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Le strade, il commercio e il turismo

    Strade, commercio, turismo

    Il carattere delle strade toscane

    Il viaggiatore che percorra le strade toscane — non le grandi autostrade moderne che sono un’introduzione recente, estranea al paesaggio tradizionale — può avere un’impressione molto diversa a seconda che prevalga in lui il giudizio del guidatore o il piacere del turista: strade brutte per la loro tortuosità, la loro pendenza, la strettezza, il fondo spesso trascurato, belle invece per l’aperta visuale, per il continuo aprirsi di nuovi scorci panoramici. Poiché le strade toscane sono in massima parte strade di poggio, che corrono alte sui colli, scendono a valle, risalgono i versanti per portarsi da un bacino all’altro: è questa una conseguenza del rilievo ondulato, dei pendii spesso franosi, dei centri abitati che sorgono in alto e chiamano a sè le vie. E una conseguenza della vecchia origine della maggior parte delle strade toscane, che risalgono molto spesso ai secoli scorsi, alcune ricalcano tracciati settecenteschi ed ottocenteschi, altre addirittura medievali.

    Non si deve tuttavia generalizzare, chè le strade del Valdarno di Sotto o della pianura di Firenze, della Versilia, della Maremma costiera, della Valdichiana, sono necessariamente strade di pianura. Via non si tratta nell’insieme che di poche eccezioni. Anche le strade di valle, come la via «Aretina» del Valdarno di Sopra, o la litoranea via Aurelia alternano quasi sempre a tratti piani frequenti ondulazioni, con un continuo succedersi di brevi salite e discese. Non sfuggono al carattere tipico delle vie toscane le principali arterie che attraversano PAppennino, come quelle della Futa, della Cisa, della Collina, del Muraglione, o che da Firenze e dagli altri centri si irradiano verso sud, come la Cassia. Ed anche l’autostrada del Sole è resa suggestiva in Toscana dal suo continuo svolgersi in ampie curve e dai panorami costantemente variati.

    Una tipica strada di campagna nei dintorni di Firenze.

    La tipica strada toscana che tanto eco ha avuto anche nella pittura antica e moderna, è quella che unisce case, ville, e centri sui colli fiorentini e senesi, chiusa tra muri e fiancheggiata da olivi e cipressi, oppure che corre in bianchi e tortuosi nastri sui versanti e sui colli della Maremma e della Valdichiana. « Siamo ancora in pianura, ai limiti della Valdichiana o delle crete senesi, e già i sentieri dei campi cominciano a svagarsi, irrequieti, verso le prime pendici, in cerca delle viottole carrarecce. Ma anche queste, invece di seguire i comodi livelli, preferiscono risalire in costa verso le strade maestre: e queste a loro volta non hanno altro pensiero che di inerpicarsi per i più alti crinali, per giunger più dirette al paese che s’intravvede in cima, squadrato e turrito come una rocca. Ogni più piccola stradella affida e trasmette alla strada più grande questa sua fretta di salire, la quale non si placa-neanche quando le strade maestre arrivano finalmente alla cerchia delle mura e vi entrano da quattro porte, poiché la salita continua anche tra i grandi palazzi, in quelle tortuose vie cittadine, irregolari e fonde come crepacci, che da tutte le parti si slanciano, con scalate direttissime verso la vetta, e giungono finalmente tutte insieme ad incontrarsi come raggi al centro… » (Calamandrei).

    Così la strada diviene un elemento vitale ed animatore del paesaggio toscano. Se nelle pianure, in genere, le vie sono seminascoste tra i filari degli alberi, e nella montagna si confondono per lunghi tratti con il fondo valle, nelle zone di collina esse acquistano invece un rilievo particolare che dà al paesaggio un movimento singolare e costituisce una delle più originali e significative impronte dell’uomo.

    Nodi stradali e principali arterie di traffico

    Occorre distinguere, per studiare le strade toscane, la rete stradale principale da quella delle vie secondarie. La prima è costituita da grandi arterie di carattere nazionale, che attraversano la regione con direzione prevalente da nord a sud: passano per la Toscana tutte le vie importanti che uniscono l’Italia del Nord a quella centrale, esclusa la via Flaminia che corre lungo la costa adriatica.

    Il principale nodo di convergenza è Firenze: confluiscono qui dal nord l’autostrada del Sole, la via della Futa, la via Imolese, la via Faentina della Colla di Ca-saglia, quella del Muraglione da Forlì e, indirettamente, attraverso Pistoia e Prato, la via Porrettana da Bologna, quella dell’Abetone da Modena e quella di Montepiano pure da Bologna. E da Firenze si irradiano a raggiera verso il sud e verso l’ovest il tratto successivo dell’autostrada del Sole, di prossima apertura, la via Cassia per Siena e Roma, l’Aretina per Arezzo, Perugia e Roma, la Pisana per Pisa e Livorno, l’autostrada Firenze-Mare.

    Altro nodo stradale è Pisa, dove l’Aurelia, che dalla Liguria fino al Lazio corre lungo tutta la costa toscana a poca distanza dal mare, si raccorda con le principali strade che penetrano verso il Valdarno. Centri di confluenza di strade nazionali sono poi Pistoia, Lucca, Arezzo, Chiusi, Siena, Poggibonsi ed altri centri minori.

    Tutte queste strade hanno un’importante funzione economica, sia commerciale che turistica e sociale in genere, come dimostra l’intenso traffico di automezzi leggeri e pesanti che ognuna di esse sopporta, traffico che è in parte legato alla vita interna toscana, in parte solo di transito tra l’Italia settentrionale e quella centrale.

    Di tutte le strade toscane l’ultima arrivata è, come si è detto, l’autostrada del Sole, arteria d’importanza nazionale, aperta al traffico tra Bologna e Firenze il 3 dicembre 1960 e che sarà compiuta fino a Roma forse entro il 1964. Si tratta di una delle strade più belle d’Europa, divisa in quattro piste di marcia, che si snoda fra le valli ed i monti appenninici con una serie di viadotti, di gallerie, di ponti, mantenendo sempre una pendenza inferiore al 4 per cento.

    Essa rappresenta una notevole vittoria dell’uomo contro una catena montuosa che per secoli ha ostacolato fortemente le comunicazioni tra un versante e l’altro. L’importanza economica di questa strada che consente di ridurre di due terzi il tempo di attraversamento dell’Appennino, si è fatta sentire, malgrado i costosi pedaggi, sia per il movimento turistico che per quello commerciale: il movimento supera, nei giorni di maggior traffico, centomila vetture.

    Altra strada recente è l’autostrada Firenze-mare, aperta al traffico nel 1933 e solo di recente portata da due a quattro corsie (1962). Essa assorbe la maggior parte del movimento di autovetture tra la Toscana interna settentrionale e il mare, e una discreta percentuale di quello camionistico legato al porto di Livorno e ai molti centri industriali del Valdarno.

    Una strada di crinale sulle franose colline intorno a Volterra.

    L’autostrada del Sole tra Firenze e Bologna.

    Al contrario di queste arterie a tracciato del tutto nuovo, altre importanti strade ricalcano grosso modo tracciati antichissimi, come la litoranea Aurelia, che fu la prima e più importante strada romana dopo la conquista dell’Etruria. Da questa arteria che, come nell’antichità, è oggi una delle più battute dai traffici tra l’Italia settentrionale e quella centrale, e che, malgrado periodi di decadenza e di interruzioni durante il Medio Evo, rimase tuttavia una direttrice sempre battuta dagli eserciti come dai commercianti — essa fu ripristinata da Leopoldo II e poi più volte rimodernata fino ai nostri giorni — si diramano le vie verso l’interno della regione: esse seguono il tracciato di vecchi sentieri e di vecchie strade frequentate ormai da secoli, come quella da Populonia verso Siena e Chiusi, quella da Cecina per Volterra verso la via Cassia, quella da Pisa per Lucca e per Firenze, intorno alle quali altre strade si sono moltiplicate in questo secolo.

