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Regioni tradizionali

    Regioni tradizionali

    I nomi regionali

    I nomi regionali, che designano vallate, pianure e gruppi montuosi, territori tra loro diversi per caratteri ed ampiezza, sono molto diffusi in Toscana e sono spesso profondamente radicati nella tradizione e nell’uso popolare. L’origine di molti di essi si perde nel tempo, risale magari all’antichità o al Medio Evo, ma il loro uso si viene documentando ampiamente solo nell’epoca feudale, in genere dopo il XIII secolo, e via via in tempi moderni. Il significato dei nomi stessi, cioè i limiti dei territori con essi compresi variano però coi secoli in seguito a vicende politiche interne e al succedersi di diverse circoscrizioni amministrative, giudiziarie o ecclesiastiche. Ma il passare dei tempi, togliendo importanza alle partizioni create dall’uomo, ha dato loro in genere un significato più strettamente geografico, facendoli coincidere con unità naturali ed antropiche.

    Il sorgere e l’estendersi dell’uso di nomi regionali in Toscana è stato infatti facilitato dalla configurazione stessa della regione, dalla presenza cioè di aree racchiuse tra monti e colline, che si presentano a prima vista come qualcosa di ben definito e separato dal resto: l’esempio più caratteristico è quello delle conche interne dell’Appennino, che abbiamo ora ricordato, la cui forma stessa, a grande catino, dà subito l’idea di un corpo a sè, di un organismo unitario non solo per lo scorrere delle acque o per particolari condizioni climatiche ed orografiche, ma soprattutto per lo spontaneo confluire delle attività umane verso la parte centrale e più bassa della conca stessa. I limiti naturali, costituiti da catene montuose e dal restringersi delle valli verso il basso, sono così evidenti che la tradizione li ha fatti sempre più coincidere con quella del nome regionale, tralasciando le parti esterne aggiunte in passato per altri motivi.

    Celebri fra tutti, i colli fiesolani.

    E il caso di nomi come Lunigiana, Garfagnana, Casentino, Mugello, Valdichiana, Valdarno di Sopra e di Sotto e altri ancora, che, più estesi o più ristretti in passato, sono venuti a corrispondere nell’uso popolare alle conche orografiche che ne furono sempre il nucleo centrale.

    Ma talora i nomi regionali non corrispondono ad unità fisiche e neppure hanno limiti ben definiti; e tuttavia costituiscono un tipo di ambiente, per molti aspetti omogeneo. Si hanno così regioni di pianura, i cui nomi sfumano nella pianura stessa e nelle colline intorno, come nel caso della Versilia o della Maremma, oppure regioni che partecipano di vari caratteri, senza essere limitate da qualche preciso fatto fisico o umano, come il Valdarno Inferiore e la Valdinievole, o regioni come il Chianti

    che sono costituite da un gruppo montuoso e che hanno nella montagna il loro nucleo tradizionale. Anche qui la tradizione, ne ha precisato l’uso effettivo del nome, al di fuori delle interpretazioni sovente astratte degli studiosi.

    Non tutte le parti della Toscana hanno tuttavia un loro nome: è anzi caratteristico osservare quante aree comprese tra un nome e l’altro siano rimaste prive di una loro denominazione particolare, appunto per l’origine spontanea e popolare dei nomi stessi. Sono invece sorti in tempi recenti ad opera di studiosi o per comodità d’uso nomi nuovi derivati da città o da montagne come Lucchesìa, Apuania, a parte quelli generici come Pistoiese, Senese, Grossetano, ecc., che hanno avuto maggiore o minore fortuna e sono rimasti spesso solo sui libri. La varietà dei caratteri, comunque, delle origini, dell’estensione, danno un particolare interesse allo studio dei nomi regionali toscani, che rappresentano comunque sempre tipi geografici ben caratteristici.

    Le regioni appenniniche: la Lunigiana

    La Lunigiana comprende nell’uso corrente l’alta e media valle della Magra ed è costituita da un ben definito bacino orografico, racchiuso fra le montagne appenniniche e apuane. Il nome, derivato dall’antica colonia romana di Luni, lo si ritrova in diversi documenti soltanto a partire dal XII secolo; esso si estese in passato, per vicende storiche, ad un territorio notevolmente più vasto di quello cui corrisponde attualmente, cioè, oltre al bacino intero del fiume Magra, quello del Vara e l’alta valle del Serchio. Si è formata così, nella tradizione dotta, la concezione di una « Lunigiana storica » del tutto indipendente da quella unità naturale alla quale il nome è oggi limitato.

    Tra i più antichi abitatori della Lunigiana furono in epoca storica gli Etruschi, ai quali subentrarono i Liguri Apuani, debellati a loro volta dai Romani, che nel 167 a. C. fondarono presso le foci della Magra la colonia di Luni. Sotto i Longobardi la regione fece parte del Ducato di Lucca, al quale rimase unita anche sotto Carlo Magno. Nel X secolo essa divenne un’unità politico-territoriale col costituirsi del Comitatus Lunense, coincidente pressapoco come territorio con la circoscrizione diocesana di Luni. Ne furono signori gli Obertenghi, che, divisisi in seguito nei quattro rami degli Estensi, dei Malaspina, dei Pelavicino e dei Massa-Corsica, vennero a mano a mano cedendo di fronte alla potenza crescente dei Vescovi di Luni, che a loro danno estesero progressivamente i confini della diocesi.

