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Roma e l’agro romano

    Roma e l’agro romano

    Posizione della Roma primitiva

    Roma, capitale del Lazio e dell’Italia, è sorta sul Tevere, a circa 25 km. dal Tirreno, anzi a meno di 20 da quella che era presumibilmente l’unica foce del fiume nell’età regia, in mezzo ad una pianura ondulata, solcata da numerosi fossi che la incidono talora profondamente, mentre il Tevere divaga in frequenti, mutevoli meandri nel suo fondovalle, che è largo tanto a monte che a valle della città circa 2-3 km., dei quali tuttavia le acque occupano normalmente solo l’impluvio centrale. Ma, come già si è visto, a causa del regime irregolare del fiume, le inondazioni furono sempre frequenti e costituirono attraverso i secoli, fino all’esecuzione di moderne opere di regolazioner pericoli temuti. Se non che in un punto singolare, già precedentemente segnalato, il fondovalle si restringe a meno di un chilometro, perchè vi si affacciano a destra le colline di Monte Mario, del Vaticano, del Gianicolo, di Monteverde, a sinistra le modeste alture costituite da materiali provenienti dall’apparato vulcanico dei Colli Laziali, ricoperte talora da depositi fluviali o di spiaggia. Sono queste alture — i tradizionali Sette Colli — le estreme propaggini dell’espandimento vulcanico laziale, rotte e quasi spezzettate dall’erosione di minuscoli fossi, in modo da costituire ristretti lembi rilevati a pendii ripidi, ma a sommità piuttosto spianate. E difficile ricostruire quale fosse la fisonomía originaria di questa ristretta area, perchè l’uomo l’ha interamente modificata, in più di due millenni e mezzo, da quando vi si insediò coi primi nuclei di capanne: dobbiamo immaginare alture molto meglio individuate delle attuali e più emergenti dal fondovalle; bassure più affondate e in parte acquitrinose. Le tre alture più vicine al Tevere erano quelle che la primitiva storia di Roma conosce coi nomi di Aventino, di Palatino o Palatual — con una sua terrazza più bassa, il Germalus — e di Capitolimi!. Tra Palatino e Aventino una valle-cola affluente al Tevere, la Valle Murcia, tra Palatino e Capitolium una bassura acquitrinosa nella quale stagnavano le acque del fiume, il Velabrum, e nell’interno, in prolungamento ad essa, una valletta, l’Argiletum con un laghetto, il Lacus Curtius. Fondi di capanne a pianta ellittica o rettangolare risalenti all’età del ferro furono trovati sul Germalus; sono i resti di un villaggio primitivo, ma altri ne esistevano probabilmente nella regione. Ci dobbiamo immaginare, nel più remoto aspetto di questo lembo di terra, quale lo possiamo ricostruire, piccoli villaggi, o meglio gruppi di capanne, sulle pendici di quelle alture o sulle platee culminali, intramezzate da macchie, da boscaglie di querci, di lecci, di faggi, e da spazi pascolativi: bosco e pascolo hanno di fatto una funzione di prim’ordine nella più antica storia di Roma.

    Roma. Un tratto delle mura aureliane.

    Roma. Un angolo del Palatino.

    « Erano gruppi di capanne, addensati e probabilmente disordinati, sul tipo di molti villaggi dei popoli odierni a civiltà primitiva; si seppellivano i morti lontano dall’abitato, spesso in prossimità delle valli, dove frequentemente ristagnava l’acqua dei vari torrentelli e del Tevere stesso; terrapieni di fortificazione si costruivano nei punti deboli. La conformazione geografica dettò il tracciato di sentieri, poi di vie, come quelle che risalivano le valli nel senso della loro lunghezza per sfruttarne la minima pendenza (via Sacra, Argileto, vicus Patricius) o quelle che seguivano gli itinerari delle piste extraurbane che portavano nei paesi confinanti (talune anzi poterono essere preesistenti alla città): nessun chiaro disegno urbanistico dunque, ma una struttura obbligata dal terreno» (i).

    (i) F. Castagnoli, Roma antica, in Topografia e urbanistica di Roma (nella collana «Storia di Roma», dell’Istituto di Studi Romani), voi. XXII, Bologna, 1958, p. 15.

    Ma Roma ancora non era. Secondo una tradizione, venerabile se non altro per la sua vetustà, Romolo ne tracciò il solco perimetrale, sul Palatino, scelto perchè offriva, sulla platea culminale uno spazio un po’ più ampio, dandole figura quadrata; e col nome di Roma quadrata la designarono le fonti antiche. Ai piedi correva il Tevere — e il nome Roma si ricollega forse a quello antico del fiume, Rumon — le cui acque esondanti stagnavano ivi nel Velabro, che avrebbe visto la barca recante i due gemelli sospinta fuor dalla corrente fluviale fino alle radici del Palatino (il nome sopravvive nell’antichissima chiesa di San Giorgio in Velabro risalente forse al VI secolo). Poco più tardi la Roma quadrata ebbe la sua arx nel colle Capitolino, l’altura più alta e più ripida, che perciò meglio si prestava a difesa e ciò rese necessario il prosciugamento delle bassure interposte fra Campidoglio, Palatino ed Aventino — il Velabro, l’Argileto, ecc. — onde l’imponente opera della Cloaca Massima risalente ad età antichissima (la tradizione ne attribuisce la costruzione ad artefici etruschi del tempo dei Tarquinii), più volte ampliata e rinnovata; ad essa confluirono più tardi altre cloache minori eseguite per prosciugare il sottosuolo; altre sfociavano direttamente nel fiume. Nel più vasto spazio bonificato si costituì il mercato, o il centro degli affari, il Foro.

    Le favorevoli condizioni geografiche del sito di Roma meritano di essere ribadite. Oltre alla presenza di collinette facili a difendersi, esso presentava quello dell’agevole passaggio dall’una all’altra riva del Tevere, per la presenza di un’isola fluviale interposta — l’insula Tiberina — che non è tutta di formazione alluvionale. Più d’uno studioso ha anzi rivelato l’importanza presto assunta da Roma come centro di guado, cui convergevano strade da più parti. Inoltre il Tevere poteva essere risalito dalle navi di allora fino in città: aveva perciò i vantaggi della situazione marittima, senza averne gli svantaggi (attacchi improvvisi e inattesi di nemici dal mare) e ciò rileva con efficaci parole Cicerone al principio del II libro del De república (i). La pianura nelle immediate vicinanze di Roma offriva poi ampi spazi pascolativi, preziosi in un’epoca nella quale la pastorizia era ancora, come si è detto, la base fondamentale della vita economica.

    La topografia della regione dove è sorta Roma.

    Le prime mura di Roma.

    In virtù di queste condizioni favorevoli — anche se non di queste sole — Roma si estese dai primi tre colli, Palatino, Aventino e Campidoglio, ad altri più vicini — la Velia, il Fagutal, il Cispio, l’Oppio, il Querquetal — o meglio acquistò la preminenza sui villaggi, su quelli costituiti: si formò così il Septimontium, che pare fosse in origine una lega con centro politico-religioso sul Palatino.

    Un successivo stadio di ampliamento della città è collegato al nome di Servio Tullio; egli avrebbe diviso Roma in quattro regioni, cui corrispondevano quattro tribù, e l’avrebbe cinta di mura, quelle che più tardi furono appunto conosciute col nome di « mura serviane » e delle quali restano tuttora notevoli avanzi. La città delle quattro regioni si estendeva su una superficie di circa 285 ha. ; Roma appare, pertanto, già molto grande per il VI secolo, ma deve considerarsi che includeva ancora aree non costruite, spazi occupati da boschetti e anche da acquitrini, specie nel luogo dove più tardi sorse il Colosseo. Il Campidoglio, come pure l’Aventino, non erano compresi nell’area propriamente urbana, perchè adibiti a fortezza e ad area di culto. Ma la cinta muraria attribuita a Servio Tullio è certamente posteriore all’incendio gallico (dei danni recati da questo a Roma non sappiamo nulla di concreto), e ci indica perciò l’estensione che la città aveva raggiunto alla metà del IV secolo. Il percorso delle cosiddette « mura serviane », indicato dalla cartina annessa, si stendeva per quasi 11 km. ed abbracciava un’area di ben 426 ha., comprendendo il Campidoglio, il Quirinale, il Viminale, gran parte dell’Esquilino, il Celio, l’Aventino, il Palatino. Roma veniva così ad essere la più grande città d’Italia e superiore alla stessa Atene.

    La Via Sacra e il Foro Romano.

    L’abitato doveva però avere ancora un aspetto molto modesto: le case erano di legno o di mattoni; di pietra solo dal IV secolo in poi i templi, non lastricate le strade; un’unica vera piazza, il Foro. Dai templi, dei quali la solidità del materiale consentì un’altezza maggiore, la città doveva derivare un aspetto nuovo; le fonti ce ne nominano nel corso del III secolo almeno una ventina.

    Dalla fine di quel secolo data il periodo di maggiore splendore di Roma, che dura fino all’età dei Severi ed oltre; ma qui non possiamo seguirne le vicende edilizie.

    Fattori geografici favorevoli

    Giova invece accennare ad altri fattori geografici che direttamente o indirettamente favorirono l’ulteriore espansione della città, divenuta ormai centro di uno Stato. Se fin dai primordi essa aveva assunto le funzioni di baluardo a difesa della gente latina verso gli Etruschi occupanti il territorio sulla destra del fiume, Roma si giovò pure in progresso di tempo della vicinanza di quel popolo di alta civiltà e ne apprese molti e vari elementi culturali; molto presto si avvantaggiò delle facili comunicazioni con l’Italia centrale per la via naturale della valle dell’Aniene che confluiva alle porte della città, e delle comunicazioni con la Campania per la valle del Sacco e per la via corrente alla base dei Lepini (l’Appia) ; si affacciò all’Umbria espandendosi lungo il solco del Tevere, e consolidando a poco a poco, non senza ostacoli, il suo dominio sulle genti montane dell’Appennino, su alcune delle quali forse sin da tempo antico aveva esercitato una sorta di protettorato economico in quanto poteva consentire loro di utilizzare i pascoli della Campagna Romana per condurvi le gregge d’inverno secondo un’abitudine, che trae origine da condizioni geografiche e risale ad una remota antichità.

    Ed ebbe Roma anche una vita commerciale basata su intensi traffici marittimi. Conquistata sugli Etruschi già in epoca lontanissima tutta la riva destra del Tevere, dalla foce dell’Aniene al mare, ebbe quivi presto un porto (la tradizione ne attribuisce la prima costruzione all’età regia, anzi in particolare ad Anco Marzio) donde le navi recavano prodotti di prima necessità — tra questi soprattutto il sale che da Roma proseguiva poi verso l’interno della Penisola per l’antica Via Salaria — in quantità sempre crescenti, man mano che il raggio dei traffici si estendeva attraverso il Tirreno, dove Roma dal II secolo non ebbe più rivali, e poi più oltre attraverso i mari limitrofi.

    Evoluzione geologica del territorio dove è sorta Roma

    Sviluppo di Roma

    Con l’ampliarsi della città si venne sempre più delineando una differenziazione di quartieri : quartieri popolari ad abitazioni intensive l’Aventino, che aveva avuto sempre una posizione a sè, un po’ appartata, e il Celio; quartieri di artigiani e piccoli commercianti, come la Subura a stretti vicoli, il Vicus Tuscus; quartieri aristocratici con lussuosi palazzi il Palatino, quartieri di ville con giardini (horti), il Viminale, il Quirinale e, più lontano dal centro, il Pincio. Ville erano anche sulla destra del Tevere sotto il Gianicolo, dove solo assai tardi si venne formando un sobborgo : due ponti attraverso l’isola Tiberina e un altro subito più a valle lo congiungevano alla città.

    Rinnovamenti edilizi si ebbero di frequente in conseguenza di incendi e terremoti, nel 241, nel 213, nel 210, nel 192 (terremoto e incendio), nel 178, nel 111, ecc. Rinnovamenti importanti si debbono a Siila, poi a Cesare, che ingrandì e abbellì il Foro, e ne costruì un altro, demolendo un quartiere di casupole; ma soprattutto artefice di complesse opere di rinnovamento fu Augusto, che, prossimo a morte, potè vantarsi di aver trovato una Roma di legno e di mattoni e di averla lasciata di marmo. Nuovi fori, templi e basiliche, lunghi porticati, giardini sui colli come l’Esquilino e soprattutto il grande complesso delle costruzioni nel Campo Marzio, pianura fino allora non occupata dal caseggiato, che dovevano suscitare l’entusiastica ammirazione di Strabone, anche per la vivacità dei giuochi, delle gare, degli esercizi ginnastici, cui il Campo era principalmente adibito. Li presso l’Ara Pacis ricordava le imprese di Augusto a vantaggio della pacificazione dell’Impero; poco lontano, nella Porticus Vipsania, la grande mappa dell’Impero, l’Orbis Pictus, fatto incidere nel marmo da Agrippa, mostrava ai cittadini la sterminata estensione dei territori soggetti a Roma.

    Nel 64 d. C. si verificò l’incendio detto di Nerone, durato ben nove giorni, con conseguenze così disastrose quali non si erano avute neppur lontanamente nei precedenti incendi, dalla catastrofe gallica in poi. Dei danni arrecati si hanno copiose testimonianze; bruciarono tutto il Palatino e due terzi della città (almeno 4000 isolati e numerosi palazzi), incalcolabili le vittime umane. Altri incendi si ebbero nel 69. La restaurazione della città fu benemerenza dei Flavii, soprattutto di Vespasiano, di Traiano, di Adriano, di Antonino Pio. La fisonomia della città dovè mutare notevolmente, anche perchè lo stile architettonico prediletto da Augusto non era più molto in voga. L’area urbana si estendeva sempre più; l’abitato di là dal Tevere veniva prendendo consistenza di sobborgo. Presso di esso si elevò isolato il mausoleo di Adriano.

    Veduta del Campidoglio sul Foro Romano. In primo piano, il Tempio di Saturno. In fondo, il Colosseo.

    Roma nell’età imperiale

    La massima estensione della città è rappresentata — in epoca nella quale l’incremento dell’edilizia era già ormai in stasi — dalla cinta di mura che Aureliano (270-75) fece costruire contro l’incipiente minaccia delle invasioni barbariche e che tuttora quasi intatte si adergono sotto i nostri occhi. Esse hanno un perimetro di 18,850 km. e abbracciano un’area di 1372 ha.; vi si aprivano 13 porte.

