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La migrazione e la densità della popolazione

    La popolazione

    L’uomo e la sua presenza

    Ma i lineamenti minuti del paesaggio — oltre le grandi linee imposte dalla plastica e daH’idrografia — sono dominati dalle impronte umane, sulla maggior parte del paese.

    Con un’incessante opera, che dalle zone più ospitali via via si è estesa fino ad assalire il fianco dei declivi più impervi e più instabili della collina e della montagna e ad avanzare entro gli acquitrini e le lagune del piano, l’uomo ha trasformato il mantello vegetale; ha comandato voluti sviluppi alla stessa idrografia e, se pur per piccoli e sparsi tratti, all’aspetto del rilievo; ha sovrapposto dappertutto i segni della sua presenza con le sue costruzioni, disseminando la campagna di case, aggruppando centri urbani e centri rurali, gettando l’inviluppo delle cento e cento vie d’ogni genere, che segnano il verde di bianche o grige strade, di luccicanti rotaie, di fasci di fili sottili sostenuti da lunghe teorie di pali…

    L’uomo stesso è a sua volta un componente vivo del paesaggio, presente quasi dappertutto e sia pure qui in formicolanti agglomerati, altrove disseminato all’opera dei campi, in altro luogo disperso nel bosco o sui pascoli, e così via. E voce al paesaggio dà, non soltanto con la sua parola e col suo canto, ma sempre più col fragore e il sibilo dei treni, con l’ansimare dei motori fuggenti sulle strade o lenti nei campi o fissi nelle officine, con gli stridori, i tonfi, i fremiti delle macchine, col brusio indistinto delle città, coprendo le voci della natura divenute fioche fuor che nei silenzi dei boschi e delle alture, dove ancor dominano soli il fruscio del vento tra le fronde e il mormorio delle acque, e fuor che in qualche sempre più ristretto recesso della bassa, dove ancora l’alitar del vento, il muggito dei bovini, il trillo alto degli uccelli e nella sera ferma il gracidar delle rane ritmano il vasto silenzio.

    Uomo caratterizzato da propria struttura somatica e psichica con aspetti uniformi e differenziati a seconda dei contributi etnici confluiti e rimescolati nella regione e a seconda degli ambienti, ond’essa si articola.

    Chè infine, l’uomo, ed anzi prima di tutto, anche non saggiato a paragon di paesaggio, è egli soggetto di una propria geografia, nella dialettica di un Mondo che appunto ha per termini la Terra e l’Umanità. E soggetto di una propria geografia, l’uomo nella sua distribuzione quantitativa e nella sua differenziazione qualitativa entro lo spazio tellurico; nei gruppi sociali, in cui si organizza la sua convivenza; nello sviluppo culturale, onde nutre, eleva, estrinseca il suo spirito; nell’attività economica, con la quale capta, crea, foggia i mezzi strumentali per sussistere, vivere, progredire.

    Versante inospite delle argille scagliose (con spuntone ofiolitico). Valle del Dragone (Frignano).

    La massa della popolazione

    La popolazione dell’Emilia-Romagna consiste oggi di oltre 3.650.000 abitanti. Al 31 dicembre 1958 (che è quanto dire all’ora zero del 1° gennaio 1959) era stata infatti calcolata dall’Istituto centrale di statistica in 3.647.975. Per molti particolari di caratteristiche demografiche dovremo però riferirci ai dati dell’ultimo censimento, che è stato rilevato il 4 novembre 1951.

    A tale data la complessiva popolazione residente nella regione risultò di 3.544.340 ab.; la presente di 3.519.580. Nella prima erano comprese 106.461 unità temporaneamente assenti che si trovavano in comuni diversi da quello di residenza e    19.830 all’estero.

    La popolazione presente risulta dalla censita come residente meno codesti 126.291 assenti temporanei più 101.531 presenti temporanei  ma non residenti. Diamo ora un primo sguardo alla distribuzione geografica di questa massa di popolazione.

    Se considerata per «zone» al censimento 1951 si avevano 342.062 ab. residenti nella montagna, 569.961 nella collina, 1.260.941 nella zona pedemontana più 148.459 nel pedemonte litoraneo riminese, 1.229.917 nella pianura.

    All’inizio del 1959 risultavano i seguenti spostamenti: per la montagna e per la collina in meno (298.548 e 528.093), per il pedemonte e la pianura in più (1.600.867 e 1.220.467).

    A tale data dunque la popolazione dell’Emilia-Romagna era per il 44% pedemontana, per il 33,5% di pianura, per il 14,5% di collina e soltanto l’8% di montagna, pur essendo la superficie di questa il 25% della superficie totale.

    Anzi il contrasto, a quest’ultimo riguardo, può vedersi fra montagna e collina da una parte, che col 42% (insieme) della superficie hanno il 22,5% della popolazione, e, d’altra parte, pedemonte e pianura che col 58% della superficie sopportano il 77,5% della popolazione.

    Quanto alla distribuzione per subregioni, ovviamente troviamo la maggior massa di popolazione raccolta nei « Ducati », che del resto mettono insieme anche la maggior estensione: 1.578.121 ab. al i° gennaio 1959 su 11.020 kmq.; non molto meno della metà dei due rispettivi totali registrati. La densità (143,3 ab. Per kmq.) resta alquanto inferiore a quella media di tutta la regione (164,8). Sono, d’altronde, come questa nella sua interezza, territori compositi, nei quali compaiono tutte quattro le zone altimetriche.

    La Romagna, compreso l’Imolese, ha pure le quattro zone. La popolazione tocca la cifra di 897.975 ab., il 24% della popolazione della regione sul 23,6% del territorio. Densità 172 ab. per kmq.

    Il Ferrarese, tutto in pianura, su 263.151 kmq. sopporta 419.041 ab.; l’11,5% della popolazione sul 12% della superficie della regione. Densità 160 ab. per kmq.

    Il Bolognese, infine, anche senza l’Imolese considerato con la Romagna, concentra nel cuore della regione 752.874 ab. su 3.251 kmq.: oltre il 22% della popolazione sul 15,7% del territorio. Densità 231 ab. per kmq., media, anche in questo caso, delle quattro zone presenti.