    Quando, nel XIV secolo, cessò, dopo alterne vicende, la sovranità ecclesiastica sulla regione, ebbe fine anche l’unità politica della Lunigiana, la quale vide allora avvicendarsi sul suo territorio ormai frammentato le signorie dei Lucchesi, dei Pisani, dei Genovesi, dei Fiorentini, dei Parmigiani, dei Milanesi; solo il principato, poi il ducato, di Massa Carrara rimase indipendente.

    Il castello di Fosdinovo.

    Sotto il dominio napoleonico la Lunigiana subì nuove suddivisioni ed altre ancora le vennero apportate dal Congresso di Vienna. Alla costituzione del Regno d’Italia essa risultava divisa tra il Regno di Sardegna, il Ducato di Parma e quello di Modena; in seguito la Lunigiana genovese fu unita alla provincia di Genova, mentre il territorio rimanente costituì con la Garfagnana la provincia di Massa Carrara. Nel 1923, con la istituzione della provincia di La Spezia, la Lunigiana genovese fu staccata da Genova, e la Garfagnana fu unita alla provincia di Lucca: finiva così la Lunigiana storica in senso lato.

    La regione, come è oggi comunemente intesa, è compresa nella provincia di Massa e Carrara e risulta costituita da quattordici Comuni (Aulla, Bagnone, Càsola, Cornano, Filattiera, Fivizzano, Fosdinovo, Licciana Nardi, Mulazzo, Podenzana, Pon-tremoli, Tresana, Villafranca, Zeri). Essa non ha un vero capoluogo, ma piuttosto tre centri principali, verso i quali convergono gli interessi economici della regione. Su ognuno di essi gravita una zona viciniore piuttosto ampia: Pontremoli, in ottima posizione sulla strada della Cisa, è il centro d’attrazione della Lunigiana settentrionale, Fivizzano il centro più popolato di tutta la regione, della parte orientale, Aulla, il più importante centro di traffico della regione, all’incontro delle strade della Cisa e del Cerreto, della zona centro-meridionale. Il Comune di Fosdinovo gravita economicamente su Sarzana.

    Massa e Carrara esercitano una modesta attrazione sulla parte meridionale della Lunigiana; superiore, invece, è quella esercitata da La Spezia, la quale con le sue industrie offre lavoro ad un certo numero di operai lunigianesi. Trovandosi la regione proprio ai limiti settentrionali della Toscana, ed essendo collegata da una ferrovia diretta con Parma, non manca pure, almeno nella parte superiore, l’attrazione economica e culturale della città emiliana. In tale modo la Lunigiana, così ben definita come regione naturale, si presenta solo in parte unitaria dal punto di vista antropico e da quello economico.

    La Garfagnana

    Altro caratteristico bacino orografico, percorso dal Serchio e dai suoi affluenti, è quello della Garfagnana, chiuso a nord e ad est dalla catena appenninica, a ovest dalle Alpi Apuane. Il nome, di origine incerta, è ricordato avanti il Mille in documenti che riguardano solo la parte più alta della valle, ma si estese poi già nel Duecento e nel Trecento, ad un territorio più vasto, sempre nel bacino superiore del fiume.

    Se in seguito le fattezze naturali portarono i geografi ad estendere il significato del nome sino a comprendere anche la parte media della valle, non altrettanto si può dire delle vicende storiche. La regione fu annessa    nel VI secolo al ducato longo

    bardo di Lucca, per passare quindi sotto il dominio dei marchesi di Toscana, del Papato e dei feudatari locali. Finalmente i Lucchesi, che ne avevano iniziato la conquista già nella seconda metà del XII secolo, ne ottennero l’investitura da Federico II di Svevia nel 1248. Ma dopo la morte di Castruccio Castracani, la Garfagnana fu di nuovo disputata tra i Malaspina, i Fiorentini e i Pisani, e tornò tuttavia ai Lucchesi nel 1369.

    Le sorti della regione si disgiunsero però presto da quelle della Toscana: nel 1429 alcuni Comuni della valle invocarono la protezione degli Estensi, e questi, contro le minacce dei Fiorentini che assediavano Lucca, ne approfittarono per occupare gran parte della valle e tenerla quindi fermamente in loro potere: Castelnuovo fu il capoluogo del nuovo dominio. Se si eccettua una breve riconquista da parte dei Fiorentini nel 1521 per volontà del papa Leone X e la parentesi napoleonica, con la creazione del dipartimento delle Alpi Apuane, e il successivo fugace ritorno al Ducato di Lucca fino al 1814, la Garfagnana restò così avulsa dalla storia toscana fino all’Unità d’Italia.

    Nel 1859, con l’annessione al Regno di Sardegna, il circondario di Castelnuovo fu aggregato alla provincia di Massa e tale rimase, malgrado l’assurdo geografico, fino al 1923 quando tornò finalmente a Lucca.

    Queste vicende storiche hanno rotto così l’unità della regione separando dalla parte superiore, cioè dalla Garfagnana propria (Garfagnana Estense) facente capo a Castelnuovo, quella inferiore, intorno a Barga, detta talora il Barghigiano, rimasta dal Trecento in poi fedele ai Fiorentini. Sicché la regione ha avuto due capoluoghi principali, vicini ma ben distinti, che ancor oggi si spartiscono le funzioni principali, amministrative, culturali e commerciali della vallata.

