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Il clima e le acque

    Il clima e le acque

    Le condizioni climatiche

    La Toscana non ha una sua individualità climatica, ma fa parte di quella più vasta regione tirrenica che comprende i territori che si estendono appunto dal Tirreno alla dorsale appenninica.

    Nel suo complesso gode di un clima relativamente mite, perchè la chiostra delle montagne la ripara abbastanza dai venti freddi settentrionali, mentre gli effetti mitigatori del mare possono farsi sentire liberamente.

    Se si scende ad un esame particolare, si nota però che nell’ambito di un clima generale apparentemente uniforme si possono cogliere numerose individualità molto diverse fra loro.

    Ciò è dovuto al fatto che la configurazione verticale della regione toscana è complessa, perchè accanto alle piane litoranee presenta le asperità più o meno sensibili dell’Antiappennino e delle Apuane ed accanto alle limitate pianure fluviali vanta le sommità della catena appenninica vera e propria, ai cui piedi si estendono diversi ed estesi bacini intermontani.

    Ecco allora che i venti marini vedono localmente ostacolato il loro procedere e talvolta non riescono a modificare le esistenti situazioni di continentalità; ecco che le precipitazioni si distribuiscono di preferenza sulle aree più elevate e trascurano le bassure; ecco infine che la diversa altitudine ed esposizione influiscono sulla temperatura.

    Il quadro delle condizioni climatiche della Toscana nelle quattro stagioni dell’anno permette di scoprire una primavera piovosa all’inizio ma secca e calda nel mese conclusivo; un’estate fresca sui rilievi, ove sono frequenti i temporali, e afosa nelle vallate; un autunno mite ancorché ricco di precipitazioni; un inverno solo a sprazzi rigido, nevoso sui monti ma sporadicamente in pianura, soggetto a grandi sbalzi termici per l’improvviso giungere della « tramontana ».

    Uno sguardo all’andamento della temperatura e delle precipitazioni attraverso 1 dati raccolti lungo un arco di parecchi lustri consentirà di dar forma alle individualità di cui si diceva e di rilevarne le reciproche differenze.

    Mattino: le nebbie ristagnano nei fondovalle (Montagna Pistoiese).

    Foresta dell’alto Appennino sotto la neve.

    La temperatura

    La temperatura varia in Toscana sia con l’aumentare dell’altitudine che con l’allontanarsi dal mare. Nei valori medi annui non si osservano tuttavia forti differenze tra la fascia costiera e i bacini interni: Arezzo, ad esempio, pur trovandosi ad un centinaio e più di chilometri in linea d’aria dal Tirreno, registra una media annua di 14° di poco inferiore a quella di Firenze (14,8°), che si trova alcune decine di chilometri più vicina, ed anche a quelle di Viareggio (15,4°) e di Pisa (15,2°) che sorgono sulla costa a breve distanza da essa.

    Le medie annue diminuiscono invece sensibilmente sui rilievi: Vallombrosa, posta a 955 metri di altitudine, raggiunge appena i 10°, e Camaldoli, ami metri, soltanto 7,8°. Quest’ultima stazione, oltre ad essere più elevata di Vallombrosa, avverte solo minimamente l’azione mitigatrice del Tirreno, dal quale è nettamente separata dal saliente montagnoso del Pratomagno.

    Anche una situazione di maggiore vicinanza a montagne di notevole altezza influisce sulla temperatura media: Pistoia, seppure di poco, è nella media dell’anno più fredda di Firenze con i suoi 14,4°. Influenzate dalla maggiore altitudine sono le medie di Volterra (13,1°) e di Montepulciano (13,8°).

    Più indicativo è l’esame delle escursioni tra le medie del mese più freddo e di quello più caldo. Le differenze non sono così sensibili come, ad esempio, nella Pianura Padana. Confrontando le medie di gennaio e di luglio, a Viareggio si ha un’escursione di 14°, a Firenze, già abbastanza interna, di 19,4°, ad Arezzo di 19,8°. Come si vede, la lontananza dal mare accentua notevolmente il carattere continentale del clima.

    Di poco inferiore a quella di Firenze è l’escursione di Castelnuovo di Garfagnana. Più che la distanza dal mare influisce qui la presenza della barriera delle Alpi Apuane, che conferisce al bacino del Serchio le caratteristiche di una piccola oasi continentale. Il medesimo fenomeno si avverte nella conca del Mugello. Nelle zone più elevate l’escursione tende ad attenuarsi.

    Nel mese più freddo, cioè il gennaio, la temperatura risente notevolmente della posizione più o meno interna e dell’altitudine. Da una media di 9,1° a Viareggio, che si può considerare come facente parte della regione climatica ligure più che di quella toscana, si passa ai 7°di Livorno, ai 5,6° di Firenze e addirittura ai 4,4° di Arezzo. Nella Maremma costiera le medie invernali sono lievemente più basse che in Versilia, malgrado la differenza di latitudine, perchè manca la protezione verso nord di catene montuose come le Apuane. In montagna l’isoterma o° corre in genere al di sopra dei mille metri; Vallombrosa segna ancora 1° sopra zero.