    La cinta abbracciava almeno dai tempi di Vespasiano, anche i quartieri di Trastevere. La città era ripartita, sin dall’epoca di Augusto, in quattordici regioni, divisione che si perpetuò nel Medio Evo e dette poi origine a quella, tuttora vigente nella vecchia città, in rioni. L’abitato si estendeva poi già alquanto fuori delle mura, in corrispondenza ad alcune porte ed alle vie consolari che se ne diramavano.

    La struttura interna della città era influenzata, come fu sempre ed è tuttora, dalle caratteristiche del rilievo cui l’abitato dovette adattarsi, anche se sino da allora alcune alture furono abbassate e soprattutto colmate parzialmente alcune delle interposte bassure o vallecole. Alle irregolarità del rilievo si adattava anche la rete delle strade principali: ad esempio la Via Sacra dal Campidoglio scendeva al Foro, e di qua risaliva sulla breve soglia ove si aderge l’arco di Tito per poi discendere al Colosseo; la dorsale del Quirinale era percorsa da una strada elevata detta alta semita, ecc.

    I mercati traianei

    Si erano moltiplicate le abitazioni signorili — domus — occupate da famiglie singole (1790 ne annovera un regionario del IV secolo); esse preferivano le colline, Quirinale, Celio, Esquilino, ecc.; il Palatino era quasi tutto riservato ai palazzi imperiali. Su gran parte del Palatino, ricco di giardini, e su un’area del Celio, Nerone elevò la Domus Aurea. Ma la massima parte del caseggiato era costituito da costruzioni popolari, o insulae: erano blocchi di abitazioni a più piani, la cui altezza era anzi venuta sempre crescendo (Augusto ne aveva limitato l’altezza a 70 piedi, ossia m. 20,85), ciascuno dei quali ospitava numerose famiglie; 46.620 insulae conta il regionario testé menzionato. Tra queste insulae si insinuavano vie (vici) in genere assai strette (la larghezza di 6 m. era già notevole); non mancarono da parte di taluni imperatori, da Augusto in poi, sventramenti effettuati anche per migliorare la viabilità, ma a ciò si opponeva l’alto prezzo dei terreni. Alcune strade più larghe si chiamavano vie (Via Sacra), ma questo nome era per lo più riservato alle strade extraurbane. Clivi erano le vie in salita; non mancavano vie a gradinata (scalcio) e vicoli ciechi (angiportus). Le piazze o fori erano diventate più numerose: uno degli ultimi costruiti, il Foro Traiano era, come ancora può vedersi, di dimensioni grandiose; ma essi erano circoscritti nell’area centrale della città; altrove vi erano piazze o slarghi davanti ai templi che costituivano pur sempre una delle caratteristiche che davano vita alla città. Ma nei quartieri commerciali numerose e vivaci erano anche le botteghe (tabernae).

    Di ponti sul Tevere il più antico menzionato è il Sublicio, di legno (sublica palizzata) che la tradizione attribuisce ad Anco Marzio; del 179 a. C. è il ponte Emilio poco più a nord; nel I secolo a. C. si ha sicura notizia dei due ponti — Cestio e Fabricio — che allacciano l’isola Tiberina, dove tuttavia, come si è detto, doveva esistere un guado o passaggio sin da tempo molto più antico. Un ponte fu costruito da Agrippa non lontano dall’attuale Ponte Sisto, un altro più a monte da Nerone, e li accanto ancora un altro ponte, il ponte Elio costruito da Adriano per accedere al suo mausoleo. Altri ponti di incerta ubicazione, si attribuiscono a Marco Aurelio, Valentiniano, Probo e Teodosio.

    Il Tevere con la chiesa di San Pietro e Castel Sant’Angelo.

    Via dei Fori Imperiali con il Colosseo.

    Roma. Veduta area dell’isola Tiberina e dei ponti sul Tevere.

    Le Terme di Caracalla

    Attiva era, come si è detto altrove, la navigazione sul Tevere: sulla sinistra vi era un porto commerciale con banchine per l’approdo delle navi alla piazza del mercato del bestiame (Foro Boario); ma un più importante scalo era ì’Emporium, a valle dell’Aventino. Un porto militare era al Campo Marzio. Più di uno scrittore accenna all’intenso movimento fluviale in occasioni eccezionali, come nel 167 a. C. allorché arrivò su una nave di grandi dimensioni, Paolo Emilio con le spoglie della guerra macedonica.

    E sulla riva sinistra era tutto un succedersi di costruzioni per le necessità del traffico; sulla destra non mancavano invece ville e anche stabilimenti per bagni, sotto il Gianicolo.

    Un altro elemento caratteristico dell’urbanistica romana erano gli acquedotti (già ricordati nel Cap. IV), dei quali il primo fu l’Acqua Appia, costruito nel 312-11 a. C. ; all’epoca di Nerva, quando Frontino scriveva la sua opera, De aquae ductu urbis Romae, ve n’erano altri otto, tra i quali alcuni derivati già dall’Aniene; altri due se ne aggiunsero dopo. Oggi noi ne ammiriamo gli imponenti ruderi nella Campagna Romana, ma essi correvano anche in città, entrandovi dalle parti più elevate e sormontando le valli e le bassure con spettacolose serie di archi. L’Acqua Vergine dal Pincio al Pantheon correva su archi superbamente decorati; l’Acqua Claudia dalla Via Prenestina (presso Porta Maggiore) al Palatino correva entro un’altra mirabile successione di arcate delle quali si conservano tuttora alcuni avanzi. L’acqua recata a Roma in grande abbondanza, alimentava anche numerose e grandiose fontane, un elemento caratteristico del quale la città dall’età antica in poi non mancò mai.

    Altri caratteri importanti dell’edilizia urbana erano i portici, gli archi di trionfo, le terme, le costruzioni per pubblici spettacoli — il Colosseo! — le biblioteche, ecc.

    La vastissima città doveva apparire imponente vista dall’alto, ad esempio, dal Gianicolo (o da Monte Mario) : « Hinc septem dominos videre montes – Et totam licei aestimare Romam… », come scrive Marziale (IV, 64).

    Gli abitanti di Roma nell’Evo antico

    Via quanti abitanti ebbe Roma nei vari momenti dell’Evo antico? Il difficilissimo problema non ha avuto soluzioni concordi da parte dei numerosi studiosi moderni che lo hanno affrontato; e per verità elementi sicuri non si posseggono: i non molti dati possono essere differentemente interpretati. Quest’affermazione può arrecar meraviglia perchè si sa che a Roma si eseguivano regolari censimenti, a partire da età molto antica (il primo è del 508 a. C.), fino a Vespasiano (47 d. C.) ; più tardi non ne vennero più effettuati. Ma tali censimenti, dapprima dei soli maschi adulti, comprendevano non la sola città, ma l’intero territorio romano, entro limiti variabili da epoca ad epoca e ben difficilmente determinabili.

    Il mausoleo di Augusto e 1’« Ara Pacis ».

    La popolazione della città subì certo notevoli fluttuazioni, anche per cause di ordine naturale, terremoti, incendi (casuali o provocati), inondazioni. Di queste ultime, delle quali abbiamo altrove indicato le più gravi, furono forse sottovalutati gli effetti disastrosi : si deve tener presente che le parti più basse della città erano allora ad un livello assai inferiore all’attuale (come dimostrano le platee del Foro Romano, del Traiano, del Pantheon, ecc.) e in queste parti basse la popolazione spesso si stipava in insulae affollatissime.

    Ma più influiva il movimento migratorio. Il De Sanctis valuta già a 100.000 ab. la popolazione di Roma nell’età di Pirro, ma la cifra appare forse esagerata. Grandi immigrazioni si ebbero dal principio del II secolo da parte di Latini, che venendo ad abitare a Roma, godevano di speciali diritti ; poi nell’età graccana e sillana e sotto Cesare, a causa delle distribuzioni di grano alla plebe. Leggi che attestano preoccupazioni di sovraffollamento si hanno già nel II secolo avanti Cristo. Cominciano allora gli sfollamenti conseguenti alle fondazioni di colonie: alcune delle leggi che le disciplinavano fanno esplicito cenno alla necessità di alleggerire la pressione demografica in città, come fa giustamente rilevare il Castagnoli. I calcoli del Beloch, che ancora si ritengono da molti i più attendibili, fanno ascendere la popolazione a 400.000 ab. nell’età di Siila, a 800.000 ab. nel corso dell’Impero di Augusto. Alcuni arrivano per quest’epoca fino a un milione. Vi è poi dubbio sul numero degli schiavi: 280.000 secondo il Beloch, che sarebbero compresi nella sopraindicata cifra totale, al pari dei peregrini. Il Beloch ritiene ancora che fino all’età di Costantino la popolazione rimanesse press’a poco invariata; ma altri autorevolissimi studiosi (per es., Lugli) pensano che all’età di Diocleziano si fosse superato un milione e un quarto di abitanti, il che, calcolando l’area entro le mura aureliane, darebbe una densità media di circa 900 ab. per ettaro! (1).

    Roma nell’età di mezzo

    In ogni modo fino agli inizi del IV secolo la popolazione non era certo molto diminuita. Ma nel VI secolo Roma era già spopolata: Cassiodoro segnalava il contrasto tra l’ampiezza della città entro le sue mura con le sue terme, gli anfiteatri, i fori, e il numero ridotto degli abitanti : « Testantur enim turbas civium amplissima spatia mu-rorum ». Quali le cause di questa — assai rapida dunque — decadenza topografica e demografica di Roma? Prima di far parola di quelle che più comunemente si adducono, occorre accennare ad un’altra, più oscura e anche più controversa: la malaria.

    Che la malaria fosse diffusa in Italia già almeno dal V secolo a. C., che essa infierisse nella Campagna Romana anche con insorgenze epidemiche, è noto da indubbie testimonianze di scrittori latini, anche estranei all’ambiente medico, quali Catone il Vecchio, Varrone, Columella e altri; ed è noto pure che l’opinione comune ne additava come fomiti le acque stagnanti e le paludi dalle quali si diffondevano esalazioni ed anche animali propagatori del morbo. E anche ovvio che, non possedendosi allora mezzi preventivi e curativi efficaci, la malattia potesse diffondersi e causare elevata mortalità, specie in agglomerazioni molto addensate. Ma ciò che ancora è controverso è il problema se si siano alternati in passato periodi di acme della malaria e periodi di attenuazione.

    Un valentissimo studioso della storia della malaria nell’Agro Romano, Angelo Celli, da un complesso di documenti vari, accuratamente raccolti e vagliati, credette di poter desumere che durante l’Evo antico vi siano stati due periodi di recrudescenza della malaria, uno durante il IV e III secolo a. C. ed uno, più lungo, dal V al VII secolo dopo Cristo. Senza voler qui entrare nel problema generale della fluttuazione della malattia, sembra di poter dedurre da tutta una serie di testimonianze univoche, che — come vedremo meglio trattando della Campagna — effettivamente col V secolo abbia inizio un periodo infelice; ma sulle conseguenze demografiche (accresciuta mortalità, diminuzione del numero delle nascite) nulla di sicuro si conosce.

    Ma veramente il V secolo fu molto triste per Roma. Quattro volte la città fu percossa da terremoti (408, 443, 447, 470), tre volte subì gravi devastazioni, saccheggi, incendi: nel 410 per opera dei Goti di Alarico, nel 455 per l’invasione dei Vandali di Genserico, che si trattennero in città due settimane mettendo ogni cosa a sacco, nel 472 per opera delle turbe di Ricimero. Ad Olimpiodoro di Tebe, che scrisse una storia dell’Occidente dal 407 al 425, Roma appariva già come una città morta, e Procopio scrive : « Molte ortiche nascono presso le mura e in ogni dove fra i ruderi della città » (Bell. Goth., III). Vía forse le conseguenze delle incursioni barbariche sulle costruzioni urbane furono esagerate; i saccheggiatori miravano a rapinare cose facilmente trasportabili piuttosto che a rovinare edifici. Le più gravi distruzioni Roma le subì, in questo periodo del primo Medio Evo, in seguito alla guerra gotica (535-53). Il crollo del Paganesimo determinò l’abbandono e quindi la progressiva distruzione dei templi: ne sopravvissero alcuni perchè trasformati in chiese; di molti altri edifici i materiali gettati a terra furono utilizzati per restaurare case di abitazione, palazzi, per erigere torri e altre opere di fortificazioni. I visitatori del VII o dell’VIII secolo contemplavano ormai un’altra città, una cosa del tutto diversa dalla splendida città imperiale il cui ricordo, in molte delle descrizioni che possediamo, veniva in qualche modo esaltato dal contrasto con le infelicissime condizioni presenti. Impressiona soprattutto in queste descrizioni l’immagine di una città morta, vuota di abitanti. L’area era sempre la medesima entro le mura aureliane, ma molti quartieri tra i più vivaci un tempo, erano pressoché disabitati; i nuclei più vitali si spostavano verso il Laterano, sede dei vescovi di Roma, verso San Pietro dove, di là dal fiume, si estendeva il quartiere che poi alla metà del IX secolo il papa Leone IV fece cingere di mura a difesa delle incursioni di Saraceni, che con sbarchi improvvisi sulle vicine coste del Tirreno erano arrivati a saccheggiare le chiese di San Pietro e San Paolo (nell’846). Alle mura leonine fu raccordato il mausoleo di Adriano, trasformato in fortezza.

    Sviluppo topografico di Roma dal XIII al XVII secolo.

    In quel secolo e nel seguente la città sembra risorgesse alquanto dalla desolazione nella quale era caduta nel VI secolo quando la popolazione stabile si vuole discendesse a 50.000 ab. appena! Ma incursioni, saccheggi, lotte intestine si succedevano ancora, alternati con brevi periodi di vita rianimata. Nel 1084 Roberto il Guiscardo conquistò e mise ancora una volta a sacco la città ; ne soffrirono soprattutto i quartieri orientali (Celio) e meridionali (Laterano).

