Valdarno di Sotto si apre e si confonde con la piana costiera. Tale posizione, alla confluenza di vie naturali di comunicazione fra la Toscana marittima e quella interna, dà ragione del sorgere e dello svilupparsi della città pur in mezzo agli acquitrini, in un luogo esposto alle frequenti inondazioni dell’Arno, dovute, oltre che al carattere pensile ed al regime torrentizio del fiume, alla minima pendenza (0,3 per mille) e al forte deflusso torbido annuo. La città, il cui sviluppo è descritto in un ampio studio di L. Pedreschi, sorse sicuramente nel luogo stesso in cui si trova ancor oggi, nel punto in cui un tempo l’Auser (un corso d’acqua da alcuni identificato col Serchio o con un suo ramo, da altri creduto un fiumicello del tutto diverso ed indipendente da quelli) confluiva neH’Arno, sicché i due corsi d’acqua offrivano da due lati una naturale protezione della città.

    Qualcuno asserisce addirittura che Pisa, ai tempi di Roma, fosse quasi circondata da lagune; ad ogni modo la sua posizione in mezzo alle acque, che quasi la recingevano, determinò la sua funzione di porto fluviale e marittimo. Il Portus Pi-sanus la cui ubicazione presso la foce dell’Arno o presso Stagno o Livorno ha dato luogo a tante discussioni, è presumibile sia stato creato più tardi, in seguito alle mutate condizioni della pianura.

    Incerta è l’origine di Pisa. Secondo alcuni la città sarebbe stata fondata dai Focesi, secondo altri dai Liguri o dagli Etruschi. Essa dovette, comunque, la sua vera origine di città ai Romani, i quali, data la sua importante posizione geografica, ritennero ben presto conveniente stringere con lei un foedus. Nell’89 a. C. le concessero la cittadinanza romana, ed Augusto vi dedusse poi una colonia che ebbe nome Obsequens Julia Pisana.

    Col decadere dell’Impero, il cui centro andò spostandosi a Ravenna, Pisa decadde e divenne successivamente possesso di Odoacre, degli Ostrogoti, dei Bizantini, dei Longobardi, ma conservò la sua romanità e proseguì la sua attività marinara. Durante il Regno d’Italia, di cui fece parte, fu una delle città più importanti della Marca di Toscana. La sua potenza marinara crebbe in seguito alle lotte con i Saraceni, contro i quali essa prese parte alla difesa di Salerno (871).

    Veduta di Pisa nel « Nouveau Theatre d’Italie », di P. Mortier, 1704.

    Prospetto della città di Pisa in una Histoire du Concile de Pise del 1724. Incisione di W. Jongman.

    Importante base navale fino dal tempo dei Romani, compì con Genova le sue prime imprese nella Sardegna, che liberò dai Saraceni (1015-16) e sulla quale esercitò poi la sua influenza politica ed economica. Partecipò alla prima Crociata, in seguito alla quale potè fondare molte colonie in Oriente ed estendervi i suoi commerci, e nel 1092 fu eretta in Arcivescovado con giurisdizione sulla Corsica e poi anche sulla Sardegna.

    Debellata la repubblica marinara di Amalfi (1135-37), orientò la sua politica verso l’Impero ed ebbe dal Barbarossa, nel 1162, un esteso territorio litoraneo fra Porto-venere e Civitavecchia, privilegi e diritti feudali in varie città dell’Italia meridionale, fra cui Napoli, Salerno e Palermo; nel 1165 ottenne in feudo la Sardegna.

    Ma le rivalità con Lucca, Genova e Firenze, e le agitazioni interne dei partiti l’avviarono verso un rapido declino, cui contribuì notevolmente la sconfitta della Meloria (1284), dopo la quale perdette ogni importanza come città marinara e commerciale.

    Nel XIV secolo, dopo il breve dominio di Uguccione della Faggiola (1314-15), fu sotto la signoria dei Della Gherardesca (1316-41), durante la quale perdette la Sardegna (1327); passata sotto i Gambacorta, essa abbandonò la politica ghibellina e, cedendo agli interessi degli armatori, cui inutilmente si opposero gli industriali ed i commercianti di lana, entrò prima nell’orbita della politica fiorentina, poi di quella dei Visconti, ai quali nel 1399 fu venduta dagli Appiano, che nel 1392 si erano sostituiti con la violenza ai Gambacorta. Liberatasi dalla dominazione viscontea nel 1405, cadde in potere dei Fiorentini, che nel 1406 la occuparono dopo un lungo assedio. Da allora, se si eccettui una breve parentesi di indipendenza (1494-1509), con l’appoggio di Carlo Vili, Pisa rimase sempre legata alle sorti di Firenze e potè fruire di un certo benessere sia sotto i Medici che sotto i Lorena.

    Pisa fu sempre un importante nodo stradale. Al tempo di Roma essa era unita alla Liguria dalla via Emilia, che la congiungeva a sud con la via Aurelia e quindi con Roma. Da Pisa partivano, inoltre, una strada che, risalendo l’Arno sulla destra, per Mezzana, Vicopisano, Montecalvoli, Cappiano si dirigeva verso Firenze; un’altra, che risaliva il fiume lungo la riva sinistra, toccando Putignano, San Frediano a Settimo, Cascina, Capannoli; una terza, che univa Pisa a Lucca attraverso San Giuliano, Codiano, Pugnano; una quarta, che la congiungeva al suo porto.

    Sviluppo topografico di Pisa dall’antichità al 1950 secondo L. Pedreschi.

    1, probabile nucleo più antico; 2, metà del XII sec. ; 3, metà del XIX sec. ; 4, 1900; 5. 1928; 6, 1950.

    Non restano tracce dell’antico oppidum triangolare ligure-etrusco, ma si ha ragione di ritenere che fosse ubicato sulla riva destra dell’Arno, tra Porta a Lucca, Ponte di Mezzo ed un punto — anch’esso lungo l’Arno — qualche centinaio di metri più ad ovest. Nel II secolo a. C. esso si sarebbe esteso in direzione est e nel I secolo d. C. verso nord, ove sarebbe sorto il quartiere suburbano fra San Zeno, le Terme ed il Duomo, probabilmente non compreso nella città vera e propria.

    Prima del 1150 la città si estendeva approssimativamente ad ovest fino all’attuale via Mugelli ed al suo prolungamento che la unisce al lungarno, a sud fino all’Arno, ad est fino alle vie Borgo Stretto e Borgo Largo, a nord fino alla via Torelli; tale dovette essere il perimetro della prima cerchia di mura, lungo poco più di due chilometri e racchiudente un’area inferiore ai trenta ettari.

    Nel XII secolo Pisa assurse a grande potenza e floridezza economica, cui fece riscontro uno sviluppo demografico — favorito anche dall’inurbarsi di migliaia di persone spinte verso la città dal disgregamento dei grandi feudi — e topografico; già agli inizi del secolo esistevano fuori delle mura i sobborghi detti de Foris Portae, de Kinsicae et de Burgis.

    Poco dopo la metà del secolo s’iniziò la costruzione di una nuova cinta murata, la cui parte a nord deH’Arno fu compiuta entro il 1158, mentre quella a sud, includente il quartiere di Kinsica — che divenne ben presto uno dei più signorili della città — fu completata dopo il 1300; il perimetro complessivo misurava poco più di sei chilometri e racchiudeva un’area di circa 185 ettari, escluso l’Arno. Fra il 1261 ed il 1286 furono costruiti altri due ponti sul fiume, uno press’a poco dove oggi si trova il Ponte della Fortezza e l’altro più a valle. L’Auser, che ora passava per il centro della città, fu ricoperto nel 1330.

    Ma lo sviluppo topografico di Pisa si arrestò col XIV secolo, per riprendere soltanto alla metà dell’Ottocento. Durante questo lungo periodo di stasi anche le aree interne non occupate da fabbricati rimasero senza variazioni, forse anche per il disordine idraulico di alcune parti della città, nei pressi della quale, peraltro, si estendevano paludi ed acquitrini che furono prosciugati in tempi abbastanza recenti.

    Nel XIX secolo la costruzione della strada ferrata Leopolda, che collegò Pisa con Firenze, aumentò notevolmente l’importanza del sobborgo di San Marco alle Cappelle, in vicinanza del quale sorse la stazione; non molto dopo veniva costruita anche la ferrovia per Lucca, la cui stazione sorse in prossimità di Santo Stefano Extra Moenia. In periferia furono aperte varie strade, lungo le quali sorsero edifici, campi sportivi e mercati; soltanto il lato ovest ed alcuni tratti del lato est rimasero in un primo tempo privi di abitazioni.

    Nella seconda metà del secolo le due stazioni ferroviarie furono sostituite da un’unica stazione centrale; di conseguenza si costruirono nei pressi nuovi edifici — soprattutto alberghi — ed un nuovo quartiere ebbe origine e si sviluppò immediatamente ad est; un notevole incremento edilizio si ebbe anche verso sudovest col sorgere della zona industriale a San Giovanni al Gatano (fabbriche di laterizi e vetrerie), ed all’interno delle mura, sebbene le aree non fabbricate alla fine del secolo occupassero ancora poco meno di un quarto dell’intera città.

    All’inizio del secolo attuale, a nord e ad est la città era ancora limitata dalle mura, mentre verso sud ed ovest si estendeva fino alla ferrovia. Per alcuni decenni la sua topografia subì poche variazioni, ma, in seguito, la città si è notevolmente ampliata, soprattutto dal lato nord, con costruzioni destinate in gran parte ad abitazioni ed anche con stabilimenti industriali ed edifici pubblici (scuole, carceri, caserme).

    Panorama di Pisa, dall’aereo.

    Durante la seconda guerra mondiale quasi tutta la parte a sud dell’Arno è andata distrutta, ma a partire dall’immediato dopoguerra si è ricostruito con grande alacrità, sicché sono sorti anche nuovi quartieri alla periferia della città — particolarmente a nord dell’Arno — ed alcune borgate rurali sono state, di conseguenza, catturate dalla città medesima.

    Oggi Pisa ha forma grossolanamente rettangolare, con varie propaggini esterne; una grande ansa del fiume la divide in due parti, fra loro collegate da cinque ponti, e le mura la distinguono a loro volta in « città interna » (ove hanno sede tutti gli uffici pubblici, gli ospedali, le banche e quasi tutti gli uffici privati, gli alberghi, le chiese, le scuole) e « città esterna » (con stabilimenti industriali ed aree adibite ad usi sportivi).

    Tenendo conto della distribuzione dei fatti funzionali, il Pedreschi divide la città nei seguenti « quartieri geografici ».

    Nella città interna, un « quartiere centrale o commerciale », di antica origine, ricostruito varie volte, suddiviso in due parti dall’Arno; attraversato dalla via che dalla stazione ferroviaria conduce a Porta a Lucca, è il fulcro dell’attività cittadina e vi si trovano numerosi gli uffici pubblici, commerciali, ecc.

    I lungarni a Pisa, con la chiesa di Santa Maria della Spina.

    Pisa. Porta Santa Maria.