    L’inverno è dunque freddo ma non rigido, specialmente presso la costa o anche al piede dei rilievi appenninici. Firenze accusa una media di 37 giorni di gelo, cioè con temperature inferiori allo zero, ed a questo fenomeno non è estraneo l’influsso della tramontana, che spesso investe la città ed il suo bacino con raffiche improvvise. Più attenuato è il rigore invernale a Pistoia (31 giorni), a Lucca (24 giorni), a Siena (17 giorni) e, naturalmente, a Livorno (9 giorni soltanto).

    Temperature medie del mese più freddo (gennaio o febbraio) e del mese più caldo (luglio o agosto) in alcune località della Toscana.

    L’Arno gelato a Firenze nel rigido inverno del 1963.

    Luglio è il mese più torrido, oltre che il più secco. La calura si fa sentire tanto presso il Tirreno (Viareggio: 23,1°) quanto nelle aree interne (Firenze: 25,0°). Attorno ai mille metri la temperatura si arresta su valori notevolmente più miti. Vallombrosa e Camaldoli non toccano i 18°, l’Abetone supera di poco i 16°. Si comprende così come, pur ad una latitudine inferiore a quella delle regioni alpine, possano sorgere ricercate stazioni di villeggiatura ad altezze abbastanza modeste come Vallombrosa, Consuma, Montepiano, San Marcello Pistoiese, ecc.

    Nelle isole dell’Arcipelago l’influsso della marittimità è maggiore. D’inverno le medie sono vicine o superiori ai 9°, come sulla costa della Versilia, d’estate oscillano intorno ai 24°. Di tale circostanza trae vantaggio soprattutto la vegetazione spontanea, caratterizzato da una grande diffusione della macchia e del bosco mediterranei; tra le colture prevalgono la vite e l’olivo.

    L’olivo, d’altro canto, compare sulle pendici appenniniche a nord di Firenze, Pistoia e Lucca e lo si ritrova quasi in tutta la regione ad una altitudine inferiore ai 500-600 metri circa, secondo le zone.

    Le precipitazioni

    Di tutta la regione climatica tirrenica la Toscana è la zona meno piovosa. Le cause di questa situazione sono ancora la lontananza dei rilievi più elevati dalla costa, la presenza dello schermo corso che s’interpone sulla direttrice dei venti atlantici, la modesta altitudine ed il ridotto sviluppo dei complessi dell’Antiappennino.

    La piovosità maggiore si riscontra sulle Alpi Apuane (unico rilievo prossimo al mare) e sulla fascia di vette appenniniche superiori ai 1500 metri della dorsale principale a nord di Lucca e di Pistoia, nonché attorno al Falterona. Si superano qui i duemila millimetri annui, con punte notevoli soprattutto presso l’Abetone e sulle Apuane. La quantità di piogge diminuisce verso il Pratomagno, la Garfagnana e la Lunigiana, pur rimanendo al di sopra dei 1500 millimetri; di poco inferiore è anche il quantitativo annuo che cade sulla cerchia di monti immediatamente retrostanti alle già ricordate Lucca e Pistoia. A sud dell’Arno i 1200 millimetri annui si raggiungono con frequenza soltanto in corrispondenza del Monte Amiata.

    Altrove, cioè su tutte le Colline Metallifere, sul Chianti, sulle ondulazioni del Volterrano e sulla Maremma Grossetana non cade più di un metro d’acqua all’anno. Nei bacini più interni, come quello di Firenze, della Valdelsa, della Valdichiana e dell’alta Val Tiberina, nonché, in parte, del Mugello, le precipitazioni sono ancora più scarse (800-900 mm.), con punte minime che toccano i 700 millimetri.

    Ancora più scarse sono le piogge lungo alcuni tratti del litorale e nell’Arcipelago. Se Viareggio, con le Apuane alle spalle, supera i 900-1000 millimetri, Grosseto, Alberese ed Orbetello denunciano medie oscillanti intorno ai 600 millimetri annui, valori che non si addicono certamente a zone bagnate dal mare, ma piuttosto ad aree continentali.

    Molti sono i fattori, in definitiva, che contribuiscono a variare la distribuzione delle piogge, per cui si possono avere sensibili differenze locali anche tra due zone finitime. Pisa, ad esempio, dista da Livorno solo una ventina di chilometri, ed è situata praticamente alla medesima altitudine, a breve distanza dal mare: ebbene, nel corso del periodo 1938-57 sono caduti sulla città 856 millimetri l’anno, mentre su Livorno ne sono caduti solo 773. Questo divario è dovuto alla presenza, alle spalle di Pisa, del Monte Pisano, alto metri 918 s. m., mentre nell’entroterra livornese le alture sono ben più modeste come altitudine e più arrotondate come forma.

