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I Castelli Romani

    I Castelli Romani

    « Castelli Romani » o anche semplicemente « Castelli » sono espressioni ancora vivissime nell’uso a Roma (anche in frasi come vino dei Castelli, tram dei Castelli, ecc.), per designare i centri abitati dei Colli che si levano isolati dalla Campagna a sudest di Roma; ma il forestiero che recandovisi, credesse di trovarvi, oggi, castelli di particolare grandiosità e interesse, o, ancor più, un paesaggio del quale i castelli medioevali siano elemento cospicuo, rimarrebbe forse deluso. Nell’uso geografico si parla di Colli Albani (cioè Colli di Alba) o Laziali, ed ambedue le espressioni possono essere accolte ; la prima perchè il maggior centro a noi noto in remota antichità nella regione è la vetusta Alba Longa, avvolta quasi in un velo di leggenda; la seconda perchè i colli costituiscono il più importante complesso di rilievi del Lazio, inteso nel significato più antico e più limitato, al confine col territorio dei Volsci.

    Dei caratteri fisici dei Colli Laziali — apparato vulcanico spento in età geologicamente recente — si è parlato a lungo altrove e sarebbe qui superfluo ripeterci: si è accennato anche all’aspetto del paesaggio vegetale attuale — del quale quattro sono gli elementi principali, il vigneto, l’oliveto, il castagneto, i superstiti lembi di macchia — e si è trattato infine del contrasto, che sembra risalga ad epoca remota, tra le pendici esterne dell’apparato vulcanico, a nord e ad ovest, ben abitate e l’area depressa interposta tra il cono centrale e la cinta craterica esterna, priva al contrario di abitati, anzi così vuota che costituì in età protostorica il confine tra Latini e Volsci.

    I « Castelli Romani » secondo la « Topografia geometrica » dell’Agro Romano di G. B. Cingolani (Roma 1704). Scala 1:47.000 circa.

    Vicende del popolamento

    Ci resta ora di fare, percorrendo le numerose comode strade che si dipartono da Roma, una visita ai principali centri abitati : cittadine, villaggi, nuclei recenti o nascenti.

    Ma è da premettere che — per quanto ciò sembri incredibile per una regione tanto studiata — la storia del suo popolamento, anche a prescindere dall’età preistorica, non ci è nota in modo completo, o meglio è mal ricostruibile nella sua continuità: vi sono lacune soprattutto per alcuni periodi del Medio Evo.

    La protostoria è dominata dal nome di Alba, capo originario della Lega Latina, distrutta da Roma, che ne assunse la funzione; e si comprende che da allora Roma facesse rapidamente il vuoto tra il Tevere e i Colli Laziali, tanto che di molte località menzionate dalle più antiche fonti, non si conosce che il nome e non si può stabilire la localizzazione. Ma erano più che altro villaggi di capanne: tale doveva essere ad esempio Corioli (che da taluni viene indicata come località volsca) se potè essere distrutta interamente da un incendio. Nell’età repubblicana, quando già due ben costruite vie, l’Appia e la Latina con altre vie secondarie, aprivano l’accesso alla regione, questa non ebbe tuttavia un numero di centri importanti quale ci si potrebbe attendere data la prossimità di Roma e l’amenità e salubrità dei luoghi. A prescindere da Velletri, sul versante meridionale della cinta craterica esterna, che fu dapprima città volsca (e prima ancora, forse, fondazione etrusca), le due città più importanti erano Lanuvio (Lanuvium), che poi, nel corso del secolo XI (e fino al 1914), prese il nome di Civita Lavinia a breve distanza dall’Appia dove aveva una stazione (Sublanuvio), e Tuscolo (Tusculum), che a giudicar dal nome parrebbe anch’essa di origine etrusca. Modesta doveva essere Arida, se Orazio ebbe a lamentarne la mediocre ospitalità. Albano sorse più tardi. Ma celebre era la regione per i suoi templi, come quello di Giove Laziale sul Monte Cavo, antichissimo e circondato da alta venerazione; il nemus Dianae sul Lago di Nemi; il tempio di Giunone Sospita a Lanuvio; quello di Castore a Tuscolo, ecc. Non meno celebri le ville, da quelle numerose di Tuscolo, una delle quali appartenne a Cicerone, alla grande villa di Domiziano presso Alba. Le ville erano sparse fra i boschi, che dovevano coprire ancora del loro manto le pendici delle colline, rendendo piacevole e salubre il soggiorno estivo.