    Se l’autostrada del Sole ha fortemente alleggerito il movimento delle vie transappenniniche a forti dislivelli e l’autostrada del Mare ha assorbito una notevole percentuale del traffico fra la Toscana interna e la costa, e la situazione del traffico è, di conseguenza, migliorata in molte arterie della regione, la situazione della via Aurelia è tuttora poco buona, essendo questa strada soggetta, e in misura sempre maggiore, ad un transito eccessivo per la sua larghezza e la sua tortuosità. In essa confluisce un movimento commerciale legato ai porti di Genova, di La Spezia, di Livorno, e derivante dagli scambi tra il Piemonte e la Liguria con buona parte dell’Italia centrale e meridionale; vi confluiscono i turisti che dalle riviere liguri scendono verso la Versilia, le isole toscane, Firenze e Roma, e quelli che dalle città interne si portano al mare. In certi periodi dell’anno, specie in estate, l’arteria si rivela così inadeguata al peso del suo traffico e sono frequenti i casi di ingorgo e comunque di velocità media molto ridotta. I tratti più difficili sono quelli tra Livorno e La Spezia, dove da tempo è in progetto un raddoppio; certamente il problema di creare allargamenti e rettifiche al tracciato diventa sempre più urgente, specie dopo che le nuove autostrade hanno fatto affluire nuovo movimento.

    La Via Aurelia nella Macchia di Migliarino.

    La via Aurelia lungo le scogliere di Calafuria, a sud di Livorno.

    Tra le strade più vecchie si deve anche ricordare quella della Futa, che era assai frequentata nel Medio Evo e si presentava fin dal Trecento come una delle migliori strade appenniniche, cioè una mulattiera abbastanza ben tenuta e con possibilità di ristoro. Il suo percorso sui colli e sulle dorsali montuose, che non corrisponde del tutto a quello di oggi, la rendeva più difesa delle altre strade dalle imboscate dei predoni.

    Dopo la metà del Quattrocento, nel tratto montano, solo una mulattiera secondaria proseguiva fino al valico della Futa, mentre quella principale andava a congiungersi a Pietramala con la cosiddetta Postale Bolognese, che la Repubblica Fiorentina fece costruire attraverso il Giogo di Scarperia (1367). La strada rimase aperta e fu migliorata nei secoli successivi e nel Settecento vi passavano veicoli anche a quattro ruote, anche se il passaggio del valico non era certo agevole, come ben si accorse Francesco di Lorena quando nel 1739 venne a prender possesso del Granducato di Toscana. « Ci vollero i buoi per tirare le carrozze nelle salite, ci vollero cavalli da sella e calessi leggeri in quantità per trasportare i viaggiatori nei passi pericolosi ».

    Alle difficoltà tecniche di costruire una strada veramente carrozzabile tra gli erti e franosi monti appenninici si frapponevano anche complicazioni politiche per l’ostilità del legato pontificio di Bologna il quale temeva l’apertura ad influenze esterne della sua legazione. I Toscani però intrapresero egualmente il lavoro e nel 1752 la nuova strada, che percorreva un tracciato in parte diverso dalla precedente, aveva raggiunto il confine bolognese. Dopo circa vent’anni anche il secondo tratto, fino a Bologna, era compiuto. Finalmente si aveva così, dopo l’antichità, una strada per carrozze, di facile percorso, fra la Toscana e l’Emilia.

    Quella stessa strada, con qualche modifica di tracciato, qualche curva più ampia e meno pendente, è rimasta anche oggi, ma ha ceduto il passo, per importanza economica, alla nuova autostrada appenninica, restando un’arteria di molto interesse turistico e funzione locale: essa richiede di superare tra Bologna e Firenze circa 1400 metri di dislivello complessivo, pur senza giungere mai ai mille metri di altezza, ed è battuta sovente d’inverno da bufere di vento e di neve.

    Ma già prima dell’autostrada, altre vie moderne avevano sottratto molto del traffico più pesante a quella della Futa: la via Porrettana, la via dell’Abetone e quella della Cisa. Con la collaborazione del duca di Modena e dopo lunghe discussioni e progetti di esperti dei due stati, la via di Boscolungo, tra la capitale emiliana e Pistoia, fu iniziata nel 1766 e compiuta nel giro di circa dieci anni. La buona organizzazione della posta, degli alloggi, dei corrieri vi fece affluire molto traffico, anche perchè lungo la via della Futa i doganieri pontifici ostacolavano con varie misure il transito degli uomini e delle merci. Il tracciato era interamente nuovo e, per i mezzi di allora, abbastanza rapido, malgrado le forti pendenze: lo stesso tracciato, rimasto fino ad oggi, appare ormai poco adatto alle esigenze di velocità dei mezzi moderni.

    La tortuosa strada del Cerreto, verso il valico.

    Assai più tardi nacque quella che sùbito apparve la più favorevole via di comunicazione tra l’Emilia e la Toscana, lungo la valle del Reno, la strada cioè del valico di Porretta o della Collina, detta dai Toscani via Leopolda. Nei primi decenni dell’Ottocento, la legazione bolognese, dopo la restaurazione, aveva cercato di migliorare le comunicazioni con il centro di Porretta e con tutta la valle del Reno e, nel 1842, il duca Leopoldo si decideva a dare inizio ai lavori del tratto toscano tra Pistoia e il confine. Dopo cinque anni la via era aperta al traffico e diveniva in seguito sempre più importante con lo sviluppo del traffico a motore. Le sue pendenze, infatti, erano minori e più regolari, salvo che in pochi tratti più alti, di quelle delle consorelle transappenniniche. Oggi un breve traforo e alcune varianti hanno ridotto ancora la tortuosità e la ripidità del tracciato, che comporta comunque una brusca salita sul versante toscano fino a ottocento metri di altitudine.

    Più ad ovest una vecchia via di origine medievale, quella del Passo della Cisa (m. 1041), che aveva una notevole importanza per il retroterra del porto di Livorno, era ancora all’inizio del secolo scorso una semplice mulattiera, e si dovette giungere fino alla metà dello stesso secolo per vedere in funzione una nuova carrozzabile, ancora assai malagevole fra Pontremoli e il passo. Negli stessi anni veniva aperta la stretta e ripida via del Cerreto (m. 1261), con scopi, in primo luogo, politici e militari.

    Verso la Romagna, invece, piccole strade erano mantenute aperte dal governo granducale per mantenere normali comunicazioni con i territori toscani del versante romagnolo (Giogo di Scarperia, m. 882, dove anticamente correva già una strada romana; Colla di Casaglia, m. 913). Solo nel 1836 fu aperta al traffico la via del Muraglione (m. 907) tra Forlì e Dicomano-Firenze. Essa era destinata a divenire una delle arterie più importanti per il movimento commerciale tra la Romagna orientale e la Toscana.

    Origini più recenti hanno le strade che dal Casentino e dall’alta Val Tiberina corrono verso l’Adriatico: la lontananza di grosse città rallentò l’esecuzione dei numerosi progetti che si erano avuti già nel Settecento. Al loro compimento si giunse solo dopo l’Unità d’Italia, nel 1879 per quanto riguarda la strada dei Mandrioli (m. 1173) e poco avanti la prima guerra mondiale per quanto riguarda la via di Monte Coronaro, tra Pieve Santo Stefano e Bagno di Romagna. Alla metà circa del secolo scorso risalgono poi le strade che valicano il Passo di Bocca Trabaria, tra la Val Tiberina e l’Umbria.