    Anche sulla ripartizione per province influisce il fatto che in ciascuna di esse — salvo quella di Ferrara — sono riuniti tratti di tutte quattro le zone, per cui la diversa consistenza della loro « massa di popolazione » sta quindi essenzialmente in rapporto con la rispettiva estensione superficiale.

    Eccone infatti la composizione percentuale di superficie e di popolazione.











    Province

    Superficie

    Popolazione 1-1 -1959

    Piacenza

    11,70

    8,13

    Parma

    15.59

    10,77

    Reggio

    10,36

    10,49

    Modena

    12,16

    13,86

    Bologna

    16,73

    22,50

    Ravenna

    8,42

    8,75

    Forlì

    13.15

    14,00

    Ferrara

    11,89

    11,50

    Regione

    100,00

    100,00

    Le disparità maggiori fra le due colonne sono facilmente spiegabili. Quella che più si discosta dalla percentuale della superficie, in più, è la percentuale della popolazione della provincia di Bologna, fatto evidentemente dovuto alla presenza dell’unica relativamente « grande città » della regione.

    Altri scostamenti — e questi in meno — sono nelle province di Piacenza e Parma, che si stendono ampiamente in montagna e assai poco in pianura.

    Per l’ulteriore ripartizione della popolazione fra i « comparti » nei quali la zonatura divide le province rimandiamo alla tabella in appendice.

    Tanto più che ciò che maggiormente interessa è la varia densità che consegue. E su questa ci intratterremo fra breve.

    Circa l’ultima ripartizione della popolazione fra le unità amministrative elementari, che sono i comuni, diremo intanto che il maggior numero dei 335 comuni della regione si trovava (al censimento 1951) nella classe da 3001 a 30.000 ab., classe che comprendeva, in cifra tonda, il 37% della popolazione regionale sul 55,5% della superficie. Codesti comuni erano 232.

    Altra notevole concentrazione era nella classe da 10.001 a 30.000 ab.: 53 comuni col 22,4% della popolazione sul 24,3% della superficie.

    Densità di popolazione per comuni (sono raggruppati i territori dei comuni di una stessa classe di densità).

    I piccoli comuni, da 3000 ab. in meno erano 36, quasi tutti in montagna e tenevano il 2,12% della popolazione sul 5,31 della superficie.

    I grossi comuni, con più di 30.000 ab. non erano più di 14, ma concentravano il 38,5% della popolazione sul 15% della superficie. Fra essi cinque soli, con oltre 100.000 ab. tenevano il 23% della prima sul 5,5% della seconda.

    Sviluppo

    Vogliamo prima osservare lo sviluppo attraverso il quale si è giunti alla formazione di tale massa di popolazione e le tendenze evolutive che vi si riscontrano. Molto indietro, con una certa attendibilità, non possiamo risalire.

    Secondo i noti calcoli induttivi del Beloch, la popolazione dell’Italia (isole escluse) all’epoca del censimento di Augusto (32 a. C.) sarebbe ammontata a poco meno di 8 milioni di abitanti. Di questi nell’Italia Cisalpina (Regiones VIII-XI) non più di 2 milioni; il che, per quanto può valere la restrizione di una media generale delle quattro regioni (18 ab. per kmq.) alla sola Vili, comporterebbe per questa una popolazione di non più di 390.000-400.000 abitanti.

    Per la Romagna una ponderata ricerca condotta dal Gambi sul cosiddetto Censimento del Cardinale Anglico porterebbe a valutarne la popolazione nel 1371 a circa 160.000 ab. (escluse le comunità religiose).

    Popolazione residente nelle zone e nel complesso delle regioni dal 1901 al 1957.

    Con riferimento alla metà del secolo XVI si è potuto valutare la popolazione dei Ducati in 525.000 unità. In tutto lo Stato Pontifìcio erano 1.600.000, dei quali nelle « Romagne » (Forlì e Ravenna, Bologna e Ferrara insieme) secondo le proporzioni consuete un po’ meno di un terzo, cioè circa 500.000. In tutta la regione quindi poco più di un milione di abitanti.

    Prime valutazioni un po’ più accurate e omogenee si hanno soltanto alla fine del Settecento (1797-1800). Queste davano 359.000 ab. nella Romagna più 30.000 circa della Romagna Toscana: complessivamente 390.000. Per i territori dei Ducati di Modena e Parma, insieme, 802.845 abitanti. Infine a poco meno di 500.000 abitanti ammontava la popolazione del Bolognese e del Ferrarese.

    In totale la popolazione della regione, nei limiti attuali, all’alba dell’Ottocento era dunque dell’ordine di 1.700.000 abitanti.

    Verso la metà del secolo (1845) la popolazione della parte emiliana del Ducato di Modena risultava di 465.569 ab. ; nel Ducato di Parma 496.803; nelle Legazioni 980.547. Aggiungendo il dato della Romagna Toscana (33.029 ab.) si avevano per l’intera regione 1.975.948 ab. e, per arrotondare con la parte dell’Oltrepò pavese aggregato ora ad essa, nei suoi confini attuali poco meno di 2 milioni di abitanti.

    Al primo censimento dopo l’unità (1861) risultarono, sempre calcolati nei confini attuali deH’Emilia-Romagna, 2.060.000 presenti e 2.063.600 residenti. Da questo momento possiamo seguire lo sviluppo della popolazione con una certa esattezza, attraverso i nove censimenti nazionali fino al 1951 e le successive valutazioni ufficiali dell’Istituto centrale di statistica. Si veda la tabella dei valori assoluti e degli indici con base 1861.

    La popolazione della regione era giunta a quasi una volta e mezzo quella del 1861 in cinquant’anni. L’incremento è proseguito, ma si è molto attenuato. Esso è stato particolarmente vistoso nel decennio 1861-71 e ancor più nei due dal 1901 al 1921, nonostante che l’emigrazione sia stata tanto forte fra il 1900 e il 1914.