    Si può dire che il silenzio si faccia sulla regione per tutto l’alto Medio Evo, cosicché poco o nulla si sa sulla diffusione del Cristianesimo sui colli che avevano veduto tanti santuari pagani ; un vescovato vi fu peraltro ad Albano sin dal secolo V. Dal principio del secolo XI ricomincia la storia della regione legata a quella dei Conti di Tuscolo, potente famiglia che, dalle alture tuscolane onde trasse il nome, dominò su gran parte dei Colli Albani e vi eresse rocche e castelli, estendendo la sua preponderante influenza perfino su Roma. Epoca torbida di lotte sanguinose, durante la quale sorse pure, e con l’appoggio degli stessi Conti di Tuscolo, un’oasi di tranquillità nella abbazia che S. Nilo fondò nel 1004 a Grottaferrata, a breve distanza da uno dei castellacci dei Conti, Borghetto del quale restano imponenti rovine. Dopo i Conti di Tuscolo dominarono — e si contesero il dominio — altre famiglie feudali, i Savelli, gli Orsini, i Colonna: è questa l’epoca dei castelli, dei quali peraltro, come si è detto, ben poco rimane, perchè, a partire almeno dal secolo XV, le famiglie dei grandi proprietari romani, viventi all’ombra della Corte Pontificia, preferirono, rinnovando l’antica tradizione, ai malcomodi castelli le sontuose ville di grandi proporzioni e di nobile architettura circondate da parchi e giardini. E le ville, moltiplicatesi ai giorni nostri con ritmo, sempre più celere, costituiscono uno degli elementi più appariscenti del paesaggio dei « Castelli ».

    E dall’ inizio dell’età moderna ognuna delle cittadine dei Colli Laziali ha una propria storia; ma è più che altro una storia locale sulla quale non è davvero il caso di diffondersi in questo libro, che mira piuttosto a presentare il quadro attuale.

    Se volessimo fare omaggio alla venerazione per la tradizione storica dovremmo forse cominciare la nostra descrizione da Castel Gandolfo poiché esso occupa, secondo l’opinione dei più, il sito dell’antica Alba Longa; ma noi preferiamo prendere le mosse dal gruppo dei centri più vicini a Roma, che è per noi, come per la maggior parte dei visitatori il punto di partenza : cioè Frascati, Grottaferrata, Marino, estesi ormai fino a toccarsi ed a formare, con Castel Gandolfo, e altri centri minori un unico complesso.

    Frascati e Grottaferrata

    Frascati è la cittadina più vicina a Roma perchè dista poco più di 20 km. dal centro dell’Urbe e meno di 10 dalle sue estreme appendici sulla Via Tuscolana, che costituisce il più rapido e comodo accesso. La cittadina occupa un’acclive pendice sul versante settentrionale dei Colli Laziali, a 322 m. sul mare, in un’area dove già esistevano ville romane; è ricordata già nel secolo IX, e fin da allora vi erano due chiese, una delle quali S. Sebastiano in Frascata ci indica l’origine del nome (Frascata ossia abitazione di frasche). Si accrebbe poi per l’afflusso degli abitanti della vicina Tuscolo distrutta nel 1191 ed ebbe la sede vescovile trasferitavi da questo centro; nel secolo XIV fu cinta di mura e nel XV ebbe una rocca: quelle e questa da tempo abbattute. A mezzo il secolo XVI pare che la località fosse in decadenza: Leandro Alberti, che la visitò nel 1549, la descrive con evidente esagerazione, come selvaggia «essendo (i luoghi) per la maggior parte coperti dei rottami dei rovinati edifici sopra i quali sono ortiche, pruni e cespugli e selve onde paiono piuttosto luoghi da bestie che da uomini… ». Ma in quello stesso secolo Frascati passò alla Santa Sede e da allora si inizia la costruzione di grandiose ville per soggiorno estivo di cardinali e altri personaggi della Corte Pontificia: Farnese e Altemps, Aldobrandini e Odescalchi, Borghese, Boncompagni, Caetani, Taverna. Artefici delle nuove costruzioni furono i più illustri architetti del tempo, il Vignola, il Maderno, il Della Porta, il Fontana, il Borromini, il Vanvitelli, Pietro da Cortona, ecc. Il De Brosses, la Sand, Riccardo Voss ce ne hanno lasciato entusiastiche descrizioni. Nel 1656 Frascati contava già circa 3500 ab., compresa tuttavia la popolazione sparsa nel territorio circostante, che fu sempre abbastanza numerosa; nel 1701 ne contava circa 5000, ma nel corso del secolo XVIII, la popolazione diminuì, come in altre parti del territorio romano, per il concorso di vari fattori: la decadenza generale della Campagna Romana, poi i fatti connessi con la Rivoluzione Francese e con la formazione della Repubblica Romana; nel 1816 gli abitanti erano solo 4200 circa, ma nel 1857 erano di nuovo saliti a oltre 5300. Al successivo incremento, che fu assai rapido, contribuirono le migliorate comunicazioni con Roma: nel 1857 fu aperta la ferrovia, la prima di tutto lo Stato Pontificio, costruita appunto anche per consentire il soggiorno estivo del Papa, della sua Corte e della nobiltà romana. Nel 1871 gli abitanti erano 7045, 10.087 nel 1911, 10.851 nel 1931.

    Delle ville di Frascati, la più grande e più sontuosa è la Villa Aldobrandini, eretta tra il 1598 e il 1603 per il cardinale Pietro Aldobrandini, con la sua spettacolare facciata, il magnifico parco, i giuochi d’acqua dell’emiciclo retrostante al palazzo. Anteriore (1545-48) la Villa Falconieri; altre splendide ville del secolo XVI o del XVII, sono la Villa Lancellotti, la Villa Borghese, la Villa Torlonia, la Villa Rufinella, la Villa Mondragone, occupata da un grande istituto di istruzione.