    Vedi Anche:  Storia della Toscana

    Una via di antiche origini e di grande importanza per le comunicazioni interne e con l’Umbria e il Lazio corre da Firenze attraverso il Valdarno di Sopra fino ad Arezzo e quindi per la Valdichiana verso Chiusi e Roma: è l’antica via Cassia, la cui costruzione cominciò forse cinque secoli avanti Cristo e del cui tracciato restano ben poche tracce, cancellate dall’erosione, dalle alluvioni, dagli impaludamenti. Anch’essa costituisce una direzione sempre battuta attraverso i tempi — è noto che vi passarono dopo il Mille personaggi illustri, come Arrigo VI, Gregorio X, ecc. — e si è andata via via adattando alle esigenze del traffico moderno, più volte sistemata e rettificata dopo l’Unità d’Italia. Tra questa e TAurelia corre poi nella stessa direzione, la nuova via Cassia, tipica strada di colle, che valicando diverse vallate e mantenendosi quasi sempre alta sui crinali, congiunge Firenze a Siena e prosegue poi verso Bolsena; è la comunicazione più diretta tra Firenze e Roma, piena però di curve e di pendenze.

    Per quanto riguarda le vie carrozzabili minori, la Toscana è regione abbastanza ricca, soprattutto se si consideri il suo carattere prevalentemente montano e collinare, meno favorevole delle pianure alla costruzione di strade. Le vie toscane sono, di regola, posteriori ai centri, quasi tutti risalenti all’antichità o al Medio Evo, e percorrono tracciati di vecchi sentieri pedonali, di mulattiere, di piccole rotabili, che poco si curavano delle pendenze e preferivano in genere le posizioni alte per sfuggire alle alluvioni dei fondovalli e alla franosità dei versanti, e per motivi di sicurezza dagli attacchi degli uomini. Ciò spiega il carattere spesso irrazionale, come già si è accennato, di tracciati poco adatti alle esigenze del traffico moderno, tracciati che in questo secolo sono stati certamente in parte rettificati, spesso pavimentati ed allargati, per sopportare il traffico degli automezzi. Non sono mancate naturalmente, dopo l’Unità d’Italia, le strade nuove curate dalle province e dai comuni: ogni capoluogo di comune e ogni frazione di un certo rilievo è collegata ormai agli altri centri da una strada servita da automezzi pubblici.

    La strada da Firenze a Pisa, presso il Masso della Gonfolina, alcuni decenni or sono.

    L’insieme della rete stradale toscana comprende circa 15.000 chilometri di vie carrozzabili, di cui 1500 statali, 3800 provinciali e 9500 comunali, cioè oltre 670 chilometri lineari per 1000 chilometri di superficie e circa 460 per 100.000 abitanti. Tale densità è di poco superiore alla media nazionale, che si aggira sui 630 chilometri per iooo chilometri quadrati, e molto inferiore a quella del Veneto (1050), dell’Emilia (980), della Lombardia (850).

    La provincia più ricca di strade, in proporzione all’estensione, è quella di Pistoia (1140 km per 1000 kmq), seguita da quella di Firenze (860), da quelle di Pisa e Lucca (730), di Arezzo (720), di Massa-Carrara e Siena (658), di Livorno (640); la più povera è quella di Grosseto (320).

    In rapporto invece agli abitanti, la provincia più ricca è quella senese (885 km per 100.000 ab.) e la più povera di tutti quella di Livorno, con 230, ma il rapporto con il numero degli abitanti è naturalmente assai meno significativo di quello con il territorio.

    Da molti anni la situazione della rete stradale toscana è quasi statica nel suo tracciato. Se si eccettuano le nuove autostrade e i miglioramenti di alcuni tratti nel percorso e nel fondo delle arterie principali, le vie minori restano più o meno invariate da decenni e attendono spesso una più moderna sistemazione. Alcune strade nuove sono state costruite negli anni scorsi dai « cantieri di lavoro » contro la disoccupazione, oppure per fini turistici, come nel caso della strada panoramica dell’Argentario.

    Le ferrovie

    La Toscana non è paese adatto, per il suo rilievo, allo sviluppo di una fitta rete ferroviaria: troppe colline, troppe montagne e perciò troppi e frequenti dislivelli in terreni spesso poco resistenti. Malgrado il primato tra gli stati italiani per la costruzione della prima ferrovia a lungo percorso, la Firenze-Livorno terminata nel 1848, la fittezza del reticolato ferroviario toscano è così meno rilevante che in altre regioni d’Italia, soprattutto del nord: il compartimento di Firenze, che corrisponde grosso modo alla regione, conta oggi 1320 chilometri di strade ferrate statali, oltre a 133 di società private.

    All’Unità d’Italia, dopo un periodo di intense costruzioni sotto il governo lore-nese, le ferrovie avevano in Toscana uno sviluppo di 320 chilometri ed aumentarono rapidamente nei decenni successivi fino a raggiungere 1250 chilometri all’inizio del secolo scorso. Da allora poco o nulla è stato fatto e si è avuta una decadenza sul piano economico di molte ferrovie toscane, il cui esercizio si è fatto sempre più passivo.

    Alcune grandi linee di importanza nazionale attraversano la regione collegando l’Italia settentrionale a quella centrale: una prima interna, la cosiddetta «direttissima » Bologna-Firenze, che si continua lungo la valle dell’Arno fino ad Arezzo ed a Chiusi e quindi a Roma, fu ultimata nel 1934 dopo imponenti lavori di traforo, resi difficili dalla natura delle rocce impregnate d’acqua e talora di metano. L’Appennino è stato attraversato da una galleria di 19,5 chilometri tra Castiglion dei Pepoli e Vernio, la seconda galleria del mondo per lunghezza dopo il Sempione, e da trenta gallerie minori, per un totale di 37 chilometri.

    Un viadotto della ferrovia Pistoia-Bologna, presso Piteccio

    La nuova linea sostituiva la «Porrettana», iniziata dai Granduchi ed aperta al traffico nel 1864, e riduceva di circa due terzi il tempo del percorso tra Bologna e Firenze. Essa è oggi seguita da una cinquantina di treni passeggeri al giorno: vi confluiscono infatti le linee da Milano, da Venezia, da Verona verso Roma. Il tracciato, specie a sud di Firenze, si rivela in certi tratti ormai invecchiato e non consente grandi velocità, soprattutto nel Valdarno di Sopra, dove da tempo si auspicano rettifiche di vari punti del tracciato. Si deve osservare in proposito che nei prossimi anni la ferrovia dovrà far fronte alla concorrenza del l’autostrada del Sole.

    Un’altra importante linea è quella costiera, che, provenendo da Torino-Genova, termina pure a Roma, dopo aver collegato in Toscana una serie di importanti centri industriali e portuali, come Carrara, Massa, Viareggio, Pisa, Livorno, Grosseto. La percorrono circa quaranta treni giornalieri, compresi quelli in servizio locale. Iniziata già nel 1860, è oggi una delle migliori linee italiane per tracciato e per armamento, dove i treni rapidi raggiungono velocità medie superiori ai cento chilometri orari.

    Queste due arterie sono congiunte tra Pisa e Firenze dalla vecchia ferrovia toscana che segue tutto il Valdarno di Sotto e fu ultimata, come si è detto, ancora nel 1848 (nel tratto Livorno-Pisa già nel 1844). E la più importante linea interna toscana, lunga 81 chilometri, molto migliorata dopo l’ultima guerra, quando i treni sono aumentati di numero (circa trentacinque al giorno, oltre a quelli diretti a Siena) e il percorso si è ridotto per i convogli più veloci, a soli cinquanta minuti, malgrado la tortuosità del tracciato tra la pianura di Firenze e quella empolese. Una diramazione da Empoli porta a Siena e poi a Chiusi, ma, specie tra questi due ultimi centri, è linea tortuosa e lenta, di movimento locale, a cui, come accade più o meno per tutte le ferrovie minori toscane, fanno forte concorrenza i trasporti automobilistici.