    Vedi Anche:  Strutture agrarie e vita rurale

    Oggi comunque Garfagnana è divenuto nome comune per designare una larga parte della valle del Serchio. Non ben precisato resta tuttavia il limite meridionale della regione, che taluno vede alla confluenza del torrente Ania col Serchio, altri alla confluenza della Lima : in realtà esso può essere opportunamente collocato nel tratto della valle prima di quest’ultimo fiume, quando il solco del Serchio si restringe staccando l’antico bacino del lago pliocenico dalla valle inferiore. Ne restano così esclusi Bagni di Lucca e la valle della Lima. Nell’uso locale il nome Garfagnana è ancora limitato sovente al territorio che fu degli Estensi.

    Ghivizzano, nella valle del Serchio.

    La Valle del Serchio dal Ponte della Maddalena (Lucca).

    Mugello, Val di Sieve e Romagna Toscana

    Si perde nel tempo l’origine del nome Mugello, con cui si comprende oggi il bacino alto e medio della Sieve, a nord di Firenze. La tradizione parla di un’antica tribù ligure di Magelli che avrebbe occupato la regione prima degli Etruschi; altri si rifanno a un Mucius romano. Il primo uso del nome con significato regionale o di luogo risale, per quanto ci risulta, a Procopio; forme come mudilo, mucello, mu-giello, mucale, ecc., diventano comuni dopo il IX secolo. Da molto tempo comunque Mugello è divenuto uno dei termini regionali più comunemente usati e diffusi della Toscana.

    La conca del Mugello.

    Racchiuso tra la catena appenninica principale e i monti della Calvana, Monte Morello e Monte Giovi, questa « vaga e deliziosa, ricca e gioconda » contrada si presenta come un’aperta conca « circondata torno a torno da una corona di monti, i quali gli servono di difesa e d’ornamento ». I limiti sono ovunque segnati da linee di spartiacque, tranne verso il basso, dove tuttavia il restringersi e il piegare della valle verso sud segna chiaramente il passaggio alla « Val di Sieve » in senso proprio, cioè al corso inferiore del fiume.

    Il nome di Mugello è talvolta esteso fino alla valle di San Godenzo e al Falterona (la cosiddetta « Montagna di San Godenzo ») e finanche alla Consuma, con la denominazione di «Mugello orientale» o «Basso Mugello», ma è un’estensione dotta, senza reale rispondenza nell’uso. Così pure taluno usa l’espressione di « Alto Mugello » per i vicini territori della Romagna Toscana, cioè per i Comuni del versante adriatico che appartengono alla provincia di Firenze.

    Entro i suoi limiti propri, il Mugello comprende un territorio di 570 chilometri quadrati costituito da una breve fascia di piani alluvionali, da una serie di ripiani e colline in gran parte fluvio-lacustri, da un’estesa zona di montagna fino oltre mille metri di altitudine; esso è attualmente diviso in sei Comuni (Borgo San Lorenzo, Barberino di Mugello, San Piero a Sieve, Scarperia, Vicchio e Vaglia). Non ha mai costituito in se stesso un ente amministrativo o giuridico 0 ecclesiastico, essendo sempre stato suddiviso in vari vicariati, leghe, comuni e pivieri. E neppure ha una propria storia, autonoma dalle regioni circostanti, essendo passato ben presto, dopo l’eliminazione dei signorotti locali, già nel Duecento, nel dominio di Firenze, cui rimase in seguito strettamente unito. Non si può neppure parlare di unità antropica o economica, poiché le sue varie parti appaiono disunite e affluiscono a centri diversi, quali Borgo San Lorenzo e Barberino e, soprattutto, direttamente sulla vicina Firenze.

    E tuttavia, pur nella varietà degli aspetti naturali e umani, il Mugello è per tradizione una regione geografica da tutti riconosciuta, una parte ben definita dell’antico contado fiorentino, « granaio della città e luogo di caccia e di ritrovi ».

    Con Val di Sieve s’intende, nell’uso comune, il tratto della valle percorso dal fiume omonimo tra la stretta di Vicchio e lo sbocco in Arno a Pontassieve: una regione di passaggio, con una breve striscia pianeggiante, circondata da montagne, ove sorgono centri di una certa importanza agricola e industriale, come Rufina, Di-comano e Londa.

    La Romagna Toscana (un tempo detta Granducale) è, al contrario di quelle ora ricordate, una denominazione tarda, di origine politica ed amministrativa. Essa fu introdotta a designare quei territori a nord dello spartiacque appenninico con la Romagna che furono conquistati durante e dopo il Duecento da Firenze mirante a consolidare la sicurezza del suo contado dalle minacce di invasioni dal nord. In passato il nome comprendeva perciò anche i Comuni trasferiti poi nel 1923 alla Romagna vera e propria (circondario di Rocca San Casciano) ed è oggi limitata ai Comuni di Firenzuola, Palazzuolo sul Senio e Marradi, chiamati talora, come si è detto, Alto Mugello.

    Alto Mugello: Covigliaio e Monti Beni.