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    Nella fase finale della seconda guerra mondiale Frascati, sede di importanti comandi, subì (settembre 1943-giugno 1944) bombardamenti così gravi che più dei quattro quinti dei suoi edifici andarono irrimediabilmente distrutti ; subì danni cospicui anche il palazzo della Villa Aldobrandini. Lo spettacolo delle rovine era impressionante anche visto da Roma. La ricostruzione è ora compiuta, ma Frascati ha dal punto di vista urbanistico, mutato interamente la sua fisonomia. Nel 1951 Frascati aveva 10.866 ab. nel centro e 13.102 ab. nel comune (15.793 nel 1961).

    Frascati si è molto abbellita ed è divenuta il più elegante e il più frequentato centro dei Castelli Romani: la Villa Torlonia è divenuta parco pubblico, la Villa Falconieri è sede di istituti di cultura; presso l’abitato è un centro di studi nucleari con un grandioso elettrosincrotrone.

    Grottaferrata.

    Le comunicazioni con Roma sono assicurate, oltre che dalla ferrovia, da tramvie suburbane e da servizi automobilistici: questi e quelli provvedono anche alle comunicazioni con gli altri Castelli. Una strada automobilistica consente l’accesso all’elevato pianoro ove sono i ruderi di Túscolo, grande attrattiva per i visitatori, anche per i vastissimi panorami che si godono dallo spiazzo principale, e più dalla sommità della Croce di Tùscolo.

    L’abitato si estende ad est lungo la strada per Montecòmpatri, ma soprattutto a sud, sulle pendici bene assolate che ora pullulano di ville e case di campagna succe-dentisi quasi senza soluzione di continuità sulle due strade che conducono a Grotta-ferrata. Questo paese, sorto presso il monastero basiliano, fondato, come si è detto, da S. Nilo al principio del secolo XI, constava in origine di un’unica strada, che diramandosi dall’antica Via Latina conduceva al monastero, ed ebbe sempre modesta importanza anche dopo che, al tempo di Giuliano della Rovere, poi papa Giulio II (fine del secolo XV), l’abbazia fu cinta di mura e ridotta a fortilizio, quale tuttora si vede. Nel 1871 aveva 557 ab. appena nel centro (1448 ab. nell’intero comune); poi è cresciuto notevolmente perchè accanto e tutto intorno al vecchio borgo, si sono qui formate tre o quattro diverse propaggini: Poggio Tulliano, Squarciarelli, ecc. con case rurali, villette, osterie, negozi, che nella loro espansione sono venute a fondersi in modo da costituire, specie lungo la via per Marino, un unico aggregato, quale ce lo presenta il censimento 1951 che dà a Grottaferrata centro 5123 ab.; numerose anche le case classificate come sparse (1026 ab.; in tutto, con minori aggregati, 6701 ab. nel comune e 8549 nel 1961). La fisonomía della regione è molto mutata da cinquant’anni in qua, quando ancora la macchia si stendeva folta sulle pendici che salgono verso Rocca di Papa; l’incrocio stradale al ponte degli Squarciarelli aveva triste fama per atti di brigantaggio, proprio là dove si aggruppano oggi ristoranti rinomati e frequentatissimi.

    Rocca di Papa

    E proprio qui si stacca la strada che, attraverso un ben conservato castagneto, sale a Rocca di Papa, che occupa una posizione centrale nella regione del Vulcano Laziale ed è, per la sua situazione, giudicata il più pittoresco dei Castelli Romani. L’abitato è arrampicato fra 675 e 750 m. sul ciglione nordoccidentale del cratere principale, dominato in alto da una rupe di lava a picco. Dalla grande piazza all’estremità inferiore del paese, si sale per una strada a forte pendenza fino alla chiesa principale e di là per stradette tortuose o per scale si accede alla parte più alta dove sono i ruderi della rocca. Se la località fosse già abitata in età classica (i Fabienses in Monte Albano di Plinio?) è incerto. Del paese attuale si ha memoria sul finire del secolo XII, ed allora il castello apparteneva alla Chiesa; poi passò agli Orsini e ai Colonna.

    Rocca di Papa.

    Soggiorno di villeggiatura frequentatissimo sin dal secolo XVIII, per il clima gradevolissimo di estate e per i magnifici boschi circostanti, fu esaltato da Massimo d’Azeglio, che vi fece un lungo soggiorno, come è ricordato in un brano famoso dei Miei Ricordi che può ancor oggi leggersi inciso su una lapide apposta sulla casa da lui abitata. Oggi Rocca di Papa, notevolmente cresciuta (gli abitanti sono raddoppiati dal 1871; nel 1951 aveva 6351 ab. dei quali 5478 nel centro, e 7588 nel comune al 1961), si espande con costruzioni nuove soprattutto lungo il viale che, con panorami magnifici sulla Campagna, si svolge verso il Santuario della Madonna del Tufo. Qui presso una recente, bella strada sale a Monte Cavo (948 m.) da cui si gode un ampio, spettacolare panorama.