    Un’altra linea costruita dopo la metà del secolo scorso segue le pendici del-l’Appennino, unendo Prato a Pistoia, Lucca, Viareggio e Pisa, ma è linea anti-economica, servita quasi soltanto da treni accelerati. Qualche rettifica di tracciato potrebbe renderla certamente più veloce ed efficiente. L’autostrada del Mare che corre quasi parallela toglie molta importanza economica a questa linea.

    L’ardito tronco ferroviario, costruito dopo l’Unità d’Italia, tra Faenza e Firenze e distrutto durante l’ultima guerra, è stato ricostruito solo nel tratto propriamente appenninico, cioè tra San Piero a Sieve e Faenza, escluso il tratto San Piero-Firenze, i cui costi risultavano del tutto sproporzionati alla funzione. Alcuni treni collegano oggi Firenze a Ravenna attraverso Pontassieve, Borgo San Lorenzo e Faenza. Un’altra vecchia ferrovia di lungo percorso e di difficile tracciato è quella costruita ancora nel 1859 tra Siena, Asciano e Grosseto (228 km).

    Tra i tronchi ferroviari minori, di importanza del tutto locale, si devono ricordare quello da Lucca, lungo la Garfagnana, sino ad Aulla (90 km in due ore con le automotrici). La costruzione fu iniziata quasi un secolo fa per motivi militari e condotta stentatamente avanti per difficoltà tecniche e scarsità di finanziamenti. Distrutta durante l’ultima guerra, fu a rilento ricostruita, con discutibili criteri economici, essendo ormai superata da altri mezzi di trasporto più veloci e più comodi. Altri brevi tronchi uniscono Cecina a Pomarance, Arezzo a Sinalunga, Siena a Buoncon-vento ed a Monte Antico, Arezzo a Stia, Canapiglia Marittima a Piombino, Pracchia a Mammiano, Colle Val d’Elsa a Poggibonsi. A Sansepolcro fa capo una linea privata per Umbertide; la Lunigiana è infine attraversata dalla Parma-Sarzana.

    Numerose erano un tempo le tranvie a vapore o elettriche, in parte suburbane (247 km nel 1924), ormai quasi del tutto scomparse e sostituite da servizi automobilistici. La prima tranvia extra-urbana italiana fu quella costruita tra Firenze e Fiesole nel 1890.

    Le vaste zone della Toscana prive di comunicazioni ferroviarie sono largamente servite dai servizi pubblici di autotrasporti, divenuti oggi numerosissimi, che raggiungono anche i più piccoli centri (circa ottocento servizi per 32.000 chilometri, con l’impiego di circa un migliaio di autobus).

    Il commercio

    Da secoli ormai la vita economica toscana trova nel commercio una delle sue più solide basi. La Toscana non ha però importanti mercati di raccolta e di smistamento delle merci per la esportazione o l’importazione, come sono alcuni mercati portuali e industriali soprattutto dell’Italia settentrionale, o come fu in passato l’emporio livornese; il commercio toscano si fonda eminentemente sul collocamento del proprio prodotto, sui mercati interni e su quelli di altre regioni e stranieri, e sull’importazione delle materie prime e dei prodotti di consumo.

    La tradizione mercantile, strettamente legata a quella finanziaria e bancaria, ha radici che risalgono alla vita delle maggiori città ancora in epoca medievale. « Nel Trecento,» scrive il Milone «duecento monasteri inglesi e scozzesi vendevano lane ai mercanti fiorentini, e altre se ne acquistavano nelle fiere dell’Europa centrale, nella Spagna, nell’Africa settentrionale, nella Grecia e nella stessa nostra penisola. Più di diecimila pezze di panno importate da oltralpe si raffinavano nei fondachi di Calimala, per il solo consumo di Firenze, per un valore complessivo di 300.000 fiorini, alle quali si deve aggiungere una quantità imprecisata di panni destinati alla riesportazione… E quando, nel secolo appresso, comincia la decadenza dell’indu-stria fiorentina dei pannilana, prende grande sviluppo e dà vita ad un commercio molto ricco ed attivo l’arte di Por Santa Maria, l’industria della seta; mentre l’arte dei medici e speziali esercita il commercio degli oggetti minuti di uso comune e delle droghe orientali; quella dei pellicciai, fa anch’essa grande commercio di pelli e di pellicce… ».

    Fin da allora, l’industriale era così anche commerciante e collocava egli stesso il proprio prodotto sul mercato, spesso senza intermediari: e questo carattere è frequente anche oggi e si riflette in figure tipiche di commercianti industriali che rivelano dinamismo, esperienza particolare e vivacità di iniziativa. Già abbiamo avuto occasione di ricordare la sensibilità commerciale di una città come Prato, che ha una produzione in continuo rinnovamento, strettamente legata alle oscillazioni monetarie e alle richieste di un mercato che si estende a tutto il mondo. E abbiamo ricordato

    la figura dell’« impannatore », che controlla sia il ciclo della produzione sia le operazioni di collocamento della merce. Ciò accade in molti settori industriali, da quello dell’abbigliamento a quello dei ricami, da quello dei vetri e della ceramica a quello delle calzature, dove le esportazioni verso altre regioni e verso l’estero raggiungono alte percentuali della produzione e dove quindi il senso commerciale è di vivissima importanza. Ciò non esclude naturalmente l’esistenza di un’attività commerciale indi-pendente dalla produzione, che anzi, come in ogni economia moderna, gli esercizi esclusivamente commerciali sono molto più numerosi di quelli controllati diretta-mente dai produttori.

    Fattori naturali e umani devono essere richiamati per spiegare le ragioni e le correnti del commercio toscano con l’estero: già anticamente, in epoca etrusca e romana, si esportavano i prodotti dell’industria mineraria, quali i marmi delle Apuane e il rame e il ferro dell’Elba e della Maremma, come pure il grano, il carbone e la legna. Ma oggi i prodotti minerari non costituiscono che una delle fonti minori del commercio, poiché lo sviluppo industriale lavora in gran parte entro la regione stessa la materia prima. Grande importanza commerciale ha però ancora il marmo, in massima parte quello di Carrara, le cui spedizioni hanno superato negli ultimi anni il volume di trecentomila tonnellate annue. Carrara è il maggior mercato mondiale del marmo, e ad esso affluiscono le trattazioni che riguardano non solo la produzione locale, ma gran parte di quella nazionale. Il marmo toscano viene spedito in ferrovia e via mare, soprattutto attraverso i porti di Livorno e di Genova, diretto in molti paesi europei e d’oltremare, con prevalenza di quelli americani e fino alla lontana Oceania. Anche il mercurio dell’Amiata dà luogo a correnti interne ed esterne di alto valore economico, tra cui sono particolarmente rilevanti quelle dirette negli Stati Uniti d’America e nel Regno Unito.

    L’agricoltura costituisce un’altra fonte non trascurabile per il commercio toscano, almeno in certe province dove le colture danno prodotti di alto pregio: basti ricordare i vini toscani, quali il Chianti e l’Aleatico, dei quali è ben nota la rinomanza sui mercati italiani e stranieri, che vengono esportati da varie province, soprattutto da quelle di Siena, di Firenze e di Livorno. Basti ricordare l’olio d’oliva la cui produzione non deriva solo dai raccolti locali, ma da quelli importati che, in concorrenza all’olio ligure, viene largamente venduto sia in Italia che all’estero, per esempio in Brasile, nel Regno Unito, negli Stati Uniti d’America, ecc. Il vero olio toscano, in gran parte di produzione familiare o di fattoria, è però consumato quasi interamente nella regione e solo in piccola percentuale immesso nei mercati non locali.