    Particolare importanza ha il regime pluviometrico della regione, cioè la distribuzione delle piogge durante l’anno, perchè da esso dipendono i caratteri della vegetazione spontanea e delle colture agricole. La Toscana è interessata in gran parte da un regime di tipo mediterraneo con un massimo di precipitazioni in autunno-inverno (soprattutto in novembre ed in ottobre) ed un lungo periodo di aridità nei mesi estivi. Verso l’interno, questo regime, che può esser detto sublitoraneo, trapassa a quello appenninico, nel quale il massimo del tardo autunno rimane, ma gli si aggiunge un secondo massimo, anche se non così pronunciato, nel mese di maggio. Le estati, inoltre, sono lievemente meno secche. Non sempre il numero dei giorni di pioggia è in proporzione con la quantità del liquido caduto; acquazzoni più violenti possono recare un apporto più consistente di giornate di fine pioggerella. In 82 giorni piovosi a Firenze sono caduti, nel periodo di 19 anni sopra menzionato, 740,1 millimetri; a Larderello in 83 giorni (questi sono naturalmente valori medi) ben 922,2. Sempre nel ventennio ricordato, il primato dei giorni piovosi spetta a Camaldoli con 126 (mm. 1576,7), quello opposto a Grosseto con 69 (mm. 593,7).

    Vedi Anche:  Attività minerarie ed industriali

    Isoiete medie annue del trentennio 1921-50 (Min. dei Lavori Pubblici; 1957).

    Lungo le coste della Maremma.

    La siccità colpisce maggiormente la pianura, le colline e la fascia costiera priva di montagne retrostanti. Piove invece in abbondanza sui rilievi, già a partire dai mille metri di quota, e soprattutto là dove i pendìi sono molto ripidi. I giorni secchi consecutivi possono essere oltre sessanta nei bacini interni (Valdichiana), mentre in montagna si riducono di un terzo. A Grosseto, tra giugno ed agosto, piove solo 8 giorni (sempre in media) e cadono 69,8 millimetri d’acqua; a Camaldoli, nel medesimo periodo, piove 19 giorni ed i millimetri sono 212,7; a Firenze i giorni sono 12 ed i millimetri 113,1. Si tratta comunque di dati medi: in alcune estati l’aridità può essere ancor più accentuata.

    La neve interessa praticamente solo la parte montana. Se sulle fasce alte appenniniche si possono superare i due metri ed il manto nevoso resiste anche per parecchie settimane, nelle pianure si hanno, invece, nevicate sporadiche di pochi centimetri, che diventano molto rare sulla costa, e per non più di quattro o cinque giorni all’anno.

    Abbastanza frequenti i temporali sul finire dell’estate e nelle stagioni intermedie. Assieme al temporale spesso arriva la grandine, specialmente sulle pendici meridionali del Pratomagno, sulle Apuane e nel Chianti, con gravi danni alle colture.

    Anche se la nebbia si limita alle vallate pianeggianti e al litorale maremmano, il cielo in Toscana si mantiene molto più coperto che non nel Lazio e nell’Emilia; 250 ed anche più sono i giorni che vedono il predominio delle nubi, anche se il sole non viene totalmente schermato. Durante il corso di un anno a Firenze l’umidità relativa segna un valore medio che si aggira intorno al 58-60%, con punte massime nella stagione invernale (70% circa) e minime in quella estiva (45% circa). Si può notare come umidità e temperatura siano inversamente proporzionali: col crescere della seconda la prima diminuisce.

    L’umidità relativa dell’intero anno pone in primo piano tra le zone più umide della Toscana la Valdichiana e la fascia compresa tra Pisa e la foce dell’Arno, con oltre il 72 per cento. Notevolmente più asciutto è il bacino di Firenze (60% circa), come si è visto. Ciò è dovuto anche al fatto che nel periodo estivo spirano dagli Appennini venti secchi del primo quadrante, mentre il litorale tirrenico è sottoposto agl’influssi di venti sciroccali ed occidentali apportatori di umidità. Il caso della Valdichiana è diverso; per essa si può parlare di difficoltà di smaltire per scorrimento le acque piovane che, pur modicamente, vi si riversano.

    Precipitazione media per mesi in alcune località della Toscana.

    I venti

    La disposizione dei rilievi sottopone la Toscana soprattutto all’influenza dei venti occidentali e meridionali. Il libeccio è quello che si fa sentire con maggior vigore, determinando anche le mareggiate, oltre ad avere sensibile peso sulla distribuzione lungo i litorali delle torbide condotte al mare dai corsi d’acqua più importanti. Esempio sensibile dell’azione del libeccio sono i tronchi degli alberi che crescono nella fascia costiera, inclinati verso l’interno; anche la macchia denota una certa « rasatura », almeno là dove non è stata ancora sostituita dalle pinete. Lo scirocco apporta più umidità che non i venti occidentali, perchè questi ultimi trovano nel-l’avvicinarsi alle coste toscane l’ostacolo della Corsica e dei suoi rilievi.

    Le aree più ventose sono le isole ed il litorale. A Livorno appena il 30% dei giorni dell’anno registra assenza di vento. Questo indice sale invece al 58% a Firenze. In quest’ultima città il regime dei venti vede alternarsi nel corso dell’anno le correnti provenienti dal primo e dal terzo quadrante. Nella primavera avanzata ed in estate predominano gli afflussi da sudovest; negli altri mesi dell’anno, eccetto i due di transizione, quelli da nord (tramontana) e da nordest.