    Il caseggiato nel quale si concentrava la superstite popolazione stabile era costituito da costruzioni in genere modeste, separate da vie anguste; molte case avevano scale esterne, loggiati, barbacani (mignani); spesso si raccoglievano intorno ad un cortile cui dava accesso un’arcata. Le dimore signorili più cospicue erano fortificate, spesso munite di torri, di cui resta pur sempre qualche traccia: degli Anguillara, degli Annibaldi, dei Caetani, dei Pierleoni, ecc. Ad ogni passo la singolare rete stra-dale era inceppata da rovine, e intercalata da aree abbandonate e vuote. Le chiese e le torri dovevano apparire come i due elementi più cospicui a comporre l’aspetto monumentale della città.

    Un risveglio della vita urbana si verificò certo per effetto della proclamazione del Giubileo per opera di Bonifacio VIII nel 1300: esso venne a conferire un particolare, eccezionale carattere al pellegrinaggio che da ogni parte del mondo cattolico convenne a Roma, con spettacolo inusitato di folle numerose, in quell’anno centenario di generale attesa d’eventi nuovi. E tra i pellegrini fu a Roma Dante che vide le turbe dirette a San Pietro attraversare l’antico ponte Elio, poi ponte Sant’Angelo.

    Ma presto sopravvenne un nuovo eclissi, quello del periodo avignonese (1305-1377). La città, abbandonata dai Papi, si ridusse in un’area limitata tra le falde del Pincio, quelle del Campidoglio e il Tevere. Sul Campidoglio, che pur nei secoli precedenti aveva ospitato il rinnovato senato del Comune medioevale, pascolavano gli ovini, onde il nome di Monte Caprino; il Foro era designato con l’espressivo nome di Campo Vaccino; armenti e pastori si indugiavano presso il Laterano e nelle adiacenze stesse di San Pietro. Si vuole che la popolazione stabile scendesse sotto i 15-20.000 ab., ma questo dato, che pur non sembra incredibilmente basso, non è nel silenzio delle fonti suscettibile di alcun controllo.

    Ed alla servitù avignonese seguì ancora il periodo triste dello scisma di Occidente, scoppiato alla morte dell’ultimo papa avignonese, Gregorio XI; esso valse ancora ad offuscare Roma fino a quando non riuscì a Martino V di restaurare l’unità della Chiesa e restituire definitivamente all’Urbe il suo pontefice, di autentica stirpe romana (egli era un Colonna di Genazzano).

    Roma nel Rinascimento

    Da allora ebbe inizio quel rinnovamento che creò, in un periodo relativamente breve e non privo di crisi, la « Roma del Rinascimento ». La restaurazione urbanistica fu avviata dallo stesso Martino V, poi da Eugenio IV, ma soprattutto da Nicolò V (1447-55), che, tra l’altro, provvide ai bisogni idrici di Roma, riconducendovi l’acqua di alcuni fra gli antichi, diruti acquedotti: in prima linea l’Acqua Vergine, che giungeva in città con percorso in gran parte sotterraneo. Egli restaurò le mura urbane, stimolò le famiglie più cospicue a riattare i loro palazzi e a costruirne di nuovi, ampliò il Palazzo Vaticano divenuto ormai la residenza abituale del pontefice, eresse o restaurò fortificazioni, elevò, ampliò, abbellì molte chiese, ridette vita al Campidoglio. Si venne aprendo sotto Nicolò V la Via Papalis, principale arteria risultante da un seguito di vecchie vie, che congiungeva il Vaticano e il Tevere col Laterano e divenne presto la principale arteria della città; accanto ad essa la Via dei Pellegrini congiungeva pure, con percorso irregolare, il Vaticano col ponte Quattro Capi e col Campidoglio.

    La Via della Conciliazione, inaugurata nel 1950.

    I caseggiati intorno al Laterano erano rimasti ancora isolati dai nuclei centrali; vi si accedeva dal Campidoglio attraverso ruderi seminterrati e squallide rovine.

    Nicolò V formulò anche il programma di un vero e proprio piano regolatore, studiato a quanto pare da Leon Battista Alberti, ma esso non fu attuato per allora, soprattutto per mancanza di mezzi adeguati. Lo riprese, con novità di criteri, Sisto IV (1471-84), cui spetta l’appellativo di restaurator Urbis per avere ristabilito un ordine edilizio, affidandone la cura ai Magistri viarum: dai modesti ma essenziali lavori di pavimentazione stradale e dai provvedimenti per la nettezza urbana, alla chiusura dei frequentatissimi, oscuri portici, che il papa volle attuata con inflessibile rigore (tanto che ne rimangono nelle vecchie strade pochissimi esempi rappresentati da arcate chiuse), all’ampliamento delle arterie principali (in prima linea la Via Papale, ora compiuta), al restauro di monumenti, alla sistemazione di nuovi quartieri, è tutto un coordinamento di iniziative in virtù delle quali Roma diveniva « non per creazione, ma per trasformazione una città nuova del Rinascimento ». I due nuclei principali — del Vaticano con San Pietro, ormai centro religioso universale e anche centro culturale per la sua superba Biblioteca, e del Campidoglio — erano collegati; in mezzo la vasta area del mercato — Campo dei Fiori — divenuto centro del traffico col vicino Circo Agonale (Piazza Navona). Da questo quartiere centrale per un nuovo ponte, che conserva tuttora il nome di Ponte Sisto (IV), si accedeva al popoloso quartiere di Trastevere.

    I Papi del Rinascimento trascurano forse non di rado gli affari ecclesiastici, sono prima prìncipi che capi religiosi; e trascendono talora a manifestazioni di mondanità, ma fanno di Roma un centro culturale ed artistico di impareggiabile magnificenza, unico al mondo. In questo splendido periodo lavorano a Roma Mino da Fiesole, Melozzo da Forlì, Filippino Lippi, il Pinturicchio, e poi Raffaello, il Bramante, i Sangallo, Michelangelo, Giulio Romano, il Sansovino, il Peruzzi e un’altra schiera di « minori » che, soprattutto nel campo dell’architettura, contribuirono alla fiso-nomia della Roma rinascimentale. Sotto il papato di Giulio II sorgono o si completano nuovi grandiosi palazzi, si aprono vie — la Via Giulia e, di là dal Tevere, la Lungara — si fa posto a piazze, si rinnovano chiese ; si animano i « Banchi Nuovi » sede di grandi banchieri e quartiere degli affari e soprattutto si inizia, per opera del Bramante, la ricostruzione della chiesa di San Pietro e del Palazzo Vaticano che sono ormai il polo della città. L’opera è continuata sotto il pontificato di Clemente VII (Via Clemenzia ora del Babuino, Via Ripetta, Piazza del Popolo), mentre nel periodo intercorrente fra Giulio II e Clemente VII, il grande Leone X (1513-21) si adoprò soprattutto in opere culturali ed artistiche, onde la sua splendida corte dette nome al « secolo d’oro ».

    Qual’era la struttura amministrativa di Roma nel periodo che intercorre fra il ritorno dei Papi e i primi decenni del XVI secolo ? La città era divisa in tredici rioni — Ponte, Parione, Pigna, Trastevere, Colonna, Sant’Eustachio, Campitelli, Trevi, Regola, Sant’Angelo, Ripa, Campo Marzio e Monti — cui è da aggiungere il rione Borgo, sulla destra del Tevere ; l’ordine nel quale li abbiamo ricordati corrisponde al numero decrescente dei membri che ciascuno forniva al consiglio del Comune al tempo di Bonifacio IX, da un massimo di 20 per il rione Ponte, che dunque possiamo supporre il più popoloso, a un minimo di 4 per Campo Marzio. Ora in base a documenti di quest’epoca, il Beloch calcola la popolazione della città a 25-30.000 abitanti. Intorno alla metà del XV secolo potevano calcolarsi 33-34.000 ab.; nel 1526, subito dopo l’anno giubilare, circa 55.000 ab. secondo un dato ufficiale, derivante da un primo vero censimento per bocche (compresi gli Ebrei). Le case abitate erano 9285; i rioni più popolosi erano Ponte (8069 ab.), Parione (6319 ab.), Regola (5614 ab.); seguivano Borgo e Trastevere; il meno popolato Ripa (1355 ab.). La popolazione di Roma si era dunque all’incirca raddoppiata in un secolo, dal ritorno cioè dei Papi.

    Se non che nel maggio 1527 la città è messa a sacco dalle soldatesche di Carlo V e poi seguì la peste. Se dalla prima di queste due calamità non conseguirono ingenti danni all’abitato, entrambe ebbero peraltro come effetto un grave deperimento demografico: 32.000 ab. secondo i calcoli più attendibili.

    Ma il deperimento fu breve. L’opera dei Papi non subisce soste; nel 1570 Roma si avvicina a 70.000 ab., raggiunge gli 80.000 sotto Gregorio XIII, e i 100.000 sotto Sisto V: un censimento del 1592 fornisce il primo dato ufficiale dopo quello del 1526: 17.452 famiglie e 99.627 ab. (esclusi probabilmente gli Ebrei, computati a 3550). Per quanto riguarda questi ultimi, va notato che essi avevano libera scelta della residenza in città (pur preferendo taluni quartieri) prima che Paolo IV decretasse nel 1555 la segregazione nel Ghetto, chiuso da mura: clausura che, revocata da Pio IV, ristabilita da Pio V, ebbe varie vicende, ma che in sostanza dette origine e sviluppo ad un vero e proprio quartiere ebraico durato — come in altre città dello Stato Pontificio — fin quasi ai nostri giorni.

    Trinità dei Monti al tempo della fioritura delle azalee.

    Roma nel 1551, secondo la pianta di Leonardo Bufalini, edita da G. B. Molli nel 1748.

    Da quest’epoca lo sviluppo topografico di Roma può seguirsi in modo più concreto attraverso piante, che dalla metà del Cinquecento divengono sempre più precise e dettagliate. I grandi Papi urbanisti della seconda metà del Cinquecento furono Gregorio XIII e soprattutto il suo successore Sisto V (1585-90), promotore di un vero piano regolatore di geniale, moderna ispirazione, inteso non più a trasformare la vecchia città con tagli di vie più o meno rettilinee, con la formazione di piazze, ecc., ma bensì a sviluppare l’abitato nelle vaste aree ancora libere, perchè occupate da orti, da vigne, ecc. sul Viminale, sull’Esquilino, sulle pendici del Pincio. Centro delle nuove arterie era Santa Maria Maggiore, altri centri divennero l’antico Foro Traiano, la Trinità dei Monti e più lontani, verso la periferia, il Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo. Sulle piazze che costituivano i nodi principali, Sisto V volle far erigere obelischi, e nel 1586 fu innalzato, con gigantesco lavoro, quello di Piazza San Pietro, superstite ornamento del Circo di Caligola.

    Non possiamo indugiarci qui sulle opere architettoniche — palazzi, chiese (compimento della cupola di San Pietro, condotta già da Michelangelo fino al tamburo), edifici per abitazione, per culto, per scuole, per beneficenza e ospitalità, ecc. — tutti campi nei quali Sisto V ebbe un grande continuatore in Clemente Vili (1592-1605).

    Nell’anno giubilare 1600 Roma toccò i 110.000 abitanti. Per più di mezzo secolo (1600-55) abbiamo dati demografici pienamente attendibili, che ci dimostrano notevoli oscillazioni, soprattutto a causa di epidemie: 114.000 ab. nel 1630, dopo una pestilenza assai grave, 121.000 nella Pasqua del 1656 (esclusi gli Ebrei, circa 4500), ma poco più di 100.000 nella Pasqua successiva. Aveva infierito per mesi e mesi la terribile peste che afflisse gran parte dell’Italia: il contagio trasmesso da Napoli, si era diffuso prima in Trastevere e nel Ghetto, poi, con maggiore o minor intensità, in altri quartieri: i morti furono intorno a 14.500, cioè il 12% circa della popolazione totale. E la ripresa fu piuttosto lenta: 107.000 ab. nel 1660, 138.500 ab. nel 1693 e quasi 150.000 nell’anno giubilare 1700 (ma appena 142.000 nel 1701).

    Roma nel Seicento e nel Settecento

    Roma era pur sempre il faro d’Italia, ma nel corso del XVII secolo la sua fisonomia era alquanto mutata : alla Roma rinascimentale si era sovrapposta la Roma barocca, la Roma del Bernini, del Borromini e dei loro collaboratori e seguaci. Le grandiose piante topografiche di quel secolo, che permettono di identificare strada per strada, edificio per edificio, inscrivono tale trasformazione e ci guidano a ricostruirla; ma questa ricostruzione non può, nei suoi dettagli, trovar posto qui. Accenneremo solo alla grande pianta prospettica Maggi-Maupin-Losi del 1625, della quale si riproduce qui uno stralcio: in essa le vie e gli isolati sono delineati in forma così precisa da consentire non solo di determinare la forma e l’estensione della città, ma anche le caratteristiche architettoniche dei monumenti più cospicui.

    Il Giovannoni in base ad essa, calcola che l’ampiezza dell’abitato fosse cresciuta di circa due terzi nell’ultimo mezzo secolo, e ciò a spese delle aree a orti, giardini e campi esistenti entro la cerchia delle mura aureliane; e pur tuttavia altri vasti spazi rimanevano ancor disponibili. Pochi anni dopo, sotto Urbano Vili un nuovo sviluppo si ebbe sulla destra del Tevere con la possente cinta muraria condotta intorno al Gianicolo, per congiungere le mura della Città Leonina con quelle di Trastevere. Il Gianicolo vide così rafforzata la sua funzione di alto baluardo a difesa della città verso il mare.

    Il maggior papa urbanista del secolo XVII fu senza dubbio proprio Urbano Vili, che ebbe a fianco il grande Bernini; il suo assai lungo pontificato (1623-44) si segnala anche per la presenza a Roma di umanisti, archeologici, scrittori, onde il Vaticano crebbe di lustro, anche come centro culturale.

    Pianta di Roma al tempo di Innocenzo XI, a cura di G. B. Falda (1676).