    Il Casentino

    Una configurazione fisica simile a quella del Mugello, cioè di un bacino interno appenninico, racchiuso tra la catena principale e i contrafforti del Pratomagno, ha facilitato la corrispondenza di un altro nome regionale, il Casentino, con una ben definita unità orografica: l’alta valle dell’Arno, detta talora Valdarno Casentinese, tra le sorgenti del fiume e la piana di Arezzo. Nei secoli dopo il Mille, secondo testimoniano vari documenti, con Casentino s’intendeva solo il settore più alto della vallata tra Poppi e il Falterona, mentre successivamente il nome si estese invece a parti esterne al bacino fin verso l’Arno e nella piana di Arezzo, il cosiddetto Val-darno Aretino. Ma in seguito, essendo il nome privo di ogni valore amministrativo o politico, esso si è ristretto alla regione naturale.

    Casentino: il piano di Campaldino.

    Il castello di Poppi in Casentino.

    « Le attività economiche prevalenti contribuiscono ad accentuare l’unità geografica della regione. Per molti secoli si è trattato dello sfruttamento del legname e delle ricche foreste montane; oggi, come nel vicino passato, l’agricoltura costituisce la risorsa principale e quasi unica della vallata, dove l’industria è rappresentata soltanto da poche attività ed il turismo non ha finora raggiunto lo sviluppo che le bellezze naturali della valle meriterebbero.

    « In aggiunta, la posizione di questa “ plaga marginale toscana ”, collegata alle regioni vicine solamente da poche e malagevoli strade attraverso i contrafforti appenninici (eccetto quella lungo la valle dell’Arno), contribuì, con altri fattori locali, a mantenerla per lungo tempo in uno stato di isolamento, ossia determinò una vita economica compartimentata, quasi “ chiusa ”, i cui traffici con le vallate contermini erano costituiti, per la maggior parte, dal commercio del legname » (Lavoratti).

    L’origine del nome ha dato luogo alle più disparate ipotesi, spesso fantasiose, come quella che lo fa derivare da Clusa, una principessa etrusca, o da caseum, per l’abilità degli abitanti nel preparare formaggi prelibati, oppure da clusium, cioè luogo chiuso. Secondo altri la regione fu la terra dei Casuentillani o Casuentini, da Casuentum, città presso Narni; è certo che il nome è molto vecchio e fu sempre usato, pur con significato un po’ diverso, dall’antichità o dal Medio Evo ad oggi.

    I confini naturali sono assai ben definiti, correndo tutt’intorno sugli alti crinali dal Falterona al Poggio dei Tre Vescovi e al Monte Foresta e sulle alte cime della catena del Pratomagno. Vi è solo qualche incertezza verso Arezzo dove la valle si restringe prima che l’Arno sbocchi in pianura, nella cosiddetta Stretta di Subbiano o Gola di Santa Marna. Posizione intermedia tra il Casentino e la piana di Arezzo ha così il Comune di Capolona, che vive tuttavia almeno dal punto di vista economico, assai al di fuori della valle. Si può pertanto ritenere che secondo l’uso comune appartengano al Casentino dodici Comuni, che si estendono complessivamente su una superficie di circa 780 chilometri quadrati (Bibbiena, Castel Focognano, Castel San Nicolò, Chitignano, Chiusi della Verna, Montemignaio, Ortignano Raggiolo, Poppi, Pratovecchio, Stia, Subbiano, Talla).

    Le regioni interne di pianura e di collina: il Valdarno

    La principale regione naturale e umana della Toscana, la più estesa e più popolosa, la più ricca di commerci e di industrie, è quella detta, con voce d’uso antico e popolare, « il Valdarno », la valle cioè dell’Arno dalle sue origini, o meglio dalla piana di Arezzo, alle foci del fiume omonimo nel Tirreno. Esistono però, ben distinti, e separati anzi da un tratto senza nome, due « Valdarni »: il Valdarno di Sopra o Superiore da Arezzo fin verso Pontassieve, e il Valdarno di Sotto o Inferiore dalla Gonfolina fin verso il mare. Taluno pone come limite dell’estensione dei due nomi la città di Firenze, ma tale uso non trova conferma nella tradizione. In realtà la pianura fiorentina e il tratto della valle lungo il fiume tra la città e Pontassieve non si possono far rientrare nei due Valdarni.

    Più esattamente cioè, il Valdarno di Sopra corrisponde alla parte del bacino dell’Arno compresa fra la gola dell’Imbuto o di Rondine e la stretta dell’Incisa o, se si vuole, l’ansa di Pontassieve, e si estende per circa 40 chilometri di lunghezza, compresa fra due catene montuose ben rilevate: il Pratomagno a oriente, i monti del Chianti a occidente. E così regione assai ben delimitata, un’ampia conca orografica che, come già si disse, fu occupata da un vasto lago pliocenico. Lungo l’aperto fondovalle, ricco di fertili terreni alluvionali, che rappresenta la più grande via naturale di traffico della Toscana interna a sud di Firenze, sono sorti da antica data numerosi centri, quasi tutti sulla sinistra dell’Arno, come Montevarchi, San Giovanni Valdarno, Figline, Incisa, divenuti modernamente anche, per la vicinanza alla ferrovia, centri industriali di notevole rilievo. Altri centri sono sorti sulle colline tutte appoderate e coltivate a olivi, viti e cereali, come Cavriglia, Castelnuovo dei Sabbioni, Pergine Valdarno, Terranuova Bracciolini, Castelfranco di Sopra, Loro Ciuffenna, Pian di Scò, Reggello, sicché la regione appare fittamente popolata, ricca di strade, con una propria unità economica ed antropica. Non esiste però un vero capoluogo ed un solo centro di attrazione: le funzioni amministrative, culturali, commerciali, sono divise fra i centri maggiori, retti ciascuno da proprie antiche tradizioni. La regione è poi divisa fra le due province di Arezzo e di Firenze.