    A Pisa si segnala invece una netta prevalenza dei venti occidentali, mentre nell’interno, come in Valdelsa ed in Valdichiana, più quadranti offrono il loro contributo.

    Il maestrale non si manifesta in genere con violenza; può essere paragonato, con le dovute proporzioni, alle brezze che si fanno sentire sensibilmente sui litorali e nelle vallate appenniniche. Le brezze di mare, in particolare, si spingono profondamente nell’entroterra: penetrando attraverso il solco del Valdarno Inferiore esse si fanno sentire in estate finanche a ottanta chilometri dalla costa. Nelle pianure interne, racchiuse tra i monti appenninici, sono abbastanza sensibili nelle ore notturne le brezze defluenti dalle fasce più alte.

    Una situazione particolare denunciano i centri costieri dell’Argentario, cioè Porto Santo Stefano e Port’Ercole: non avvertono l’influenza dei venti occidentali, schermati come sono dal rilievo del promontorio.

    In conclusione, il regime dei venti in Toscana è diretta conseguenza dell’area di bassa pressione che d’inverno si forma sul Tirreno e richiama venti umidi e temperati dai quadranti meridionali e venti freddi e secchi, apportatori di sereno, dall’adiacente pianura del Po. D’estate le pressioni sono livellate ed il tempo è generalmente buono, con prevalenza di foschie nei fondovalle e nelle conche interne.

    La brezza di mare al suolo nel Valdarno Inferiore, nella fase di massima intensità (intorno alle ore 15) (P.-Un. = Pisa-Università; L.-Ac. = Livorno-Accademia Navale).

    I corsi d’acqua

    I numerosi corsi d’acqua che dall’Appennino e dall’Antiappennino toscani scorrono verso il mare, hanno tutti una grande varietà di portata da stagione a stagione, un regime cioè tipicamente torrentizio. Lo stesso Arno, malgrado la vastità del suo bacino e la diversa provenienza degli affluenti, presenta forti e brusche variazioni di portata, con punte massime — registrate negli ultimi cinquantanni a S. Giovanni alla Vena — fino a oltre duemiladuecento metri cubi il secondo (1949) e minime di poco più di due metri cubi (1931), su una portata media intorno a 105 metri cubi. Il Serchio, nello stesso periodo di tempo, ha visto a Borgo a Mozzano una portata minima di quattro metri cubi al secondo nel 1946, di fronte a una massima di 1740 (1940) su una portata media di 45. L’Ombrone grossetano a sua volta ha fatto registrare minime fino a circa un metro cubo al secondo e massime fino a 2380 (1949 e 1940), di fronte a una portata media di poco meno di trenta.

    Tale carattere torrentizio è il risultato della irregolare distribuzione durante l’anno delle precipitazioni, di cui già si è detto, e dello sciogliersi delle nevi, che cadono sovente copiose sulle montagne e rapidamente si sciolgono al primo giungere della primavera e durante lo stesso inverno al prevalere di masse d’aria più tiepide. L’assenza di ghiacciai e di laghi, esclusi alcuni bacini artificiali, e la prevalenza di terreni poco permeabili non facilitano, come in altre regioni, un afflusso più regolato delle acque. Carattere comune ai corsi d’acqua toscani è dunque, oltre alla scarsità delle portate durante l’estate, la frequenza delle piene alternate a forti magre tra l’autunno e la primavera. Tali piene hanno provocato nei secoli scorsi e ancora nel nostro, gravi inondazioni, contro cui l’uomo ha lottato lungamente costruendo argini, regolarizzando via via gli alvei, cercando di proteggere, dopo la distruzione dei boschi naturali, i terreni più nudi e facilmente erodibili.

    Portate medie mensili di alcuni corsi d’acqua (medie 1936-50 e per la Magra 1936-42). Sono indicati con linee a trattini i valori medi annuali.

    I corsi d’acqua che scendono dall’Appennino hanno di regola un primo tratto di forte pendenza, che dà loro una notevole capacità erosiva e quindi di deposito non appena scesi nelle ampie vallate. Perciò la montagna è incisa sovente da valli strette e fonde, malgrado le forme del rilievo generalmente poco aspre, e i torrenti si presentano spesso pensili già nelle conche interne appenniniche. Un tratto di scarsa pendenza nella parte inferiore, particolarmente lungo per l’Arno, fa sì che i fiumi apportino però al mare solo i materiali più fini e leggieri, come appare dalla struttura delle foci e delle spiagge vicine. Se i fiumi antiappenninici hanno le sorgenti ad altitudini inferiori, la loro azione erosiva è tuttavia talvolta assai rilevante, specie ove‘attraversano aree argillose.