    Mentre dei grandi palazzi rinascimentali non molti sussistono oggi a Roma e per lo più sono concentrati presso la sinistra del Tevere tra il Campidoglio e il ponte Elio (Palazzo Farnese, Cancelleria, ecc.), molto più concorrono a caratterizzare, anche oggi, la fisonomia del centro della città, i palazzi di stile barocco e, ancor più vistose dei palazzi, le chiese: in prima linea San Pietro, la cui piazza si adornò del magnifico colonnato berniniano, e poi Sant’Andrea della Valle, il Gesù, Sant’Agnese, San Luigi dei Francesi, che in breve spazio sintetizzano l’aspetto della Roma barocca. Con le chiese, le grandi piazze: Piazza Colonna, che intorno al 1630 aveva già assunto a un dipresso il suo aspetto attuale, veniva sempre più frequentata, e iniziava la sua funzione di centro di Roma insieme col Pantheon, massimo esempio di monumento romano sopravvissuto integro nel cuore della città; Piazza Navona, sistemata, nella sua monumentalità con la splendida fontana del Bernini, dal successore di Urbano Vili, Innocenzo X; Piazza di Spagna (col palazzo, opera di G. Lorenzo Bernini, e la fontana, di suo padre), dalla quale più tardi le magnifiche rampe del De Sanctis (1723-26) daranno accesso alla Trinità dei Monti; Piazza di Trevi con la più monumentale fontana di Roma, dalla quale esce fragorosamente l’Acqua Vergine (1732-62). E con le piazze, le fontane, che, abbastanza frequenti già nel XVI secolo, ora si moltiplicano a segno che ogni piazza ha la sua (oltre le già ricordate, quelle del Mosè a Piazza San Bernardo, di Piazza Colonna, di Campo dei Fiori, di Piazza Barberini, del Pantheon, di Aracoeli, delle Tartarughe, la Fontana Paola sul Gianicolo, ecc.), onde il De Brosses potè esaltarle come la più tipica e più bella cosa di Roma: «Io non immagino in una città un maggior ornamento di questa profusione di sorgenti e di acque zampillanti; mi danno più piacere che gli stessi edifici » (Lettres familières, 1739). Questa copia di acque (alle fontane monumentali si aggiungevano le numerose per uso di abbeveramento, sparse nelle vie o alle cantonate alcune delle quali segnalate anche per valore artistico) era dovuta al ripristino di acquedotti : l’Acqua Vergine definitivamente sistemata, l’Acqua Felice, l’antica Acqua Alessandrina di Alessandro Severo, ricondotta a Roma da Sisto V, l’Acqua Paola condotta in città sotto Paolo V raccogliendo le sorgenti dell’antica Acqua Traiana presso Bracciano e convogliandole fino alle falde del Gianicolo ove fu eretto nel 1612 il monumentale Fontanone.

    Elemento importante dell’urbanistica romana di questo periodo sono anche le ville, situate talora entro il nucleo urbano, come la Villa Colonna, la Villa Aldobrandino risalente già al XVI secolo, la Villa della Farnesina, sulla destra del Tevere, anch’essa sistemata sin dal primo Cinquecento, la Villa Taverna su quel singolare rilievo emergente tra Piazza Navona e il Tevere, denominato Monte Brianzo; più spesso stendentisi alla periferia dell’abitato come la Villa Boncompagni e -la Villa Medici e fuori delle mura, come la Villa di papa Giulio, costruita già, a mezzo del XVI secolo, da Giulio III, la Villa Borghese, la Villa Albani, la Villa Doria, ecc.

    Roma aveva già un suo porto a Ripagrande e un approdo minore alla Traspontina (Sant’Angelo), a servizio soprattutto dei materiali occorrenti per la fabbrica di San Pietro; Clemente XI fece costruire nei primi anni del XVIII secolo, un po’ più a monte, il porto da lui detto dementino o, più comunemente, di Ripetta.

    Ai Papi del XVIII secolo si deve anche il restauro e la valorizzazione dei monumenti antichi, e la raccolta di capolavori dell’arte classica entro musei, sostituendo questi, fin dove era possibile, alle raccolte private, già cominciate sin dal primo Rinascimento.

    Roma era ormai decantata come una magnifica città: i forestieri vi accorrevano in folla anche fuori delle epoche dei pellegrinaggi, attratti dal fascino della città antica rivivente nei suoi monumenti rimessi in luce, e da quello delle opere sacre e profane, chiese e istituti religiosi, palazzi e ville, strade e fontane, volute dai Pontefici. Era anche tornata ad essere una città molto estesa. Aree prima quasi vuote, soprattutto nel vastissimo rione Monti, si venivano riempiendo di case specialmente lungo le direttrici tracciate da Sisto V ; le tre vie adducenti alla Piazza del Popolo — e specialmente il Corso — erano ormai tutto un seguito di palazzi e così la Via delle Quattro Fontane, la Via Urbana, la via dal Colosseo al Laterano, e in Trastevere la stessa Via della Lungara, in passato poco più che via campestre. Si erano estesi i rioni Colonna, Trevi, Campo Marzio, Sant’Eustachio. Centro preferito dai forestieri e dagli artisti erano le adiacenze di Piazza di Spagna, cosiddetta dal palazzo già Monaldeschi che era ed è tuttora sede dell’ambasciata di Spagna; intorno a Piazza Navona e a Pasquino erano i librai e i cartai; ai Banchi Nuovi la sede principale dei banchieri e cambiatori di denaro, intorno a Campo dei Fiori le botteghe dei piccoli negozianti; in determinate strade del vecchio centro erano le sedi dei vari mestieri che davano spesso nome alle vie medesime. Basterà ricordare Via dei Sediari, dei Giubbonari, degli Staderari, dei Coronari, dei Cappellari e tante altre.

    Vedi Anche:  I monti Lepini, gli Ausoni e gli Aurunci

    Un grande mercato aveva luogo il mercoledì a Piazza Navona, un altro il sabato alla Madonna dei Monti; numerosi i mercati minori di generi alimentari, di bestiame (Campo Vaccino), di piante e fiori (Piazza Madama). Luogo di convegno dei mercanti della Campagna Romana erano Piazza Montanara e il Pantheon. Nei dintorni di queste due località erano anche alcuni dei più frequentati alberghi. Numerose erano già le stazioni di corriere che collegavano Roma a Viterbo, a Civitavecchia, e ad altre città dello Stato Pontificio ; inoltre a Napoli, a Siena, a Firenze, ecc. percorrendo spesso le antiche, riattate vie consolari.

    Nel novembre 1786 venne a Roma Wolfango Goethe; nelle sue lettere rifulge l’entusiasmo : « Se si pensa che questa città vive da più di duemila anni, a traverso mutamenti così svariati e profondi, e che è ancora la stessa terra, gli stessi monti e spesso le stesse colonne e gli stessi muri e nel popolo ancora le tracce dell’antico carattere, allora si diventa complici dei grandi decreti del destino e riesce difficile in principio all’osservatore di notare come Roma segue a Roma e non solo la nuova e la vecchia, ma anche le diverse epoche della vecchia e della nuova » (Lett. del 7 novembre 1786; dal Viaggio in Italia, trad. Tornei).

    Dalla Rivoluzione Francese all’Unità d’Italia

    Il periodo che si inizia con la Rivoluzione Francese (alla cui vigilia Roma aveva toccato i 165.000 ab.) e che dura fino al ritorno definitivo dei Papi in Roma, segna una stasi sia nello sviluppo topografico che in quello demografico della città. Nel 1798 Pio VI è deportato in Francia e viene proclamata la Repubblica Romana; fa ritorno il successore già nel 1805 ma nel 1809 è costretto di nuovo ad allontanarsene allorché Napoleone proclama Roma « seconda città dell’Impero » e dà all’infante suo figlio il titolo di Re di Roma. Come si è già detto, il Lazio, e così tutto lo Stato Pontificio, viene diviso in dipartimenti. Si svolge peraltro in gran parte di questo periodo l’opera dell’architetto Giuseppe Valadier (1762-1839), che fu definito la figura più completa di architetto moderno che l’Italia abbia avuto. A lui si deve la magnifica sistemazione di Piazza del Popolo e del Pincio, studiata tuttavia già sotto il governo pontificio, iniziata durante il periodo francese, compiuta solo dopo la Restaurazione. E la maggiore opera urbanistica della Roma ottocentesca. Ma il Valadier spiegò una attività vastissima: suo è il grandioso progetto di accompagnare con spaziosi giardini tutta l’ansa del Tevere a destra ed a sinistra del fiume dal ponte Milvio a Castel Sant’Angelo. Suoi sono i principali progetti promossi dal Conte De Tournon, il sagace ed abile governatore di Roma sotto il periodo napoleonico; opera sua in gran parte il programma della Commission pour les embellissements de la ville de Rome, istituita da Napoleone. Molti progetti restano appena avviati o inattuati; ma altri — come i provvedimenti per la conservazione e il restauro di monumenti antichi, e soprattutto l’esecuzione di nuove facciate di chiese, di palazzi, di piazze — lasciarono la loro impronta in ogni parte della città, contribuendo ad una trasformazione nell’aspetto urbanistico: alla Roma barocca si sovrappone, o si associa, la Roma neoclassica.

    Roma. Veduta dal Colle Pincio su Piazza del Popolo.

    Nel 1801 Roma aveva 146.000 ab., ma 128.850 soltanto nel 1810 ed appena 117.800 nel 1812, il più basso valore, come si è già detto, dalla metà del Seicento; falcidia demografica grave, dunque, e verificatasi in assai breve volgere di anni.

    Dopo la seconda restaurazione Pio VII ordina nel 1816 il censimento, collegato alla riorganizzazione della pubblica amministrazione. Esso dà per Roma (con l’Agro Romano) 132.087 abitanti. Segue un periodo di ristagno, o di «pace sonnolenta» come fu detto, appena turbato dai primi segni di passioni patriottiche anelanti a un rinnovamento. Col lungo pontificato di Pio IX Roma diventa tuttavia un centro del movimento insurrezionale, ma i gravi fermenti e le contese fra i partiti, che portano alla fuga del papa a Gaeta (24 novembre 1848), alla proclamazione della Repubblica Romana, alla sanguinosa restaurazione per opera delle armi francesi, non giovano certo allo sviluppo della città. Il pontefice promosse opere archeologiche, si adoperò per il restauro, talora non felice, di molte chiese e per l’erezione di taluni cospicui monumenti (Immacolata Concezione in Piazza di Spagna), ma soprattutto curò il miglioramento dei servizi pubblici: primeggia in questo campo l’acquedotto che da alcune delle più ricche fonti dell’Aniene condusse a Roma un’abbondanza di acqua di gran lunga superiore a quella dei tre acquedotti esistenti (Acqua Vergine, Felice e Paola); tale acquedotto inaugurato il 10 settembre 1870, proprio alla vigilia della caduta di Roma, è quello che reca ancora il nome di Acqua Pia, o secondo la denominazione classica, ma tuttora viva e popolare a Roma, di Acqua Marcia.

    Il censimento del 1853, l’ultimo dei censimenti pontifici, dava per la popolazione di Roma, 171.629 ab. compresi 4196 Ebrei e 151 acattolici. Nel 1870 furono calcolati 226.022 ab., con un aumento di 80.000 unità dall’inizio del secolo.

    Roma capitale d’Italia

    Quale fosse l’aspetto topografico generale di Roma al momento in cui essa era ricongiunta all’Italia e ne diveniva la capitale, ci è dimostrato dalla pianta qui riprodotta. Si rileva subito che in confronto all’area abbracciata dalle mura aureliane, quella interessata dal blocco compatto del caseggiato ne occupava ancora non più di un terzo: spazi amplissimi ad est fino al Castro Pretorio, a sudest fino al Laterano, a sud verso le Terme di Caracalla, a sudovest fino al Tevere erano non vuoti, ma ancora occupati da costruzioni isolate o a gruppi separati, da ville, da giardini, da orti, da vigne. La zona archeologica principale, ossia l’area dei Fori, del Colosseo, delle Terme di Caracalla era ancora al limitare del caseggiato compatto. Questo comprendeva peraltro anche due nuclei serrati sulla destra del Tevere, la Città Leonina con i Palazzi Vaticani, San Pietro e Castel Sant’Angelo e Trastevere in senso stretto. I due quartieri erano circondati dalla cinta murata di Urbano Vili e raccordati dalla lunga Via della Lungara; tra questa e le mura, sulle pendici del Gianicolo, ancora ville, orti, vigne.

    Roma nel 1870. Si noti l’ampia zona di orti compresi entro la cerchia delle mura, specialmente a sud e ad est.

    Roma. Il monumento a Vittorio Emanuele II, Via dei Fori Imperiali e il Colosseo.

    Nel vecchio centro avevano tuttora funzione fondamentale le tre strade rettilinee divergenti da Piazza del Popolo, elementi sostanziali del piano urbanistico di Sisto V; la via centrale, il Corso, traversava Piazza Colonna e finiva a Piazza Venezia: queste due piazze insieme col Pantheon, Piazza Navona e Piazza Montanara (poi scomparsa) costituiscono tuttora il cuore della città. In questo nucleo sussistevano numerose vie strette e tortuose con alti palazzi ; poche erano anzi le strade rettilinee come i Coronari. Ma altre vie rettilinee assai lunghe esistevano verso la periferia: la via dal Colosseo a San Giovanni, la Via Sistina e i suoi prolungamenti, la Via Giulia. Anche la via che fu poi detta Nazionale cominciò a tracciarsi sotto Pio IX per iniziativa del ministro De Merode.

    Sul Tevere vi erano sette ponti, da quello di Ripetta, più a monte, in legno, al ponte Emilio, denominato ponte Rotto dopo che fu distrutto dalla piena del 1598 e sostituito poi, come diremo tra breve, dall’attuale ponte in ferro (Palatino). Vi erano inoltre alcuni passi di barche: più frequentati quello sotto Castel Sant’Angelo e quello a Ripa Grande.

    Il Tevere con i ponti Risorgimento e Duca d’Aosta. In fondo, il Gianicolo.

    Quando Roma fu unita all’Italia ebbe pure inizio la vita del comune (i), che venne diviso in tre parti tradizionali: città, suburbio ed agro. La città, cioè il caseggiato racchiuso entro la cinta delle mura, era tuttora divisa in 14 rioni; il suburbio era una cintura pressoché continua, ma diversamente larga, extra moenia, costituita da vigne e orti con pochissime case; l’Agro Romano, infine, era ripartito in tenute ben delimitate, di diversa ampiezza — alcune vastissime — le quali, pur attraverso divisioni, permute, mutamenti di proprietario, avevano conservato da secoli la loro fisonomia: molte avevano per centro, anzi molto spesso per unica costruzione, un « casale ».