    Vedi Anche:  Le principali città della Toscana

    Il Valdarno di Sopra.

    Il Valdarno di Sotto è costituito invece dal tratto inferiore della valle dell’Arno, dove questa, uscita dalla gola della Gonfolina, si dirige in piano verso occidente, fino al mare. I limiti naturali sono qui assai meno definiti, sfumando a sud nelle prime colline dell’Era, della Pesa e degli affluenti minori e confondendosi a nord con la Valdinievole e la pianura del Serchio. Taluno esclude dal Valdarno di Sotto la pianura pisana a valle di Pontedera e, realmente, nell’uso più comune, il nome è attribuito soprattutto al breve tratto tra Montelupo e la confluenza dell’Era.

    Alla pari del Valdarno Superiore, anche quello di Sotto costituisce una via di traffico di grande importanza, che unisce la Toscana interna a quella marittima, e a questo fatto sono dovuti in primo luogo l’importanza economica dei numerosi centri industriali e commerciali e il fitto popolamento della campagna ad opera di contadlini e di operai. Il principale centro di attrazione è Empoli, nodo stradale e ferroviario, mercato industriale ed agricolo; altro importante centro è Pontedera, come pure Fucecchio, Castelfranco di Sotto, Santa Croce sull’Arno, Montelupo Fiorentino, e sulla collina, San Miniato. A valle di Pontedera sorge poi Pisa. Si sente in tutta la valle l’influenza di quest’ultima città e di Firenze, che estendono qui le loro province, per cui il Valdarno se non ha limiti fìsici ben definiti ha un’economia strettamente legata con le regioni vicine, pur essendo dotato di una propria individualità, con industrie e tradizioni ben caratteristiche (industria del vetro, delle ceramiche, dell’abbigliamento, dei mobili, ecc.).

    La Valdinievole

    Tra la Montagna Pistoiese, il Monte Albano, il Padule di Fucecchio e le Cerbaie, si estende una regione, la Valdinievole, priva di una vera individualità geografica e di una propria unità storica, ma il cui nome è tuttavia ben radicato ormai da secoli nella tradizione popolare. L’origine del nome, che è anche quello di un torrente sfociante nel piano tra Monsummano e Pieve a Nievole, è legato, secondo taluno, alle nebbie che ristagnano nella pianura, ed ancor più ristagnavano quando questa si presentava interamente paludosa e malarica.

    La regione non è unitaria nè uniforme d’aspetti: oltre a un tratto di pianura comprende infatti una parte collinare ed una montuosa, dove corrono la valle del torrente Nievole e quella più estesa della Pescia di Pescia e di quella di Collodi. Nella pianura i limiti della regione sfumano verso l’Arno e l’uso del nome si fa più sporadico e incerto già intorno al Padule di Fucecchio e verso le pendici del Monte Albano, oltre Monsummano. I limiti montani coincidono con quelli dei bacini dei corsi d’acqua ora ricordati, anche se nella parte superiore, specie delle due Pescie, il nome sia di uso meno comune.

    Il contrasto tra la parte alta e quella pianeggiante ha portato a una distinzione, non frequente però nell’uso popolare in Valdinievole Superiore ed in Valdinievole Inferiore. In quest’ultima si inserisce la cosiddetta Valle delle Cinque Terre, che si può tuttavia considerare come piccola regione a sè stante: essa corrisponde ai comuni di Fucecchio, Santacroce sull’Arno, Castelfranco, Santa Maria in Monte, Monte Calvoli; siamo, come si vede, ormai dentro l’area di un’altra regione, quella del Valdarno di Sotto.

    Neppure le condizioni antropiche ed economiche aiutano a dare alla Valdinievole dei limiti precisi, perchè il territorio, assai vario di strutture, risente dell’attrazione commerciale, industriale, culturale, sia di Lucca che di Pistoia e di Empoli, e si articola intorno a diversi importanti centri urbani quali Pescia, Montecatini, Monsummano. Nè le vicende storiche danno al territorio una propria autonomia, chè, passata dal dominio lucchese, contro il quale lottò lungamente, a quello fiorentino, la regione restò quindi stabilmente sotto i Medici. La vera capitale storica può essere considerata Pescia, che ottenne nel 1699 il titolo di città e dal 1726 fu sede vescovile. La Valdinievole non è oggi un’unità amministrativa, perchè unita alla provincia di Pistoia nel Granducato di Toscana, passò poi a quella di Lucca nel 1861 per tornare nel 1928 a Pistoia. Alcuni lembi periferici nella valle della Pescia e di Collodi appartengono però tuttora alla provincia lucchese.

    Il Chianti

    Tra Firenze e Siena, su colline e basse montagne, in un paesaggio dai profili aperti ed ondulati, si estende una delle regioni più caratteristiche della Toscana, il cui nome, di origine molto vecchia, è tra i più conosciuti, se non altro per esser divenuto quello di un vino largamente esportato: il Chianti. E questa la regione che più di ogni altra ha suscitato polemiche e discussioni, legate a forti interessi economici, per la determinazione dei suoi limiti, che non hanno rispondenza in precisi fatti naturali ed umani.