    Fra tutti i fiumi toscani il più importante è di gran lunga l’Arno, non solo per la vastità del suo bacino comprendente un terzo di tutta la Toscana (8250 kmq.), ma perchè la sua vallata costituisce la fascia storicamente ed economicamente più importante di tutta la regione. Il « fiumicel che nasce in Falterona e cento miglia di corso noi sazia» percorre tra le sorgenti di Capo d’Arno, a 1358 metri nell’alto Casentino, e la foce, circa 245 chilometri. Attraversate le conche del Casentino e del Valdarno di Sopra, ove si mantiene per lunghi tratti parallelo al mare, piega quindi direttamente ad ovest, verso il Tirreno, attraverso la fascia meridionale della pianura di Firenze, la gola della Gonfolina e il Valdarno di Sotto. La portata media a Pisa, a pochi chilometri dalla foce, calcolata su un periodo di quarantanni di osservazioni, è di circa 140 metri cubi al secondo. Il mese più povero d’acqua è l’agosto, con circa dieci metri cubi; il più ricco il febbraio con oltre 230. Già si è detto delle punte minime e massime. A Stia, a pochi chilometri dalla sorgente, il fiume ha una portata media di 1,7 mc./sec., media che scende a 0,19 in agosto e sale a 3,34 in novembre. In questa località si sono avute delle punte estreme di 132 me. in novembre e di 0,06 in agosto, in stretta correlazione all’andamento delle piogge.

    Vedi Anche:  La pesca e le attività marittime

    Un torrente nell’Alto Appennino: il Rosaro presso Sassalbo (Passo del Cerreto)

    L’Arno presso Incisa (Valdarno Superiore).

    La direzione generale del corso dell’Arno si è venuta definendo con lo svuotamento dei grandi laghi che occuparono, come già si disse, fino al Quaternario, le conche del Casentino, del Valdarno di Sopra e di Firenze, e con il progressivo ritiro del mare pliocenico. Le acque casentinesi che si dirigevano verso la Valdichiana volsero mercè un grande arco verso nord. Le variazioni avvenute in epoca storica sono state assai numerose, ma quasi sempre di non grande raggio. Il tracciato è stato in più tratti rettificato dall’uomo e l’alveo è stato ristretto di ampiezza e imprigionato entro sponde e argini, che hanno tolto alle acque libertà di divagare e di distribuire le alluvioni, come avveniva in precedenza, su larghi tratti dei fondovalle. Già nel Casentino, nella stretta fascia pianeggiante racchiusa tra i colli, l’Arno vagava entro un largo letto, investendo durante le piene case e campi coltivati; soltanto all’inizio del secolo scorso si provvide a una regolare sistemazione.

    Più a valle, come ricorda in un recente studio S. Piccardi, prima della confluenza del Canale della Chiana, il fiume si svolgeva in vari meandri, con un letto largo mezzo chilometro, e altre ampie sinuosità e isole fluviali formava nel Valdarno di Sopra tra Montevarchi, Figline e Incisa. Cospicui lavori di arginamento e riduzione del letto furono eseguiti in particolare durante il XVIII secolo. Fino alla fine del Cinquecento era rimasta un’isola presso Incisa, detta « il Mezzule ». Nella pianura di Firenze, poco a monte della città, l’Arno si biforcava un tempo formando con i suoi rami, detti Bisarni, un’isola che raggiungeva certamente un paio di chilometri di lunghezza fra le località di Varlungo e di San Piero in Palco. Il ramo fluviale secondario cominciò a scomparire per interrimento nel XVI secolo lasciando alcune aree paludose; uno studioso fiorentino, U. Losacco, ha riconosciuto di recente numerose tracce topografiche e toponomastiche del vecchio Bisarno.

    L’Arno a Firenze.

    Nella parte oggi occupata dall’agglomerato urbano l’Arno aveva in più tratti un percorso assai meno rettilineo di quello attuale e creava probabilmente una vera e propria isola presso lo sbocco dell’Africo (« Isola San Salvi », « Isola a Piagentina », e altre denominazioni), rimasta fino al XIV secolo. La città veniva allora inondata con frequenza e numerose opere furono compiute con alterni risultati fino al secolo scorso per consolidare le sponde e impedire un eccessivo rialzamento dell’alveo. A valle della città, nel piano ancora in gran parte paludoso, il fiume scorreva liberamente creando nuovi Bisarni e isole fluviali, tra le quali quella delle Cascine (le « Cascine dell’Isola »), rimasta tale probabilmente fino all’inizio del Seicento. Un’altra isola si estendeva tra i rami del fiume di fronte a Peretola, come mostrano disegni lasciatici da Leonardo, e che non deve essere confusa con l’area dell’attuale « Iso-lotto ». Altre isole, meandri e diramazioni esistevano, secondo testimoniano vari toponimi e documenti cartografici, nella pianura prima che il fiume entrasse nella gola della Gonfolina.