    Marino

    Dal ponte degli Squarciarelli il caseggiato continua senza notevoli soluzioni di continuità lungo la strada percorsa dalla tramvia e dai trasporti automobilistici, fino a Marino. Questa cittadina si differenzia notevolmente dagli altri Castelli anche per la sua popolazione. Sorge a circa 350 m. su un lungo sprone di peperino, limitato a sudovest da un margine ripido che scende precipite su una valletta: le sue case nere, ammassate, viste da questa parte, impressionano vivamente, anche perchè la roccia è rotta alla base da cave che estraggono la pietra utilizzata per pavimentazione stradale e altri usi. Si vuole che sorgesse presso la località di Castromoenium, antica città laziale, che ebbe una colonia ai tempi di Siila, ma presto scomparve; del nuovo paese si ha notizia sin dal secolo XI, ma la sua notorietà data da quando (1419) passò in feudo ai Colonna, il cui dominio fu peraltro contrastato: nella prima metà del secolo XVI subì più volte distruzioni, la più grave nel 1535 durante la cosiddetta guerra del sale. Nella parte vecchia del paese rimangono avanzi di mura, torrioni e anche qualche resto dell’antico castello sul quale i Colonna costruirono il loro palazzo baronale (secolo XVI), che ora — restaurato dai danni prodotti dai bombardamenti — è sede del comune. Della metà del secolo XVII è la chiesa di S. Barnaba fatta costruire da Girolamo Colonna. Parecchi dei Colonna (tra questi la poetessa Vittoria Colonna) nacquero a Marino e da questa cittadina Marcantonio Colonna condusse molti dei suoi alla battaglia di Lépanto ; ne è ricordo la cosiddetta « fontana dei Quattro Mori », rovinata però — unitamente al centro — dai gravi bombardamenti aerei del 1944. Sembra poi che Marino fosse colpita più che qualunque altro dei Castelli dalla famosa peste che inferì a Roma e nel Lazio dal marzo al settembre 1656 e che, per colmare i vuoti, i Colonna vi trasferirono numerosi coloni dai loro feudi d’Abruzzo, onde il carattere un po’ sui generis degli abitanti. Essi vivono oggi dell’agricoltura e soprattutto della coltura della vite che dà vini robusti e apprezzati, in grande abbondanza, tanto che nella « Sagra dell’uva », che si celebra la prima domenica di ottobre, le fontane della piazza centrale gettano vino.

    La cittadina conserva non pochi monumenti che attestano un importante passato. La chiesa di S. Lucia, ad esempio, viene considerata una fra le prime costruzioni gotiche del Lazio, mentre quella di S. Barnaba (secolo XVII), opera dei Colonna, ha il titolo di Basilica.

    Nel 1871 Marino aveva poco più di 6500 ab. nel comune; la popolazione mostra poi un costante e rapido progresso che ha condotto a triplicarne il numero: 18.619 ab. nel 1951 (e ben 30.374 nel 1961); ma è da osservare che esso possiede un vasto comune costituito in parte con possessi dei Colonna nell’Agro Romano, onde rientrano nei suoi confini nuclei dell’Agro stesso rapidamente cresciuto, in prima linea Ciampino (5000 ab. circa); inoltre le Frattocchie, poi grossi nuclei religiosi e infine numerosa popolazione sparsa (circa 2700 ab.). Marino centro aveva 8629 ab. nel 1951. Oggi la città tende ad espandersi con propaggini in tre direzioni: ad est verso la piana, intensamente coltivata a vigneti, tra la cinta craterica interna e quella esterna che qui è sfiancata e interrotta; a sudovest verso Castel Gandolfo, ove su tutta la cresta che domina il lago, è un ininterrotto allineamento di villini, e ugualmente sulla cresta a sudest ove, in magnifica esposizione, si è formato pure un sobborgo di villini fino ai confini del territorio comunale.

    Se consideriamo l’insieme dei tre individui urbani, ora descritti, coi loro immediati dintorni, constatiamo qui un addensamento di popolazione di oltre 810 ab. per kmq., (1961), cifra che risulta ancor più elevata, qualora non si dovesse tener conto della superficie dell’intero territorio comunale, che in tutti e tre i casi comprende aree ancora pochissimo popolate.

    Veduta aerea di Castel Gandolfo.