    Il censimento eseguito il 31 dicembre 1871 noverò 205.103 ab. (residenti) nella città, così divisi per rioni:

















    Rioni

    Area (mq.)

    Popolazione

    Densità per ha.

    Monti

    4.485.778

    34.249

    76,3

    Trevi

    804.230

    12.999

    161,6

    Colonna

    630.696

    12.377

    196,2

    Campo Marzio

    851.502

    21.808

    256,1

    Ponte

    337.117

    22-579

    669,8

    Parione

    188.462

    13.577

    720,4

    Regola

    315.970

    I5-635

    494.8

    Sant’Eustachio

    182.864

    8.304

    454,1

    Pigna

    193.438

    6.520

    337,1

    Campitelli

    1.405.071

    7.872

    56

    Sant’Angelo

    132.484

    8.127

    613.4

    Ripa

    2.589.958

    4.500

    17.4

    Trastevere

    1.834.232

    24.953

    136

    Borgo..

    613.460

    11.603

    189,1

    Totale

    14.565.262

    205.103

    140,8

    (1) Oggi il comune di Roma è di gran lunga il più vasto d’Italia (1507,60 kmq., cioè all’incirca quanto la provincia di Asti; dieci province italiane — fra cui Napoli — hanno un’area minore) ed ha confini quanto mai irregolari. Come si può rilevare dalla cartina di pag. 201, esso comprende una serie di appendici che risalgono verso i Colli Laziali ed una singolarissima, insinuata tra i territori di Gallicano e San Gregorio; un’altra a nordovest che si spinge in territorio di Cerveteri; e perfino un exclave, già ricordato, del tutto isolato, sulla sponda orientale del Lago di Bracciano, che include anche la parte maggiore del Lago di Martignano. La divisione ufficiale attuale distingue nel comune di Roma: i rioni, i quartieri (urbani e marini), i suburbi e l’Agro Romano, dei quali tratteremo in seguito.

    La popolazione presente era un po’ superiore, 219.608 abitanti. In confronto all’area dei rioni, quella del suburbio era sei volte superiore, 89.626.738 mq., ma con soli 5400 ab. residenti (9748 presenti). Dell’Agro Romano si parlerà in appresso.

    L’incremento della popolazione nel corso del XIX secolo non appare molto cospicuo ; ma si deve osservare che, secondo le risultanze dei dati demografici, per tutto questo periodo, anzi anche nel secolo precedente, tale incremento è stato determinato in massima parte dal movimento migratorio perchè l’incremento naturale « si è mantenuto costantemente su cifre negative » (Rossi).

    Dalla tabella si rilevano le enormi differenze fra i vari rioni sia per area, sia per entità di popolazione. Quattro rioni soli assommavano oltre la metà dell’area, ma poco più di un terzo della popolazione. Vi erano rioni affollatissimi, come quelli centrali di Parione, Ponte, Sant’Angelo, ed altri con modesta densità verso la periferia o nella zona archeologica.

    La città era divisa — come ora si è accennato — in rioni e la ripartizione non aveva solo valore amministrativo, ma si rifletteva in talune caratteristiche della popolazione, non ancora del tutto amalgamata: persistevano differenze nel modo di vivere, nelle occupazioni prevalenti ed anche in sfumature dialettali, che avevano la loro espressione anche in denominazioni particolari: Trasteverini, Borghigiani, Regolanti, Mon-ticiani, Popolanti (abitanti del più recente nucleo presso Piazza del Popolo), ecc.

    La topografia di Roma era ancora profondamente influenzata dai rilievi dei così detti Sette Colli onde alcune delle vie, anche fra le principali, erano in salita (Via Capo Le Case, Via Quattro Fontane), ma la sezione centrale della città era per la maggior parte in piano — Piazza Venezia m. 20 s. m., Piazza di Montecitorio m. 21, peristilio del Pantheon m. 13,4 — e perciò soggetta ai rigurgiti delle piene del Tevere, il cui livello medio è a 12 m. in città. Una piena grandissima si ebbe proprio nel dicembre 1870; l’altezza raggiunta dalle acque in città si può vedere ancora indicata da segni sulle pareti esterne di palazzi del centro.

    Roma dal 1871 alla seconda guerra mondiale

    Dopo il trasferimento della capitale a Roma si potè credere che lo sviluppo edilizio sarebbe stato più rapido. Per esso l’area più immediatamente disponibile era ad ovest, lo spazio perfettamente pianeggiante sulla destra del Tevere a monte di Castel Sant’Angelo, occupato fino allora da prati (Prati di Castello); ivi si iniziarono costruzioni con una fretta superiore alla necessità, onde si determinò un principio di crisi edilizia (grave negli anni 1885-95), superato definitivamente solo nel corso del XX secolo.

    Il nuovo quartiere, detto dei Prati, fu dapprima incorporato nel rione Borgo (1881); esso fu il primo vasto quartiere di Roma a pianta regolare e a strade incrociantisi ad angolo retto. Si ampliò l’area urbana ancora a sudest, sull’Esquilino, anche in virtù della costruzione della stazione ferroviaria, eretta nel 1880 su un’area già occupata da ville; in conseguenza l’Esquilino fu nel 1874 costituito rione a sè; si aprirono strade (1886) nel quartiere Ludovisi, sorto sui terreni alle falde del Pincio, su cui sorgeva la magnifica villa del cardinale Ludovisi, nipote di Gregorio XV. Qui, dunque a nordest, il caseggiato risaliva, al di là della via che tuttora conserva il nome di Capo Le Case, verso la cinta aureliana. Lungo queste tre direttrici, cioè verso ovest, verso sudest e verso nordest, avveniva prevalentemente nell’ultimo trentennio del XIX secolo l’espansione di Roma: in confronto ai «Prati» le due ultime espansioni e specie l’ultima saranno poi designate come i « quartieri alti ». Troppo spesso a questa espansione si accompagnò il sacrifìcio di aree verdi: altre ville patrizie, oltre quelle già menzionate, risultarono compromesse. Ma per la topografia di Roma importante fu anche l’apertura di nuove strade rettilinee: Via Nazionale, completamente terminata dopo il 1870, Via del Tritone, il Corso Vittorio Emanuele, che sostituì, come arteria principale di questa parte della città, la vecchia angusta Via dei Coronari; Via Cavour, il Viale del Re in Trastevere, ecc.

    Un più largo respiro si ebbe per l’ampliamento o la creazione di nuove piazze: in prima linea Piazza Venezia, nella quale accanto a monumenti rinascimentali insigni, quali il grandioso Palazzo Venezia (XV secolo) e la chiesa di San Marco, antichissima, ma ricostruita nelle forme attuali in quello stesso secolo, sorse il colossale monumento a Vittorio Emanuele II (iniziato nel 1885 ma inaugurato solo nel 1911). Inoltre Piazza Colonna, Piazza delle Terme, Piazza Cavour col Palazzo di Giustizia (iniziato nel 1889, finito nel 1910), ecc. Altri palazzi, più sobri ed armonici, come il Palazzo Boncompagni-Ludovisi (ora Margherita), il Palazzo della Banca d’Italia in Via Nazionale, esprimevano con nobiltà il carattere di quella che si disse la « Roma umbertina ».

    Roma. Panorama della città dalla Torre delle Milizie.

    Lo sviluppo urbanistico di Roma dal 1870 al 1957.

    Tra le opere pubbliche più importanti di questo scorcio del XIX secolo è da annoverarsi la sistemazione del Lungotevere coi muraglioni di protezione dalle piene: compiuta per tutto il tratto da Piazza del Popolo a Porta Portese essa dotò la città di bei viali alberati. Furono costruiti nuovi ponti: il Ponte di Ripetta (1879), il Ponte Garibaldi (1889), il Ponte Margherita (1891), il Ponte Umberto (1892), il Ponte Palatino, che rasenta quasi il Ponte Rotto, ruderi d’un ponte ricostruito per volere di Gregorio XIII sugli antichi piloni del Ponte Emilio, costruzione originaria del secolo II a. C., andato in rovina, come si è detto, nella piena del 1598.

    Veduta aerea di Trinità dei Monti.

    Dal 1877 Roma ebbe i primi tram a rotaie trainati da cavalli; si può anzi ricordare che la linea più antica fu quella, allora suburbana, collegante Piazza del Popolo a Ponte Molle (o Milvio), di là del quale era un’altura detta la Montagnola e sede di un’osteria frequentatissima, onde fu detto che essa serviva più che altro ad agevolare l’afflusso degli amanti del buon vino e soprattutto il loro ritorno in città!

    Il censimento del 1881 trovò 263.462 ab. residenti (272.012 presenti) in Roma e meno di 8000 nel suburbio; quello del 1901 — eseguito, non a fine anno, ma il 2 febbraio — 403.282 ab. residenti (424.860 presenti) in città, e poco più di 13.000 nel suburbio, che, come vedremo, sarà soltanto in seguito suddiviso in sezioni. La popolazione presente è costantemente maggiore di quella residente, fatto comune a quasi tutti i grandi centri, dove è regola che i temporaneamente presenti superino i temporaneamente assenti.

    Non crediamo di esporre qui la distribuzione della popolazione per rioni, il cui numero di quindici, resta per ora immutato; si può tuttavia segnalare che fin da ora si avverte una lentezza nell’incremento demografico dei rioni centrali, stretti l’uno contro l’altro, rispetto ai periferici confinanti con le aree vuote del suburbio, ancora occupato da ville, orti, vigneti, praterie. Il contrasto fra questo suburbio vuoto e l’affollamento nell’area urbana resta una caratteristica di Roma, manifesta a tutti i visitatori e segnalata in numerose descrizioni di autori italiani e stranieri.

    Le vicende di Roma, nei primi sessant’anni del nostro secolo, considerate dal punto di vista topografico e urbanistico, come dal punto di vista demografico e da quello economico-sociale, possono dividersi in tre periodi: i primi due decenni (1901-20), il periodo successivo, fino al termine della seconda guerra mondiale (o fino al 1951, per assumere la data del primo censimento postbellico), e infine il periodo recentissimo ed attuale. Noi seguiremo, anche se non con costante aderenza alla cronologia, queste vicende, dedicando peraltro un più ampio spazio agli aspetti ed ai problemi attuali.

    Dal punto di vista prettamente edilizio ed urbanistico tali vicende potrebbero seguirsi minutamente attraverso i vari piani regolatori, dei quali il primo, elaborato da una commissione istituita già una settimana dopo la breccia di Porta Pia (Commissione « per l’ingrandimento e l’abbellimento della città »), fu approvato dal Consiglio Comunale nel 1873, ma, giudicato «monco e mostruoso», fu sostituito dieci anni dopo da un altro approvato con Legge del 1883; dopo la crisi edilizia, cui sopra si è accennato, un nuovo piano fu approvato nel 1909; poi si ebbe una variante generale nel 1925-26, un rinnovamento completo con un nuovo piano regolatore nel 1931, e ancora nel 1942 e via di seguito fino ad oggi, attraverso piani particolareggiati, che includevano naturalmente aree sempre più ampie. A questo punto occorre però notare che l’espansione di Roma è avvenuta irregolarmente, in quanto i piani regolatori più volte studiati, discussi e modificati, non furono mai concretati in una definitiva sistemazione, anche perchè il costante ampliamento obbligava a considerare sempre nuovi gravissimi problemi, che sarebbe interessante esaminare un po’ dettagliatamente. Ma qui dobbiamo limitarci ad accennare ad alcuni fatti principali, che hanno modificato la fisonomia della città vecchia, e soprattutto allo sviluppo topografico e demografico e ad alcuni aspetti più cospicui della sua vita economica e culturale (1).

    I dislivelli entro la città, che, come si è visto, le hanno conferito sino dall’antichità, aspetti e caratteristiche particolari, rivelavano sempre più i loro inconvenienti, man mano che si affittiva la rete dei tram urbani su rotaie: all’ostacolo rappresentato, proprio nel cuore della città, dal Quirinale fu posto efficace rimedio con l’apertura di un traforo, iniziato nel 1900, inaugurato due anni dopo; rimase il dislivello fra lo stesso colle e le bassure dei Fori, utilizzato felicemente molto più tardi con la spettacolare sistemazione dei Mercati Traianei; rimase il dislivello derivante dalla presenza del colle Pincio, non più periferico: saliva faticosamente i suoi fianchi il tram, ma vi si snodò più tardi, con eleganti curve, Via Veneto, destinata a divenire la più bella strada della Roma attuale.

    (1) Per il lettore che si interessi alla storia dei piani urbanistici si segnalano qui i due magnifici fascicoli 27 e 28-29 della rivista «Urbanistica» (1959) con ricchissime illustrazioni quanto mai suggestive. Cfr. pure I. Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica, Torino, 1962.

    Carrozzella nella Piazza di Santa Maria in Trastevere

    Può essere qui segnalato che l’espansione di Roma ha piuttosto accentuato che attenuato i dislivelli. Infatti il punto più alto della cinta aureliana, presso Porta Pia, termine della nuova Via XX Settembre, è a 64 m. ; i Paridi, che scendono quasi a picco sul fondovalle del Tevere, raggiungono i 67 ni., la sommità del Pincio è poco più bassa, 51 m., ma presenta un dislivello di ben 34 m. sulla sottostante Piazza del Popolo, il Gianicolo arriva a 88 m. con un dislivello di ben 64 m. sul Tevere. Quanto a Monte Mario — il punto più alto della città — esso è a 164 m. e supera perciò di 87 m. la vecchia arce capitolina. Ma la collina di Monte Mario, come i Parioli, era, nei primi decenni del secolo, ancora fuori di città. Questa si espandeva continuamente, ma sempre in prevalenza lungo le direttrici tradizionali; e il caseggiato si dilatava ormai oltre le mura aureliane, specialmente lungo alcune delle vie consolari, la Flaminia, la Salaria, la Nomentana, la Tiburtina, la Prenestina, la Casi-lina, l’Appia Nuova, l’Aurelia ed ancora fuori della Porta Pinciana e in qualche altra sezione. Queste appendici, alcune delle quali erano ancora molto discontinue, furono denominate «quartieri»: ne sancì l’esistenza ufficiale il censimento del 1911, che ne distinse 15, tanti cioè quanti i vecchi rioni. Dei quartieri alcuni erano di modesta estensione, come il Trionfale (424.000 mq.), altri estesissimi, come il quartiere Parioli (6.873.056 mq.). La configurazione dei quartieri appare legata alle vie che essi fiancheggiavano: gli spazi lontani dall’asse stradale, tra l’una e l’altra delle vie divergenti, erano ancora vuoti o quasi di case.