    In percentuale, grosso modo, l’incremento medio annuo, che era stato intorno al 10°/00 nel ventennio 1901-21, si era ridotto al 5,5°/00 fra il 1921 e il 1936 e si è abbassato ulteriormente a poco più del 4°/00 o fra il 1951 e il 1958.

    Come è ovvio, in questo incremento si compongono i risultati del cosiddetto movimento naturale della popolazione (nati meno morti) e del movimento migratorio (immigrati meno emigrati). Quest’ultimo, a sua volta, risulta di movimenti con l’estero e di scambi di popolazione all’interno del territorio nazionale. Cercheremo di dare uno sguardo particolare seppure succinto a ciascuno di questi aspetti.

    Movimento naturale

    Il risultato del movimento naturale è espresso dall’eccedenza delle nascite (nativi) sulle morti.

    Fra un centesimo e l’altro, in media annua essa è stata, in cifre tonde:











    Periodo Abitanti
    1861 al 1871 14.000
    1871 al 1881 12.000
    1881 al 1901 22.000
    1901 al 1911 34.000
    1911 al 1921 23.000
    1921 al 1931 32.000
    1931 al 1936 26.000
    1936 al 1951 19.000
    1951 al 1958 14.000

    I due intervalli 1911-21 e 1936-51 riflettono le ripercussioni delle due grandi guerre, con la diminuzione della natalità e l’aumento della mortalità, ma nel complesso appare chiara la tendenza dell’incremento naturale a contrarsi dall’immediato primo dopoguerra in qua.

    Ciò è messo in ancora maggior luce dall’osservazione dei dati percentuali rispetto alla popolazione totale.

    Limitandoci a osservare dapprima i tre quinquenni fra il 1925 e il 1939 l’eccedenza nati-morti si contraeva da 10 su 1000 ab. nel 1925-29 a 7,5 nel 1935-39.

    Tralasciamo il periodo 1940-47, infirmato dalle condizioni di guerra e loro strascichi immediati, e vediamo che, comunque, i due ultimi quinquenni dei cui dati abbiamo potuto disporre, 1948-52 e 1953-57, mostrano che l’eccedenza si è ulteriormente ridotta: nel quarto dei quinquenni considerati al 4,7 su 1000 abitanti e nell’ultimo al 3,9.

    Ciò dipende dalla contrazione delle nascite che passava dai 24,7 nati-vivi su 1000 abitanti nel 1925-29 a 19,5 nel 1935-39, e poi a 14,3 e 13,3 nei due quinquenni ultimi considerati, non compensata dalla parallela diminuzione delle morti dal 14,7 su 1000 ab. del primo quinquennio ai 12 del terzo, 9,6 del quarto e 9,4 dell’ultimo.

    Area di incremento demografico stazionarie e in decremento (dal 4 novembre 1951 al 31 dicembre 1958).

    Le singole province seguivano pressappoco lo stesso andamento, restando però sempre più alta, relativamente, la natalità nel Ferrarese e nel Forlivese (dal 28°/00 in ambedue le province del quinquennio 1925-29 al 15°/00 nella prima e 16°/00 >nella seconda in quello 1953-57), minima nel Bolognese (da 21,5 a 12°/00), nel Parmense e nel Piacentino (dal 23 e dal 23,5 al 12°/00).

    La diminuzione della mortalità era pure particolarmente sensibile nel Ferrarese (dal 15°/00 nel primo quinquennio all’8°/00 >nell’ultimo), nel Forlivese e nel Modenese (dal 16 e dal 15 al 9°/00 ). Nelle altre province si resta suppergiù sui valori della media regionale, cioè da poco meno o poco più del 4,5°/00 a poco meno o poco più del 10°/00.

    Un esame dell’andamento dei due fenomeni per zone comporterebbe una serie di calcoli laboriosi, che non ci sembra il caso di riportare.

    Ci limiteremo a riferire e commentare i saldi del movimento naturale (nati-morti) nel sessennio 1952-57. Tale eccedenza è stata di 8489 unità nella montagna, 15.634 nella collina, 20.472 nel pedemonte, 38.398 nella pianura. Vale a dire su 1000 ab. di ciascuna zona in media per anno rispettivamente il 4,4-5,2-2,6-4,6. Mentre montagna e pianura presentavano valori un po’ superiori alla media regionale, la collina ne registrava uno relativamente elevato (5,2) e il pedemonte, per contro, uno fortemente e direi tipicamente basso (2,6).

    Abbiamo detto di non aver voluto seguire le ulteriori specificazioni. Però non possiamo fare a meno di far notare che il pedemonte bolognese segnava addirittura un’eccedenza media annua inferiore all’1 per 1000 ab. (poco più di 0,8).

    Scardovi e Predi in un un recentissimo lavoro, cui faremo qui frequente ricorso, hanno calcolato ed esposto in tabella i dati per Comuni, limitandosi all’ultimo quinquennio dal censimento 1951 al 31 dicembre 1957. Vi si notano Comuni nei quali addirittura il saldo è passivo, cioè le morti superano le nascite. Sono ben quaranta. La differenza è particolarmente sensibile nei Comuni di Bentivoglio (Bologna, — 268), Budrio (Bologna, — 395), Colorno (Parma, — 380), Borgonuovo vai Tidone (Piacenza, — 246), Castelvetro (Piacenza, — 121), Monticelli d’Ongina (Piacenza, — 117), Nibbiano (Piacenza, — 155), Pianello vai Tidone (Piacenza, — 106), Rottofreno (Piacenza, — in), Ziano (Piacenza, — 187).

    Il movimento migratorio

    È quasi impossibile ricostruire il numero esatto degli emigrati dalla regione verso le altre province italiane e, reciprocamente, degli immigrati. Si riesce invece a stabilire a calcolo il saldo del movimento migratorio, in quanto risulta dalla differenza fra la popolazione a una certa data e quella a data anteriore meno l’eccedenza natimorti. Tale saldo, naturalmente, è comprensivo dei movimenti migratori interni e con l’estero. A rigore si potrebbe presumere di arrivare ad estrarne anche il puro saldo dei movimenti interni, togliendo da tal saldo quello dei movimenti con l’estero. Purtroppo, però, i dati per stabilire quest’ultimo saldo presentano gravi limitazioni nel tempo e nello spazio.