    Lo stesso accadeva in misura anche più cospicua nel Valdarno di Sotto, dove si può ricostruire attraverso l’andamento di fossi e di strade e attraverso toponimi come « Isola », « Arno Vecchio », « Amino », « Ripa d’Arno », ecc., l’esistenza di molti larghi meandri. Diversi documenti storici parlano di mutamenti artificiali del corso d’acqua in seguito a bonifiche e appoderamenti, come nella grande tenuta medicea della Tinaia. Verso Empoli e ai piedi di San Miniato il fiume si divideva in più alvei, che talora prendevano nomi diversi quali, presso Fucecchio, « Arno Bianco » e « Arno Nero ». Cospicue le modifiche del tracciato fluviale anche a valle dell’Era, ove il fiume piegava con un grande arco verso il lago di Bientina e poi verso Vicopisano. Nel 1559 con la bonifica della zona voluta da Cosimo I dei Medici, fu creato il corso attuale, soggetto in seguito solo a lievi modifiche. Ampi, regolari meandri, sia pur arginati e ristretti, conserva ancora il tratto dell’Arno tra San Giovanni alla Vena e Pisa.

    Tra quest’ultima città e il mare, a parte le variazioni preistoriche cui si è accennato parlando delle coste, l’Arno si divideva nell’antichità in tre rami, di cui quello settentrionale passava per Pisa, dove riceveva probabilmente il Serchio o una sua diramazione. Molte opere umane, delle quali non resta spesso alcuna traccia, si sono accompagnate attraverso i secoli ai processi naturali di interrimento di alcuni bracci fluviali e di cambiamento locale di corso. Ma un po’ per volta, mentre il delta avanzava, l’uomo cercò di bonificare i terreni, di eliminare le acque stagnanti e malsane, di mantenere la navigabilità tra Pisa e il mare, di far scorrere più rapide le acque per evitare inondazioni. Il Piccardi ricorda, tra gli altri lavori, l’apertura di un nuovo alveo che sboccava in mare poco a nord del precedente, nel 1606 (taglio Ferdinandeo), e il taglio di un vasto meandro presso Barbaricina tra il 1771 e il 1775.

    Molto numerosi sono gli affluenti dell’Arno sia del versante appenninico che di quello antiappenninico : piccoli torrenti a vita stagionale e fiumi ricchi di acque e di alluvioni, che molto contribuiscono all’improvviso manifestarsi delle piene. Nel tratto superiore, oltre al Canale Maestro della Chiana (portata media dieci metri cubi al secondo), particolare apporto reca la impetuosa Sieve (« Arno non cresce se Sieve non mesce »), che scende dai monti del Mugello occidentale e, dopo un’ampia curva, attraversata la valle che ne prende il nome, sfocia in Arno dopo 54 km. presso Pontassieve (bacino kmq. 835). Le sue portate sono soggette a bruschi cambiamenti (in media 16 mc./sec.) e variano tra trenta metri cubi al secondo nei mesi invernali e meno di due in agosto. Sono stati registrati minimi di 0,31 me. e massimi fino a quasi 180. Suo maggiore affluente è il Rio di San Godenzo, che nasce ai piedi del Falterona, sull’opposto versante su cui nasce l’Arno.

    L’Arno tra Firenze e Pontassieve.

    Nella pianura fiorentina sfocia in Arno da destra il Bisenzio (47 km.), impetuoso torrente che con le sue piene allagò innumerevoli volte le aree pianeggianti e paludose tra Prato, Campi Bisenzio e Signa. (Portata media a Carmignanello, a 29 km. dalla confluenza con l’Arno, 4,2 mc./sec.; massima in novembre con 10 me. e minima in agosto con 0,98 me.; piena massima 278 me. nel novembre 1940). Più a valle confluisce l’Ombrone pistoiese (38 km.) che, raggiunta la pianura presso Pistoia, la attraversa, chiuso tra alti argini, per tutta la sua lunghezza. Da sinistra invece proviene la Greve (39 km.), che scende in una aperta valle dalle colline del Chianti e che presenta il suo letto in estate pressocchè asciutto.

    Numerosi i corsi d’acqua affluenti nel Valdarno di Sotto, tra i quali provengono da nord i canali che raccolgono le acque dei bacini di Fucecchio e del Bientina, dove a loro volta si scaricano i torrenti della Val di Nievole, della montagna pesciatina, del Monte Albano: la Pescia di Pescia, con una portata media di due metri cubi al secondo, la Pescia di Collodi, la Nievole, ecc. Dal sud confluiscono invece, scendendo dal Chianti e dalle colline senesi e volterrane la Pesa, l’Elsa (63 km.), l’Era (54 km.), e altri minori.

    Nella Toscana settentrionale il maggior corso d’acqua è il Serchio (111 km.), il cui bacino (1405 kmq.) comprende tutta la Garfagnana, gran parte cioè del versante interno delle Apuane con la montagna appenninica dai pressi del Monte Cusna fino al Reno, la valle a sud di Bagni di Lucca e larga parte della pianura lucchese.