    Castel Gandolfo

    E si potrebbe osservare che questa plaga popolatissima si prolunga verso Castel Gandolfo perchè i « villini di Marino » si succedono senza interruzione lungo il bel viale che conduce a questa cittadina. Castel Gandolfo, malgrado sia per situazione topografica l’erede della vetusta Alba Longa, è di origine relativamente recente: se ne parla al principio del secolo XII come castello della famiglia romana dei Gandolfi e poi, circa un secolo dopo, passò ai Savelli; dal 1668 fu dominio inalienabile della Santa Sede e soggiorno estivo abituale dei Pontefici. Urbano Vili fece erigere sulle rovine del castello dei Savelli l’attuale grandioso palazzo pontificio, circondato da un parco; annessa al palazzo è la Villa Barberini, che occupa il sito della Villa Domiziana. La chiesa madre è del 1661 (opera del Bernini). Ma l’abitato era allora modestissimo: circa 600 ab. gli assegna il censimento del 1656 e poco più di 900 quello del 1701, cifra rimasta presso che immutata per tutto il secolo XVIII. Il censimento napoleonico del 1811 ne trovò solo 745 e meno di 700 quello pontificio del 1816. Ma in seguito si registra un incremento dapprima modesto (1446 ab. nel 1853, 1916 nel 1871, 1980 nel 1901, 2245 nel 1911), poi più rapido soprattutto da quando il Concordato riconobbe alla Santa Sede l’extraterritorialità del palazzo e sue pertinenze e il Pontefice tornò a farvi frequenti soggiorni d’estate (4172 ab. nel 1951 e 4395 nel 1961). Il comune comprende peraltro, oltre al centro (2548 ab. al 1951), numerosi piccoli nuclei e popolazione sparsa.

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    Al comune di Castel Gandolfo appartiene per intero il lago (che perciò si può denominare Lago di Castel Gandolfo o anche Lago Albano — Lacus Albanus dei Romani — non però Lago di Albano), che è stato con buon criterio sistemato per le gare di canottaggio e motonautiche, senza alterare in modo disturbante il paesaggio. Vi si accede per una nuovissima strada che si stacca dall’Appia e si divide in due rami: uno (Via del Papa) sale con bei panorami sulla Campagna al paese, l’altro sottopassa in galleria la dorsale di Castel Gandolfo e sbocca sullo specchio lacustre con indovinata prospettiva.

    Il Lago Albano con Castel Gandolfo

    Albano e Ariccia

    Da Castel Gandolfo un viale alberato (Galleria di sopra) conduce alle porte di Albano, il primo del gruppo dei Castelli che può dirsi appio perchè legato alla Via Appia. È di fatto il primo centro che si incontri partendo da Roma e percorrendo la Via Appia (25 km.), la quale forma l’arteria principale (Corso) della città; il resto si allunga a triangolo elevandosi lungo la pendice sudovest della cinta craterica del lago fino ad affacciarsi ad esso (384 m. nel punto più alto). Il nome gli deriva dai castra albana, accampamenti di truppe fedeli, che Settimio Severo costituì nell’area della già menzionata villa di Domiziano, e dei quali restano i ruderi alla Porta Praetoria. Sui ruderi delle terme dei castra fu costruita l’antichissima chiesa di S. Ormisda, mentre S. Maria della Rotonda è un ninfeo della villa di Domiziano, incluso poi nei castra. Fu sede di un’antichissima comunità cristiana e dal secolo V, quando era già un centro di qualche rilievo, ebbe i suoi vescovi. Devastato, a quanto pare durante l’epoca delle invasioni barbariche, ebbe vicende tormentate fino alla fine del secolo XIII, quando se ne impadronirono i Savelli, i quali peraltro costruirono il loro castello non in città, ma su una altura isolata a sudovest, dove sussistono ancora cospicui avanzi (Castel Savelli).

    Ma per tutto il Medio Evo, Albano fu un piccolo villaggio: nel 1656 aveva intorno a 1300 ab. ; nel 1701 quasi 2600 e poco meno di 4000 alla fine del secolo, 4185 nel 1816. Poi si ebbe un incremento con ritmo irregolare: 6190 ab. nel 1853, 6297 nel 1871, 8038 nel 1901, 10.361 nel 1931. Albano subì nel 1944 gravi bombardamenti aerei, che distrussero due terzi delle sue case. La ricostruzione è ora completa e gli edifici nuovi o rinnovati hanno accentuato la fisonomia di una vera e propria cittadina, fornita di tutto ciò che conferisce caratteristiche alla vita urbana, ed aggraziata da bellissime ville. Il censimento del 1951 ha trovato 10.564 ab. in città (i dati dei precedenti censimenti si riferiscono al comune) e 14.775 nel comune (oggi, con molto notevole incremento, 19.659).

    La Via Appia, lasciando Albano, scendeva prima assai in basso nella boscosa Valle Ariccia dove il percorso era spesso infestato da atti briganteschi : Gregorio XVI e Pio IX provvidero a rettificarla ed a Pio IX si deve l’esecuzione dell’arditissimo ponte a tre ordini di archi, aperto nel 1854, che sormonta il profondo, foltissimo bosco, ora ridotto a parco dai Chigi, donde la via risaliva al convento del Galloro. Il ponte (lungo 300 m. ed alto 59 m.) fu distrutto dai Tedeschi nel 1944 e ricostruito nel 1947, con sede più ampia. Uscendone, si è sulla piazza principale di Ariccia.