    Soffermiamoci intanto per ora all’esame del saldo del movimento migratorio complessivo.

    Col procedimento indicato, nell’intervallo fra i censimenti 1901 e 1911 la popolazione residente risulta passata da 2.547.000 a 2.813.000 unità: differenza 203.000. L’eccedenza nati-morti è stata nell’intervallo di 340.000 unità. La popolazione teorica avrebbe dovuto essere nel 1911 di 2.547.000 + 340.000 = 2.887.000 unità. La differenza fra questa e la popolazione realmente censita nel 1911, cioè 74.000 unità >in meno, rappresenta il saldo passivo dei movimenti migratori da e per l’estero e le altre province.

    Calcolato con lo stesso procedimento, fra 1911 e 1921 il saldo è stato invece attivo di 30.000 unità, ma poi di nuovo e costantemente passivo negli intervalli fra 1921, 1931, 1936, 1951.

    Data la diversa ampiezza dei periodi intercorsi fra un censimento e l’altro il confronto va più correttamente fatto non fra i valori assoluti delle differenze, ma fra le medie annue nelle quali possono scomporsi. La media fra 1921 e 1931 è di quasi — 13.000 per anno, fra 1931 e 1936 di — 12.000; fra 1936 e 1951 di —5,3. Cioè tende a diminuire, finché nel periodo ultimo, successivo al censimento 1951, addirittura il saldo diviene attivo. Beninteso sempre per il complesso della regione.

    Poderi abbandonati in Val di Limentra.




    La popolazione residente censita al 4 novembre 1951 era di 3.544.340, l’eccedenza delle nascite sulle morti nel sessennio successivo di 82.993, il che darebbe in totale 3.627.333 unità. Ma la popolazione residente al 31 dicembre 1957 risultava 3.633.926. La differenza fra questi due ultimi numeri dà il saldo del movimento migratorio in + 6593 (circa 1000 per anno).

    Un saldo minimo, come si vede, cui concorrono però saldi parimenti attivi per certe province, ma passivi per altre.

    Bisogna peraltro tener presente che il saldo del movimento migratorio di ciascuna singola provincia è comprensivo non soltanto di quello che si è svolto con le altre province della Repubblica e con l’estero, ma anche di quello con le altre province della regione stessa.

    Con questa avvertenza si considerino i saldi attivi delle province di Bologna (-{- 38.687) e Ravenna (+ 13.341), passivi invece per le altre sei, con massimi per Ferrara (—16.088) e Reggio (—13.244), minimi per Parma (—2083) e per Forlì (— 625).

    Ma se osserviamo la distribuzione del fenomeno nelle zone altimetriche, ancor più istruttivi risulteranno i confronti. Il fenomeno dello « spopolamento montano » si era già pronunciato prima della guerra 1940-45, specialmente nell’Appennino bolognese e romagnolo, dove era stato studiato accuratamente. Torneremo ad occuparcene in altro momento. Qui preme di osservare che esso ha risentito di un subitaneo forte aggravamento con la guerra, assumendo un ritmo tuttora non rallentato. La montagna e la collina hanno perduto oltre 83.000 unità in sei anni, la pianura oltre 13.000, mentre il pedemonte si è incrementato dell’afflusso netto di ben 103.000 unità. I territori pedemontani, pertanto, oltre rappresentare il luogo di convergenza delle correnti di popolazione che si spostano dalla montagna, dalla collina ed anche dal piano, hanno assorbito anche la lieve eccedenza attiva degli scambi di popolazione con l’esterno.

    Considerando poi che i territori pedemontani sono proprio quelli caratterizzati dal minore e decrescente incremento naturale, appar chiaro che la loro espansione demografica è dovuta quasi esclusivamente alle migrazioni interne.

    La carta indicante le aree (ossia gruppi di Comuni) demograficamente in incremento, stazionarie e in diminuzione fra il 1952 e il 1957 è estremamente interessante. Che risultino in incremento i territori del pedemonte comprendenti le maggiori città e quelli comprendenti gli altri due grossi centri urbani di Ferrara e Ravenna era facile presumere. E che anche appartengano alla categoria quelli della zona pianeggiante e costiera della Romagna non fa meraviglia.

    Casa recente e già abbandonata, nella valle del rio Benevello, al confine fra i comuni di Pavullo e di Marano

    Ma ciò che colpisce è il fatto che — tolti i gruppi di Comuni demograficamente stazionari nella fascia litoranea e nel delta e in qualche tratto del pedemonte e della pianura reggiana e piacentina — tutti quelli del restante territorio della regione manifestano, da un decennio almeno, una progressiva tendenza alla diminuzione di popolazione non soltanto nella montagna (fatto noto e atteso), ma numerosi anche nella pianura bolognese, ferrarese, modenese e parmense (fatto assai meno noto).

    L’emigrazione all’estero

    L’emigrazione verso paesi esteri ha esercitato ed esercita un’influenza molto minore nella nostra regione in confronto a ciò che si constata in altre. Anche se non trascurabile.

    Nel quarantennio anteriore al 1914 sono partiti dall’Emilia 730.000 emigranti, di cui 520.000 verso i paesi continentali (Europa e paesi mediterranei) e 210.000 verso quelli transoceanici.

    In tale quarantennio, già noto come quello del maggiore e crescente flusso migratorio per la nazione, si possono distinguere due periodi caratteristici. Nel primo, dal 1876 al 1895, la media degli emigrati dall’Emilia è stata, all’in-circa, di 6600 per anno; nel secondo, tale media saliva nel quinquennio 1896-1900 a 17.700 e fra il 1901 e il 1913 addirittura a 34.000 per anno.

    La ripresa nel primo dopoguerra era stata di 15.600 nella media del biennio 1919-1920, ma si è contratta fino ai 10.700 degli anni fra il 1928 e il 1934 e a 5400 nel 1935-38.