    Il « quartiere di nordovest » può esser detto « universitario-ospedaliero », poiché vi si trovano quasi tutte le scuole e gli istituti di tipo universitario, ed inoltre insigni monumenti come la piazza dei Miracoli, l’Arsenale delle Galere, la Torre dei Gualandi, le chiese dei Cavalieri e di San Sisto.

    Il « quartiere di nordest » è occupato soprattutto da abitazioni, con vaste aree di giardini ed orti ; vi si trovano il Museo Civico, il Palazzo di Giustizia e varie scuole religiose. La parte vicina all’Arno è la più antica ed è caratterizzata da stretti vicoli e case vecchie di tipo popolare, mentre la settentrionale ha strade più larghe, fiancheggiate da edifici più moderni.

    Il « quartiere di sudest » è adibito aneli’esso essenzialmente ad abitazione, come pure carattere residenziale ha quello « di sudovest », con pianta a scacchiera e frequenti spazi adibiti a giardini.

    Nella cittcì esterna si possono distinguere tre quartieri a nord dell’Arno: quello di « San Rossore » (Porta Nuova) si estende nella parte ovest della città, fra le mura, l’Arno e la strada per Viareggio; le abitazioni sono per lo più nel tratto fra le mura e la ferrovia, mentre la restante area è occupata da stabilimenti industriali e dalla Piazza d’Armi.

    Il « quartiere di Santo Stefano Extra Moenia » (Porta a Lucca) o della città-giardino, sorge a nord della città, e vi si possono distinguere tre diverse parti: una più vecchia sorta verso la fine del secolo scorso, tra la Porta e lo stadio, una a nord di questa, detta « Le Palazzine », formata soprattutto da villini con giardini, allineati lungo strade alberate, una a nord dello stadio, costituita da case popolari. Queste due ultime zone sono in continuo sviluppo.

    Il « quartiere di San Michele degli Scalzi » (Porta a Piaggie) è situato a nord della città, fra l’Arno e la strada per Lucca, ed è in continua espansione verso San Biagio al Cisanello.

    Altri tre quartieri si possono distinguere a sud dell’Arno : uno di « San Marco alle Cappelle» (Porta Fiorentina), a sudest della città; uno di «San Giusto in Cannicci », compreso fra l’aeroporto e le due linee ferroviarie per Livorno e Collesal-vetti ; un terzo di « San Giovanni al Gatano » (Porta a Mare) o « industriale », a sud-ovest della città, fra l’Arno, le mura e la ferrovia per Livorno; buona parte della sua superficie è occupata da importanti stabilimenti industriali. Distrutto durante l’ultima guerra, è stato completamente ricostruito.

    Sulla popolazione della città mancano dati precisi e sicuri fino a tutto il Medio Evo ed oltre. Si suppone che la Pisa ligure-etrusca avesse circa tremila abitanti e che, dopo aver raggiunto i ventimila all’epoca della guerra contro i Liguri, sia di nuovo calata poco più tardi a quattro-cinquemila; verso il III secolo ne avrebbe avuti sette-ottomila. All’inizio del XII secolo gli abitanti della città sarebbero stati circa venticinquemila ed avrebbero raggiunto la cifra di quarantamila circa nel 1228, per ricalare poi a venticinque-trentamila alla fine del XIV secolo. Un più grave decadimento demografico Pisa ebbe a soffrire nel XV secolo, sia per l’esodo di molte famiglie benestanti dopo la conquista dei Fiorentini, sia a causa delle pestilenze, delle carestie e della malaria.

    Il censimento di Cosimo I dei Medici (1551), primo dato ufficiale, registrò 9712 abitanti; la popolazione andò poi aumentando, grazie particolarmente alle cure che alla città dedicò Ferdinando I, sicché prima del 1630 essa aveva superato i 16.000 abitanti. La peste del 1630 e del 1633, però, ridusse di un terzo la popolazione, la quale, comunque, nel 1745 era di 14.266 abitanti.

    Pisa. La Cittadella.

    Sebbene la sua importanza come città marinara fosse ormai finita anche per lo sviluppo notevole di Livorno, nel XIX secolo Pisa ebbe un nuovo risveglio economico, che portò ad un aumento dei suoi abitanti, che nel 1833 erano saliti a 26.843. Il sorgere e lo svilupparsi dei sobborghi portò alla formazione di una città esterna, che in breve superò dal punto di vista demografico quella interna.

    Nel 1840 Pisa aveva 29.347 abitanti (21.448 la città interna, 7899 la città esterna), nel 1881 42.054 (25.660 e 16.394), nel 1911 49-474 (27-359 e 22.115), nel 1931 51.474 (26.966 e 24.508), nel 1947 44.372 (22.156 e 22.216), nel 1961 91.100 (Comune), per il settanta per cento nel capoluogo.

    Pisa. Veduta aerea sul Duomo e il Battistero.

    L’economia di Pisa è basata soprattutto sulle industrie, sorte e sviluppatesi da un secolo a questa parte grazie a feconde iniziative di singoli imprenditori, favorite dall’ottima posizione geografica vicino al mare e all’incrocio di grandi arterie stradali. Importanti stabilimenti sono: quello della Saint-Gobain, che è il maggiore in Italia per la fabbricazione degli specchi e delle lastre colorate di vetro ; quello Marzotto, dotato di modernissime attrezzature per la tessitura meccanica; quello per la fabbricazione del vetro di sicurezza; quello della Richard-Ginori, per la fabbricazione delle ceramiche. Vi sono, inoltre, stabilimenti farmaceutici, fabbriche di laterizi, opifici meccanici per la lavorazione dei pinoli, piccole imprese e ancora molte attività artigiane.

    Il commercio, praticato intensamente già in antico e nel Medio Evo, è oggi attivissimo, data la favorevole posizione di Pisa cui si è accennato, ed interessa i prodotti più svariati (tessili, agricoli, farmaceutici, chimici, ceramiche, laterizi, mobilio, acque minerali) ; vari sono i mercati che si tengono in città.

    L’agricoltura, già particolarmente fiorente al tempo di Roma e poi gravemente decaduta, è rifiorita in tempi molto recenti, con l’adattamento a coltura di zone boscose e di vaste estensioni un tempo paludose. Oggi la campagna pisana è molto produttiva ed incide notevolmente sull’economia agricola toscana, soprattutto per alcuni prodotti come i fagioli, i cavolfiori, le patate, i pomodori, il granturco, l’orzo, l’avena, gli asparagi, i piselli, i carciofi; sviluppatissima è anche la produzione orto-frutticola, specialmente lungo l’Arno fra Pontedera e Pisa (uva, pesche, susine, mele, pere, ciliegie, noci).

    Pisa è, inoltre, un centro culturale di prim’ordine tra i più antichi e famosi: la sua Università fu ufficialmente riconosciuta nel 1343 da papa Clemente VI ed è oggi frequentata da circa cinquemila studenti. Centro di studi storici e umanistici è la Scuola Normale Superiore.

    La città costituisce anche un importante nodo ferroviario e stradale per le comunicazioni tra la Toscana marittima e quella interna e nei pressi sorge il maggiore aeroporto civile della regione.

    Pianta della città di Pisa.

    Lucca

    Lucca, antichissima fra le città toscane, è situata in un’ampia e fertile pianura sulla sinistra del Serchio. Nulla sappiamo delle sue più lontane origini; probabilmente sorse in epoca preromana, quando il lago di Bientina, alimentato dal ramo orientale del Serchio, si spingeva nei periodi di piena fino all’abitato: il suo nome deriverebbe, infatti, dalla radice celto-ligure luk, che significa luogo paludoso.

    La città fu possesso dei Liguri e degli Etruschi e nel 515 a. C. diventò municipio romano. Ebbe sempre importanza come nodo stradale; l’attraversavano, infatti, la via Cassia e la via che da Roma portava in Francia; inoltre vi facevano capo, tra le altre, la strada che proveniva da Pisa attraverso il Monte Pisano, ed una diramazione della Clodia, proveniente da Parma attraverso la Garfagnana.

    Lucca all’inizio del Seicento.

    L V C A.

    Lucca. Via dell’Anfiteatro.

    Durante le invasioni barbariche non subì gravi devastazioni; sembra anzi che sotto il dominio dei Goti abbia goduto di una certa prosperità. Sotto i Longobardi, essa fu capitale della regione e sede, quindi, del duca.

    Poche sono le notizie che abbiamo dei secoli IX e X; probabilmente Lucca fu salva dall’invasione degli Ungari (940) grazie alle sue mura. Agli inizi dell’XI secolo (1004) essa combattè la prima guerra contro Pisa. Ostile ai Canossa, accolse con gioia la venuta in Italia di Enrico III e la conseguente abolizione del Marchesato di Toscana che, però, fu ricostituito subito dopo con Firenze capitale.

    Durante la lotta fra Papato ed Impero, Lucca fu fedele a quest’ultimo e ne ottenne benefici non indifferenti; ma per l’avversione ad Enrico V nella lotta da questi sostenuta contro il padre, dopo la morte di Matilde di Canossa (1115) fu dall’imperatore assegnata con tutto il marchesato a feudatari tedeschi.

    Nel 1118 si eresse a libero Comune, e nel 1126, alleatasi con Genova, combattè ancora contro Pisa, con la quale potè concludere una pace duratura soltanto nel 1181. Nel 1186 ebbe dall’imperatore Enrico VI il riconoscimento ufficiale dei suoi diritti e si iniziò allora per la città un periodo di ascesa e di progresso. Ma essendosi in seguito decisamente opposta a che la Garfagnana, spontaneamente offertasi al papa Gregorio IX, divenisse possesso della Chiesa, fu colpita dall’interdetto, che danneggiò notevolmente la vita del Comune: la diocesi fu soppressa, Pisa e Firenze si unirono contro Lucca, la quale fu costretta ad una resa senza condizioni (1234). Sostenne, poi, nuove guerre contro Pisa in Garfagnana ed in Versilia, alle quali pose definitivamente termine la pace di Fucecchio (1293).

    Divisa nelle fazioni dei Bianchi (capeggiati dagli Antelminelli) e dei Neri (capeggiati dagli Obizzi), la città cadde nel 1300 in mano di questi ultimi, ed insieme a Firenze, cui aveva fornito aiuti contro i Bianchi, occupò Pistoia (1306). Dopo la discesa e la morte di Arrigo VII, fu messa a sacco nel 1314 da Uguccione della Faggiola, signore di Pisa, la cui signoria, però, finì ben presto per opera di un fuoruscito lucchese, Castruccio Castracani degli Antelminelli, che divenne signore della città. Durante i tredici anni del suo dominio egli ampliò lo Stato, estendendone i confini fino all’Arno con la vittoria di Altopascio (1325); nel 1327 Ludovico il Ba-varo lo eleggeva duca di Lucca, Pistoia, Luni e Volterra. Ma l’opera di Castruccio crollava alla morte di lui (1328), e la città, dopo essere passata nelle mani di Gherardo Spinola, di Giovanni di Boemia, dei Rossi di Parma e degli Scaligeri, fu venduta da questi ultimi a Firenze, la quale nel 1342 la cedette a Pisa. Riacquistò però l’indipendenza nel 1369 per opera di Carlo IV.