    Vedi Anche:  Cultura e tradizioni

    Molte colture specializzate vivaistiche e orticole alimentano poi correnti commerciali di vasto raggio: si devono ricordare i fiori di Pescia e di Viareggio, gli « olivini » di Pescia, le piante da giardino di Pistoia, le quali ultime tuttavia hanno un mercato prevalentemente regionale. Molto caratteristico è il mercato dei fiori di Pescia, dove affluiscono da maggio ad ottobre quasi duecento milioni di fiori, che ne fanno il più grande mercato nazionale come numero di fiori (non come valore, per cui maggiore importanza ha quello di San Remo). Le correnti di esportazione, in prevalenza di garofani e di gladioli, sono dirette in massima parte entro la Toscana stessa, in Lombardia, nel Veneto, in Emilia e nelle altri regioni d’Italia.

    Toscana di un tempo: il caricamento del ghiaccio nella Valle del Reno (Malandrone) per il trasporto in città.

    Al termine delle contrattazioni che si svolgono tutte le mattine nella grande ed elegante costruzione del mercato, davanti a numerose file di banchi fioriti, i fiori partono subito per le più diverse destinazioni e con tutti i mezzi, dalla bicicletta, ai camions, ai vagoni ferroviari dei « corrieri dei fiori », e raggiungono così rapidamente i centri di vendita. Più recente, ma pur molto importante, il mercato di Viareggio, dove affluiscono le ricche produzioni floreali dei vivai che si estendono nella pianura retrostante.

    Non trascurabile importanza economica ha poi l’esportazione di olivini da seme per trapianto, che un tempo venivano venduti a centinaia di migliaia, anche a milioni, nell’Italia centro-meridionale e nei paesi del bacino mediterraneo e dell’America. Oggi le correnti di vendita sono soprattutto interne.

    I prodotti delle colture orticole, oltre a dare luogo a un rilevante commercio interno, sono spesso esportati verso l’Italia padana e verso Roma, alcuni prodotti anche verso l’estero. Così, per esempio, dalla pianura pisana e dalla Valdera partono ogni anno verso l’Europa centrale e occidentale, migliaia di vagoni di cavolfiori (Germania, Svizzera, Inghilterra, Francia, Austria, Belgio, Olanda: oltre duemila vagoni per duecentomila quintali ogni anno), di insalata (trecento vagoni per dodicimila quintali), di pomodori, oltre che di frutta, specialmente pere e uva da tavola. Prodotti orticoli sono esportati anche nelle province di Lucca, di Pistoia, di Firenze.

    Ma il maggior valore delle correnti commerciali è dato dai prodotti dell’industria e dell’artigianato. Quest’ultimo mantiene validamente con prodotti di pregio la concorrenza su mercati ricchi quali quelli dell’America settentrionale e dell’Europa: basti ricordare i ricami, i cuoi artistici, le paglie, le ceramiche, le argenterie e i prodotti dell’oreficeria, le confezioni di alta moda e quelle correnti. Largamente esportate all’estero e in molte parti d’Italia sono le scarpe della Valdinievole, i lavori di alabastro di Volterra e quelli di marmo o di gesso (Lucca, Carrara), gli oggetti di vetro (Empolese, Pisa), i mobili di Cascina e di Ponsacco.

    La grande industria alimenta correnti commerciali verso l’estero in diversi settori: in quello meccanico dove la Vespa di Pontedera, dopo aver inondato i mercati italiani, si è riversata largamente su quelli stranieri, in quello della meccanica di precisione, specie di ottica (Officine Galileo di Firenze), dei filati (cucirini di Lucca), della raffinazione del petrolio (Livorno). Cospicue anche le esportazioni di prodotti chimici (acido cloridrico, acido solforico, acido borico, soda caustica, ecc.), specie verso i paesi del Mediterraneo orientale.

    Ma rilievo di gran lunga superiore hanno le esportazioni del settore tessile, che hanno il loro centro in Prato e che si avvicinano ogni anno ai dieci miliardi di lire, secondo i pur lacunosi dati ufficiali. Già si è detto del carattere della produzione tessile pratese: i suoi tessuti, di modesti costi, oltre ai mercati di tutta Italia, hanno conquistato largamente quelli africani, asiatici, americani e, in anni recenti, anche quelli europei, dove si vendono anche cardati e pettinati di maggior costo. La vitalità commerciale di Prato è un ben tipico esempio del dinamismo, dell’individualismo e dell’accortezza del commerciante toscano. Si veda per quanto riguarda il commercio degli stracci quanto si è detto parlando delle industrie pratesi.

    I centri di mercato interni sono sparsi naturalmente un po’ in tutta la regione, almeno per quanto riguarda i prodotti agricoli: è questo in realtà il solo settore in cui il mercato in senso stretto ha ancora oggi una funzione precisa. I prodotti dell’industria infatti non conoscono ormai centri di raccolta intermedi e vanno in massima parte dalla produzione alla rivendita locale, attraverso un’organizzazione di rappresentanze che si raccolgono nei centri maggiori. Merita ricordare in questo campo alcune manifestazioni di fiere campionarie, quali quelle del Mercato Internazionale dell’Artigianato, che si tiene a Firenze in primavera, dove si espongono prodotti di tutti i tipi, anche della grande industria, e quella, sempre a Firenze, del Mercato Internazionale deH’Antiquariato, di recente istituzione. Per il commercio del libro ha acquistato particolare nome la Fiera Mercato organizzata in occasione del premio « Bancarella » a Pontremoli.

    Nel settore agricolo sono nuovamente gli ortaggi e la frutta che danno maggiore importanza ai mercati, che hanno una funzione di raccolta entro la regione stessa e da altre parti d’Italia e d’immediata immissione al consumo. Essi esistono pertanto in ogni centro abitato di una certa importanza: al mercato all’ingrosso di Firenze affluisce ogni anno oltre mezzo milione di quintali di ortaggi e di patate e circa tre-centomila quintali di frutta. Alcuni di essi hanno una particolare funzione di raccolta, trovandosi nel centro di ricche zone orticole, come Lucca, Viareggio, almeno in estate, Pisa, Arezzo, e molte altre numerose borgate che hanno nel commercio agricolo una delle basi maggiori della loro vita economica. Un mercato specializzato per il pollame è quello di Altopascio, per il bestiame grosso quello di Grosseto.

    Come si vede anche le attività commerciali sono vanamente sparse nella regione e si raccolgono prevalentemente in quelle parti che abbiamo già visto ricche di industrie e di sedi abitate: la distribuzione degli esercizi commerciali e il loro numero appaiono nelle tabelle raccolte alla fine di questo volume.

    Il turismo: arte e paesaggio

    Varia nei paesaggi e negli aspetti d’arte, ricca di ricordi storici e di richiami culturali, la Toscana è certamente, come regione turistica, una delle più importanti e celebrate, non solo d’Italia ma del mondo. L’attrazione esercitata sui turisti provenienti da altre regioni italiane e dai paesi europei e americani determina un afflusso di oltre un milione di stranieri e di italiani ogni anno, ed è dovuta ad un insieme molto vario di fattori. Non si può perciò parlare e comprendere i problemi del turismo regionale se non se ne distinguono i differenti aspetti e caratteri.

    Già nel secolo scorso e ancor prima, i decantati colli toscani, soprattutto quelli fiorentini e senesi, le città onuste di monumenti e di tracce di un passato glorioso avevano attirato forestieri colti, studiosi di arte e di storia, ricchi proprietari che sceglievano talora come dimora estiva, per periodi più o meno lunghi, i luoghi più « toscani » della regione. Si estese così attraverso la pittura, la letteratura, il giornalismo, la notorietà di quel paesaggio toscano che già aveva influenzato le pagine degli scrittori e le opere dei pittori locali; un paesaggio che dice qualcosa di nuovo ed inatteso a chi dall’Europa centrale o dall’oltremare, dalla stessa pianura padana, entri in Toscana: clima ormai mediterraneo, armonioso insieme di olivi, di viti e di cipressi sulle ondulate colline e, soprattutto, impronte umane del più alto interesse storico e culturale, dalle ville di campagna, alle case dei contadini, agli antichi castelli, ai conventi, alle pievi, ai centri piccoli e grandi, ricchi di monumenti originali.