    Circa la ripresa postbellica abbiamo i dati soltanto per gli anni dal 1950 al 1953. Tolto il primo anno, i cui valori sono ancora eccezionalmente compressi per cause varie (3800 emigrati dall’Emilia, 92.800 da tutta Italia), nel triennio successivo la media è di 9170 per l’Emilia, 199.400 per l’Italia (partecipazione della regione 4,6%).

    In rapporto alla popolazione del tempo si vede come l’Emilia abbia seguito l’andamento dell’emigrazione nazionale, ma contribuendovi sempre con intensità notevolmente minore. Nel periodo fra il 1876 e il 1895, gli emigranti toccavano in media su 1000 ab. dell’Italia valori fra il 6 e 18, nell’Emilia erano soltanto intorno al 4. Fra il 1896 e il 1913 questi rapporti erano saliti al 17-18 %o nella media nazionale e al 1 2-13 °/00 nell’Emilia.

    Anche prendendo in considerazione il decennio di massima intensità del fenomeno (1904-13) l’Emilia rimase, in rapporto alla sua popolazione, sensibilmente al di sotto della media. E così ancora, anzi sempre più accentuatamente, nella ripresa dopo il 1918. Nel sessennio 1951-56 si può valutare l’emigrazione all’estero intorno allo 0,8 °/00 degli abitanti.

    Quanto alle destinazioni si nota nel complesso una prevalenza costante per l’emigrazione europea, sia prima che dopo il 1900, ma specialmente dopo. Anche nel momento della massima ondata (1911-13) le partenze per il continente superano di quasi quattro volte quelle per i paesi transoceanici.

    I valori percentuali dell’emigrazione emiliana nel continente in rapporto a quelli totali dell’Italia, presentano, sia pure con qualche oscillazione fra il 1876 e il 1913, un aumento continuo, che culmina col 10,6% del periodo 1906-10, mentre i corrispondenti valori dell’emigrazione oltre-oceano raggiungono la percentuale massima di 4,1 alla fine dell’Ottocento.

    Questa prevalenza delle destinazioni continentali costituisce un’altra caratteristica distintiva dell’emigrazione emiliana. Come altrove si indicano le case degli « americani », cioè dei rimpatriati dall’America, nell’Appennino (lo scrivente l’ha notato in ispecie in quello Parmense e Piacentino) ci sono quelle dei « francesi », rimpatriati dalla Francia, ma anche da altri paesi europei, o costruite dagli emigranti per i loro familiari rimasti in Italia. Anche dovrebbe notarsi la frequenza dell’emigrazione temporanea, non così abbondante come in altre regioni settentrionali, ma pur notevole nell’Emilia, specialmente nella sezione occidentale. Purtroppo non è agevole trovarne dati statistici attendibili per un esame sintetico veramente significativo.

    Nel primo dopoguerra, nonostante un relativo sviluppo dell’emigrazione verso i paesi continentali, quella verso i paesi transoceanici, per le note ragioni politiche (limitazione nei paesi di immigrazione) si riduce costantemente dal 1920 al 1938. È questo l’ultimo anno considerato, giacché ogni espatrio vero e proprio è stato praticamente impedito nei successivi sette anni, sostituito dapprima da migrazioni verso le dipendenze nazionali oltremare (Africa Orientale, Libia), poi, durante la guerra, da arruolamenti di lavoratori in Germania.

    Emigranti per l’estero 1876-1953.

    Anche nel secondo dopoguerra prevalgono ancora le destinazioni per i paesi continentali: nella media 1951-53 sono 6800 contro 2370 verso quelli transoceanici.

    Alla distribuzione geografica del fenomeno migratorio entro la regione l’Albani dedicò uno studio particolare.

    Nel periodo di massima intensità, anteriore al 1914, ha osservato che il basso Ferrarese, con medie annue comprese fra 5 e 8 emigranti su 1000 ab., rientra nelle zone di più scarsa partecipazione. Il Bolognese, il Ravennate, il Parmense, e, in genere, tutti i territori sulla destra del Po sono compresi nelle zone partecipanti con valori da 8 a 12 °/00 , mentre la collina e la montagna parmensi e forlivesi presentano valori superiori (da 12 a 20 °/00 ) con massimi da 20 a 25 °/00 fra Rimini e la valle del Rubicone.

    Nel quinquennio 1928-32 il quadro non varia molto come distribuzione; variano naturalmente, ed in modo assai sensibile, il valori corrispondenti. Appaiono infatti valori di 0,2 °/00 nel Ferrarese; di 0,5 °/00 nella bassa ravennate, nella bassa forlivese e nel lungo Po; di 1 a 2 °/00 nelle colline e nelle montagne del Forlivese, del Modenese e del Piacentino.

    L’Albani ha pure cercato di tipizzare ulteriormente il fenomeno, esaminando l’andamento in una serie di Comuni scelti come campioni.

    Per la zona di montagna sono stati scelti comuni quanto più possibile isolati verso il crinale e senza particolari risorse minerarie, termali, turistiche, come Farini d’Olmo (Piacenza), Bardi (Parma), Frassinoro (Modena), Camugnano (Bologna), Verghereto (Forlì). Ragioni consimili hanno guidato nella scelta di comuni di collina: Rivergaro (Piacenza), Felino (Parma), Scandiano (Reggio Emilia), Mèldola (Forlì).

    Per il pedemonte, caratterizzato dalla numerosa presenza di città, sono stati presi in considerazione i comuni che comprendono i maggiori centri urbani e cioè Piacenza, Parma, Bologna, Forlì, però con inevitabile inclusione di estensioni abbastanza vaste di collina e di pianura. Fa eccezione Parma, comune fino al 1943 ristretto quasi alla sola città e che, per tale ragione, può essere considerata la più tipica per il nostro assunto.

    Tra i comuni della bassa pianura non si è incluso il comune di Ferrara perchè comprende il centro urbano, e, per la stessa ragione, neppure il comune di Ravenna, che sarebbe stato interessante per la sua vastità e anche per la grande estensione delle sue bonifiche. La scelta è stata perciò limitata ai Comuni, peraltro assai caratteristici, di Molinella (Bologna), Argenta (Ferrara), Copparo (Ferrara), Codigoro (Ferrara).