    Lucca. Piazza del Mercato costruita sull’Anfiteatro Romano.

    Estintisi gli Antelminelli, dal 1392 prevalsero in Lucca i Guinigi, che nel 1400 s’impadronirono stabilmente del potere con la nomina di Paolo a signore della città. Questi governò abilmente ed a lungo; ma la condotta ambigua da lui tenuta durante la guerra con Firenze provocò la sua caduta. Lucca, assediata dai Fiorentini, fu liberata ed occupata da Francesco Sforza con l’aiuto dei nobili avversi al Guinigi, il quale, consegnato ai Milanesi, morì nella fortezza di Pavia nel 1432.

    Alleatasi con Genova, Lucca continuò la guerra contro Firenze, che, interrotta nel 1433 con la pace di Ferrara, ben presto si riaccese per terminare definitivamente con una tregua firmata a Pisa (1438) e convertita, poi, in una lega per cinquant’anni (1441), durante la quale, se si eccettui l’occupazione di Carrara da parte dei Mala-spina (1445) e la cessione agli Estensi di quasi tutta la Garfagnana (1452), Lucca godette di un periodo di pace.

    Lucca. I bastioni.

    Lucca. Via del Fosso.

    All’inizio del XVI secolo la città ebbe a sopportare l’ostilità di papa Giulio II prima e poi di Leone X che, favorevole a Firenze, distaccò il piviere di Pescia dalla diocesi lucchese. Ma le condizioni della città, in compenso, erano floridissime, tanto che ad essa ricorsero più volte Francia e Spagna per aiuti in denaro. La congiura di Francesco Burlamacchi (1546) mise in pericolo la sua libertà; ma essa seppe difendersi dalle mire ambiziose di Cosimo dei Medici e conservare la sua autonomia.

    Nel 1556 la riforma di Martino Bernardini instaurò un governo oligarchico, sotto il quale Lucca per due secoli e mezzo ebbe vita relativamente pacifica, esercitando una politica conservatrice all’ombra dell’Impero e della Spagna; ma la sua economia andò decadendo in seguito allo sviluppo industriale degli Stati europei ed alle guerre di religione, che ostacolarono gravemente i suoi commerci.

    Nel 1805 Napoleone erigeva Lucca in principato e la poneva sotto il governo di Felice ed Elisa Baciocchi. Alla caduta del Bonaparte, la città fu per brevissimo tempo sotto i Murattiani e sotto l’Austria; il Congresso di Vienna l’assegnò, poi, a Maria Luigia di Borbone, ed il figlio di lei Carlo Ludovico, succeduto alla madre nel 1824, la cedette a Leopoldo II di Lorena, all’insaputa degli stessi Lucchesi, nel 1847. Nel 1860 Lucca, con la Toscana tutta, si univa con un plebiscito al Regno di Sardegna.

    La forma di Lucca in epoca romana, testimoniataci dai resti della prima cerchia di mura, fu quella di un quadrilatero col lato settentrionale irregolare per una sporgenza dovuta, forse, ad un posteriore, ma pur sempre antico, ampliamento della città. La via Cassia, che costituiva il decumano, entrava attraverso la Porta Romana (detta poi di San Gervasio), una delle quattro aperte in queste prime mura, intorno alle quali pare fossero stati scavati esternamente a scopo di difesa larghi fossati.

    Nonostante il notevole aumento della popolazione, Lucca conservò questa prima cinta di mura fino al XIII secolo. Allora le floride condizioni politiche ed economiche raggiunte imposero la costruzione di una nuova cinta murata che includesse anche i sobborghi, i quali, cresciuti a tal punto da costituire la parte più estesa della città, si trovavano indifesi di fronte agli eventuali attacchi degli Stati vicini. Le nuove mura, iniziate nel 1200, furono terminate nel 1265; esse ebbero un perimetro molto più ampio delle primitive e soltanto dal lato sud seguirono press’a poco l’andamento della cinta romana.

    Lucca nel XVII secolo.

    Ma la popolazione lucchese continuò ad accrescersi, e nuovi sobborghi sorsero e si svilupparono anche al di fuori della seconda cerchia. La necessità di difendere questi nuovi sobborghi e l’insufficienza delle opere di difesa di fronte alle armi da fuoco di recente invenzione portarono dapprima alla costruzione di torrioni avanzati e poi di nuove mura che, iniziate verso la metà del XVI secolo, furono terminate nel 1645. I maggiori ingegneri militari del tempo ebbero parte in questa grandiosa opera, la quale risultò di notevole fattura. Questa nuova cerchia è ancor oggi intatta; ha un andamento irregolare ed il suo perimetro misura 4196 metri di lunghezza; è dotata di dieci bastioni, più numerosi a sud e sudovest per esigenze difensive. Le porte in origine furono soltanto tre; una quarta se ne aggiunse nel 1809 (Porta Elisa), mentre nel 1846 furono aperti i passaggi laterali della Porta San Pietro. Al fine di creare una più facile comunicazione fra città e sobborghi, altre aperture sono state praticate nel nostro secolo.

    Cessata la loro efficienza difensiva per il progressivo sviluppo dei mezzi bellici, le mura secentesche furono dai Baciocchi e dai Borboni adattate a pubblico passeggio. Esse costituiscono ancora oggi una peculiare caratteristica di Lucca, sul cui sviluppo topografico hanno notevolmente influito; la città infatti, come nota l’Albani, risulta nettamente distinta in tre grandi zone: l’interno, le mura, l’esterno. La parte interna, con costruzioni molto addensate, è costituita dalla città antica, mentre la parte esterna, in gran parte sorta dopo la seconda metà del XIX secolo, consta di quartieri moderni in rapido sviluppo, dove restano ancora discreti spazi destinati a giardini, la maggioranza degli edifici sono adibiti ad abitazione e gli impianti industriali sono numericamente superiori a quelli dell’interno.

    Vedi Anche:  Regioni tradizionali

    L’Albani suddivide la parte interna della città in sei quartieri geografici, i quali non hanno però una netta delimitazione : il « quartiere centrale », che occupa la maggior parte della zona intermedia, fra via Burlamacchi, via dell’Angelo Custode e le mura a sud, costituisce la parte più attiva della città; vi si trovano molti uffici pubblici. Tra questi anche il municipio di Capannori, grosso Comune rurale le cui quaranta frazioni si distribuiscono nella campagna circostante e la cui sede comunale fu trasferita per comodità a Lucca fin dall’inizio del secolo scorso. Il « quartiere delle Scuole » — compreso fra il Fillungo, le mura, via della Stufa e, a sud, piazza Santa Viaria Corteorlandini, via degli Asili e via San Giorgio — non racchiude, in realtà, tutte le scuole di Lucca; l’Albani l’ha isolato e denominato così, sia perchè vi hanno sede importanti scuole ed istituti di cultura, sia perchè fra il 1819 ed il 1860 vi fu il Liceo universitario, che, istituito da Maria Luisa d’Austria, per un trentennio svolse illustre attività scientifica indipendente; poi fu riformato ed ordinato come gli altri normali licei. Il « quartiere della Cattedrale », che è il più piccolo, ha un numero minore di costruzioni in confronto agli altri, ed il traffico vi è meno intenso. Il « quartiere ovest », uno dei più popolari e popolati, è, o era in passato, costituito per i due terzi da edifici adibiti ad usi particolari (prigione, ospedale, caserma, ecc.); misere sono in generale le abitazioni.

    La parte orientale si differenzia notevolmente dalle altre. Il suo « quartiere intermedio », il quale costituisce una specie di area di transizione fra la zona centrale ed il « quartiere est », è delimitato ad oriente dal « fosso » che vi resta incluso con ambedue le sponde; la parte a nord della «Fratta» è più densamente popolata, quella a sud è invece caratterizzata da scuole e conventi. Il « quartiere est » è quello che comprende la maggiore quantità di aree non fabbricate; sviluppatosi, insieme alla parte settentrionale del quartiere intermedio, al di fuori delle mura dopo il XIII secolo, fu poi incluso dalla cerchia murata secentesca, che, priva allora di aperture da quel lato, lo isolò dal traffico; tale, però, rimase anche dopo l’apertura della Porta Elisa. Vi sono giardini, caserme, conventi e chiese.

    Lucca. Porta Santi Gervasio e Protasio.

    Lucca. Panorama.

    La parte esterna della città può suddividersi in vari quartieri, quali quello di Borgo Giannotti, a carattere residenziale ed industriale, quello dell’Ospedale, quello di Porta Elisa, ad oriente della città, la cui espansione è stata molto più intensa verso sud, quello di San Concordio, sorto in seguito alla costruzione della stazione ferroviaria (1846) e caratterizzato dalla presenza di stabilimenti industriali, quello di Sant’Anna, caratterizzato da giardini, ville e viali, che le dànno un aspetto particolarmente signorile.

    La popolazione del Comune di Lucca, che all’inizio del secolo scorso assommava a 45.000 abitanti, è andata da allora lentamente ma regolarmente aumentando. All’Unità d’Italia gli abitanti erano saliti a 65.000, all’inizio di questo secolo a 75.000 e prima dell’ultima guerra a 82.000. Il censimento del 1961 ha infine registrato circa 86.000 abitanti.

    Livorno

    Da un umile villaggio di pescatori e di contadini, all’ombra di una torre fortificata — il « Mastio della contessa Matilde », costruito forse nel X secolo — comincia, dopo il Mille, la storia di Livorno, la più recente tra le grandi città toscane.

    Possesso dei Marchesi di Toscana, il castello di Livorno e la costa bassa e paludosa che si estendeva per larghi tratti all’intorno, passò nel 1103 all’Opera del Duomo di Pisa e, diciotto anni dopo, al Comune di quella città. I Pisani ebbero subito a cuore le vicende del piccolo centro, la cui posizione appariva sempre più importante a causa delle crescenti difficoltà di servirsi del vecchio Porto Pisano in continuo interrimento. Vi costruirono così la «Torre della Meloria», che fu però distrutta dopo la sconfitta inferta dai Genovesi a Pisa nel 1286 e sostituita dalla nuova «Torre del Fanale», su uno scoglio a breve distanza dalla costa: «validissima torre — scrisse il Petrarca — dal cui vertice tutte le notti la fiamma indica ai naviganti il litorale più sicuro». Tra il 1377 e il 1392 delle vere mura, insieme a una nuova cinta fortificata, detta « Quadratura dei Pisani », vennero a proteggere il villaggio dove abitavano solo poche centinaia di persone, ma che già aveva acquistato nome come approdo marittimo.

    Una ricostruzione della primitiva Livorno (sec. XV).

    Livorno. Fortezza Nuova.