    Paesaggio ed arte, dunque: ecco i due primi motivi che hanno portato verso la Toscana correnti turistiche che, in questo secolo, sono andate rapidamente aumentando di anno in anno, con il generale sviluppo delle comunicazioni e del turismo. È divenuto ormai questo un turismo di tipo genericamente culturale, più che di studio, cioè di visita più che di soggiorno, di breve durata, ma molto numeroso, che si raccoglie naturalmente nei centri più famosi come Firenze, Siena, Pisa, Lucca, San Gimignano, Volterra, ma si volge anche a località minori ed isolate come l’Abbazia di Monte Oliveto o quella di San Galgano, ai centri etruschi della Maremma, alle molte città medievali dell’interno.

    La posizione geografica della Toscana, la via naturale verso Roma ed il Mezzogiorno, costituisce un fattore favorevole alla sosta di molti turisti che si propongono mete più lontane, mentre la vicinanza alle regioni italiane settentrionali, dove, per l’alto tenore di vita, più cospicuo è lo sviluppo del turismo, alimenta notevoli correnti interne.

    La Certosa di Firenze.

    Principali centri del turismo toscano.

    Firenze, naturalmente, è la meta di più larga fama internazionale, frequentata in ogni stagione da turisti italiani e stranieri: un milione circa ogni anno, in maggioranza di oltre frontiera: americani in primo luogo, poi francesi, inglesi, tedeschi, svizzeri, belgi ed olandesi, svedesi, danesi e norvegesi. Firenze è fra tutte le città italiane, insieme a Roma ed a Venezia, quella che ha il più variopinto mosaico di visitatori, attratti dai suoi celebri monumenti e dai suoi non meno famosi musei.

    Il giardino della villa Garzoni di Collodi.

    I soggiorni a Firenze sono in genere assai brevi (tre giorni in media a testa), troppo brevi per una visita esauriente al patrimonio artistico della città, ma, com’è noto, l’evoluzione del turismo e il suo allargarsi a ceti meno abbienti, senza costituire più privilegio di pochi, hanno creato un modo affrettato di viaggiare per vedere molto in poco tempo. Ciò ha portato di conseguenza a una florida organizzazione di agenzie, di visite collettive organizzate, di un’attrezzatura adatta a brevi soggiorni: oggi a Firenze trecento alberghi sono in grado di ospitare contemporaneamente circa dodicimila forestieri.

    Altra meta importante è Pisa, la cui torre famosa è divenuta una dei monumenti più conosciuti e popolari dell’arte toscana, visitata largamente anche da stranieri, che sostano spesso poche ore, per cui è difficile darne una precisazione numerica. A Siena l’affluenza dei turisti italiani e stranieri ha raggiunto la cifra di quasi centomila all’anno, con un soggiorno medio di un giorno e mezzo a persona. Le altre mete del turismo culturale richiamano un pubblico assai più selezionato, con soste sovente di poche ore, come accade per Lucca, per San Gimignano, per Volterra, per Montepulciano, per Arezzo, per Pistoia, per Cortona, per Certaldo, per Massa Marittima, per Sansepolcro, per Collodi e per molte altre località sparse un po’ dovunque, dove è facile trovare opere d’arte pittoriche o monumentali.

    Un’area a sè di rilevante attrazione turistica è anche quella della Maremma per le suggestive testimonianze della civiltà etrusca e romana che ancora rimangono: Cosa, Ansedonia, con la sua celebre «Tagliata etrusca», Vetulonia con la sua necropoli, Talamone, Populonia, insieme alle laziali Tarquinia e Tuscania, con le tombe dipinte, costituiscono nell’insieme un complesso di grande richiamo. E questo senza dubbio uno degli aspetti del fascino della Toscana che potremo dire minore, cioè meno nota, meno celebrata, ma ricca di una propria individualità, di un proprio stile, che solo il turista attento riesce a scoprire nelle borgate e nelle campagne. Le antiche certose e le pievi isolate dove si possono vedere le maioliche del Della Robbia,

    i dipinti di Giotto, di Cimabue, del Signorelli, i castelli e le rocche che ricordano le lotte feudali e le rivalità fra i Comuni del Medio Evo, i palazzi signorili del Trecento e del Quattrocento, che dominano le piazze di tanti piccoli e grandi centri, fanno parte di questo patrimonio culturale della terra toscana, che è già e che costituirà certamente nel futuro un sicuro motivo di sviluppo ulteriore del turismo, ancora troppo raccolto, specie quello straniero, in pochi grandi centri.

    Il turismo balneare e montano

    Al turismo di carattere culturale si uniscono in Toscana, e si compenetrano, altri tipi di turismo, non meno importanti sotto l’aspetto economico: in primo luogo, il turismo balneare estivo e quello montano, di tipo cioè ricreativo e sportivo insieme o, come si suol dire, con espressione generica, « climatico » o di villeggiatura.

    La costa toscana è, come già si disse, assai varia, ed alterna tratti di spiaggia bassa a tratti rocciosi, presentando così aspetti ed attrattive molto diverse da luogo a luogo. Litorali dalle sabbie sottili e pulite si estendono ininterrotti per decine di chilometri dalla Maremma alla Versilia, con un mare non tranquillo, forse, come quello Adriatico, ma luminoso di luci e di colori. Nelle isole invece dominano le coste alte, ricche di scogli e di insenature, che ricordano per la loro selvaggia bellezza le più celebrate località del Mediterraneo.

    Lo sviluppo del turismo balneare è stato così, negli ultimi decenni, singolarmente rapido: a nord delle foci dell’Arno, tra Viareggio e Marina di Carrara, lungo la pianura litoranea dominata dalle vicine Alpi Apuane, il paesaggio è in pochi anni profondamente mutato e dove erano pochi centri isolati, pinete, campi o acquitrini, è sorta una sola continua, regolare, fascia di ville e di alberghi, che si spinge, con

    le sue strade allineate e rettilinee, un chilometro e più dal mare verso l’interno. È la Versilia, intesa in senso lato, una delle più importanti e rinomate zone turistiche d’Italia, favorita non solo dai valori paesistici e dalla bellezza della spiaggia, ma anche dalla vicinanza di ricche regioni come la Lombardia e il Piemonte e dalla facilità delle comunicazioni ferroviarie e stradali verso la Toscana interna e verso l’Emilia. A ciò si aggiunga una notevole attrezzatura alberghiera di ogni categoria (un migliaio di alberghi) e una discreta organizzazione dei servizi, che rimediano ai prezzi sostenuti e ad una non sempre accurata sistemazione dei lungomari e delle aree pubbliche.

    In Versilia, spiaggia di moda, affluiscono in maggior numero gli italiani che, in prevalenza in luglio ed agosto, gremiscono Viareggio ed il Lido di Camaiore, mete anche di un intenso turismo festivo, la più ricercata Forte dei Marmi e Vittoria Apuania, le più tranquille Fiumetto, Tonfano, Focette, la moderna Marina di Massa.

    Vedi Anche:  La flora e la fauna

    La spiaggia di Viareggio.

    Castiglioncello.

    A Marina di Carrara il mare ha distrutto gran parte della spiaggia, probabilmente a sèguito della costruzione della diga del porto che ha deviato le correnti marine, ma la città balneare si è egualmente sviluppata più a nord verso Bocca di Magra.

    Il mese di settembre segna invece l’afflusso di numerosi stranieri, in prevalenza svizzeri, francesi, tedeschi ed inglesi.