    La cittadina — nella forma popolare La Riccia, onde il nome degli abitanti Ricciardi — è disposta su uno stretto sprone formato da peperino sormontante una colata di lava, che si allunga come una penisoletta tra l’antico cratere di Valle Ariccia e un minor valloncello, onde il caseggiato è costituito da un’unica punta sboccante nella Piazza della Repubblica, centro del paese. Visto da lontano l’abitato sembra perciò quasi sospeso su questo sprone ben soleggiato — pendula Arida al sole — come la designò D’Annunzio. La notorietà ch’ebbe Ariccia nell’antichità (Aricia, città latina), si oscura nell’età media durante la quale fu dei Conti di Tuscolo, poi di diversi feudatari finché passò ai Savelli di Albano dai quali l’acquistarono i Chigi nel 1661. Del secolo XVII è il grandioso palazzo, o almeno il completamento di esso sulla traccia del castello baronale dei Savelli, del secolo medesimo la bella chiesa e le due graziose fontane della piazza, armonico insieme seicentesco, quasi chiuso in sé prima della costruzione del ponte. Ma in quel secolo Ariccia non aveva neppur 1000 ab. e oscillò fra i 1300 e i 1400 fino alla metà del secolo XIX; era dunque una borgata i cui abitanti si occupavano essenzialmente della coltura della vite. Dopo l’unione all’Italia la popolazione crebbe: 2401 ab. nel 1871, 3524 nel 1901, 5129 nel 1931, 7122 nel 1951. L’abitato si è molto espanso, ma, non essendovi posto nel ristretto sprone originario e sui suoi ripidi fianchi, ha dato luogo ad una gemmazione presso il Santuario del Galloro e sull’ameno colle che lo fronteggia: è Ariccia Nuova, che l’Appia raggiunge dopo aver sormontato due minori viadotti (5579 ab. nell’insieme dei due centri che il censimento 1951 non distingue); minori nuclei sono dispersi nel comune (7942 ab. nel 1961).

    Genzano, Nemi e Velletri

    La Via Appia prosegue dal Galloro con un bel viale pianeggiante e raggiunge Genzano, un’altra cittadina dei Colli Laziali, che ha peraltro un aspetto diverso da tutte le altre finora descritte. L’abitato, dalla piazza principale sull’Appia a circa 435 m. di altezza, si arrampica sulla pendice esterna della cinta craterica del Lago di Nemi con tre strade in ripida salita convergenti a 480-85 m. sul ciglio di quella cinta che scende a picco sul lago. Questa struttura è in relazione col fatto che Genzano è un centro fondato per opera dei Cistercensi delle Tre Fontane nella prima metà del secolo XIII poi rinnovato dai Cesarini ed ha perciò una pianta almeno in parte predisposta. Appartenne al solito, con varie vicende, a diversi feudatari: primi gli Orsini, poi i Colonna, i Savelli, i Massimo, da ultimo gli Sforza-Cesarini, che eressero i più cospicui palazzi e la chiesa di S. Maria della Cima nella parte alta del paese.

    Genzano aveva nel 1656 poco più di 500 ab., cresciuti a 1200 circa nel 1701 e a poco meno di 2000 nel 1782. Il notevole aumento è dovuto all’opera degli Sforza-Cesarini che contribuì a farne un luogo di villeggiatura frequentato; esso continuò con ritmo regolare fino ai 4850 ab. del 1853, ai 5306 del 1871, ai 7376 del 1901, ai 10.319 del 1951, e ciò nonostante i non lievi danni subiti dai bombardamenti nell’ultima fase della recente guerra. Ed è da notare che dei 10.000 e più ab. del 1951 (12.727 nel 1961), ben 9359 sono assegnati al centro, che, come tale, segue da presso Frascati e Albano.

    Nemi.

    Genzano è noto per la « Infiorata » che si effettua nella festa del Corpus Domini, allorché, sul percorso di una processione, la strada viene adornata con aiuole, pannelli, stemmi, ecc. composti con fiori combinati nelle più varie tinte.

    Poco oltre Genzano si diparte dall’Appia la strada che lungo il lago conduce a Nemi, il più piccolo, ma il più pittoresco dei Castelli Romani, arroccato su uno sprone di lava che cade a picco sul lago. Il serrato gruppo di case è dominato dal castello con la sua torre rotonda, che fu già sede dei Conti di Tuscolo e successivamente dei Cistercensi, dei Colonna, degli Orsini, dei Ruspoli. Solitario paese (1296 ab. nel 1951 e 1342 nel 1961) deve la sua fama all’incantevole posizione, tra folte macchie, non meno che alla coltura dei fiori inviati anche all’estero, ed a quella delle fragole, gli uni e le altre maestrevolmente coltivati nelle irrigate pendici scendenti al lago. Il suo isolamento, quasi assoluto quando lo visitò Pio II che ebbe a designarlo come « domicilio delle muse e delle ninfe », fu attenuato dalla costruzione della strada testé menzionata ed ora anche dalla recente magnifica Via dei Laghi che congiunge Marino con Velletri diramando un tronco a Nemi.