    Durante il Quattrocento il nuovo porto fortezza attira sempre più gli sguardi di varie e potenti città rivali e sembra ormai predestinato a un grande avvenire come principale sbocco della Toscana sul mare. Cessato il dominio di Pisa, dopo varie vicende di compra e vendita, Livorno passò ai Genovesi, che vi compirono importanti lavori, e quindi nel 1421 in mano ai Fiorentini. Questi l’acquistarono per centomila fiorini d’oro: somma assai rilevante che Firenze si indusse a pagare consapevole della funzione che l’ancor piccolo porto avrebbe potuto assumere come base mercantile e militare per il potenziamento dei propri commerci con l’estero e per l’affermazione del proprio dominio politico su tutta la Toscana costiera.

    Da allora molti sforzi furono fatti per munire il porto di più efficienti difese e per accrescere la popolazione del centro abitato. Ma durante il XV secolo, malgrado lo sviluppo dei traffici marittimi, la città si sviluppò molto lentamente, restando più che altro residenza temporanea di soldati e di operai addetti al porto, di trafficanti e di galeotti condannati ai lavori forzati. All’intorno l’aria, anziché migliorare, divenne sempre più malsana per il ristagno delle acque che non avevano comunicazione col mare, l’agricoltura di conseguenza decadde, e la popolazione, falciata tra l’altro dalla peste del 1430, cercò di allontanarsi dal centro, dove, oltre tutto, avvenivano continue risse e violenze. Si contavano così forse in tutta Livorno cinquecento abitanti. Tale rimase la situazione per tutto il Quattrocento, mentre Firenze, impegnata in continue guerre, poco poteva occuparsi del porto, e mentre le febbri malariche si estendevano e i pirati musulmani infestavano il mare catturando i marinai che osavano allontanarsi troppo dalla costa.

    Livorno nei primi anni dell’Ottocento.

    Anche nella prima metà del XVI secolo, malgrado le opere portuali costruite dai Medici, non si sollevano le sorti di Livorno, che resta un modesto villaggio, i cui abitanti, al censimento del 1552, risultano appena 480. Fu solo nella seconda metà di quel secolo che, a seguito dei provvedimenti di Cosimo I, ebbe inizio un notevole impulso demografico e urbano: onde favorire il popolamento del villaggio fu allora concessa l’immunità dai debiti contratti e dai delitti commessi a chi fosse venuto ad abitarvi stabilmente e si favorì il richiamo degli Ebrei espulsi da altri paesi. Furono anche accolti commercianti provenienti da ogni parte del mondo, in gran parte avventurieri, dal passato poco ortodosso, e si ospitarono in realtà intere bande di malviventi. Tali immunità furono accresciute con i successori, in particolare con Ferdinando I, che accolse « Córsi profughi dalla loro isola in odio ai Genovesi, Ugonotti perseguitati in patria dai Cattolici, Cattolici inglesi oppressi dagli Anglicani, Musulmani spagnoli cacciati via da Filippo II, Greci angariati dai dominatori turchi, e perfino banditi. Privilegi d’ogni genere Egli accordava a chi venisse a stabilirsi a Livorno, da lui dichiarato porto franco. I mercanti di ogni nazione potevano dimorarvi per 25 anni, senza timore di molestie da parte di qualsiasi principe o tribunale, per debiti contratti o colpe anteriormente commesse. Qualunque religione aveva diritto di esercitarvi i propri riti; gli Ebrei, inoltre, potevano edificarvi una sinagoga o un cimitero. Tutti i nuovi venuti erano esenti dalle imposte per 25 anni e un giudice apposito avrebbe definito le loro questioni. Di speciali privilegi godevano, poiché di queste arti v’era maggior bisogno, fabbricanti di sartie, calafati, maestri d’ascia, legnaiuoli, muratori, scarpellini, marangoni, marinari e fabbri.

    Livorno. Gli Scali d’Azeglio.

    Livorno. Panorama.

    Si invitarono a stabilirsi a Livorno anche pirati inglesi e olandesi che, cessata la guerra tra Inghilterra e Spagna, non avevano più modo di esercitare il contrabbando in America; agl’inglesi anzi il granduca, per affezionarseli o per tornaconto, affidò la direzione della sua mercatura privata » (Pardi). E facile immaginare come il governatore di Livorno dovesse avere il pugno duro per tenere la disciplina in una città dal popolamento così eterogeneo, dalle lingue e dalle religioni così diverse.

    A Francesco I dei Medici si deve l’inizio della costruzione di una nuova imponente cerchia di mura, su disegno dell’architetto Bernardo Buontalenti, mura che furono portate a termine, con varie modifiche, dai successori. Ma un grande fervore di opere animò la città solo alla fine del Cinquecento sotto il governo di Ferdinando I « che immense spese impiegò per circondare questa di solidissime mura, di lunette, di spalti e bastioni, di magnifiche porte, di ponti di pietra, circondandola di un fosso navigabile e difendendola con fortezze nuove verso terra e verso mare. Per lui si veddero sorgere in Livorno stabilimenti pubblici, dogane, caserme, magazzini, palazzi regii, tempii, pubbliche logge, ed abitazioni moltissime per darsi ai privati, piazze magnifiche, strade ampie e regolari, oltre un lazzeretto di vasti comodi provveduto, e da salutari discipline regolato. Tutto ciò fu opera del primo Ferdinando, il quale bene spesso a tal uopo personalmente assisteva, ordinava, incoraggiava e promoveva con tanto impegno, con tanto amore per la sua nuova città, che soleva a buon diritto, e quasi per compiacenza chiamare Livorno la sua Dama » (Repetti).

    Il porto di Livorno.

    Livorno. I quartieri nuovi del centro.

    Nasce così la città di Livorno, che di tal titolo potè fregiarsi per concessione dello stesso Ferdinando I, città che assunse presto nome ed importanza all’ombra del porto, divenuto durante il Seicento uno dei maggiori empori marittimi mediterranei: pare che da 1600 abitanti circa nel 1587 la popolazione fosse salita già nel 1620 a 9100 e nella seconda metà del secolo a oltre ventimila: sono esclusi da queste cifre molti pescatori e marinai che avevano in Livorno la loro base, gli schiavi e i forzati del bagno penale.

    Dopo il Seicento lo sviluppo economico, demografico e topografico di Livorno prosegue ininterrotto: si accresce sempre più la funzione di emporio commerciale marittimo, un maggior ordine regola la vita interna della città che richiama ormai lavoratori e imprenditori dalla campagna e dalle vicine province, gli abitanti salgono a quarantamila e oltre nel Settecento e a cinquantamila all’inizio dell’Ottocento : Livorno diviene così la prima città della Toscana per numero di abitanti. All’Unità d’Italia, malgrado gravi epidemie di colera nei decenni precedenti e malgrado una certa flessione dell’importanza commerciale del porto, Livorno contava ottantamila abitanti, numero questo rimasto circa stazionario, con qualche lieve periodica oscillazione, fino al nostro secolo: a questa stasi dello sviluppo urbano contribuivano l’abolizione del porto franco, avvenuta nel 1868, e la conseguente diminuzione di alcuni traffici.

    Ma già nella seconda metà dell’Ottocento si pongono i fattori dello sviluppo della Livorno attuale: i nuovi Cantieri Ansaldo, entrati in funzione pochi anni dopo l’Unità, e quindi sempre nuove industrie fino alla creazione nel nostro secolo, dopo il 1930, della grande zona industriale del porto, ne fanno un po’ per volta uno dei maggiori centri toscani e italiani di industrie meccaniche, chimiche e del cemento. Nello stesso tempo la ripresa commerciale del porto, sempre più intensa negli ultimi decenni, riconsolida sotto altra forma l’antica funzione della città per i traffici con l’estero e con le isole italiane (vedi quanto si è detto nelle pagine dedicate ai porti). Oggi Livorno conta 160.000 abitanti nel Comune, dei quali quasi 150.000 nel centro (censimento 1961).

    Pianta della città di Livorno.

    Lo sviluppo topografico della città, che si riconosce facilmente nelle sue varie fasi osservandone una pianta, si svolse dapprima entro le varie cerchia di mura, oltre le quali già nel Seicento esistevano piccoli sobborghi esterni, come quello di Sant’Iacopo. Ma la città si è espansa fuori dalle mura ferdinandee soprattutto in questo secolo, seguendo varie direzioni: a sud verso il mare, dove ormai una fascia continua di abitazioni e di opifici la uniscono all’Ardenza e ad Antignano, a nord, dove si sono estesi il porto e l’area industriale, nell’entroterra, negli aperti quartieri verso la stazione ferroviaria, il cimitero israelitico, la villa Fabbricotti. Ma tutto l’agglomerato urbano, anche la parte più centrale, appare profondamente rinnovato e Livorno è così una delle città di aspetto più moderno della Toscana. Gli sventramenti operati nei primi decenni del secolo nella parte vecchia dell’abitato, le distruzioni della guerra che si estesero a gran parte degli edifici in più di ottanta bombardamenti, i saccheggi compiuti dai Tedeschi durante la evacuazione degli abitanti nel 1943, hanno portato alla ricostruzione di intere strade e quartieri e a un largo rinnovamento edilizio.

    Prato

    Prato sorge ove la valle del Bisenzio si apre nella pianura ai piedi dei calcarei monti della Calvana, in una posizione che ebbe particolare importanza come nodo stradale e come punto strategico quasi alla periferia di Firenze. Le prime notizie risalgono circa al Mille — è discussa l’esistenza di una Prato romana — quando intorno alla Pieve di Santo Stefano e presso un vecchio « Borgo al Cornio » esisteva un piccolo agglomerato, feudo degli Alberti. Erettosi presto a libero Comune, guidato da un podestà (1195) e poi da un Capitano del Popolo, esso risentì delle lotte politiche della vicina Firenze e fu disputato da Guelfi e Ghibellini, cadendo poi, nel 1326, in mano degli Angioini di Napoli: da questi i Fiorentini acquistarono nel 1351 per 17.500 fiorini tutti i diritti di possesso della città, che entrò così stabilmente nel loro diretto dominio.

    Già alla fine del Duecento, Prato era nota per la sua « Arte della Lana » e per i suoi numerosi opifici lanieri sorti lungo il Bisenzio, eredi delle più antiche tradizioni tessili fiorentine e lucchesi. Già in quel secolo si ha notizia di immigrazioni di contadini della campagna e di maestranze del Veneto e della Lombardia venute a fabbricare tessuti. Diminuita l’importanza politica e militare dopo l’annessione ai domini fiorentini, si accrebbe così l’importanza economica e commerciale della città, che divenne centro di importazione e di esportazione di lane e di tessuti su numerosi mercati dell’Europa e del Mediterraneo. Si deve ricordare che nacque tra l’altro a Prato uno dei più celebri mercanti del Trecento, Francesco di Marco Datini, che seppe estendere le sue relazioni d’affari e le sue case di rappresentanza a gran parte dell’Europa. Per questa sua prosperità economica, il Comune di Prato aveva raggiunto nel 1338 i ventimila abitanti, era cioè uno dei centri più popolosi della Toscana.