    La zona dei Borghi tra Castel Sant’Angelo e San Pietro, in una recente foto aerea. Sulla destra è il rione Prati, sulla sinistra del Tevere è il rione Ponte. In fondo, i quartieri Trionfale ed Aurelio.

    Negli anni 1920-21 sorsero due nuclei staccati, la Garbatella su un’eminenza fuori della Porta San Paolo, e la città-giardino Aniene, molto più lontana dal centro, sulla Via Nomentana, ma al di là dell’Aniene alle radici del Monte Sacro, la collina sulla quale, secondo la leggenda, si era ritirata la plebe romana nel 494 a. C. ; fu pertanto istituito nel 1924 il nuovo quartiere, staccato, di Monte Sacro. Furono queste le prime appendici esterne della città.

    In altre direzioni l’espansione della città e il sorgere di appendici erano tuttavia ostacolati dalla presenza di fortificazioni e conseguenti servitù militari. La cintura delle fortificazioni era stata già disposta — essendo ministro il Depretis — nel 1877, a difesa da eventuali attacchi dal mare. I forti, in numero di 15, oltre a 3 batterie, costituirono una cintura dello sviluppo di circa 40 km., alla distanza media di 4 km. dalle mura aureliane; essi erano collocati su alture prossime alle vie consolari con lo scopo di battere gli accessi alla città. Principale baluardo a nordest fu Monte Mario, che pertanto restò escluso per lungo tempo dall’espansione urbana e dalla destinazione a parco pubblico, cui sembrava quanto mai adatto. Le servitù militari durarono a lungo anche quando era del tutto cessata la ragion d’essere dei forti; talune perdurano tuttora.

    Nel 1911 la città di Roma aveva superato il mezzo milione di abitanti. Infatti il censimento del 10 giugno 1911 trovò 397.989 ab. residenti nei rioni, 93.800 ab. nei quartieri, 13.855 nel suburbio, in tutto dunque 505.644 ab. (escluso l’Agro Romano). Il suburbio aveva un’esistenza propria con estensione ben delimitata anche nelle vecchie carte: era cioè una cintura, più o meno larga, di giardini (anche di ville suburbane), di orti, di vigneti, strettamente legata alla città, perchè, a parte le ville signorili, molti cittadini vi avevano la loro vigna con una casetta e ne traevano prodotti alimentari di consumo quotidiano. Ma specialmente dopo il 1920 l’espansione del caseggiato urbano cominciò a invadere anche questo suburbio sia pure dapprima in modo molto discontinuo, e soltanto in alcune sezioni della periferia urbana. Nel 1926 furono perciò definiti i suburbi, in numero di 11, poi ampliati di territorio (unitamente ai quartieri) ed accresciuti di un altro fra il 1931 ed il 1932.

    I censimenti effettuati il 1° dicembre 1921 e il 21 aprile 1931 (quello del 1911 era stato effettuato il 10 giugno) dettero i seguenti risultati:




    Anni

    Rioni

    Quartieri

    Suburbi

    Totale (senza l’Agro Romano)

    1921

    457-579

    153.160

    26.347

    637.086

    I93I

    424.864

    305-733

    128.541

    859-I38

    L’aumento relativamente modesto nel periodo 1911 -21 è da attribuirsi in parte notevole alla guerra ed alle sue conseguenze, che fecero sentire i loro effetti anche nei primi anni del periodo successivo. Ma soprattutto è da rilevare la diminuzione della popolazione residente nei rioni (già manifestatasi in piccola misura nel periodo 1901-1911), che si accentua sempre più in contrapposto al rapido aumento di quella nei quartieri ed anche nei suburbi. E questo, dal punto di vista demografico, il fatto più saliente della più recente fase dell’incremento di Roma, fatto che perdura ancora nel periodo attuale e sul quale pertanto torneremo ancora tra breve.

    Per quanto riguarda le vicende che ebbero, nel periodo ora considerato, effetti notevoli dal punto di vista topografico, facciamo anzitutto menzione della costituzione dello Stato «Città del Vaticano», in seguito al concordato dell’11 febbraio 1929, che isolò, non topograficamente, ma politicamente il nucleo dei palazzi vaticani e della Piazza San Pietro, ed avviò la successiva formazione, per la destinazione specifica di altri edifici adiacenti, di un quartiere religioso. Tra il 1936 e il 1950 venne aperta l’ampia Via della Conciliazione, che ha permesso un più agevole accesso alla Basilica di San Pietro, demolendo i fabbricati che formavano la cosiddetta « spina dei Borghi », con pittoresche abitazioni, palazzetti, botteghe, compresi tra due vie, che ora più non esistono, Borgo Vecchio e Borgo Nuovo. Continuò purtroppo la distruzione di antiche ville, soprattutto alla periferia con conseguente riduzione di aree verdi, cui si contrappose peraltro la formazione di parchi di uso pubblico (Villa Borghese, il Colle Oppio, ecc.). Si provvide allo sventramento e al risanamento di alcune aree nei vecchi rioni, non sempre peraltro inspirati a criteri urbanistici favorevolmente accolti; si aprì, nel 1936, tra Piazza Madama e il Corso Vittorio Emanuele, il cosiddetto Corso del Rinascimento; si isolò, con alcune demolizioni, il Campidoglio, si aprirono le vie Barberini e Bissolati, tra Piazza Barberini, Piazza San Bernardo e Via Veneto; si crearono accessi alla Via del Mare (da Piazza Venezia al Tevere) — onde la scomparsa di un vecchio, caratteristico angolo di Roma, la Piazza Montanara — ed alla Via dell’Impero da Piazza Venezia al Colosseo e alle Terme di Caracalla; si aggiunsero altri ponti sul Tevere sia a monte che a valle, si costruì, sulla destra del fiume, il grandioso Foro Mussolini, ora Foro Italico, si avviarono (1937) le monumentali costruzioni che — su un piano che fu pure oggetto di discussioni — dovevano servire ad ospitare l’esposizione universale del 1942 e che costituirono invece il germe dell’attuale quartiere dell’EUR, intorno al quale si è venuta formando negli ultimi anni una vera e propria città. Era pertanto dato maggior impulso all’espansione di Roma verso il mare. Il Lido era per vero fino al 1918 del tutto deserto; i primi timidi tracciati di strade e i primi fabbricati sorsero negli anni immediatamente successivi.

    Anche in altre sezioni della periferia, entro i suburbi, sorsero molti altri gruppi di costruzioni, di solito intensive, ed a carattere popolare; dal 1924 in poi, con maggiore intensità dopo il 1935, sorsero le cosiddette « borgate » — troppo spesso agglomerazioni di casette miserabili, in condizioni igieniche e anche sociali deplorevoli — delle quali tratteremo brevemente nelle pagine seguenti.

    La seconda guerra mondiale turbò bruscamente lo sviluppo topografico, demografico ed economico di Roma: vi furono, come è noto, offese belliche (localizzate specialmente intorno agli scali ferroviari), con danni peraltro in complesso non gravi, vi furono esodi di popolazione, ma anche, in maggior misura, correnti di immigrati in cerca di rifugio, vi fu una stasi nelle nascenti attività industriali.

    L’espansione recente dell’abitato

    Ma a partire dalla fine della guerra si è verificata in ogni campo una ripresa che ha superato qualsiasi aspettativa; ne è risultato — e va sempre più componendosi — la fisonomia di una Roma nuova, la Roma attuale.

    Per la sua espansione più recente, il caseggiato non ha ulteriormente utilizzato il fondovalle del Tevere, che, come si è visto a suo tempo, si allunga notevolmente tanto a monte che a valle; esso è evitato perchè soggetto ad essere frequentemente inondato; le stesse strade uscenti dalla città tendono ad allontanarsene e nei tratti non lunghi, che ne seguono i margini (Via Salaria, Via Tiberina, Via del Mare), sono talvolta invase dalle acque di piena.

    Il caseggiato si espande su due settori che hanno caratterisciche fisiche differenti: il settore sud, sudest ed est fra l’Aniene e il Tevere, e il restante sulla destra del Tevere tutto in giro a nord, nordovest e nordest fino a raggiungere di nuovo la riva destra dell’Aniene. Diverse sono l’ampiezza dell’espansione ed anche — più ancora — la destinazione delle costruzioni, il loro tipo, la loro distribuzione e densità.

    Nel primo dei settori ora indicati, che è una pianura o un tavolato solcato talora da fossi, ma non rotto che da lievissime intumescenze, l’espansione, a distanza dal centro, era ed è più agevole, ma è stata inceppata per lungo tempo dall’anello ferroviario, che in tutto il settore corre intorno ad una distanza di appena 1-2 km. (e talora anche meno) dalla cinta aureliana; ora esso è superato quasi ovunque. Direttrici dell’espansione sono sempre, come si è più volte ripetuto, le grandi vie consolari, Tiburtina, Prenestina, Casilina, Tuscolana, Appia, ma ormai anche le aree interposte sono invase dai caseggiati, che ad esempio fra la Prenestina e la Casilina le hanno invase quasi tutte fino a una distanza di 6-7 km. dalle porte. Lungo le arterie principali, in prima linea sulla Tiburtina, si susseguono stabilimenti industriali importanti e case operaie; anche negli altri settori prevalgono le costruzioni intensive per abitazioni, alte e ammassate, con negozi, ecc. Talora l’espansione avviene per nuclei avanzati, che dapprima isolati, vengono poi raggiunti dal grosso del caseggiato compatto. Lungo la Casilina ad esempio, attraverso i nuclei ancora abbastanza isolati di Torre Nova e Torre Gaia, l’espansione raggiunge ormai il Villaggio Breda al 14° km.; lungo la Tuscolana arriva, con qualche interruzione, oltre Cinecittà, fin quasi a mezza strada per Frascati, ove è la torre detta appunto Tor Mezzavia; lungo l’Appia Nuova fino ad oltre le Capannelle, mentre ai lati dell’Appia Antica vincoli archeologici e paesistici limitano opportunamente, ma con difficoltà, l’espansione.

    Andamento dell’immigrazione ed emigrazione a Roma dal 1871 al 1963.

    La più recente espansione si verifica lungo il nuovo Viale Cristoforo Colombo, dove è sorto il quartiere EUR e intorno ad esso e al di là di quello in direzione del Lido di Ostia, con costruzioni di vario tipo, residenziali (Casal Palocco) o anche intensive per abitazioni borghesi; esse si sono già dilatate, con stupefacente rapidità, sul terrazzo che accompagna il fiume a sinistra e sui prossimi morbidi rilievi collinosi che fino a meno di un decennio fa erano campagna quasi deserta. L’espansione verso il mare è uno dei fatti più importanti del recentissimo incremento topografico di Roma; esso è stato agevolato anche da nuove strade e rapidi servizi pubblici tra i quali è da annoverarsi la Metropolitana (1955). In questa direzione Roma tende, pertanto, a saldarsi alla massiccia espansione di Ostia e delle borgate disseminate fra la città e la costa.

    Del tutto diverse sono le condizioni nel secondo settore, dove il terreno è più spesso rotto in colline di modesta altezza (nessuna supera Monte Mario) ma con fianchi, come si è già detto, abbastanza ripidi e intercalati da vallecole talora alquanto incassate. Qui la plastica del suolo ha determinato il formarsi di appendici discontinue, tanto più quanto più ci si allontana dalla città. Sulla destra dell’Aniene si trova la città-giardino Aniene sorta come tale, ma ora dilatatasi con costruzioni intensive e borgate verso la campagna a nord e anche a nordest, lungo la Via Nomentana.

    Roma nei suoi successivi ingrandimenti e nella estensione attuale.

    L’insieme forma ora i quartieri Montesacro e Montesacro Alto, dapprima isolati per l’interposta valle dell’Aniene (superata da due ponti, di cui uno recentissimo), sulla quale i quartieri urbani Trieste e Nomentano scendono con un ciglio ripido, ed anche per l’esistenza della già menzionata cintura ferroviaria e per servitù militari. Ora può dirsi completa la saldatura col caseggiato urbano lungo la Via Nomentana. A nord, sulla destra del Tevere, sorgono in collina i nuovi caseggiati di Tor di Quinto, Due Pini, Vigna Clara, con carattere di quartieri residenziali, ma con costruzioni alte e serrate; più a ovest gli agglomerati che da Monte Mario a Sant’Onofrio e oltre hanno per asse la Via Trionfale.

    Tranquilli fabbricati ospitalieri, case di riposo, si alternano qui con villini e agglomerati residenziali, ma anche con costruzioni intensive. Lungo la Via Cassia e adiacenze l’espansione, discontinua raggiunge il 7°-8° km. e trova condizioni favorevoli in una plaga elevata che è tra le più salubri ed Aniene dei dintorni ; lungo la Trionfale si avvicina al io° chilometro.

    Più antica è l’espansione nel settore occidentale, tra le vie Aurelia e Portuense: dal Gianicolo, imminente sul Tevere, ma tuttora area verde (con le adiacenti ville Medici e Pamphili), si è dilatata sulle colline di Monteverde, Monteverde Nuovo ormai tutte occupate con costruzioni compatte o con ville, case di cura, ecc.; più ad ovest con nuclei più radi e borgate popolari. Queste non mancano sulla Portuense ed anche tra questa e la Via della Magliana, che conduce al mare.

    La continua espansione topografica della città fuori delle vecchie mura (con conseguente cattura di quello che era il suburbio tradizionale ed invasione ampia dell’Agro Romano), rende insolubile il problema di determinarne i limiti esterni. Di ostacoli naturali non ve ne sono in alcun settore; quelli creati da opere umane (fortificazioni, ecc.) sono ormai caduti; le più accentuate accidentalità del terreno sono superate da ponti e viadotti. Nuovi ponti sono stati costruiti sul Tevere: a monte lo sfarzoso Ponte Flaminio, che sostituisce il vecchio Ponte Milvio, e il Ponte di Castel Giubileo che va ormai assumendo funzioni di tramite al traffico circumurbano ; a valle il ponte che conduce all’EUR. Un nuovo traforo è stato aperto sotto il Gianicolo.