    Per questi comuni si sono riuniti i dati pubblicati a suo tempo dalla Direzione generale della statistica in gruppi di sei anni, dal 1884-89 al 1908-13, e si è calcolata la percentuale degli emigrati rispetto alla popolazione media di ciascun periodo.

    Media emigranti °/00 della popolazione negli anni dal 1884 al 1913 in alcuni Comuni campione.

    I dati assoluti sono in relazione anche con l’estensione e la popolazione dei singoli Comuni. Perciò appare cospicuo il numero dei partiti dai comuni urbani, ma esso rappresenta sempre una piccola percentuale rispetto al totale della popolazione di essi ed è, in definitiva, sintomo di maggiore movimento in senso generale, essendo, come si è visto altrove, compensato dal flusso immigratorio.

    Nei comuni di montagna si arriva ai 71 e 72 per mille abitanti. La collina presenta maggiori oscillazioni, coi massimi di Felino (27°/00 )e Méldola (30 °/00 ) che accostano e superano i corrispondenti valori di qualche Comune di montagna.

    Ancor più bassi di quelli dei comuni urbani sono i valori dei quattro comuni della zona delle bonifiche, coi minimi a Codigoro, che è il territorio più largamente interessato, fra i quattro, dalle bonifiche più recentemente iniziate.

    Purtroppo la ricerca non ha potuto essere proseguita, perchè dopo il 1920 non sono più stati pubblicati dati analitici per Comuni. Quelli del 1919-20, gli ultimi resi noti, confermavano l’alta quota di emigranti dai comuni di montagna (Farini d’Olmo 61 °/00 della popolazione, Bardi 55, Frassinoro 34), la modestia dei valori segnaletici della collina e del pedemonte (da 2 a 8 °/00 ), la pratica scomparsa del fenomeno nella bassa (meno di 1 °/00 )- Per gli anni successivi, mancando le informazioni, dobbiamo limitarci a rimandare a quelle già date per l’intera regione.

    Densità

    La densità media della popolazione emiliana-romagnola alla data dell’ultimo censimento (4 novembre 1951) era di 160 ab. per kmq. Al i° gennaio 1959 era salita a 165.

    Ma questo dato medio risulta dall’accostamento di territori con ben diverse caratteristiche. Ed anzitutto in rapporto all’articolazione della regione in zone altimetriche.

    Il contrasto appare in tutta la sua vivacità fra la zona di montagna (all’alba del 1959 53,8 ab. per kmq.) e la zona pedemontana (416,9 ab. per kmq., compreso il pedemonte litoraneo di Rimini). Questa spicca nettamente anche nei confronti delle adiacenti zone di pianura (164 ab. per kmq.) e di collina (99,8 abitanti per kmq.).

    Per un esame più analitico ci riferiamo alla carta appositamente costruita. Essa rappresenta nello stesso tempo l’ubicazione dei centri con oltre 1000 ab. alla data del censimento 1951 e la densità (alla stessa data) nei 28 comparti (1).

    Parleremo in altro momento dei centri. Per ora consideriamo la distribuzione della densità.

    Nella nostra carta essa è stata distinta in sei classi. I comparti di più alta densità si distribuiscono fra un massimo di 590 ab. per kmq., che si verifica nel pedemonte bolognese, e un minimo di 361 nel pedemonte reggiano.

    Nessun comparto presenta densità fra 360 e 285 ab. per kmq. Perciò abbiamo fatto la seconda classe coi valori da 242 a 285 ab. per kmq. Nuovo intervallo di 30 unità prima della terza classe, cui abbiamo assegnato i valori fra 138 e 212 ab. per kmq.

    Gli intervalli delle classi minori sono più ravvicinati: di 8 fra la terza e la quarta (97-130 ab. per kmq.), di n fra la quarta e la quinta (60-75 ab- Per kmq.), di 10 fra le ultime due. Ciò si è fatto per mettere in evidenza la distribuzione dei valori inferiori a quelli della classe mediana (138-212 ab. per kmq.) più ravvicinati, mentre quelli delle classi superiori sono notevolmente vari e distanziati. Nella prima classe, addirittura, i quattro comparti, che vi sono attribuiti, presentano le densità decrescenti di 590-408-391-361 ab. per kmq. E i quattro della seconda 285-270-259-242 ab. per kmq.>

    La carta mette in evidenza il susseguirsi dei valori di queste prime classi nella zona di pedemonte, col massimo addensamento in quelli di mezzo (Reggio, Modena, Bologna) e di nuovo all’estremo sudest (Riminese nella prima classe) e nel Ferrarese alto (seconda classe).

    Le minime densità (meno di 86 ab. per kmq.) sono in tutti i comparti di montagna e in quello di collina del Bolognese.

    Ancora da 97 a 130 ab. per kmq. gli altri comparti di collina dal Piacentino al Reggiano e nella Romagna e inoltre la pianura piacentina e reggiana, poi di nuovo la ferrarese bassa.

    I valori della classe mediana (138-212 ab. per kmq.) si susseguono nella pianura intermedia, dalla reggiana alla litoranea romagnola in continua fascia e si ripresentano soltanto, al di là del pedemonte, nella collina modenese (170 ab. per kmq.).

    Questi valori sono notevolmente variati nel settennio dal 1951 al 31 dicembre 1958, la distribuzione territoriale relativa restandone però pressappoco immutata. Sono cresciuti i valori della prima classe (che passano fra 374 e 702 ab. per kmq.) e quelli della seconda (261-331 ab. per kmq.). Tutti i comparti a densità alta contrassegnano aumenti di addensamento.

    Sono diminuiti tutti i valori delle tre classi inferiori: l’ultima varia ora fra 35 e 44 (esattamente 43,7 ab. per kmq.), la quinta fra 60 e 75 (invece di 64 e 86 nb. per kmq.), la quarta fra 87 e 125 (invece di 97,5 e 130 ab. per kmq.). Tutti i comparti a densità bassa segnano ulteriore rarefazione.

    Distribuzione della popolazione: centri e densità.