    Nei secoli successivi la città subì fasi alterne di decadenza e di sviluppo: dopo i tumulti contro i Medici nel 1470, presto sedati, essa ebbe a soffrire un terribile sacco da parte degli Spagnoli al servizio del cardinale Giovanni dei Medici, che distrussero    quanto potevano (1512), e    quindi    fu colpita da una peste che ridusse fortemente il numero degli abitanti e stroncò per parecchi anni ogni attività politica ed economica. La ripresa fu piuttosto lenta ed alla fine del XVI secolo la popolazione del Comune era ancora sensibilmente inferiore a quella di due secoli prima (circa quindicimila abitanti).

    La lavorazione dei tessuti, grazie all’abilità delle maestranze e ai molti opifìci esistenti lungo il Bisenzio, non cessò tuttavia mai completamente, malgrado la politica accentratrice di Firenze, e durante il Seicento e soprattutto il Settecento, gli stabilimenti ripresero a moltiplicarsi: nel 1739 pare fossero attivi 24 opifici lanieri oltre alle tintorie, alle gualchiere, alle cimatone.

    Ma la vera e propria ripresa si ebbe alla fine del secolo, quando Prato, nelle nuove condizioni di libertà commerciale, si dedicò alla fabbricazione dei berretti rossi alla levantina, poi destinati in gran parte all’esportazione sui mercati musulmani. In soli dieci anni ne furono esportati circa due milioni e mezzo. Nello stesso tempo aumentò la produzione della flanella, delle pezze di lana, dei tessuti di cotone, mentre sorgevano i primi lanifici a ciclo completo.

    Soltanto dopo la metà del XIX secolo compare nella vita di Prato lo straccio, che, accolto dapprima con esitazione, diviene poi rapidamente, come meglio diciamo in altra parte di questo volume, un elemento di prim’ordine per lo sviluppo dell’industria e della città. Questa diviene sempre più, dopo l’Unità d’Italia e in particolare negli ultimi decenni, una « città tessile » fortemente specializzata, il centro più industrializzato della Toscana rispetto al numero degli abitanti ed uno dei maggiori e più caratteristici d’Italia, con un mercato di importanza mondiale ed una larghissima attrazione urbana con numerosa immigrazione giornaliera dalle regioni circostanti.

    In rapporto alla grande espansione dell’industria è naturalmente quella della popolazione del Comune che, da 19.000 abitanti nel 1745, sale a 35.600 nel 1861 e poi in questo secolo sino ad oltre 110.000. Prato è così il quarto Comune ed il quarto centro urbano della Toscana per numero di abitanti.

    Ancora fino alla prima guerra mondiale Prato si estendeva entro le mura dell’inizio del Quattrocento, che erano state costruite con larghezza di spazio in sostituzione di quelle edificate tra il 1175 e il 1200. Non solo la popolazione, ma l’ottanta per cento degli stabilimenti industriali era situato entro le mura. Fu soprattutto dopo il 1930 che cominciò una nuova fase di espansione topografica verso la valle del Bisenzio e nella pianura, lungo la direzione delle strade di Firenze, di Pistoia, di Poggio a Caiano.

    Prato. Panorama del centro.

    Il processo è tuttora in corso, e si è manifestato in una prima fase con il trasferimento degli opifici dal centro nei sobborghi fuori mura e con la formazione di quartieri molto aperti, con larghi spazi vuoti, riempitesi poi lentamente di caseggiati per abitazione. « L’attuale agglomerato urbano risulta oggi molto esteso in rapporto al numero degli abitanti, sia a causa dello spazio occupato dagli stabilimenti e dalle aree ancora vuote tra l’uno e l’altro di questi, sia perchè la città non ha trovato ostacoli nella sua espansione, nè nell’idrografia, nè nel rilievo, tranne che verso il Bisenzio, e oltre questo, lungo le pendici della Calvana. Tuttavia il suo allargamento non è stato a macchia d’olio, ma ha seguito delle linee abbastanza precise, costituite dalle strade che uscivano dalle porte, per cui la struttura è oggi grossolanamente stellare, con quartieri nuovi di forma stretta ed allungata. Un primo quartiere si è formato verso nord ed ha ormai catturato frazioni un tempo isolate come San Martino e Coiano, un altro è sorto intorno alla via pistoiese con una serie di brevi strade nuove a questa perpendicolari, un altro ancora si è sviluppato verso Firenze e sta per raggiungere la frazione di Pozzano, che costituisce appunto una specie di avanguardia di stabilimenti industriali. Più tozza e di forma quasi quadrangolare è stata l’espansione verso sudovest, in direzione dell’autostrada, forse per l’assenza di una via di grande traffico. Carattere del tutto a sé ha poi il rione sorto dopo la costruzione della nuova stazione ferroviaria sulla “ direttissima ” per Bologna, oltre il Bisenzio, tra il fiume e la collina.

    Prato. Il Duomo

    « L’odierna struttura della città rivela pertanto chiaramente le varie fasi dello sviluppo, dalle mura del XII secolo, il cui tracciato è ancora in parte riconoscibile, a quelle del Trecento, che sopravvivono in ottime condizioni, all’espansione dei nostri giorni, e lascia inoltre facilmente supporre le direttrici dello sviluppo futuro lungo le linee già seguite, con un processo di fusione dei nuovi quartieri ».

    Prato è oggi una delle più vivaci e produttive città della Toscana, legata a Firenze da stretti rapporti amministrativi, economici e culturali. Forte del suo sviluppo economico e demografico e dell’importanza delle sue industrie, la città aspira da anni ad una propria autonomia anche amministrativa, rivendicando il diritto di divenire capoluogo di provincia.

    Pistoia

    Molto incerte sono le notizie relative all’origine di Pistoia. I ritrovamenti archeologici e la toponomastica della regione fanno supporre che essa sia sorta ed abbia avuto il suo primo sviluppo ad opera dei Liguri, ma non è possibile precisare quando la città sia sorta. Si può comunque affermare che nel III secolo a. C. non solo esisteva, ma aveva già una certa importanza, se — come pare accertato — all’inizio della prima guerra punica essa era civitas socia di Roma.

    Quando, nel 187 a. C., i Romani conquistarono la regione cacciando i Liguri al di là dell’Appennino, al nucleo preesistente si aggiunse probabilmente un nuovo centro, uno dei tanti che i conquistatori fondarono presso i valichi appenninici, lungo le vie Emilia e Cassia allora costruite, l’una a nord, l’altra a sud deH’Appennino stesso. Sembra anzi che la via Cassia, la quale univa Firenze a Lucca, attraversasse la Pistoia romana, dividendola in due parti e costituendone il decumano. In un secondo tempo — tra il II secolo a. C. ed il IV d. C. — il centro fu fortificato e trasformato in oppidum.

    Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente Pistoia subì il dominio degli Eruli e degli Ostrogoti; a questo periodo quasi certamente è da ascrivere l’istituzione del suo episcopato. Nel 570 fu occupata dai Longobardi, sotto i quali ebbe grande importanza, data la sua posizione al confine coi domini bizantini. Nel 786 passò sotto Carlo Magno, nella giurisdizione dei conti Carolingi di Fucecchio, e fu dichiarata città imperiale.

    Nel X secolo ebbe a soffrire per l’invasione degli Ungheri. Fu, quindi, sotto gli imperatori della Casa di Sassonia e poi, alla morte della contessa Matilde, si proclamò libero Comune (già nel 1105, però, troviamo menzionati i consoli); a partire dal 1158 essa cambiò il governo consolare in quello podestarile, e nel 1177 pubblicò il suo primo statuto, che è uno dei più antichi d’Italia. La sua economia si fece allora fiorente e tale rimase fin verso la fine del XIII secolo, quando la città si trovò divisa nelle due fazioni dei Bianchi e dei Neri, in seguito alle sanguinose discordie scoppiate nell’interno della famiglia Cancellieri, una delle più potenti ed influenti. Di questa triste situazione interna approfittò Firenze, la quale potè imporre prima la sua ingerenza negli affari del Comune e poi (1301) ottenere addirittura il governo della città per tre anni.

    Nel 1305 Pistoia, che frattanto aveva cacciato i Neri, fu cinta d’assedio da Fiorentini e Lucchesi e, dopo undici mesi di eroica resistenza, dovette capitolare; le fu tolto il contado, le sue mura furono abbattute, distrutti i palazzi e le torri dei Ghibellini e perfino l’intero borgo di ponente (fra le chiese di San Paolo e di San Francesco), detto « lo Spianato ».

    Nel 1309 la città subì un nuovo attacco da parte di Uguccione della Faggiola, ma riuscì a respingerlo; pochi anni dopo, però, per il tradimento di Filippo Tedici, essa cadeva in potere di Castruccio Castracani. Dopo la morte di questi, tornò sotto l’egemonia fiorentina (1329), pur conservando qualche autonomia; ma il fallimento delle sue case bancarie (Cancellieri, Panciatichi, Ammannati) determinò una grave crisi, che la fece cadere definitivamente e completamente sotto il dominio di Firenze (1401), alle cui sorti rimase poi sempre legata.

    Veduta di Pistoia alla metà del Settecento.

    Il Duomo di Pistoia in una stampa del secolo scorso.

    L’oppidum Pistoriense fu certamente recinto da mura — distrutte, poi, durante le invasioni barbariche — le quali si suppone passassero per le attuali vie Cavour, Palestro, Pacini, delle Pappe, Abbi Pazienza, Curtatone e Montanara; esse avevano un perimetro di circa 1200 metri e delimitavano un’area di una decina di ettari.

    I Longobardi cinsero Pistoia di nuove mura (non sappiamo se al tempo di Desiderio o prima), le quali ebbero press’a poco lo stesso percorso delle romane, e come quelle furono dotate di quattro porte, fornite ognuna di un ponte levatoio per l’attraversamento del largo fossato che le recingeva e nel quale scorrevano le acque del-l’Ombrone e della Brana. La città ebbe allora, come al tempo dei Romani, forma quadrata; il suo centro era costituito da un insieme asimmetrico di edifici, da cui si dipartivano radialmente le vie che raggiungevano la periferia; le piazze, piccole, si trovavano generalmente presso le chiese, intorno alle quali si raccoglievano anche le abitazioni.

    Nell’VIII secolo e nei successivi sorsero, fuori delle mura, i monasteri di San Bartolomeo in Pantano e di San Pier Maggiore, e le chiese di Sant’Andrea e di San Giovanni Fuorcivitas, ed intorno a questi si vennero formando dei sobborghi; testimonianze del XII secolo citano come già esistenti i borghi di San Prospero, Porta Putida, Sant’Andrea, San Bartolomeo, San Leonardo, San Pier Maggiore, Porta Lucchese. La necessità di espandersi ed insieme di difendere tali borghi spinse i Pistoiesi a costruire nuove mura, le quali nel secondo decennio del XIV secolo erano sicuramente già compiute; esse constavano di una doppia cinta ed erano fornite di varie torri, di quattro porte principali e di altre secondarie; intorno alla cerchia esterna un fossato completava il sistema di difesa. Il loro percorso si svolgeva dalla Fortezza di Ripalta (presso la Porta Sant’Andrea) per gli odierni corsi Vittorio Emanuele ed Umberto I, rasentava la parte orientale della chiesa di San Giovanni Battista del Tempio e della piazza SS. Annunziata, poi seguiva via de’ Baroni, passava il borgo di Porta San Marco e giungeva in piazza San Lorenzo; infine, dopo aver costeggiato il lato settentrionale dell’Ospedale del Ceppo, si dirigeva alla Fortezza di Ripalta per le vie delle Pappe e Santa. Gli edifici si allineavano soprattutto lungo le vie nove mastre, che dalle antiche porte si allungavano oltre quelle delle nuove-mura e delimitavano i quattro quartieri della città: di Porta Lucchese, Porta Gaial-datica, Porta Sant’Andrea, Porta Guidi; altre vie, concentriche, correvano parallelamente alle vie di circonvallazione delle vecchie mura (via Circularum) e delle nuove. La città aveva forma rettangolare.