    Il Chianti è infatti costituito da un insieme di vallate che, ad ovest dei monti omonimi, che costituiscono il margine orientale della regione, si dirigono in opposte direzioni, sia verso l’Arno, sia verso l’Arbia e l’Ombrone. Gli alti tondeggianti contrafforti e le groppe più elevate (solo in qualche punto si superano gli 800 m, ma in media il rilievo si mantiene fra 300 e 600 m di altitudine) degradano in colline sempre più basse e in brevi pianure alluvionali che appartengono alla vai di Pesa, alla vai di Greve, alla Valdelsa, alla vai d’Arbia e ad altre valli ancora, senza rilevanti mutamenti da parte a parte, sicché non è facile dare un limite geografico al nome regionale, che è vago anche nell’uso popolare. In realtà, un limite preciso non esiste e sarebbe un’astrazione il cercarlo.

    Esiste tuttavia un Chianti « storico » che si fa corrispondere all’antica « Lega del Chianti », una giurisdizione di carattere amministrativo e militare istituita da Firenze già nel XIII secolo e che fu suddivisa nel «Terzo» di Radda in quello di Gaiole e in quello di Castellina, dipendenti tutti dal Vicariato di Certaldo. I limiti della lega corrispondevano a quelli attuali dei tre Comuni ora ricordati (trasformati da Terzi in Comuni sotto Pietro Leopoldo), ma includevano anche i dintorni di Vagliagli, oggi appartenenti al comune di Castelnuovo Berardenga.

    Diversi sono i limiti del Chianti vinicolo, a lungo dibattuti per consentire l’uso commerciale del nome solo da parte dei produttori di vino del Chianti vero e proprio. Un decreto Ministeriale pose fine alle discussioni nel 1929 stabilendo che nella Regione si dovessero intendere compresi interamente i Comuni di Greve, Gaiole, Radda e Castellina e una parte dei Comuni di Castelnuovo Berardenga, di San Casciano in val di Pesa, di Tavernelle, di Barberino di, Valdelsa e di Poggibonsi: una estensione, come si vede, ben maggiore di quella del Chianti storico.

    Chianti: Monteriggioni.

    Basandosi prevalentemente sull’uso popolare, il Repetti afferma che il Chianti è limitato « a greco dal crine dei monti che stendonsi da Monte Muro a Monte Luco; cioè fra le sorgenti della Greve e quelle dell’Ambra, a levante da quella stessa criniera che continua da Monte Fenali per Cita-mura e San Gusmè, dove la montuosità si dechina per aprire l’adito alle valli dell’Ombrone e dell’Arbia, mentre a libeccio si rialza una diramazione di poggi che da Cerreto Ciampoli si inoltra per Vagliagli alla Castellina. Ivi la giogaia biforca per dirigere un braccio a maestro verso San Donato in Poggio, l’altro a levante greco per Radda e Coltibuono, dove collegasi ai monti che chiudono il Chianti dal lato di grecale ».

    Data la notorietà del nome ed anche il suo suono aperto e gradevole si capisce come si sia manifestata naturalmente nell’uso popolare, cioè al di fuori anche di interessi economici, la tendenza ad allargare i limiti verso parti marginali prive di una propria denominazione.

    Pur mal definito, il Chianti si presenta comunque come una regione relativamente omogenea, caratterizzata da una vita agricola fondata prevalentemente sulla vite e sull’olivo, da un insediamento assai simile da parte a parte, con aspetti paesisticamente analoghi. Non costituisce però una unità economica nè amministrativa, perchè, priva di un vero capoluogo, rientra nell’area d’attrazione di centri esterni, in primo luogo Firenze, Siena e Poggibonsi ed è divisa fra le due province limitrofe. Poco si può dire anche dell’origine del nome, che si ritrova in vari documenti dal secolo XIII in poi, e che pare debba collegarsi ad un nome personale etrusco.

    Le regioni costiere: la Versilia

    Tra le Apuane e il mare si estende, a nord delle foci del Serchio, la Versilia, una delle regioni toscane che il turismo ha reso negli ultimi anni più largamente note. Con questo nome si comprende oggi tutta la pianura litoranea e le valli montane ad essa affluenti, tra Viareggio, il Forte dei Marmi ed oltre. Ma non è questo il territorio a cui si estendeva in origine il nome, derivato da un idronimo Vesiclia, che già nelle carte romane, come l’Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana, designava un torrente scendente dalle Apuane a Seravezza.

    Un po’ per volta il nome acquistò un significato regionale, con tendenza ad allargarsi dal bacino del fiume stesso alle zone circostanti. Già in documenti anteriori al Mille con Versilia si comprendeva un territorio abbastanza esteso, ma difficilmente determinabile con esattezza per la mancanza di limiti naturali o politici ben definitivi; nè è dato sapere il vero uso popolare che si faceva a quei tempi del nome.

    Successivamente, con la costituzione nel dominio lucchese, dopo il 1208, di due Vicariati, uno a Pietrasanta e uno a Camaiore, e poi, con quello fiorentino, nel 1513, di un Capitanato e Vicariato comprendente Pietrasanta, Stazzema e Seravezza, durato fino all’Unità d’Italia, il vecchio nome regionale si venne adattando alle nuove unità amministrativo-giudiziarie. Si spiega così l’espressione di « Versilia storica », da molti usata nei vecchi scritti geografici, anche se non esiste una vera e propria storia autonoma, politica ed economica, della Versilia.