    Il fiume nasce da due torrenti, il Serchio di San Michele, che scende dal Monte Cavallo, e il Serchio di Soraggio, che proviene dal Monte Sillano. Ad esso confluisce la Lima (37 km.), che scende in una valle profondamente erosa, da quasi duemila metri di altitudine nei pressi del passo dell’Abetone. Sia il Serchio che la Lima provengono da montagne ove non mancano le sorgenti perenni e dove l’aridità estiva è meno forte, sicché le magre sono leggermente meno accentuate che in altri corsi d’acqua toscani. A Borgo a Mozzano, cioè poco prima dello sbocco in pianura, il Serchio ha una portata media di 43,2 mc./sec., con una media di 10,7 in agosto e di 64 in febbraio. Le piene possono essere molto impetuose (1740 mc./sec. nel novembre 1940). La Lima, a diciotto chilometri dalla confluenza col Serchio, presso il Ponte di Lucchio, ha invece una portata di circa dieci metri cubi (2,39 in agosto e 22,4 in novembre).

    Vedi Anche:  La flora e la fauna

    Attraverso la Lunigiana scorre il fiume Magra, che nasce al Monte Borgognone, presso il passo della Cisa, la cui foce in mare si trova però in territorio ligure (lunghezza km. 62; bacino kmq. 1660). Conserva anche in estate una certa alimentazione proveniente dalle sorgenti dell’alto Appennino e raggiunge verso la foce una portata media minima in agosto di 6,3 mc./sec. (media annua 35,8 me.; media del febbraio 59,1). Suoi maggiori affluenti sono i torrenti Bagnone (portata media a Bagnone 2,2 mc./sec.), Taverone (portata media a Licciana 3,1 mc./sec.), Aulella e, più a valle, ormai in Liguria, il fiume Vara. Altri minori corsi d’acqua, tra cui il Frigido che attraversa Massa, scendono impetuosi direttamente dalla Apuane al mare e attraversano divagando la bassa pianura costiera, ormai del tutto regolati dalle opere umane.

    A sud di Livorno scendono direttamente dall’Antiappennino al mare diversi fiumi dal corso lungo e tortuoso, e dalle portate talora notevoli, ma sempre molto varie da momento a momento per il carattere spesso impetuoso delle piogge e la natura prevalentemente impermeabile del suolo. Maggiore fra tutti è l’Ombrone, che nasce nella Toscana interna, presso i Monti del Chianti, e attraversa la regione per centosessanta chilometri, sboccando in mare poco a sudovest di Grosseto. Il suo bacino è assai ampio (3500 kmq.) e fornisce al fiume, durante le piene, abbondante e fine materiale alluvionale, specialmente argilloso, col quale si sono formate, in parte per colmata, la pianura e il delta grossetani. Tra gli affluenti dell’Ombrone sono da ricordare nella parte superiore del bacino, l’Arbia, ben nota per il ricordo dantesco della battaglia di Montaperti, e nel tratto medio la Merse e l’Orcia. La portata media dell’Ombrone presso Paganico, dopo aver ricevuto i principali affluenti è di ventinove metri cubi al secondo (media 1926-50), con una media minima in agosto (4,20) e massima in novembre e in febbraio (circa 48).

    Il Serchio verso lo sbocco in pianura.

    Scarsa d’acque perenni è l’Albegna (o Albinia), che crea tuttavia in pianura, per la debole pendenza, un alveo sempre abbastanza pieno e navigabile da barconi. Sul margine settentrionale della pianura grossetana scorre la Bruna (43 km.) e nel golfo di Follonica la Pècora (28 km). Più a nord la Cornia (48 km., portata media di luglio a Ponte della Venturina, 0,29 mc./sec.), quasi sempre secca in estate, ha largamente contribuito con le sue alluvioni argillose alla formazione della pianura che saldò il Monte Massoncello alla terraferma. Maggiore importanza ha la Cècina, che nasce presso le Cornate di Gerfalco, nelle Colline Metallifere, e scorre attraverso un’ampia valle sfociando in mare dopo 74 km. di corso. Ha una portata media al Ponte di Mon-terufoli di circa dieci metri cubi al secondo (luglio 0,85). Si deve infine ricordare che ha le sue sorgenti in Toscana, presso le Balze del Fumaiolo, il fiume Tevere.

    Il solco di Equi e il torrente Lucido in Lunigiana.

    I laghi

    Scomparsi i grandi laghi che all’inizio del Quaternario occupavano su vasti spazi le conche interne, non rimasero in Toscana che pochi specchi lacustri con carattere più che altro di paludi, chiusi tra le alluvioni delle basse pianure o lungo la costa. L’opera dell’uomo contribuì poi ad eliminare anche questi stagni ed acquitrini, che rendevano l’aria malsana e sottraevano terreno alle colture: come meglio si dirà parlando delle bonifiche, vari « paduli » si estendevano nella Toscana settentrionale (Bientina e Fucecchio), nella pianura di Firenze, nella Versilia, e soprattutto lungo la costa della Maremma.