    Abbattute queste mura dai Fiorentini dopo la loro occupazione della città, una nuova cerchia venne costruita (iniziata forse nel 1309, non sappiamo esattamente quando fu terminata; sicuramente dopo il 1329), la quale ebbe un perimetro più lungo ed incluse vari nuovi piccoli centri, che frattanto si erano andati formando presso nuove chiese e monasteri, sorti fra il XIII ed il XIV secolo intorno alla precedente cinta murata. La città fu resa più piacevole e la sua aria più salubre da vaste aree non fabbricate, che furono adibite a coltura orticola.

    Queste nuove mura, esistenti ancor oggi, comprendono un’area trapezoidale di circa 140 ettari e si svolgono con un perimetro di 4800 metri circa; munite anch’esse di torri e bastioni e circondate da larghi fossati, avevano quattro porte (ciascuna con due ponti levatoi), alle quali corrispondevano, come alle precedenti, i quattro quartieri della città: di Porta Lucchese, Porta Caldatica (già Gaialdatica), Porta San Marco, Porta al Borgo.

    Seguì un periodo di stasi nell’incremento edilizio, dovuto alla situazione politica interna notevolmente peggiorata per l’acuirsi delle lotte fra Panciatichi e Cancellieri; dopo la cacciata di questi ultimi (1529) si ebbe un risveglio, che portò alla costruzione di vari edifici importanti, quali la Pia Casa della Sapienza (ora Biblioteca Forte-guerriana), il Palazzo Fabbroni, la chiesa della Madonna dell’Unità, il Seminario vescovile. Nel XVI secolo, Cosimo I dei Medici provvide a fortificare la città con la costruzione dei bastioni di Porta Caldatica, Porta Lucchese e Porta al Borgo e con l’ingrandimento della Fortezza di San Barnaba, che prese il nome di Santa Barbara; tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo furono costruiti i palazzi Ganucci Cancellieri, Marchetti, Amati, la Biblioteca Fabroniana, la chiesa dello Spirito Santo.

    Vedi Anche:  Le strade, il commercio e il turismo

    Pistoia. Via Porta al Borgo.

    Sotto i Lorena, Pistoia ebbe sicuramente un certo incremento edilizio; non abbiamo dati in proposito, ma è facile arguirlo dall’accrescimento demografico verificatosi. Tuttavia lo sviluppo urbano riprese intenso soltanto dopo l’annessione della Toscana all’Italia; fu allora che Pistoia iniziò la sua espansione fuori delle mura. Dapprima essa si manifestò in direzione sud, soprattutto dopo la costruzione della stazione ferroviaria (1886) e delle officine San Giorgio (1891), e poi anche lungo le principali vie di comunicazione, in corrispondenza delle vecchie porte che furono abbattute all’inizio del secolo attuale.

    Negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale si iniziò l’espansione esterna verso ovest, la quale assunse più vaste proporzioni dopo la costruzione della camionabile Vicofaro-Capostrada (1934) e del campo d’aviazione (1935), e fu dovuta particolarmente all’incremento industriale della zona, ove si trovano, infatti, alcuni stabilimenti di una certa importanza.

    L’espansione verso sud è proseguita con intensità sempre maggiore, tanto che i caseggiati, oltrepassata la ferrovia, si sono ormai spinti lungo le vie Pratese e di Poggio a Caiano. La città si è estesa solo più tardi e in minor misura verso nord e verso est.

    Pistoia, città di modesta estensione, non presenta una vera e propria suddivisione in quartieri geografici; le varie forme di attività, comunque, tendono anche qui a raggrupparsi in zone, le quali risultano press’a poco definite dal tracciato delle tre cinte di mura medievali.

    La città interna, che conserva ancora i caratteri medievali, si può dividere, seguendo gli studi su Pistoia di M. P. Puccinelli, in tre zone: il centro, circoscritto dalle mura longobarde e caratterizzato da edifici addossati gli uni agli altri con rari giardini, lungo vie generalmente strette, con andamento irregolare. Comprende piazze tra le più importanti (Piazza del Duomo, della Scala, dello Spirito Santo) ed è la zona più densamente popolata e più frequentata. Può essere considerata il « quartiere degli affari e degli uffici » ; vi si trovano, infatti, i più importanti uffici pubblici, gli enti finanziari e i mercati.

    Dal centro deve essere distinta la zona compresa fra la prima e la seconda cerchia, caratterizzata da vie a raggiera piuttosto larghe, intersecate da strade brevi e strette, e così pure la zona compresa fra la seconda e la terza cerchia, percorsa da vie con andamento più regolare e caratterizzata da vaste aree adibite a giardini, vivai ed orti. Vi si trovano il Campo Marzio (Piazza d’Armi) ed il campo sportivo, e gli edifici sono regolarmente allineati lungo le vie che si dirigono verso le antiche porte.

    La città esterna ha caratteri nettamente diversi. Le strade, rettilinee, si tagliano perpendicolarmente. Nell’area compresa fra la camionabile Vicofaro-Capostrada ed i viali Pacinotti e Petrocchi si trova la maggior parte degli stabilimenti industriali (Officine Meccaniche Ferroviarie Pistoiesi, Officine Venturi, Costruzioni Meccaniche Mandorli, Vetreria Elmi); essa può essere, quindi, considerata la zona industriale di Pistoia.

    Nessun documento ci dà sicure notizie della popolazione di Pistoia fino alla metà del XIII secolo. Nella Pistoia romana, tenuto conto che la sua estensione era di dieci ettari circa, il Solari suppone che ci fossero non più di cinquemila abitanti. Un documento del 1255, contenente una lista di «foci» dei villaggi (città esclusa), permette l’ipotesi che la popolazione del contado si aggirasse sui trentacinquemila abitanti; quella della città, invece, probabilmente fu sui dodici-diciottomila abitanti.

    Manca ogni dato per il periodo 1255-1551. Comunque si può arguire, sulla scorta degli avvenimenti storici (lotte fra Bianchi e Neri, assedio del 1305-06, pestilenze del 1340 e del 1348, «morìa de’ Bianchi» del 1399), che durante il XIV secolo la popolazione di Pistoia abbia subito una forte diminuzione. Un certo aumento si verificò probabilmente nei primi decenni del XV secolo, ma una nuova epidemia nel 1432 mietè numerose vittime ed altre ancora una pestilenza nel 1485; se si considerino, inoltre, le lotte interne ed il conseguente esodo di famiglie intere, ci si potrà spiegare come il censimento del 1551 abbia reperito in Pistoia soltanto 6168 abitanti. La popolazione del territorio, invece, grazie alle condizioni agricole ed economiche notevolmente migliorate, risultò aumentata a 57.184 abitanti.

    Panorama di Pistoia.

    Sotto i Medici la città godette di una certa prosperità, sicché nel 1745 gli abitanti erano 9446 e quelli del territorio 77.365, nonostante varie pestilenze, di cui le più gravi si ebbero nel 1590 e nel 1630. Anche sotto i Lorena, che dettero incremento all’agricoltura, alle industrie ed ai commerci, la popolazione continuò ad aumentare, con intensità anche maggiore dopo la parentesi napoleonica, sicché nel 1818 gli abitanti della città erano 9937 e quelli della diocesi (che quasi coincideva con il contado) 96.302. Nel 1833 erano rispettivamente 11.101 e 120.665, enei 1840 circa 11.900 e 128.500.

    Il censimento del 1861 registrò 12.274 abitanti in città e 95.262 nel circondario (la diminuzione della popolazione del contado derivò dal fatto che nel 1851 un provvedimento granducale aveva tolto a Pistoia i Comuni della Valdinievole e del Pesciatino e li aveva assegnati a Lucca).

    I censimenti successivi mostrano una popolazione in aumento considerevole che arriva nel centro urbano a 28.300 abitanti nel 1911, a 34.600 nel 1931, a circa 55.000 nel 1961 (Comune 82.400).

    Arezzo

    Arezzo sorge nella parte più interna della Toscana, a circa quattro chilometri a sudest dell’imbocco del canale della Chiana, sopra una collina di dolce pendìo, ad un’altitudine media di 260 metri sul livello del mare; dalla sua pianura si diramano il bacino del Valdarno Superiore ad ovest, la Valdichiana a sud, il Casentino a nord.

    Città di origine antichissima, forse umbra, Arezzo fu una delle dodici lucu-monie etrusche. Dopo un breve periodo di decadenza dovuto all’espansione di Roma, nel 294 a. C. concluse con questa un trattato di alleanza e venne acquistando importanza notevole come stazione militare, grazie alla sua ottima posizione sulla via Cassia, una delle più frequentate fra Roma e l’Italia settentrionale. Durante la guerra sociale parteggiò per Mario, per cui Siila le tolse i diritti di cittadinanza romana e vi dedusse una colonia militare; un’altra ve ne dedusse più tardi Cesare, sicché i cittadini risultarono divisi in Arrotini veteres (Etruschi), Arretini fidentes (coloni di Siila) ed Arretini Julienses (coloni di Cesare).

    Durante le invasioni barbariche Arezzo subì devastazioni e distruzioni; fu poi sotto i Longobardi, i Franchi e fece parte del Marchesato di Toscana. Verso la fine dell’XI secolo si eresse a libero Comune e la sua potenza crebbe a tal punto che esso potè rivaleggiare con Siena e Firenze, resistendo agli attacchi di queste; nel 1289, però, gli Aretini furono duramente sconfitti dalle milizie fiorentine nella pianura di Campaldino.

    All’inizio del XIV secolo Arezzo era divisa nelle due fazioni dei Verdi, capeggiati dai signori della Faggiola, e dei Secchi, capeggiati dai Tarlati, e fu tormentata da lotte interne; ebbero il sopravvento i Tarlati, sotto i quali la città ebbe il periodo di maggior splendore, particolarmente col governo del vescovo Guido, eletto nel 1312 signore a vita. Alla morte di questi (1327) Arezzo decadde e dovette subire la signoria del duca di Atene, di Carlo di Durazzo e poi di Enguerrand VII de Coucy, avventuriero al servizio di Lodovico d’Angiò, il quale la vendette ai Fiorentini per quarantamila fiorini (1384). La città perdeva, così, definitivamente la sua indipendenza; vani furono, infatti, i suoi reiterati tentativi di ribellione: essa rimase per sempre legata alle sorti dell’antica rivale e poi dell’intera Toscana. Merita, comunque di essere ricordata l’insurrezione con la quale, durante il dominio napoleonico, Arezzo riuscì a scacciare i Francesi (1799), anche se questi l’anno seguente tornarono di nuovo ad occupare la città.