    Vedi Anche:  Monti, poggi, pianure e coste

    Modernamente però il nome regionale ha assunto un significato assai più ampio, sia per l’assenza di limiti naturali ben definiti, se non nella montagna, sia per la mancanza di nomi regionali nei territori confinanti a sud ed a nord che impedissero l’estendersi del nome. L’omogeneità della struttura economica, fondata essenzialmente sul turismo balneare, e l’esigenza di una designazione complessiva per designare le nuove marine sorte a nord di Viareggio sono stati certamente i motivi fondamentali dell’allargarsi del significato del nome, che è sempre più limitato nell’uso comune alle pianure costiere. Ne fanno parte i Comuni di Seravezza, di Stazzema, di Forte dei Marmi, di Pietrasanta, di Camaiore, di Viareggio, in parte di Massarosa.

    Versilia: Querceta con le Alpi Apuane.

    La Maremma

    Assai imprecisi sono i limiti di un’altra tra le più note regioni della Toscana, la Maremma, detta in documenti ancora anteriori al Mille (VIII-IX secolo) la « Mari-tima» (Regio Maritima). Questo nome indicò in passato, negli studiosi toscani e probabilmente nell’uso corrente, tutta la fascia costiera, tantoché secondo il geografo e storico toscano Emanuele Repetti, che scriveva nella prima metà dell’Ottocento, la Maremma si estenderebbe « dalla bocca di Magra, sino alla foce del Chiarone, passato il lago di Burano ».

    Ma il termine di Maremma è oggi ignorato come nome regionale nella Toscana del nord, e solo comincia ad apparire a sud di Livorno per allargarsi e generalizzarsi intorno a Grosseto. Difficile comunque stabilire un limite costiero sia a nord che a sud. Secondo taluno il nome va esteso sino alla piana del fiume Fiora e finanche a Tarquinia ed a Civitavecchia. Difficile anche stabilire un limite verso l’interno, dove il nome si estese, già anticamente, malgrado l’originario significato di regione costiera divenuto poi quasi sinonimo di regione paludosa e malarica, lungo l’Orcia, cioè verso Siena, che per secoli ebbe il dominio della regione. Si parla così di una « Maremma Senese », comprendente gran parte del bacino dell’Orda sino all’Amiata da un lato, ed alle Colline Metallifere dall’altro, e di una « Maremma Grossetana », cioè la vera Maremma dell’uso popolare tradizionale, estendentesi nella piana di Grosseto, sulle prime colline e lungo la costa tra Follonica ed Orbetello. Più a nord una stretta fascia litoranea è detta talora « Maremma Pisana », a sud il tratto da Burano a Civitavecchia « Maremma Laziale o Romana », ma sono espressioni che hanno scarsa rispondenza nell’uso comune.

    Castiglione d’Orcia.

    Maremma: i cipressi di Bolgheri.

    Scrive risnardi: «quali fossero i limiti interni dell’intiera Maremma o della Grossetana-Senese in particolare non è chiaro da per tutto e per tutte le età. Sino alla Cornia o alla Pecora è logico supporre che comprendesse, oltre la zona pianeggiante costiera, l’angusto versante tirrenico del rilievo preappenninico volterrano. Di qui sino alla Fiora i limiti appariscono alquanto vari in documenti di età diversa che sogliono essere ricordati e citati a questo proposito. Ad esempio il testo di un accordo grossetano-senese del 1251, riportato dallo storico senese Orazio Malavolti, del secolo XVI, fa correre i confini interni della Maremma, rispetto alle due città, da Massa Marittima al Portiglione di Follonica, poco più a sud della foce della Pecora, poi da Massa ai cosiddetti gessi del Sassoforte, di qui a Civitella (oggi Civi-tella Marittima) ed a Sasso d’Ombrone, poi per il Monte Amiata sino a Pitigliano e di qui, lungo la Fiora, al mare. Un documento notarile, redatto in volgare nel 1325 fa partire lo stesso confine da Prata (vai di Merse, lungo la strada Massa Marittima-Siena) e di qui lo fa giungere sul fianco occidentale del Sassoforte, donde a Rocca-strada, a Civitella ed a Monte Antico (confluenza dell’Orcia con l’Ombrone), infine a Montenero, uno storico castello sulla sinistra dell’Orcia, là dove comincia la catena calcarea preamiatina di Monte Labbro. E probabile che sul displuvio di questa catena stessa si facesse passare per lo più il confine orientale della Maremma, escludendone la vallata della Fiora nel suo primo tratto diretto da nord a sud, e che anche in questo senso possa intendersi il “ Monteamiatam ” del documento citato dal Malavolti. Probabilmente la malaria forniva un criterio molto semplice e pratico di delimitazione popolare del territorio maremmano. A mezzogiorno della Fiora la Maremma comprendeva, insieme con la zona piana costiera, soltanto le prime ondulazioni dei colli che fiancheggiano quest’ultimo sino a Tarquinia, senza limiti ben precisi verso l’interno.

    Arcidosso e il Monte Amiata.

    Montagna pistoiese: veduta da Campo Tizzoro verso Maresca.

    Sui colli della Valdichiana.