    A sud di Viareggio, la fascia costiera, ricoperta da vaste pinete demaniali e private, è ancora rimasta in larga parte spoglia di attrezzature e di centri balneari, ma il pericolo delle lottizzazioni e della distruzione della foresta si va addensando anche su questa zona. Una discreta tutela del paesaggio — è doveroso riconoscere — non manca tuttavia nelle coste toscane, anche se il sorgere di grosse costruzioni lungo il mare e la creazione di grandi e freddi quartieri del tipo di città industriale, chiamati però « città-giardino », quali quello di Viareggio, possano farne dubitare.

    A sud dell’Arno la costa, a tratti alta e rocciosa, a tratti bassa, ma senza le ampie spiagge della Versilia, è assai meno frequentata e si può parlare di singoli centri più che di una continua fascia balneare. Particolare sviluppo ha avuto nel dopoguerra Tirrenia, centro nuovo presso le foci dell’Arno, sorto intorno all’industria cinematografica, mentre a sud di Livorno sono frequentati Antignano, Quercianella, Casti-glioncello e quindi Marina di Cecina, San Vincenzo, Follonica, per ricordare solo i luoghi più noti. Notevole impulso stanno prendendo le aperte, ampie spiagge della Maremma, più solitarie e tranquille delle altre, intorno a Castiglione della Pescaia, a Marina di Grosseto, a Talamone, dove sono sorti centri balneari interamente nuovi come Principina al Mare e Ansedonia, e dove sta sorgendo un nuovo centro intorno alla selvaggia e suggestiva Punta Ala. Al clima assai caldo dell’estate si contrappone qui la grande estensione della foresta e la solitudine di un paesaggio ancora poco invaso dall’uomo. E Roma in particolare, per la sua vicinanza, che alimenta le correnti turistiche della Maremma.

    Giglio Porto.

    Meritano anche di essere ricordate le stazioni balneari dei promontori e delle isole: Porto Ercole e Porto Santo Stefano nell’Argentario ed i numerosi centri dell’Elba, come Portoferraio, Marciana, Cavo, Porto Azzurro, dell’isola del Giglio e della Capraia. Raccolti tra insenature e golfi lungo coste alte e rocciose, questi centri richiamano per le acque limpide e profonde e la suggestione del paesaggio schiere sempre più folte di turisti di ogni paese. La « scoperta » dell’Elba è un fatto recente: nel dopoguerra l’isola ha trovato nel turismo un importante mezzo di ripresa: alberghi, ville, con relativa speculazione sui terreni, attività commerciali, danno nuova vita ad un’economia altrimenti in declino. Il grande potenziamento dei servizi tra Portoferraio ed il continente consente l’afflusso di migliaia di turisti ogni giorno mentre una ben organizzata rete stradale interna permette di raggiungere le località più remote. Così si può dire anche per l’Argentario, dove la nuova strada panoramica intorno al promontorio rappresenterà una delle maggiori attrazioni paesistiche della Maremma, e così pure del Giglio, anch’essa sempre più frequentata. Il turismo sportivo raggiunge poi anche le isole minori, alla ricerca di luoghi solitari e di zone di pesca non ancora troppo sfruttate.

    Ma il turismo di villeggiatura toscano ha anche mete montane, e alcune non meno note di quelle marine. La catena appenninica non ha certamente i requisiti paesistici di quella alpina, nè offre palestre di alpinismo quali le Dolomiti o le Alpi Occidentali, e tuttavia il clima assai asciutto d’estate, la presenza qua e là di ampie foreste di conifere e di castagni, una buona organizzazione alberghiera e, soprattutto, la vicinanza ad importanti centri urbani, hanno favorito lo sviluppo di una serie di stazioni climatiche assai frequentate da toscani, da emiliani, da romani ed anche da villeggianti di altre regioni italiane.

    La riviera di Talamone.

    Porto Ercole.

    Primeggia tra le altre l’Abetone, a 1388 metri sul confine con l’Emilia, i cui alberghi, le ville, gli impianti sportivi, si distribuiscono intorno al passo omonimo, già noto per villeggiatura estiva ed oggi particolarmente come centro di sport invernali. La neve, abbondante a periodi nell’inverno, non è sempre buona, ma dura talora sino alla primavera, e numerose sono le piste, le seggiovie, le sciovie, per cui l’afflusso di sciatori, soprattutto durante i giorni festivi, è assai considerevole. L’Abetone è il solo grande centro sciistico della Toscana, ma è anche centro estivo, come si è detto, favorito dalla grande foresta che si estende soprattutto sul versante toscano e dalle numerose possibili escursioni al Cimone ed alle altre vette appenniniche.

    Impianti sciistici e campi di sci all’Abetone.

    Stazzema e il Procinto nelle Alpi Apuane.

    Una serie di centri assai frequentati di mezza montagna si estende nell’Appen-nino Pistoiese: Cutigliano, pittoresco villaggio nell’alta valle della Lima, a 670 metri, con una seggiovia verso il Corno alle Scale e una pista perenne per sci di materia plastica, San Marcello Pistoiese, a 623 metri, Gavinana, a 819 metri, Maresca, a 800 metri, tranquilli soggiorni ai piedi di boscose, ripide montagne, Piteglio, a 700 metri, e Prunetta, a 958 metri, vicino a grandi foreste di castagni. Nella valle del Reno sono Pracchia con la vicina Orsigna, e, tra il Bisenzio e il Setta, Montepiano, intorno al valico omonimo.

    Nelle Alpi Apuane, dove i caratteri paesistici sono più alpestri che sull’Appennino vero e proprio, e dove non mancano suggestive località lungo i ripidi — troppo ripidi — versanti delle valli, la valorizzazione turistica, di cui da tempo si parla, è ancora agli inizi e l’attrezzatura alberghiera è limitata quasi sempre a modeste locande e rifugi. Numerose strade sono state tuttavia aperte negli ultimi anni e facilitano ai sempre più numerosi escursionisti la penetrazione verso le parti più alte del gruppo.

    La Verna.

    Montelungo Superiore, a 832 metri nell’alta Lunigiana, è frequentato soprattutto da emiliani, e così San Pellegrino in Alpe, la più alta località di villeggiatura toscana, a 1524 metri, tra grandi boschi, in una aperta e dominante posizione. Lungo l’Appennino Tosco-Romagnolo, sorgono qua e là alberghi estivi presso i valichi e qualche piccolo centro di villeggiatura più in basso, come Ronta di Mugello e Castagno sotto il Falterona, in una vailetta solitaria e boscosa. Presso il Passo della Calla, nell’alto Casentino, esistono anche impianti per sci. Maggiore rinomanza hanno Badia Prataglia e La Verna, come pure l’Eremo di Camaldoli, ed anche Badia Te-dalda, sul versante adriatico.

    Ma la più rinomata stazione montana della Toscana è, insieme all’Abetone, Val-lombrosa (961 m), con il vicino Saltino, che sorge nel cuore di una grande secolare abetina sotto il Monte Secchieta, in una posizione dominante tutto il Valdarno di Sopra ed i Monti del Chianti; possiede un’ottima, anche se un po’ invecchiata, organizzazione alberghiera, ma la scarsità di neve nell’inverno limita il periodo di frequenza ai soli mesi estivi. Molto frequentato in estate è anche il vicino Passo della Consuma.

    Per la sua vicinanza a Firenze, è assai ricercata anche Bivigliano, presso Monte Senario. Si parla da tempo di una valorizzazione turistica del Monte Morello, presso Firenze stessa, che costituisce per ora, dopo la costruzione della nuova via panoramica, solo una meta di gite festive.