    L’inversione si manifesta neiràmbito del settore mediano, che da 138-212 passa a 130-210 ab. per kmq., con diminuzione nella pianura reggiana e modenese, aumento invece nella romagnola e nella collina modenese.

    Airinterno delle singole province, si notano interessanti contrasti.

    La densità è minima nella montagna romagnola (addirittura 35,2 ab. per kmq. al 31 dicembre 1958) seguita da quella parmense e piacentina (43,6 ab. per kmq.). Non si leva, del resto, in montagna, oltre i 74,8 ab. per kmq. della bolognese e 70,2 del Frignano.

    Nel Bolognese si nota anzi che la collina è ancora meno popolosa (71 ab. per kmq.) della montagna.

    L’addensamento figura massimo nel pedemonte bolognese (701,7 ab. per kmq.) ovviamente per la presenza della grande città, ma supera la media della zona anche nel Modenese (432 ab. per kmq.), oltre che nel pedemonte-litoraneo di Rimini (487 ab. per kmq.). Le parti relativamente meno popolose del pedemonte sono quella piacentina (261 ab. per kmq.) e la romagnola, escluso il Riminese (295 abitanti per kmq.).

    Nella pianura ferrarese presentano un contrasto notevole la parte alta (272 abitanti per Kmq.), dove però è la città, e la bassa (108,5 ab- per kmq.).>

    Il contrasto si ripete nel Ravennate, più attenuato, dove ai quasi 210 ab. per kmq. della parte interna fanno riscontro, nonostante la presenza della città, i 167 ab. per kmq. della parte bassa litoranea.

    Gli altri comparti di pianura hanno densità variante fra i 207 ab. per kmq. della modenese e i 119,5 della parmense.

    Se consideriamo invece le quattro zone prese nei rispettivi insiemi le variazioni di densità dall’inizio del secolo ad oggi (censimento 1901-calcolo 31 dicembre 1958) mostrano vario andamento.

    Nella montagna la densità è salita dai 58,7 ab. per.kmq. del 1901 ai 65,9 del 1921 e di poi costantemente discesa fino ai 54 all’alba del 1959. Nella collina l’incremento appare costante fino al 1936 (da 88 a 109 ab. per kmq.) poi diminuisce pure costantemente fino a meno di 100 (99,8). Nel pedemonte ascesa continua e rapida dai 220 ab. per kmq. del 1901 ai 417 del 1° gennaio 1959.

    Nella pianura, presa nel suo complesso, pur sempre ascesa, ma con ritmo molto meno accentuato: da 127 ab. per kmq. nel 1901 a 164 nel 1959.

    Meno ricco di contrasti il quadro che risulta dall’esame del comportamento dei dati riferiti se esaminati, anziché per zone, nei quattro raggruppamenti subregionali maggiori presi nella loro interezza.

    La popolazione dei Ducati nel 1901 era di 1.186.139 ab.; all’alba del 1959 era salita a 1.578.121 abitanti.

    Quella del Bolognese (Imola compresa) da 520.750 ab. è passata a 820.713; la romagnola (Imola esclusa) da 574.583 a 830.136 ab.; la ferrarese da 265.936 a 419.041 abitanti.

    Altre caratteristiche demografiche

    La contemporanea diminuzione delle nascite e delle morti determina un altro fenomeno interessante, non certo esclusivo di questa regione, anzi comune in tutti i paesi culturalmente ed economicamente più progrediti: l’invecchiamento della popolazione.

    Mettiamo a confronto i dati dei tre censimenti a distanza di cinquantanni, in composizione percentuale, e vedremo:







    1861

    1901

    1951

    Censiti fino a 10 anni

    23,4

    23,2

    14,4

    Censiti da 10 a 14 anni

    9.9

    8,3

    6,6

    Censiti da 15 a 65 anni

    62,5

    62,3

    70,3

    Censiti oltre i 65 anni

    4,2

    6,2

    8,7

    In complesso

    100,0

    100,0

    100,0

    Le cifre sono di per sè significative anche se la classe intermedia comprende una gamma così ampia e varia come le età da 15 a 65 anni, che si considerano però nel loro complesso come le età attive o lavorative.

    Distinte ulteriormente per gruppi decennali di età le classi del 1951, si può indicare il 14,5% fino a 10 anni; 16,1% da 10 a 20; 17,1% da 20 a 30; 14,6% da 30 a 40; 14,1% da 40 a 50; 10,5% da 50 a 60; 7,8% da 60 a 70; 4,1% da 70 a 80; 1,2% oltre gli 80 anni.

    Gli arretramenti che la piramide delle età (vedi figura) presenta in corrispondenza delle classi 5-10 e 30-35 riflettono le conseguenze dei periodi bellici: la prima infatti comprende i nati nel quinquennio 4 novembre 1941-4 novembre 1946; la seconda i nati dal 4 novembre 1916 al 4 novembre 1921.

    L’età media della popolazione presente risulta di poco più di 31 anni. Fino a 31 anni si sommano infatti 1.743.846 persone; da 31 compiuti in su 1.775.734.

    Può interessare sapere che nel 1951 vivevano nella regione 19 centenari. Quanto alle singole province, e limitando l’esame ai dati del 1951, il massimo delle classi infantili e prelavorative è raggiunto da quelle di Forlì, Ferrara e Modena, dove toccano rispettivamente il 24,3-23,6-21,8% (e sono le province caratterizzate dai relativamente più elevati quozienti di natalità). Il minimo è nel Bolognese col 18,7%.

    All’altro estremo, la classe senile è ancora massima nel Ravennate (10,8%); ma seguono con oltre il 9% Bologna, Parma e Piacenza. Il valore minimo è nel Ferrarese (7,6%).

    Nella composizione per sessi si nota che fino al censimento 1921 risultavano prevalenti, se pur di poco o pochissimo, i maschi (50,6% nel 1901; 50,1% nel 1921). Poi la proporzione si è invertita e al novembre 1951 la percentuale dei maschi si riduceva al 49,4%.