    Nelle condizioni ora descritte il problema del limite della città come individuo geografico — che si pone all’attenzione del geografo — non può più, neppure proporsi. Esso non può coincidere con quello dell’ultimo piano regolatore (approvato dal Consiglio Comunale nel dicembre 1962), del resto non ancora attuato, che abbraccia l’area dei rioni, dei quartieri, dei suburbi e di gran parte dell’Agro Romano, specie in direzione sudovest. E neppure si può far coincidere con l’area inclusa entro il cosiddetto « grande raccordo anulare », che è un’ampia arteria non ancora del tutto ultimata (nel tratto da ovest a nord), che serve di raccordo fra tutte le grandi strade irradianti dalla città ed ha effettivamente la forma di anello molto regolare con raggio variabile fra 10 e 12 km. dal Campidoglio. Quest’anello, che, come dice il suo nome, ha per scopo di evitare l’attraversamento della città ai veicoli che, provenendo da grandi distanze, proseguono oltre Roma, racchiude un’area di circa 34.500 ha., nella quale si trovano compresi grossi gruppi eli costruzioni per abitazioni, cospicui nuclei industriali, ma sono inclusi pure vasti spazi che conservano poco mutato il paesaggio naturale, ed anche misere borgate con baracche e costruzioni abusive destinate, anziché ad accrescersi, ad essere eliminate; in altri settori i caseggiati periferici già l’oltrepassano.

    Densità della popolazione residente per gruppi di sezioni territoriali nei rioni, nei quartieri e nei suburbi della città di Roma, al 4 novembre 1951.

    Neppure è valido il criterio, adottato da qualche geografo per altre grandi città, di considerare l’area alla quale si estendono i servizi di comunicazioni pubbliche (linee automobilistiche) extraurbane, che trasportano quotidianamente lavoratori di ogni categoria dalla periferia al centro e viceversa, delle quali si farà cenno anche in seguito. Se congiungessimo con una irregolare linea spezzata tutti i capilinea di tali servizi, che raggiungono ormai, anzi spesso superano il grande raccordo anulare, si recingerebbe un’area più che doppia di quella racchiusa dal raccordo; ma in essa restano compresi, tra l’una e l’altra delle strade sulle quali circolano i servizi automobilistici, vasti spazi nei quali il paesaggio conserva ancora un carattere prettamente rurale. E del resto tali capilinea vengono anch’essi costantemente spostati, in considerazione dell’espansione della città. Inoltre si dovrebbe aver riguardo anche ai servizi di autobus regolari non gestiti dall’Azienda Comunale. Tuttavia il criterio è da tenersi presente, perchè esso ha valore se non altro per taluni importanti aspetti della vita economica e sociale, in quanto sui servizi suburbani il flusso centripeto e centrifugo dei passeggeri richiamati quotidianamente a Roma per ragioni d’ufficio o di lavoro è molto intenso. Tutti i nuclei abitati situati ai capilinea o nelle immediate vicinanze sono da considerarsi in realtà satelliti della città, anche se hanno funzioni e caratteristiche diverse.

    Poiché si è fatta menzione delle cosiddette « borgate » occorre accennare brevemente anche a queste. Il termine borgata, « un pezzo di città che non ha la completezza e l’organizzazione per chiamarsi quartiere… un pezzo di città in mezzo alla campagna, che non è realmente né l’una né l’altra cosa» (I. Insolera), cominciò ad usarsi per indicare nuclei come la Garbatella, che peraltro furono poi migliorati, razionalizzati e sostanzialmente incorporati nella città; poi si applicò ufficialmente ad un nucleo assai lontano e isolato, Acilia, a 15 km. da Roma, che fu definito un « luogo d’esilio », in seguito restò a una diecina di nuclei, fra i quali le borgate Gordiani, assai vicina alla via ed all’omonima borgata Prenestina, e San Basilio, invece lontanissima, in località un tempo male accessibile sulla destra dell’Aniene, costituite in origine da baracche e costruzioni abusive, che stanno ormai scomparendo; altre, costruite fra il 1935 e il 1940, per iniziativa dell’Istituto Case Popolari o di altri enti — Trullo, Santa Maria del Soccorso o Tiburtino III, Pietralata, Tufello e Val Melaina, Primavalle, Quarticciolo, ecc. — furono costituite non più da baracche, ma da fabbricati con acqua e servizi igienici in ogni abitazione. Gli edifici malamente mantenuti durante la guerra, vengono ora riorganizzati e risanati e sono piuttosto in via di espansione, come a Santa Maria del Soccorso, enormemente ampliata con costruzioni a 4-5 piani, oppure a Pietralata, a nord della Via Nomentana, dove la speculazione edilizia ha costruito dei veri e propri palazzi, come ancora a Primavalle, in una valle aperta verso il Tevere, dalla parte opposta di Roma, non lungi dalla periferia occidentale, che si avvicina forse a 20.000 ab., ecc. Altre borgate sono ormai da considerarsi come quartieri (Pietralata, Primavalle, San Basilio, ecc.) o appendici di quartieri (Tufello e Val Melaina rispetto al quartiere Montesacro Alto, al quale si appoggiano), altre invece sono in condizioni che possono definirsi miserabili, come il Quarticciolo. Caratteristica di quasi tutte queste borgate è il sovraffollamento, che talora raggiunge valori incredibili, comune anche quasi sempre la deficienza dei servizi e soprattutto di quelli di collegamento con Roma onde gli abitanti formano come dei gruppi compatti e numerosi, ma appartati, anche socialmente, e quasi avulsi dalla vita e dallo sviluppo della città. Altri nuovi agglomerati suburbani, sorti a cura dell’INA-Casa, o di altri enti, sono costruiti su piani predisposti che danno maggior respiro alle abitazioni e tendono ad evitare il sovraffollamento; si preferisce di designarli, anziché con l’appellativo di « borgate », con quello di nuclei edilizi, ma nella maggior parte dei casi restano sempre nuclei isolati.

    Primavalle.

    Un’indagine, condotta nell’ottobre 1957 dall’ufficio statistico del comune di Roma, ha determinato l’esistenza di un gran numero di alloggi precari, intendendo per essi qualsiasi ricovero, utilizzato da una o più famiglie coabitanti, in sostituzione dell’abitazione familiare, e che risulta inoltre strutturalmente provvisorio perchè è stato

    costruito, adattato o organizzato in modo tale che le famiglie che lo abitano non ne hanno la piena esclusività di attribuzione o d’indipendenza oppure perchè edificato o adattato contro le leggi ed i regolamenti edilizi vigenti (alloggi nei ruderi, nelle grotte, ecc.). Tra gli alloggi precari d’altra parte se ne trovano moltissimi malsani e fatiscenti al massimo grado proprio per l’accentuato stato abusivo. Doloroso è il quadro di consistenza delle attrezzature e specialmente dei servizi igienici: moltissimi alloggi (ben 1600 baracche) sono contemporaneamente sforniti di cucina, latrina, acqua potabile, impianto elettrico. Lo stato di salute degli abitanti di questi tuguri è particolarmente preoccupante! Tutte le malattie infettive e croniche sono presenti.

    Il Quarticciolo e la circostante espansione della città

    I caratteri urbanistici più appariscenti degli alloggi precari si possono, subito, sintetizzare in queste considerazioni generali: sorti in zone edificate (circoscritti, quindi, da abitazioni regolari) o ai margini delle zone edificate oppure fuori di queste, sempre su terreni di proprietà pubblica o privata, con strade sterrate ma spesso impraticabili e prive di fognature come gli stessi alloggi, senza illuminazione stradale o insufficiente, con mezzi di trasporto pubblici in genere vicini.

    Gli alloggi precari romani ammontano ad oltre 13.000 ed ospitano ben 13.703 famiglie, che in totale superano di poco i 54.500 ab. (più della popolazione del comune di Latina!). La composizione media delle famiglie è di poco inferiore alle 4 persone; si hanno pure numerose famiglie di un solo componente, mentre altre superano anche gli otto componenti. Gli alloggi sono costituiti in totale da poco meno di 25.000 ambienti o spazi interni separati, di dimensioni talvolta minime e molto spesso privi di finestra. La separazione è data di frequente da semplici tende o da occasionali separatori. Il maggior numero degli abitanti degli alloggi precari è concentrato nel quartiere Tuscolano (più di 9000), mentre il quartiere Salario è completamente immune dalla presenza di questi alloggi. I quartieri Tuscolano e Collatino (quest’ultimo già suburbio Tiburtino) raccolgono un quarto di tutti gli abitanti degli alloggi precari.

    Si possono, pertanto, suddividere (secondo l’indagine) gli alloggi precari, in base alle loro forme d’insediamento, in cinque diversi tipi. Abbiamo così l’accantonamento, che è un insieme di alloggi organizzato dalle autorità per gruppi di famiglie. L’alloggio sparso è definito ogni alloggio isolato, in analogia alle « abitazioni sparse » dei censimenti. Il nucleo è costituito da due a cinque alloggi, analogamente ai « nuclei » dei censimenti, mentre l’agglomerato è dato dall’insieme di sei e più alloggi. Infine il borghetto è il raggruppamento delle stesse dimensioni degli agglomerati solo che il nome « borghetto » è stato attribuito da tempo — e dalla stessa popolazione abitante — agli agglomerati esistenti da data remota, che presentano taluni caratteri particolari. Gli insediamenti degli alloggi precari si distribuiscono soprattutto secondo due settori circolari opposti, l’uno dall’ovest al nordovest, l’altro dall’est al sudest della città. Nel primo arco (da ovest a nordovest) prevalgono gli insediamenti del quartiere Gianicolense (ad ovest) e del quartiere della Vittoria (a nordovest); nel secondo arco prevalgono gli insediamenti del quartiere Collatino (ad est), del quartiere Tuscolano, dei nuovi quartieri Don Bosco ed Appio Claudio (sudest) e dei quartieri Appio-Latino ed Appio-Pignatelli (sud). Un rapido sguardo, ora, alla distribuzione territoriale delle cinque forme d’insediamento sopraddette, ci permette queste conclusioni. Gli accantonamenti sono presenti nel rione Trastevere (in numero di 5) e costituiscono uno dei gruppi di alloggi precari di maggiore dimensione in tutto il territorio della città. Ancora una forte concentrazione di abitanti in accantonamenti è nel ricordato quartiere Gianicolense. Gli alloggi sparsi sono principalmente localizzati nei rioni, cioè nella cerchia delle mura aureliane, nei quartieri e nei suburbi, pochi nell’Agro Romano. Nei rioni sono specie in quelli limitrofi di Testaccio e Santa Saba e negli altri di Ripa e Trastevere. Presenti in tutti i quartieri (escluso il Salario) unitamente alle altre forme d’insediamento. Nei suburbi il maggior numero di alloggi sparsi è localizzato ad ovest del Tevere. I nuclei si hanno in specie nei vari quartieri e nei suburbi. Gli agglomerati si trovano nel rione Testaccio, una volta erano al Campo Parioli (demoliti per far posto al Villaggio Olimpico nel 1959-60), a Castel Giubileo, al quartiere Tuscolano, ecc. Caratteristico è l’agglomerato dell’Acquedotto Felice (quartiere Tuscolano) per la sua forma lineare. Le baracche sono in gran parte addossate all’acquedotto, altre vi sono di fronte: si è così formata una sorta di lunga strada centrale che costituisce l’asse dell’agglomerato. E ancora interessante notare che gli agglomerati nascono (come ha accertato l’indagine) sia attraverso l’ampliamento dei nuclei, sia attraverso l’infittimento di alloggi sparsi. Dunque, sia che la nascita o l’ampliamento dell’agglomerato avvengano con l’uno e l’altro processo, il risultato è che alloggi strutturalmente più efficienti si mescolano con ricoveri occasionali, che danno un’accentuata differenza nelle condizioni dell’abitare dello stesso agglomerato. I borghetti mancano nei rioni ma sono variamente presenti nei quartieri, specie ai Paridi ed al quartiere Appio-Latino. Notevole il borghetto nel quartiere Collatino (stazione Prenestina).

    Comune di Roma: divisione in rioni, quartieri, suburbi e zone dell’Agro Romano. L’area a tratteggio obliquo corrisponde a quella occupata dal caseggiato continuo alla fine del 1958.

    Interessante è ora un rapido esame delle famiglie, che hanno sede in questi alloggi precari, secondo la loro provenienza regionale. Risulta cosi che i capifamiglia immigrati rappresentano quasi l’8i% di tutti i capifamiglia reperiti negli alloggi precari. Essi provengono da tutte le regioni italiane, mentre una piccola quota (282 degli 11.013 capifamiglia) proviene anche dall’estero. La regione che ha dato il maggior apporto è il Lazio (esclusa Roma) con il 24,14%. Seguono l’Abruzzo ed il Molise con il 14,81% e la Calabria con il 13,42%. Con un apporto compreso fra il 10% ed il 5% sono — in ordine decrescente — Puglia, Marche, Sicilia e Campania. Tra il 4% e l’i% sono Sardegna, Umbria, Toscana, ecc. Con meno ancora Lombardia, Piemonte, Liguria, ecc.

    Il boom della bidonville romana si è avuto particolarmente a partire dagli anni del secondo conflitto mondiale e per il decennio seguente: oggi pare che il numero degli alloggi precari (anche per il massiccio intervento dello Stato nei campi dell’edilizia popolare e sovvenzionata) si vada riducendo sebbene faccia a questa riduzione riscontro, in parte, una nuova immissione di famiglie negli alloggi precari liberi, sia pure in misura ridotta. Malgrado le più rigorose precauzioni degli organi di vigilanza comunale contro questa rioccupazione degli alloggi precari (a cominciare dalla loro distribuzione), dopo la concessione dei nuovi appartamenti ai loro abitanti, essi non mancano di sorgere di nuovo in luoghi ed in momenti più impensati, creando così gravi disordini di ordine sociale.

    Il problema di regolarizzare, in tutti i sensi, queste appendici — eliminando quelle non risanabili e sostituendole con altre, fissando nel contempo per quelle che restano un piano regolatore — di associare alla vita di Roma gli abitanti preparandone o disciplinandone l’inserimento o l’assorbimento nella futura espansione della città, rimane uno dei maggiori compiti — forse addirittura quello in prima linea — tra i molti che oggi si presentano agli enti che governano la capitale d’Italia.