    Panorama di Arezzo.

    La topografia di Arezzo ha subito attraverso i secoli notevoli variazioni. Al tempo degli Etruschi la cinta delle mura racchiudeva tutta la parte più alta della collina, compresa fra l’attuale Fortezza ed il Duomo, con lo sperone che dalla Fortezza stessa discende verso sudovest. Sotto i Romani la città probabilmente si ampliò molto, e verso sud arrivò forse fino al piano, occupando un’area che all’incirca doveva aggirarsi sui 35 ettari; ma durante le invasioni barbariche la popolazione diminuì tanto che potè ritirarsi entro la cerchia delle mura etrusche.

    Nell’XI secolo la cinta murata, il cui perimetro era di oltre 2100 metri, racchiudeva un’area di circa 17 ettari, ma la città andò notevolmente estendendosi e, verso la fine del XIII secolo, le nuove mura, che avevano un perimetro di 2850 metri, racchiusero un’area di circa 51 ettari. Nel XIV secolo lo spazio occupato dalla città raddoppiava (107 ettari), estendendosi anche verso sudovest per un largo tratto, sicché nella nuova cerchia di mura, il cui tracciato a forma di pentagono misurava circa 4100 metri di lunghezza, rimanevano inclusi anche il torrente Castro ed il Poggio del Sole. Gran parte del terreno compreso nella nuova cinta era ed è rimasto tuttavia, fino al nostro secolo, adibito a campi ed orti. Sotto i Medici, nel XVI secolo, furono costruite nuove mura, di poco dissimili dalle precedenti, le quali conservarono la forma pentagonale del tracciato. Dal lato sudovest ed un po’ da quello est, il recinto urbano perdette però in estensione (perimetro di circa 4200 metri; area racchiusa di 95 ettari). La topografia di Arezzo restò, poi, pressoché invariata fino ai primi decenni del secolo scorso; l’incremento edilizio moderno cominciò dopo la costruzione della ferrovia Firenze-Roma, e l’apertura di una nuova porta nelle mura, che metteva in comunicazione i quartieri in sviluppo verso la stazione con la parte medievale della città. Dopo la prima e la seconda guerra mondiale si ebbe un grande accrescimento edilizio e topografico sia all’interno che all’esterno della cerchia cinquecentesca di mura.

    Arezzo. Piazza Grande, lato sudest.

    Arezzo. Case medievali in Piazza Grande.

    Arezzo. Panorama del centro,

    Attualmente nella topografìa di Arezzo si notano due sezioni ben distinte: quella in collina, sul cui sviluppo ha influito in maniera evidente la morfologia del terreno (le strade non partono da un centro, ma piuttosto da una zona allungata di sommità) e quella in pianura il cui accrescimento, manifestatosi nei tempi passati con un allungamento lineare dei quartieri periferici lungo le strade provinciali, tende modernamente ad attuarsi con uno sviluppo di quartieri a pianta a scacchiera più o meno regolare.

    Non si hanno notizie ufficiali della popolazione di Arezzo prima del censimento del 1551, ordinato da Cosimo I dei Medici. Probabilmente al tempo della conquista romana essa non arrivava ai diecimila abitanti ed andò diminuendo notevolmente col decadere dell’Impero Romano ed ancor più al tempo delle invasioni barbariche. Tornò poi ad aumentare a partire dal X secolo, e dopo la costituzione del Comune il suo accrescimento si fece più rapido, grazie anche al fenomeno dell’urbanesimo. Nella prima metà del XIV secolo, sotto i Tarlati, Arezzo ebbe probabilmente il massimo numero di abitanti (18.000 circa), ma nella seconda metà dello stesso secolo si verificò una sensibile diminuzione, che si accentuò ancor più nel secolo seguente a causa di numerose epidemie (nel 1490 gli abitanti erano appena 4500). Se si eccettua una momentanea ripresa nella prima metà del XVI secolo (nel 1551 si avevano 7750 abitanti entro la cerchia murata e 22.698 nell’intero Comune), la decadenza proseguì poi fino alla metà del XVIII secolo (nel 1745 la città aveva 6719 abitanti ed il Comune 17.610).

    Arezzo. Il Passeggio del Prato.

    Arezzo. Palazzo Comunale e Monumento a Ferdinando I.

    Sotto i Lorena s’iniziò una lenta ripresa che proseguì anche durante il periodo napoleonico (nel 1815 gli abitanti della città erano 8111 e 25.730 quelli del Comune).

    Notevole fu l’aumento tra il 1815 ed il 1845 (11.716 abitanti nella città e 33.657 nel Comune). Nel 1861 la popolazione cittadina era di nuovo diminuita (11.081 abitanti) ed aumentata, invece, quella del Comune (36.806 abitanti), ma dal 1861 in poi si è avuto un continuo aumento, che a partire dal 1901 si è manifestato soprattutto nella città (nel trentennio 1901-31 la popolazione cittadina è aumentata di circa l’80 per cento, mentre quella del Comune di circa il 29 per cento). Nel 1961 (censimento) la popolazione comunale era salita a 74.245 abitanti, di cui circa 40.000 nel capoluogo.

    Grosseto

    Grosseto, centro principale della Maremma, sorge a dodici chilometri dal mare, nella pianura alluvionale dell’Ombrone, sulla destra del fiume, dal quale dista circa un chilometro. Il suo nome è legato probabilmente al tipo di vegetazione della zona, costituito soprattutto da macchie folte ed alte (« grosse »).

    Della città, cui è dedicato un recente studio di L. Balducci, si hanno notizie soltanto a partire dal IX secolo, epoca in cui essa doveva essere un piccolo borgo che, sorto a ridosso di un’ampia ansa del fiume, trovava in questo una comoda via di comunicazione ed una buona difesa. Scavi recenti e ruderi romani esistenti nella località « Ponte del Diavolo », poco distante dalla città, dimostrano che un centro di origine probabilmente etrusca, sicuramente preromana, doveva esistere al tempo di Roma. Già porto dell’etrusca città di Roselle, esso costituì fin verso il XV secolo lo scalo marittimo della valle delFOmbrone; ma durante il XVI secolo, essendosi il fiume allontanato dal centro abitato di circa un chilometro, ed essendo la navigazione divenuta sempre più difficile a causa del disordine idraulico del corso inferiore e del progressivo estendersi del delta, lo scalo perdette d’importanza. Non decadde, però, la città, che anzi, per la felice posizione, vide aumentare la sua importanza come centro regionale.

    Panorama di Grosseto.

    Poco dopo la distruzione di Roselle da parte dei Saraceni (935), Grosseto divenne feudo dei conti Aldobrandeschi, che vi costruirono un castello e vi si stabilirono; nel 1138 vi fu anche trasferita da Innocenzo II la sede del vescovado della città distrutta. Nel 1224 cadde in potere dei Senesi, da cui potè liberarsi grazie a Federico II, il quale la volle sede del vicario imperiale per la Toscana fra il 1242 ed il 1245. Nel 1259 essa veniva riconquistata da Siena, la quale tuttavia potè definitivamente dominarla soltanto a partire dal 1336, dopo la cacciata di Vanni degli Abati. Nel 1559 divenne possesso di Cosimo I dei Medici e da allora non ebbe più vita indipendente, ma seguì le sorti del Granducato di Toscana.

    Grosseto ebbe per opera degli Aldobrandeschi le sue prime mura — oggi completamente scomparse — che presumibilmente comprendevano un’area molto inferiore a quella dell’attuale città interna. Esse furono distrutte nel 1224 dai Senesi; ricostruite nella seconda metà del secolo, furono di nuovo abbattute nel 1336 per ordine di Siena, che voleva la città completamente sguarnita. Ma pochi anni dopo, considerando l’importanza che la piazzaforte di Grosseto aveva nel territorio maremmano, la stessa Siena provvide a farle riedificare (1345). Sembra che questa terza cerchia avesse un perimetro di 1740 metri. Durante il periodo della dominazione senese (1336-1559) la città decadde molto, sia economicamente che demograficamente: testimonianze dell’epoca ci parlano di strade abbandonate, case diroccate, mura in rovina.

    La situazione migliorò sotto i Medici, i quali, fra il 1574 ed il 1593, fecero costruire nuove più potenti mura, affinchè la città potesse saldamente opporsi ad eventuali attacchi degli Spagnoli, indesiderati vicini nello Stato dei Presidi. Questa nuova cinta esiste ancor oggi: è a forma di esagono irregolare con massicci bastioni agli angoli, ed ha uno sviluppo di circa 2450 metri.

    Sotto i Lorena le condizioni della città migliorarono ancora, ma non si verificò un sensibile sviluppo topografico: una pianta del 1823, infatti, ci mostra l’abitato tuttora compreso entro le mura, le quali, perduta ormai ogni importanza come opera difensiva, tra il 1833 il 1835 furono adornate di giardini e viali ed adibite a pubblico passeggio.

    Soltanto nella seconda metà del XIX secolo si iniziò un’importante fase di sviluppo dell’abitato: le costruzioni aumentarono nelle zone marginali, e fuori delle mura sorsero i primi nuclei dei sobborghi di Porta Vecchia e Porta Nuova. Ma la vera notevole espansione esterna si è verificata nel secolo attuale, in seguito ad un maggiore accrescimento demografico, all’opera di bonifica ed al conseguente sviluppo dell’agricoltura. Lo sviluppo della città, interrotto dalla prima guerra mondiale, riprese alla fine di questa con intensità maggiore, sicché nel 1931 la superficie della parte esterna risultava di 145 ettari, di contro ai 22 di quella interna; tra il 1928 ed il 1930 furono aperte due nuove porte per unire la città interna con i quartieri esterni: una nei pressi del Baluardo della Fortezza, l’altra a sud del Baluardo del Molino a vento.

    Grosseto. Palazzo della Provincia in Piazza Dante.

    La seconda guerra mondiale segnò un nuovo arresto nello sviluppo edilizio di Grosseto, la quale subì anche la distruzione di un notevole numero di edifici; ma dopo il periodo bellico la città riprese ad un ritmo più serrato il suo ampliamento, soprattutto nella zona meridionale (dalla via Aurelia al viale Sonnino), in quella orientale (parallelamente alle vie Tripoli, Bengasi e Cesare Battisti) e in particolare, per la morfologia del terreno, nella zona settentrionale (lungo la via Aurelia). Anche la zona occidentale ha avuto recentemente un notevole accrescimento edilizio, in seguito all’apertura di due sottopassaggi che ne hanno migliorato le comunicazioni con il centro della città. Oggi Grosseto ha un’estensione complessiva che supera i 350 ettari, e la sua forma è quella di un poligono irregolare.