    In tutta la Toscana centro-meridionale solo il Monte Amiata possiede requisiti soddisfacenti per lo sviluppo di un turismo montano, anche invernale: ed infatti nella corona di centri che circondano la vetta, come Piancastagnaio, Castel del Piano, Abbadia San Salvatore, sono stati costruiti di recente alcuni nuovi alberghi, mentre rifugi e pensioni isolate con impianti per sci vanno sorgendo più in alto e presso la cima, in mezzo alle vaste foreste, ad oltre mille metri di altitudine.

    Anche la collina toscana era un tempo, ancora nel nostro secolo, celebrata villeggiatura, come mostrano le numerose, signorili ville disseminate qua e là nel Chianti, nel Mugello, intorno al Monte Albano, nella Lucchesìa, nella campagna senese ed altrove. Le cronache di un tempo, già prima e durante il Rinascimento, ricordano la spensierata vita di riposo e di svago in campagna durante l’estate delle nobili famiglie cittadine. Ma ai nostri giorni la campagna è stata in gran parte abbandonata come villeggiatura, poiché le giovani generazioni rifiutano i tranquilli soggiorni di un tempo e un nuovo senso della natura e dello sport le porta sempre più verso zone marine e montane, modernamente attrezzate. Le campagne toscane esercitano così ormai quasi soltanto un’attrazione sul piccolo escursionismo festivo, che è tuttavia assai vivace intorno ad ogni grande centro. E da rilevare anche in Toscana il recente straordinario aumento di trattorie e di luoghi di ritrovo, mete di gite domenicali.

    Camaldoli.

    Il turismo termale

    Un altro aspetto del turismo che dà alla Toscana una posizione preminente rispetto alla maggior parte delle regioni italiane è quello termale, che attira cospicue correnti di turisti in cura. In Toscana si trova il centro termale più importante d’Italia per numero di ospiti, Montecatini Terme, con oltre centomila forestieri ogni anno e un milione di presenze. Pur note già nell’antichità, le acque salso-solfato-alcaline di Montecatini cominciarono ad avere vasta rinomanza alla metà del secolo scorso e soprattutto dopo la prima guerra mondiale, quando stabilimenti ed alberghi si moltiplicarono e una città nuova si sviluppò nel giro di pochi anni. L’efficacia terapeutica dei vari tipi di acqua, più o meno forti, in particolare sull’apparato digerente, danno oggi a questo centro una notorietà internazionale; esso è divenuto anche un elegante luogo di ritrovo, facilmente raggiungibile da tutta la Toscana settentrionale e dall’Emilia.

    Altro centro termale di larga fama è Chianciano Terme, nella Toscana meridionale, frequentato anch’esso nell’antichità etrusca e romana e poi nel Medio Evo, ma grandemente sviluppatosi negli ultimi decenni, e, in particolare, dopo l’ultima guerra. Le sue acque, utilizzate per bevande e per bagni, hanno varie efficaci applicazioni, ma sono usate soprattutto nelle malattie del fegato, per le quali hanno un’azione singolarmente rapida e sicura. Il centro termale sorge a due chilometri dal vecchio paese di Chianciano, in un suggestivo paesaggio collinare, a 550 metri sul mare, tra la Valdichiana e l’Orcia, ed ha clima fresco e ventilato. Vi affluiscono ogni anno circa sessantamila ospiti, quasi tutti italiani, con circa settecentomila giornate di soggiorno. Si sfruttano varie acque: l’acqua santa, per bevande, a 32 gradi, l’acqua di Sillene, per bagni a 38°,4, l’acqua di Sant’Elena, fredda, per bevande.

    Nella boscosa valle della Lima, in un paesaggio montuoso, pur solo a 150 metri di altitudine, sorge Bagni di Lucca, dove da numerose sorgenti sgorgano acque calde fino a 54°, di natura solfato-bicarbonato-calcica, usate per bagni di acque e di vapore e per fanghi. La loro fama risale ai primi secoli dopo il Mille (« Bagni a Corsena »), forse ai tempi della Contessa Matilde, cui tante iniziative si attribuiscono anche a favore delle cure termali. Il primo ordinamento dei bagni pare risalire alla fine del Quattrocento; in passato la località era frequentata soprattutto per villeggiatura dai signori lucchesi ed anche da forestieri illustri.

    Dopo un periodo di semi-abbandono le terme, divenute « Bagni di Lucca » nel 1766, ebbero impulso nel periodo napoleonico, quando una sorella del Bonaparte, Elisa Baciocchi, e poi Maria Luisa di Borbone, vi trasportarono in estate la residenza reale e la Corte. Nell’Italia unita la notorietà di Bagni di Lucca è diminuita di fronte a quella delle risorgenti Montecatini e Chianciano, e lo sviluppo è stato nel complesso assai limitato.

    Per la cura delle malattie reumatiche hanno particolare nome le Grotte di Mon-summano, che sorgono presso il paese dello stesso nome e furono sfruttate dalla metà del secolo scorso con crescente richiamo di pubblico. Nelle due grotte, una naturale, la cosiddetta Grotta Giusti, perchè sorge sui terreni che appartennero al poeta, e una artificiale, la Grotta Parlanti, costruita all’inizio del secolo, le calde acque solfato-alcalino-radioattive che scorrono abbondanti, saturano l’aria di vapore con temperature fino a 340. Nella Grotta Giusti il passaggio alle caverne via via più calde è indicato con i nomi Paradiso, Purgatorio, Inferno.

    Di antica origine sono i Bagni di San Giuliano, ai piedi del Monte Pisano, sul suo versante occidentale. Note forse già nell’antichità, le terme, dette « Bagni di Pisa », furono frequentate nel tardo Medio Evo, soprattutto durante il Quattrocento, poi di nuovo nel Settecento e nel secolo scorso. Il paese ha assai grazioso aspetto e vari stabilimenti, ed è discretamente frequentato in estate per diverse cure, tra cui quelle delle malattie reumatiche ed artritiche.

    Montecatini Terme.

    Maggiore sviluppo come centro termale ha Casciana Terme, sulle basse colline del Cascina, a sud di Pontedera (141 m). Anche questo luogo fu certamente noto alla fine del Medio Evo e nei secoli successivi, ma solo dopo l’Unità d’Italia si ebbe un’organizzazione soddisfacente dal punto di vista igienico e sanitario e in seguito alberghiero. Da una specie di cratere scaturisce un’acqua solfato-calcica-carbonica usata soprattutto per bagni ad acqua corrente (36°) in varie malattie reumatiche, artritiche, della pelle, ecc. Le vicine acque di San Leopoldo sono utilizzate per la cura dell’apparato digerente. Rinomate già in epoca romana furono le Terme di San Casciano dei Bagni, nella Toscana interna meridionale, nei cui stabilimenti si curano malattie epatiche, gastriche e reumatiche.

    Meritano anche di essere ricordate tra le stazioni termali quelle di Equi Terme, sul versante lunense delle Alpi Apuane, le cui acque sono indicate per le malattie cutanee, reumatiche e respiratorie, di Roveta su ameni colli presso Firenze, dalla cui fonte sgorga acqua usata nelle cure dell’apparato digerente, di Rapolano Terme, in provincia di Siena, con sorgenti sulfuree calde usate in molte affezioni. E ancora San Carlo di Massa, le Terme del Bagnolo presso Monterotondo, le Terme di Caldana ai piedi delle colline di Canapiglia Marittima, le Terme di Roselle presso Grosseto e quelle di Saturnia a nord di Mandano, le Terme di Firenze presso la città, Pog-gioterme nell’isola d’Elba, Bagni San Filippo sulle pendici dell’Amiata, Bagno Vignoni, intorno a San Quirico d’Orcia, Bagni delle Galleraie nel comune di Radicondoli, Bagni del Doccio tra Siena e Grosseto. Come si vede, la schiera delle stazioni termali è numerosa in Toscana come forse in nessun’altra parte d’Italia.