    I limiti attuali della superstite Maremma, sono, all’incirca, anche verso l’interno, gli stessi che si ammettevano in quei secoli lontani e, come si è detto, tendono a rimanere tali per ragioni non più, o solo parzialmente, geografico-naturali ».

    Fiorente e ricca di colture al tempo degli Etruschi, sotto i quali sorsero e prosperarono città come Tarquinia, Populonia, Ansedonia, Vetulonia, la Maremma fu poi sede di potenti signorie feudali durante il Medio Evo. Decadde in seguito paurosamente col passare dei secoli per il dilagare della malaria, e per l’abbandono cui andò soggetta già in epoca romana, poi nel Viedio Evo e anche in tempi moderni dopo l’affermarsi del dominio di Siena e di Firenze. I Medici, e soprattutto i Lorena, tentarono di migliorarne le condizioni con opere di bonifica e provvedimenti vari, ma i risultati furono alquanti modesti. Ora la malaria è totalmente scomparsa e la regione va rapidamente trasformandosi grazie alla riforma agraria portata avanti da alcuni decenni e nell’ultimo dopoguerra.

    Non si può dire che la Maremma sia regione naturale, nè unitaria: varia di aspetti e di influenze storiche, con una vita di collina assai distinta da quella delle pianure bonificate, essa è ormai una regione periferica rispetto alla vita culturale, economica, tradizionale della Toscana e sente notevolmente l’attrazione del Lazio e di Roma. Lo stesso paesaggio maremmano ha più ben poco di quello tipico toscano; scarse le colture arboree, diffuso il bosco e la macchia, prevalentemente accentrato l’insediamento agricolo. Oltre a Grosseto, che ne è il vero capoluogo, sorgono altri centri importanti, portuali e minerari, ed anche centri di antica tradizione, come, sulla costa, Orbetello, Follonica, e più a nord Piombino, e, all’interno, Massa Marittima, Roccastrada.

    La Valdichiana e altri nomi regionali

    Oltre ai nomi ora ricordati ne esistono altri in Toscana, legati in genere alla configurazione fisica delle sue parti, ma che trovano larga rispondenza nell’uso popolare: in primo luogo quelli che si riferiscono ad alcune valli il cui nome è usato ormai con significato regionale come la Valdelsa, la Valdera, la Val di Pesa, la Val d’Arbia, la Val di Cecina, la Val d’Orcia, la Val Tiberina, la Val di Lima, ecc., dove il nome si riferisce talora a tutto il bacino, talora nella sua parte centrale, senza nessun limite preciso sancito dalla storia, dalla economia, o dalle divisioni amministrative. Si noti l’uso comune di « Val di » e non « Valle del o della ».

    Radicofani.

    Paesaggio delle Crete Senesi.

    Particolarmente noto tra i nomi di valli è quello della vai di Chiana o, meglio, secondo l’uso toscano Valdichiana, che non comprende solo la stretta e lunga pianura resa celebre dalle grandi bonifiche realizzate in secoli di lavoro, ma anche le colline circostanti, senza un preciso limite naturale od antropico. Si usa talvolta distinguere una Valdichiana toscana o aretina a nord dell’argine che separa le acque dell’Amo da quelle del Tevere, cioè la parte maggiore tutta in Toscana, e una Valdichiana romana al sud ormai entro i confini del Lazio.

    Assai caratteristica è la denominazione di un piccolo tratto della pianura fiorentina ai margini della città, compreso tra Campi, Peretola, Sesto, Calenzano e Brozzi, all’incirca quello che era un tempo il « paclule di Peretola ». Esso è detto oggi, con voce molto vecchia, Pian dell’Osmannoro o dell’Ormannoro, popolarmente Lo Sman-noro, che è divenuto sinonimo di terra abbandonata, paludosa e battuta dai venti. Con questo nome esisteva durante il Medio Evo un ospedale.

    Significato regionale ha poi il nome di Alpi Apuane, con cui si intende comunemente tutta la regione intorno al gruppo montuoso, fino alla pianura costiera, alla Magra, al Serchio, alle colline di Lucca. Ma il nome è di origine dotta e recente, anche se il termine di Apuane si ricollega ad una radice molto antica: alla conquista Romana nel 180 a. C. la regione risulta già abitata da Liguri Apuani. Il nome di Alpi Apuane pare entrato nell’uso solo nel Settecento, in luogo di Le Panie, usato sul posto per varie vette montuose; nel 1798 la Repubblica Cisalpina dette il nuovo nome ad un proprio dipartimento. L’espressione Apuania è invece una tarda e brutta derivazione. L’origine tarda del nome è testimoniata anche dal fatto che esso si sovrappone a più vecchie regioni tradizionali come la Lunigiana, la Garfagnana e la Versilia.

    Tra gli altri nomi legati ad aree montuose ricorderemo quello della Montagna Pistoiese, con cui si intende genericamente la fascia montana tra la città e la catena appenninica, la già ricordata Montagna di San Godenzo, le Colline Metallifere di uso dotto, il Monte Amiata stesso, con cui si intende non solo la montagna in sè ma l’insieme dei contrafforti e delle valli circostanti. Così pure significato regionale e non solo morfologico hanno le cosiddette Crete Senesi. Di origine dotta è il termine Lucchesìa per il territorio intorno a Lucca, che infatti non compare in alcun toponimo.