    La città risulta divisa dalla cinta murata in due zone nettamente distinte dal punto di vista topografico più che da quello economico: la parte interna, caratterizzata da vecchi edifici e da strade generalmente tortuose e strette, e la parte esterna, con strade ampie e diritte, fiancheggiate da edifici moderni più distanziati fra loro, ed aree ancora occupate da campi, orti, giardini. In quest’ultima sono localizzate quasi tutte le industrie, sorte di recente o comunque dopo l’inizio dell’espansione esterna della città.

    Pianta di Grosseto, Si confronti la modesta estensione della vecchia città entro la cinta poligonale, e la espansione moderna.

    Grosseto.

    La Balducci distingue quindici quartieri geografici, le cui differenziazioni e specializzazioni, però, sono in realtà più di una volta di poco rilievo, dato che Grosseto « è una città piccola, situata in una zona pianeggiante ed estesasi rapidamente senza le norme di un rigoroso piano regolatore ».

    Scarsi sono i dati che abbiamo sulla popolazione di Grosseto nel Medio Evo. Secondo il Pizzetti, nel 1221 la città aveva circa quattromila abitanti, i quali, aumentati ancora fino alla prima occupazione da parte dei Senesi, sarebbero poi diminuiti fino a ridursi a circa tremila nel 1335. La popolazione diminuì ancora rapidamente in seguito al decadimento economico della città ed al diffondersi della malaria; quest’ultima provocò, inoltre, un forte esodo estivo. A partire dal 1334 anche il podestà e gli uffici amministrativi durante l’estate si trasferirono a Scansano nel-l’entroterra, e questa consuetudine cessò soltanto nel 1897, quando la città fu provvista di acqua potabile derivata dalle sorgenti dell’Amiata e le sue condizioni igieniche migliorarono alquanto. Gravi epidemie, inoltre, contribuirono a diminuire notevolmente la popolazione nei secoli XIV e XV; essa, infatti, era ridotta nel 1430 a 180 individui e nel 1446 a 260.

    Nel 1640 gli abitanti della città erano aumentati a 1340 e quelli del Comune a 1919 (nulla sappiamo del periodo intermedio), ma nel 1745 essi erano discesi di nuovo rispettivamente a 648 ed 883, sia per il decadimento economico e politico del Granducato, che per la sempre maggiore diffusione della malaria.

    Una notevole ripresa si ebbe sotto i Lorena; essa fu dovuta alle migliorate condizioni del Granducato ed all’opera di bonifica intrapresa. Nel 1833 la città aveva 2321 abitanti ed il Comune 2732; nel 1861 le cifre erano rispettivamente 4165 e 6582. Dopo una modesta flessione nel successivo decennio, dovuta ad una sospensione delle opere di bonifica, gli abitanti salivano ad 8790 ed 11.891 nel 1911, a 13.029 e 17.086 nel 1921, e continuarono ancora ad aumentare grazie al proseguimento dell’opera di bonifica agraria ed allo sviluppo delle varie attività economiche. Nel 1936 gli abitanti della città erano 16.713 e quelli della campagna 26.428; nel 1951 essi erano saliti a 24.640 e 38.262; nel 1961 a 51.004 nel Comune, di cui oltre 30.000 nel capoluogo.

    La vita economica di Grosseto è basata soprattutto sull’agricoltura e sull’alleva-mento (particolarmente dei bovini). A partire dalla seconda metà del secolo scorso hanno avuto un notevole incremento anche le industrie, specialmente la meccanica, rappresentata principalmente da una fabbrica di aeromotori, la cui esportazione si dirige largamente all’estero, da stabilimenti per il montaggio e la riparazione di macchine agricole, da fabbriche di laterizi, da fabbriche di manufatti in cemento e di mattonelle, da molini e caseifici. Più importante, però, è il commercio, alimentato soprattutto dai prodotti agricoli (grano, olio, ecc.), forestali e zootecnici, che vengono esportati in varie città italiane.

    Carrara

    Città di moderno sviluppo e di elegante aspetto è Carrara, che sorge a ottanta metri sul mare, a circa sei chilometri dalla costa, in bella posizione di fondo valle, dominata dai rilievi apuani. Le prime notizie, anche se forse esisteva già nell’antichità un luogo di raccolta dei marmi, risalgono alla metà del X secolo, quando i documenti parlano di una curtis de Carraria, cioè di un centro rustico, che Ottone I donò ai vescovi di Luni. Rimasto a questi soggetto fino alla metà del XIII secolo, il piccolo centro approfittò della cattura del vescovo Guglielmo da parte dei Pisani, avvenuta presso il Giglio, e si rese libera nel 1261, malgrado le minacce e le scomuniche papali. Subì poi il dominio di Pisa (1313), di Castruccio Castracani (1322), degli Spinola (1329), dei Visconti (1343), di Lucca (1404) e cadde quindi sotto i marchesi di Fosdinovo (1428) e successivamente dei Malaspina (1473). Successero a questi ultimi i Cybo-Malaspina (1553-1790). Le sue sorti furono in seguito legate a quelle della vicina Massa.

    Carrara. Panorama

    La città, il cui nome pare derivare da Carariae, cioè cave, più che da una via carrareccia, non ebbe però grande sviluppo fino al secolo scorso, quando aveva ancora solo cinquemila abitanti. Dopo l’Unità d’Italia, la popolazione cominciò ad accrescersi, raggiungendo nel 1921 i ventiquattromila abitanti nel centro e cinquantaduemila nel Comune. Divenuto grande emporio del marmo, centro industriale e commerciale, la città si è ulteriormente accresciuta negli ultimi anni raggiungendo circa settantamila abitanti, per oltre tre quarti nel capoluogo nel 1961.

    L’espansione dell’abitato in questo secolo e in particolare nell’ultimo dopoguerra si è manifestata con un allargamento del vecchio centro, racchiuso tra i monti allo sbocco di varie ripide valli, verso il mare: l’importanza assunta dalla via Aurelia e dalla ferrovia, la costruzione del porto, la creazione della zona industriale del-l’Avenza, lo sviluppo del centro balneare di Marina di Carrara hanno infatti attirato sempre più la città verso la ricca pianura litoranea. Perciò oggi una lunga fascia di abitazioni, opifìci, stabilimenti, ha riempito il fondo valle del torrente Car-rione, lambendo i colli circostanti e spingendosi in piano fino alla Marina. Ne è derivato un agglomerato moderno che unisce alla suggestiva posizione tra monti,

    Carrara. Il Castello.

    Vecchia Carrara. Case sul torrente Carrione.

    Marina di Carrara e l’Avenza viste da Bocca di Magra.

    Ma Carrara conserva anche alcuni pregevoli monumenti, come il Duomo roma-nico-gotico dei secoli XI-XIV, tutto rivestito di marmi, l’antica Rocca e l’Accademia di Belle Arti, dove è ospitata una importante collezione di antichità marmoree. La città ha vecchie tradizioni artistiche, specie nel campo della scultura, ed è vivace centro di vita politica (gruppi repubblicani e anarchici), che fu particolarmente attiva durante la Resistenza.

    Il Comune di Carrara, che comprende anche la zona di Avenza, è uno dei più industrializzati della Toscana, sia come numero assoluto di addetti sia come percentuale rispetto alla popolazione (oltre 11.000 addetti all’industria al censimento 1961). La città spartisce con Massa, verso cui esiste una tradizionale rivalità di funzioni e di prestigio, la funzione di capoluogo di una provincia che si estende per 1156 kmq. in valli povere e spopolate e su pianure in via di grande sviluppo industriale, commerciale e turistico.

    Massa

    Città già capitale del Ducato di Massa e Carrara (Massa Ducale, detta anche Massa Lunense o Massa del Marchese), Massa sorge ai piedi delle Apuane, a circa cinque chilometri dal mare, ove il torrente Frigido sbocca nel piano. Avanti il Mille essa era ancora un piccolo villaggio probabilmente rurale, che cominciò a prendere sviluppo intorno ai secoli X e XI, per il decadere di Luni, quando gli abitanti di questa città, più volte assaliti e saccheggiati dal mare, si ritirarono verso l’interno.

    Divenuto possesso, nel XI secolo, dei marchesi Obertenghi, il villaggio fu protetto da una rocca fortificata su un’altura, intorno alla quale si venne espandendo la borgata detta di « Massa Vecchia ». Questa subì poi vari domini, da quello dei marchesi di Massa e Corsica, a quelli del Papa, di Lucca, di Pisa, di Milano, di Firenze, dei Malaspina di Fosdinovo (1442-1553) e poi dei Cybo-Malaspina (1553-1790). Fu appunto un membro di questa famiglia, Alberico I, che nel 1557 fondò la «Massa Nuova » o « Massa Cybea », una città cioè con strade più larghe ed aperte, che ancora si riconosce chiaramente nella topografìa urbana a fianco della parte più antica. Il centro fu poi proclamato città da Ferdinando II nel 1620.

    Massa. Panorama col Castello Malaspina costruito intorno al 1000.

    Dopo l’annessione all’Italia, Massa, che contava ancora poche migliaia di abitanti, si è sviluppata in modo particolare come centro amministrativo e commerciale. In questo secolo il sorgere della nuova zona industriale di Avenza e di altre industrie locali e lo sviluppo della marina hanno creato nuovi motivi di impulso e di sviluppo, sicché oggi la città, che nel 1931 contava circa ventimila abitanti nel solo centro, ha raggiunto i 55.000 abitanti nel Comune e i 45.000 nel capoluogo.

    Il centro della città si estende intorno alla suggestiva Piazza Aranci, dove domina il Palazzo Cybo Malaspina, ed è sovrastata dalla Rocca, chiusa entro i resti dell’antica cinta fortificata. Dalla parte alta, dove si appoggia alla collina, l’abitato si è esteso largamente negli ultimi decenni verso il torrente Frigido ed oltre, e si è spinto quindi verso la stazione ferroviaria, inglobando alcuni sobborghi, e in direzione della nuova elegante Marina. Si è venuta così creando una fascia pressoché continua di abitazioni tra il centro e il mare, attraverso la pianura.

    Massa è centro amministrativo e ospita i più importanti uffici della provincia di Massa-Carrara. Come Carrara, ha inoltre carattere industriale e commerciale: al censimento del 1961 risultavano circa 7500 addetti alle industrie e quasi tremila al commercio.

    Scrive il Repetti : « La posizione di Massa, la bontà e temperatura del suo aere, l’ampiezza delle sue strade e piazze, il decente suo fabbricato, la maestà dei monti che si alzano alle sue spalle e le squisite produzioni del suolo, tutto sembra concorrere a gara per dare a questa piccola città un aspetto pittorico, una fisionomia incantatrice. E talmente privilegiata questa città di un clima temperato, di un’aria balsamica, mentre che la pianura la difende dalla parte di greco sino a maestro, dai venti più molesti mediante contrafforti, i quali davanti a Massa si umiliano in deliziose colline, ai cui piedi corrono spumanti le limpide acque del Frigido, per formare della valle come uno spettacoloso teatro, cui serve di scena il vicino mare, il promontorio e le isole del golfo di Luni che, essendo inoltre ben fornite, sotto il rapporto fisico-meteorologico, può dirsi la Nizza della nostra Toscana ».