    Velletri può dunque ora raggiungersi per questa nuova via, ma vi arriva anche da Genzano l’Appia snodandosi sulle pendici rivestite di macchia che discendono verso la pianura. Si lascia a destra Lanuvio, già Civita Lavinia, che consta di un borgo medioevale cinto da mura con torri cilindriche e di una parte moderna, quasi interamente ricostruita dopo le distruzioni subite per bombardamenti ed incursioni aeree nella passata guerra. Gli abitanti sono oggi circa 4500 (3846 nel 1951).

    Vedi Anche:  Tradizioni popolari di Roma e del Lazio

    Velletri è, come si è già detto, il più popoloso centro dei Colli Laziali. Sorge a circa 350 m. sul mare, su una lunga dorsale alla cui forma si è modellato il caseggiato che ha un’arteria principale svolgentesi sull’asse della dorsale da Porta Romana a Porta Napoli; al centro è la Piazza del comune sul sito dell’antica arx. Per la sua posizione Velletri ha il controllo della Via Appia ed anche della strada, che, attraverso la soglia fra i Colli Laziali e i Monti Lepini, conduce dall’Appia alla valle del Sacco. Come si è già detto, Velletri prima di essere municipio romano, fu città volsca e forse prima ancora etnisca; il volsco vi si parlava ancora nel secolo III, e l’incorporazione nella Repubblica Romana avvenne dopo alterne fasi di contrasti, ribellioni e assoggettamenti. Della Velletri medioevale abbiamo al solito notizie lacunose: si sa che nel secolo V soffri per le devastazioni dei Visigoti, che fu per qualche tempo città imperiale sotto i Bizantini, poi quasi sempre legata alla Santa Sede dalla quale ebbe appoggi e privilegi: Gregorio IX, salito al pontificato nel 1227, staccò anzi Velletri dalla dipendenza da Roma e la pose alle dirette dipendenze del Papa, favorendone le istituzioni comunali. Fu questo il periodo di maggior fiorire di Velletri, che ebbe chiese, conventi, monumenti vari di gran pregio, quasi tutti peraltro restaurati o rinnovati in epoche più tarde.

    Velletri. Panorama dal Palazzo del comune.

    Velletri.

    Decaduta durante il periodo avignonese, che la vide di nuovo soggetta a Roma, riebbe la sua autonomia dopo il ritorno dei Papi. Nel 1656 aveva già intorno a 6000 ab., cresciuti a 10.000 e più nel 1701. Il secolo XVIII rappresenta anche per Velletri un periodo di stasi o di decadenza demografica: dopo una flessione, la città risale a 10.500 ab. nel 1782.

    A più riprese, a causa della sua posizione su una delle più comode vie di comunicazione tra il Napoletano e Roma, Velletri fu anche nei secoli XVIII e XIX teatro di scontri e di moti sanguinosi. Sotto la Repubblica Romana la città fu inclusa nel dipartimento del Circeo; sotto Napoleone fu sede di sottoprefettura, ma al ritorno del Pontefice, nella riorganizzazione attuata nel 1816, fu nuovamente posta sotto la diretta giurisdizione del cardinale decano; la sua popolazione era allora discesa a 9744 abitanti. Nel 1856 gli abitanti erano saliti a 13.474 ab-, nel 1871 a 16.310. Da allora l’incremento è rapidissimo: 18.734 ab. nel 1901, 25.163 nel 1921, 30.173 nel 1931. Ma non si deve trascurare il fatto che queste cifre si riferiscono al comune, che comprende un territorio molto vasto, magnificamente coltivato, con prevalenza del vigneto e pullulante di case sparse in campagna, cosicché meno della metà della popolazione del comune è raccolta nel centro urbano. E la florida cittadina, una delle più graziose del Lazio, tanto ricca di opere d’arte fu, come è noto, orrendamente devastata da ripetuti, feroci bombardamenti tra l’8 settembre 1943 e il 2 giugno 1944. I quattro quinti delle costruzioni furono distrutti o danneggiati e tra essi, irrimediabilmente, alcuni dei più insigni edifici, come il Palazzo Ginnetti, orgoglio della città. Ora questa è stata interamente ricostruita, ma la sua faccia è mutata per la comparsa di grandi edifici moderni, e per l’espansione dell’abitato a ovest e a sudest lungo l’Appia dove si sono formati sobborghi in sviluppo. Centro della cittadina è la Piazza Cairoli, dominata dalla Torre del Trivio, dove fanno capo i servizi pubblici. Il censimento del 1961 dà al comune 40.053 ab.; ma di essi (nel 1951), solo 15.329 in città (oggi intorno ai 20.000); il resto in un minor centro (Lariano), in sette o otto modesti nuclei e più di 18.600 ab. sparsi, cioè oltre il 53%, una percentuale che rarissimamente è raggiunta altrove in tutto il Lazio.