    Allo stato civile i censiti del 1951 risultavano 892.379 celibi di fronte a 808.348 nubili. Però di quei celibi 549.173 avevano età inferiore a 10 anni e delle nubili 523.823. In tal modo il confronto fra celibi e nubili di almeno 20 anni (che è quello che interessa di più) va fatto fra 343.206 e 284.525.

    I coniugati poi erano 779.512; le coniugate 788.642. La differenza si spiega anzitutto col fatto che le cifre riferite riguardano la popolazione presente. Ma anche nella residente può esserci (e c’è) una differenza fra coniugati e coniugate, in quanto è sempre possibile che uno dei due uniti in matrimonio possa aver conservato o preso residenza in luogo diverso da quello dell’altro contraente.

    I vedovi poi erano 60.311 e le vedove 184.357. Dal che si possono arguire due cose: che i vedovi ritornano più presto e più spesso che non le vedove nella categoria dei coniugati; che le vedove, in genere, campano di più che i vedovi, come parrebbe dimostrato anche dalla distribuzione rispettiva per classi d’età. Il censimento considera anche 2909 maschi e 2992 femmine separati legalmente più 66 divorziati e 64 divorziate.

    Piramide delle età della popolazione presente al censimento del 4 novembre 1951.

    Le famiglie censite nell’Emilia-Romagna nel 1951 erano 873.890 e contavano 3.501.720 membri.

    Fuori di queste risultavano ancora 42.620 persone in 2893 « convivenze » (con 15 conviventi in media): monasteri, caserme, collegi, luoghi di cura, carceri, ecc.

    La composizione media delle famiglie nel 1951 risultò neH’Emilia pari a quella nazionale: 4 persone per famiglia.

    Anche qui si nota una diminuzione, nel corso dell’attuale secolo, e una diminuzione più forte di quella della media nazionale. La media nazionale infatti è passata da 4,5 del 1901 e 1911 a 4 nel 1951. Quella emiliana, in origine superiore, è scesa da 5 del 1911 e 1921 a 4, come s’è detto.

    Quanto alle singole province, nel 1951 superavano la media regionale quelle di Ferrara, Forlì, Modena e Reggio, ma di poco (4,2); raggiungevano quasi la media Piacenza e Ravenna (3,9); il minimo era di Bologna (3,7).

    Per classi di ampiezza, all’ultimo censimento, l’i 1% delle famiglie contava da 7 membri in più (nel 1911 e 1921 circa il 24%); da 4 a 6 membri il 41% 1203 membri

    il 39,5% (nel 1921 il 30%). Risultavano infine censiti nuclei familiari costituiti da un solo individuo per il 9,5% del numero totale delle famiglie.

    Per apprezzare codesti numeri bisogna tener presente che la « famiglia di censimento » s’intende un insieme di persone legate da vincoli di parentela ed anche di servizio semprechè coabitanti e conviventi.

    Condizioni sociali

    Anche di queste condizioni riparleremo in altri momenti. Ma un primo sguardo generale d’insieme non sarà qui inopportuno.

    Le condizioni sociali sono strettamente in rapporto con la vita economica del paese.

    La tabella statistica, in cui abbiamo raccolto i dati della ripartizione degli abitanti residenti secondo le loro attività, quale risulta al censimento 1951, dà già una suggestiva espressione numerica dei caratteri della struttura economica e sociale della regione, con la decisa prevalenza delle attività rurali (tanto più eminente quando si consideri che gran parte dell’attività industriale, commerciale e dei trasporti trae origine dai prodotti di esse o in loro servizio).

    Le attività secondarie, messe insieme, occupano oltre un quarto della popolazione attiva, quasi il 12% della popolazione totale. Le attività terziarie il 15,30% della popolazione attiva (7,11% della totale).

    Il numero dei non-attivi appare rilevante: più della metà della popolazione, considerando anche i minori di 10 anni, e 39% esclusi questi. Ma ciò dipende dai criteri che hanno presieduto alla rilevazione, per cui si considerano inattive, per es., le attendenti a casa, delle quali un buon numero partecipa, sia pure parzialmente, ai lavori agricoli e che comunque, tutte, recano un contributo tutt’altro che trascurabile nell’economia dei nuclei familiari. I quali costituiscono a lor volta le cellule elementari della struttura economica generale. E si considerano inattivi gli studenti, dei quali il meno che si possa dire è che essi stanno svolgendo una « attività » necessaria, insostituibile, preziosa qual è quella di prepararsi a intervenire nel modo più adeguato nelle attività considerate produttive soltanto perchè più immediatamente produttive.

    Ed infine i « giovani in attesa di prima occupazione » che, se considerati inattivi in quanto inoccupati dovrebbero portar con sè i « disoccupati già occupati » che invece sono compresi fra gli attivi dei vari settori in cui sono stati occupati prima del censimento, o altrimenti costituiscono (come questi) forze disponibili, un « potenziale di lavoro », una risorsa a disposizione delle attività economiche, anche se nella massima parte indifferenziata.

    Ma le condizioni sociali sono pure espresse — e sotto certi riguardi ancor più che non dalla ripartizione fra forme di attività economiche — dalla posizione dei singoli nella struttura economica della società.

    Al censimento 1951 risultavano imprenditori e liberi professionisti 35.442, dirigenti e impiegati 131.369, lavoratori in proprio (compresi i mezzadri e altri coltivatori a colonia parziaria) 334.128, lavoratori dipendenti 753.007, coadiuvanti (coloro che essendo parenti o affini di un conduttore di azienda agricola, commerciale, ecc., lavorano nell’azienda stessa senza corrispettivo di una retribuzione contrattuale) 393.635. In totale 1.647.581, che corrisponde alla «popolazione attiva» già indicata.

    Nel complesso si potrebbero anche raggruppare in 369.570 indipendenti e 1.146.642 lavoratori dipendenti, tenendo a parte i 131.369 «dirigenti» (indipendenti per lo meno quanto i mezzadri) e « impiegati » (dipendenti di massima).

    Ulteriori specificazioni si daranno trattando dei singoli settori dell’economia (agricoltura, industria, commercio, ecc.).

    Vedi Anche:  Strade, ferrovie, porti e navigazione