    Tra i laghi ancora esistenti il più importante per estensione è quello di Massa-ciùccoli, cui ha di recente dedicato un ampio studio L. Pedreschi: esso si estende poco a sudest di Viareggio, a circa quattro chilometri dal mare, ai piedi dei monti di Oltre Serchio. Entro un perimetro di poco più di dieci chilometri, la superficie lacustre occupa quasi sette chilometri quadrati, e la profondità delle acque si mantiene tra 1,5-2,5 m., con punte massime fino a quattro. La scarsa altitudine del livello dell’acqua, che scende nei mesi estivi sotto quello del mare, rende naturalmente difficile lo scolo verso il mare stesso e spiega come il lago si prolunghi tutt’in-torno in falascheti e paludi. Mentre sul lato meridionale un argine costruito per bonificare le pianure verso il Serchio rappresenta attualmente un limite ben netto dello specchio lacustre, sugli altri lati questo trapassa lentamente a una fascia erbosa e palustre. L’estensione, che in epoca romana era molto maggiore, è rimasta da alcuni secoli più o meno invariata.

    Vari piccoli emissari, naturali o creati dall’uomo, apportano acque al lago, nel quale doveva un tempo confluire anche il Serchio. Un emissario lungo circa nove chilometri, il Canale di Burlamacca, più volte scavato e riscavato dall’uomo, si dirige con lievissima pendenza al mare. In passato la pesca costituiva una importante fonte di reddito, che dette luogo a non poche dispute tra i proprietari del luogo, specie tra lucchesi e pisani. Nel secolo scorso però le acque di lavaggio delle torbiere portarono alla distruzione di tutta la fauna, ricreatasi lentamente in seguito; si pescano oggi anguille, lucci, tinche, cefali, carpe, pesce persico.

    I laghi di Chiusi e di Montepulciano si trovano nella Toscana meridionale, compresi nel territorio dei comuni che portano lo stesso nome, sui margini della Valdi-chiana. Il primo, di forma irregolare, ha una lunghezza massima di circa 2,6 km. e un perimetro di poco più di 8,5 km. ed una superficie di 3,5 kmq.; la profondità media supera di poco i due metri e mezzo e quella massima i cinque. Vi affluiscono il torrente Tresa ed altri minori, ricchi di torbide, che determinano un processo di colmamente relativamente rapido: pare che lo specchio lacustre si sia ridotto fortemente, secondo taluno quasi della metà, nel corso dell’ultimo secolo.

    Ad eguale processo di colmamento è soggetto il lago di Montepulciano, detto anche lago Chiaro, unito da un canale a quello di Chiusi, che risulta più alto di poco più di un metro. Ha forma grossolanamente ovale e una superficie, in periodo di piena, di meno di un chilometro e mezzo quadrato. La profondità massima supera di poco i tre metri, quella media 1,5 metri. Come quello di Chiusi, è abbastanza ricco di pesci ed è frequentato da uccelli acquatici.

    Tra i laghetti minori se ne possono ricordare alcuni di dolina, come quello presso il paese di Càsoli, quasi asciutto in estate, che occupa una cavità di circa 200 m. di diametro, quello di Valibona nei monti della Calvana, il lago Chiaro o di Sant’Antonio e quello Scuro nel Senese, con intorno altre cavità ormai prosciugate. Alcuni piccoli laghi carsici sono ancora nel retroterra di Orbetello: il lago Acquato, il lago San Floriano, il lago Scuro, il lago del Cutignolo, i Lagaccioli, l’antico lago Secco e il laghetto dell’Uccellina. La vasta depressione di Pian del Lago, presso Siena, oggi tutta coltivata, è il risultato dell’opera di prosciugamento del vecchio lago le cui acque furono fatte defluire nella seconda metà del Settecento per mezzo di un emissario sotterraneo.

    Lo « Stagnone » della Capraia.

    Lungo la catena appenninica gli specchi lacustri di qualche rilievo sono tutti sul versante settentrionale. Si ricordano su quello toscano il laghetto di Càsoli nella valle della Lima, di circa tremila metri quadrati, il lago Baccioli, di circa quattromila, e il lago del Greppo presso l’Abetone, e altri ancor più piccoli. Nei secoli scorsi vari laghi si formarono in seguito a frane, ma sono oggi scomparsi: così più volte lungo il fosso di San Godenzo, nel Casentino (lago di Prati ai Galli), nel Mugello (lago dell’Argomenna), ecc.

    Nella pianura alluvionale tra Altopascio e Chiesina Uzzanese, in provincia di Lucca, si estende un piccolo specchio lacustre, il lago di Sibolla, che raggiunge un’ampiezza massima nei periodi di piena di appena un chilometro quadrato. I depositi di alcuni corsi d’acqua, quale la Pescia di Collodi, rialzarono un po’ per volta i margini della conca ove si raccolsero le acque provenienti da un piccolo bacino intorno. Privo di emissari naturali, il lago si scarica attraverso il fosso che porta lo stesso nome e che fu scavato ancora nel XIII secolo per ordine del podestà di Lucca.

    Lungo la costa, oltre qualche tratto ancora paludoso e a parte la laguna di Orbe-tello, già ricordata, si estende il lago di Burano, presso il confine col Lazio. Molto ridotto di superficie a causa delle bonifiche, esso è diviso dal mare da una serie di cordoni sabbiosi, ma la comunicazione è mantenuta da un canale naturale che termina nella «Tagliata Etrusca ». Anche nelle isole esiste un piccolo specchio lacustre : lo « Stagnone » della Capraia.