    Montecòmpatri ed i centri vicini

    Il gruppo di centri posti sulle pendici nordorientali dei Colli Laziali ha avuto finora minore sviluppo: vi si accede per una bella strada che da Frascati sale dolcemente svolgendosi tra bei boschi, poi discende sull’Autostrada del Sole e sulla Casilina. A 5 km. da Frascati, Monte Porzio Catone, in posizione splendida sull’alto di un poggio (450 m.) tutto rivestito da ulivi, si raccoglie intorno al grande Palazzo Borghese: menzionato già nel secolo XI (e il nome sembra gli derivi da quello della gens Porcia che vi aveva una villa), fu ricostruito nel secolo XVI da Gregorio XIII su pianta abbastanza regolare. Nel 1951 aveva 2367 ab. e un po’ più di 3000 nel comune (3367 nel 1961). Due chilometri più avanti è Montecòmpatri adagiato su uno sprone di tufo, limitato tanto ad ovest che ad est da ripide pendici: l’abitato risale dalla piazza nella quale si allarga la strada proveniente da Frascati (530 m.) alla piazza più alta (583 m.) dove è la chiesa dell’Assunta, e nella parte più antica ripete la forma circolare del poggio con strade a quella piazza concentriche; nel 1951, 4503 ab. e 5575 al 1961 nell’intero comune, che si stende in basso nella circostante campagna.

    Da Montecòmpatri si sale per una strada, snodantesi tra superbi castagneti, a Rocca Priora, il più elevato dei Castelli Romani (768 m. nel punto più alto) e quello che ha meglio conservato il primitivo aspetto di abitato medioevale; è situato in un punto culminante della cinta craterica esterna, onde dalla vasta, ben sistemata piazza dominata dal grande castello si gode uno dei più ampi fra i molti panorami offerti dai Castelli. Il castello fu eretto dai Savelli che la tennero dal secolo XIV alla fine del XVI. Aveva circa 3000 abitanti nel centro (1951) e 3516 nel comune (4054 ab. nel 1961).

    Tutte le pendici intorno a Montecòmpatri e sotto Rocca Priora, amenissime, si vanno popolando di ville, luoghi di cura, istituti religiosi (alcuni di essi antichi e rinomati), onde il paesaggio, per l’innanzi raccolto e un po’ severo, si va vivacemente animando.

    La strada da Montecòmpatri discende lasciando in basso Colonna (347 m.), il . più periferico dei Castelli Romani, feudo dei Colonna già menzionato nel secolo XI, e sbocca a San Cesáreo, prima sull’Autostrada del Sole e poi sulla Casilina. Questa località, che ha ormai l’aspetto di cittadina e conta già un migliaio di abitanti, non è peraltro un « castello » e la sua origine è recentissima, ma merita di essere menzionata. Fino a trenta o quarantanni fa era qui un povero gruppo di capanne abitate nella buona stagione da gente del vicino Lazio calcareo (Rocca di Cave, Capránica Pre-nestina) che trovavano occupazione nei lavori estivi; poi finirono con lo stabilirvisi permanentemente ed in un certo senso abusivamente. Per togliere questo sconcio quasi alle porte di Roma, si costruirono casette fornite dei necessari servizi, e vi si trasferirono i capannicoli, in più casi forzatamente, come restii a lasciare le loro vecchie abitudini. Così sorse il primo nucleo di San Cesáreo, cresciuto poi per la posizione su un incrocio di vie oggi frequentatissime, particolarmente dopo l’apertura al traffico della più volte ricordata autostrada. E vai la pena di ricordare che la stessa trasformazione hanno subito altri due nuclei alle falde orientali dei Colli Laziali, Car-chitti e Colle di Fuori, già miserabili gruppi di capanne, oggi lindi villaggi con chiesa e scuole. Ricordi di un recente passato, esempi di come si venga modificando il paesaggio umano di questa regione.

    E la trasformazione del paesaggio laziale continua sotto i nostri occhi. La vecchia Via Latina inoltrandosi da Grottaferrata entro l’atrio tra la cinta craterica centrale e quella esterna, percorreva fino a dieci anni fa una regione deserta, coperta da pascolo o da macchie, la valle della Molara, senza incontrare che un castello diroccato, il Castellaccio della Molara; il percorrerla era, già nei secoli XVI e XVII, considerato non privo di pericoli per la presenza di briganti. Oggi la via — seguendo le tracce dell’antica Via Latina, della quale restano cospicui avanzi del selciato — trasformata in buona strada asfaltata è percorsa da servizi automobilistici pubblici e fiancheggiata da ville, trattorie, ecc. Del pari la parte meridionale dell’atrio, tra le pendici di Monte Cavo e l’Artemisio, era fino a pochi anni fa disabitata e messa a pascolo (i « Pratoni » di Nemi); vi si scorgevano solo le primitive capanne coniche dei pastori e i recinti per le pecore. Oggi non rimangono nei Pratoni che scarsi lembi a pascolo; si estendono le colture, soprattutto di fiori e ortaggi, è scomparsa fino l’ultima superstite capanna, sorgono ville e masserie; un centro residenziale si costituisce al Vivaro, una buona strada sostituisce anche qui la vecchia malagevole carrareccia allacciandosi alla Via Latina nel punto più depresso dell’atrio, la Doganella occupato per l’addietro da un laghetto o pantano, ora prosciugato e messo a coltura. La Via Latina esce dall’atrio per una slabbratura a sudest e scende nella valle del Sacco.