    Rioni, quartieri e suburbi

    La città di Roma è attualmente divisa, secondo la ripartizione ufficiale, in rioni, quartieri urbani e suburbi. I rioni sono cresciuti al numero di 22, per l’aggiunta, nel 1921, di sette nuovi rioni, istituiti per suddivisione di alcuni dei vecchi: suddivisione giustificata dal fatto che le nuove aree in cui si era esteso man mano il caseggiato, a spese di ville, come il Ludovisi e il Sallustiano, o di spazi pressoché vuoti, avevano assunto struttura edilizia, aspetto, caratteristiche sociali diverse da quelle dei corrispondenti nuclei rionali vecchi. Tutti i rioni restano pur sempre compresi entro la cinta delle mura aureliane, tranne il rione Prati occupante, come si è già visto, la vasta area pianeggiante sulla destra del Tevere, il cui corso tra Piazza del Popolo e Castel Sant’Angelo sostituiva in passato la cinta murata come confine della città. I rioni occupano oggi un’area di 1550 ettari.

    I quartieri rappresentano l’espansione extra moenia, le cui direttrici originariamente furono determinate, come pure si è visto, da alcune delle strade consolari uscenti dalle porte principali ma che ben presto si sono estesi col caseggiato alle aree interposte fra le grandi arterie divergenti sempre più lontane l’una dall’altra. I quartieri sono oggi, in seguito alla deliberazione commissariale del settembre 1961, 35 (in luogo di 18 al 1951, ma 3 non fanno parte della città vera e propria e sono indicati come quartieri marini: Lidi di Ostia — Levante e Ponente — e di Castel Fusano) ed occupano un’area di 17.710 ha.: la loro ampiezza è molto varia, dai 46 ha. del Salario, ai 1470 dell’Ardeatino. Gran parte dei quartieri confinano direttamente con quello che ufficialmente si continua a chiamare Agro Romano; altri sono separati da questo per l’interposizione di aree, nelle quali il caseggiato si viene sviluppando e dilatando in modo ancora per lo più discontinuo, o mediante nuclei abbastanza isolati; esse sono denominate suburbi con significazione del tutto differente da quella tradizionalmente attribuita al suburbio; sono oggi 6 (erano 11 al 1951) ed abbracciano un’area di 5375 ettari. La città, entro i limiti così specificati, ha perciò un’area totale di 23.099 ettari. Questa cifra si riferisce al 1961, data dell’ultimo censimento. Il Lido forma oggi una circoscrizione a sè di tre quartieri (1536 ha.); i restanti 126.124 ha., che completano l’area del comune di Roma, appartengono al territorio designato come Agro Romano o Campagna Romana.

    L’incremento demografico (popolazione residente) dal 1931 in poi risulta dalla seguente tabella.






    Anni

    Rioni

    Quartieri

    Suburbi

    Totale (senza l’Agro Romano)

    1936

    435.753

    603.627

    55.330

    1.094.710

    1951

    424.208

    967.534

    138.510

    1.530.252

    1956

    360.582

    1.104.333

    190.916

    1.655.83I

    1961

    272.561

    1.642.137

    82.465

    1.997.163

    Due fatti colpiscono immediatamente chi dia solo un’occhiata a questi dati: il rapidissimo incremento della popolazione totale di Roma e la diminuzione, veramente cospicua, della popolazione nei rioni (la riduzione della popolazione nei suburbi è solo apparente perchè quasi la loro metà è stata, poco prima del censimento 1961, variata in quartieri proprio per il continuo sviluppo della popolazione residente). Riguardo all’incremento globale, si delineano due periodi di particolare intensità: il quindicennio 1936-51 che ha veduto la città superare il milione e mezzo di abitanti, e il quinquennio 1956-61 durante il quale si è quasi raggiunta la cifra di 2.000.000. La popolazione di Roma, che tra il 1871 e il 1901 era all’incirca raddoppiata, era ancora raddoppiata al 1928, e di nuovo al 1953. Difatti, se si fa uguale a 1000 la popolazione al 1871, si ha il valore di circa 2000 al 1901, oltre 4000 al 1928, oltre 8000 al 1953 e — si può aggiungere — 10.200 alla fine del 1961. Per tutta l’Italia fatta uguale a 1000 la popolazione al 1871, si ha appena 1815 per il 1961.

    Una recente foto aerea del centro della città dall’Augusteo al Circo Massimo.

    Quanto alla diminuzione nei rioni, essa risale già al periodo precedente l’ultima guerra mondiale, ma si è accentuata in modo che può dirsi spettacolare soprattutto se la si consideri in confronto all’incremento dei quartieri e dei suburbi (per questi ultimi fino al i960). Ciò è messo in luce dalla tabella seguente, che espone il movimento della popolazione in cifre percentuali.







    Anni

    Rioni

    Quartieri

    Suburbi

    Agro Romano

    1921

    69

    23

    4

    4

    1931

    45.3

    32,5

    13.7

    8.5

    1936

    38,6

    51.1

    4.9

    5.4

    1951

    25,5

    58,6

    8.5

    7.4

    1961

    12,4

    75.2

    3.7

    8.7

    Riassumendo, l’aumento annuo della popolazione di Roma fu negli ultimi 30-35 anni in media di 40-45.000 ab. (una lieve diminuzione si ebbe solo nel biennio 1944-45), e a quello concorse più che l’incremento naturale (eccesso delle natalità sulle mortalità) l’immigrazione: ad esempio, nel 1956 su un aumento di circa 44.000 unità, se ne ebbero 25.650 per immigrazione e 18.250 per incremento naturale. La corrente degli emigrati fu sempre molto esigua.

    Si può domandare donde vengano in prevalenza gli immigrati, cioè coloro che prendono stabile residenza in Roma? È noto che sotto il governo pontificio le Marche e l’Umbria davano il contributo principale e con queste anche l’Abruzzo, specialmente da alcuni suoi cantoni montani, parte dei quali (Amatrice, ecc.) è però ora inclusa nel Lazio amministrativo. Subito dopo il 1870 si verificò un afflusso di Piemontesi, ma limitatamente ad alcune categorie. Oggi le cose sono assai mutate. Nel periodo 1952-56, per il quale si hanno calcoli sicuri, il 26,5% proveniva da altre località del Lazio; l’8,7% dall’Abruzzo; 1°8,3% dalla Campania; seguivano in gruppo, ma in ordine decrescente, Puglia, Marche, Sicilia, con più del 5% ciascuna, poi Umbria, Toscana, Calabria, Lombardia, Veneto. Un po’ più del 5% veniva dall’estero.

    Lo stupefacente risultato è che non più del 45% della popolazione di Roma è nata nel comune stesso.

    Di grande rilievo è anche, per qualificare la fisonomia di Roma, la distinzione degli abitanti secondo la categoria di occupazione. Della popolazione superiore a 10 anni, che aveva una occupazione stabile (popolazione attiva), più dei tre quarti erano, secondo i dati più recenti, assommati da tre categorie di occupazioni: pubblica amministrazione — oltre il 29% — commercio e servizi, quasi altrettanti (28,6%), industrie circa il 19%. Per il resto circa il 9,5% era occupato nelle costruzioni, che è una forma strettamente connessa con attività industriali, il 9% nei trasporti e comunicazioni (compresi i servizi del gas, elettricità, ecc.), una percentuale anch’essa assai rilevante. Il resto era costituito da impiegati negli uffici e servizi di credito e assicurativi; non più dell’1,5% in attività connesse con l’agricoltura. Secondo un’indagine condotta da Alberto Mori, la popolazione attiva di Roma (1951) si può valutare al 37,7% della popolazione totale (Milano e Torino : 47,5%). E di essa il 3,5% appartiene alla borghesia agiata (Milano: 5,3%), il 39,7% alla piccola borghesia (Milano: 40,2%), il 53,5% agli operai e manovali, il 3,3% agli agricoltori e pescatori e il 27,2% ai commercianti.

    Alla data dell’ultimo censimento della popolazione (15 ottobre 1961) sono risultati residenti nel comune 2.188.160 ab. (con un aumento del 32,5% rispetto al 1951), dei quali (dati non definitivi) 272.561 (12,4%) nei 22 rioni, 1.642.137 nei 35 quartieri (75,2%), 82.465 nei 6 suburbi (3,7%) e 190.997 (8,7%) nelle 59 zone dell’Agro Romano. Il Lido di Ostia conta quasi 25.000 ab., Fiumicino poco meno di 7000, Acilia intorno ad 11.000 abitanti. Nel decennio 1951-61 Roma ha avuto un aumento di oltre 536.400 ab., che sono per la massima parte immigrati. Da dove è venuta questa gente? In massima parte dalla stessa regione laziale (circa 140.000 immigrati), quindi dalle altre regioni dell’Italia centrale (Marche, Toscana, Umbria e Abruzzo-Molise: altri 140.000), dal Mezzogiorno (Campania, Puglia, Basilicata e Calabria: circa 110.000), dal Nord (Piemonte, Val d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna: meno di 80.000) e dalle isole (Sicilia e Sardegna: meno di 50.000 immigrati). L’incremento è continuato anche negli anni successivi e al 31 dicembre 1964 la popolazione residente era di 2.455.302 abitanti. Ma mentre nel 1961 si era avuto un incremento di 129.660 persone (per l’85% dovuto a immigrati), nel 1962 l’incremento si è alquanto attenuato (77.400 persone, per il 66% immigrate). Il coefficiente annuo di natalità è calcolato per il 1962 intorno al 18,1 per mille, quello di mortalità 8,7 per mille.

    Tornando ad esaminare le cifre esposte nella precedente tabella, per quanto esse non siano senz’altro comparabili, perchè sono intervenute (specialmente nel 1921 e nel 1961), variazioni nelle circoscrizioni, risulta che esse denunziano in modo molto eloquente il mutamento nella distribuzione interna della popolazione. Ancora nel 1921 circa il 70% della popolazione viveva nei rioni, oggi questi non ne ospitano che poco più di un decimo. Il centro di Roma si sfolla. Già prima dell’ultima guerra quasi tutti i vecchi rioni dimostravano, anche in linea assoluta, una stasi demografica, o anche in alcuni casi, una sia pur lieve diminuzione. Dai dati del 1951 si rileva che sette rioni avevano veduto diminuire in misura notevole la popolazione; nel decennio 1951-61 la diminuzione si è estesa a tutti i rioni senza eccezione. In questo più recente periodo decennale la diminuzione media è stata del 36%, ma ha raggiunto il 54% nel rione Campitelli, quello che da più antica data ha presentato un regresso demografico; il 47% nel rione Ludovisi, il 45% nel rione Trevi, il 38% nel Castro Pretorio, ecc. ; in questi ultimi rioni aumenta costantemente il numero dei fabbricati non destinati ad uso di abitazione e ragguardevole è tuttora lo spazio occupato da parchi e ville.

    Centocelle.

    Notevole è che la diminuzione della popolazione si sia estesa, dopo il 1951, anche ad alcuni quartieri dei più affollati: il Salario, il Flaminio, il Tiburtino. Tutti gli altri quartieri (esclusi quelli di Montesacro, Portuense, Prenestino-Labicano e Gianicolense, con incrementi fra il 31% ed il 46%) mostrano, nel quinquennio 1951-1956, l’ultimo per il quale disponiamo dei dati, prima del censimento 1961, un aumento del 14% nella media complessiva, quasi pari alla diminuzione dei rioni nello stesso periodo. Ma al 1961 gli aumenti massimi si sono verificati nei quartieri Portuense (da quasi 13.000 ab. a 46.146) e Montesacro (138%); quest’ultimo sorto sulla destra dell’Aniene, con caratteristiche di città-giardino, come si è già accennato, ha in progresso di tempo mutato carattere per il raffittirsi delle costruzioni e per il sorgere di edifici di abitazione a molti piani di tipo popolare. Vengono poi i quartieri Tor di Quinto (90%), Gianicolense (72%), Aurelio e Trionfale (65%), Ostiense (30%), ecc. Sono in genere i quartieri meglio esposti, quelli che avevano maggior disponibilità di aree fabbricabili nelle immediate vicinanze del centro urbano, quelli che erano e sono meglio serviti da comunicazioni. In diminuzione sono poi i quartieri Flaminio, Pinciano, Salario, ecc.

    La densità media dei rioni era di 270,5 ab. per ettaro nel 1951 e di 176 nel 1961. In alcuni dei vecchi rioni, la cui fisonomia è poco mutata, l’addensamento è molto più elevato: in Parione 700 ab. per ettaro nel 1951, a Ponte 620, cifre alquanto diminuite nel 1961 (rispettivamente 415 e 355) per effetto di sventramenti e sfollamenti. Ma alta è ancora la densità in quelli fra i rioni più recenti, nei quali sono sorti fabbricati a sei, sette, otto piani (sconosciuti alla vecchia edilizia romana), e in cui la larghezza delle strade, l’ampiezza delle piazze e degli spazi verdi non è purtroppo proporzionale all’affollamento della popolazione (rione Prati 283 ab. per ettaro; Esquilmo 265; Testaccio 228 al 1961).

    La densità media dei quartieri è invece di 91 ab. (1961) per ettaro, con un massimo di circa 360 nel quartiere Salario e un minimo di meno di 1 ab. per ettaro nel quartiere marino del Lido di Castel Fusano, ove la bella pineta occupa una larga parte.

    La fisonomia dei quartieri è molto differente: influisce in modo evidente la conformazione del terreno che dà ai quartieri, che si svolgono in collina o comunque in suolo movimentato (Gianicolense, Parioli, Tor di Quinto, Montesacro), con vie e viali snodantisi tortuosamente sui rilievi e costruzioni più distanziate, un aspetto del tutto differente da quello dei quartieri che si estendono in pianura (Nomentano, Tiburtino, Appio-Latino, della Vittoria, ecc.) con strade rettilinee e costruzioni a grandi blocchi regolari di edifici, spesso, e con sempre maggior frequenza, a sette, otto piani e più. L’edilizia moderna, che si sforza di dare respiro anche agli imponenti fabbricati per abitazioni popolari, contribuisce ad accentuare il contrasto fra l’aspetto di questi quartieri e quello dei vecchi rioni.

    Alcuni quartieri avevano la loro continuazione in suburbi che talora recavano lo stesso nome e non erano in sostanza che ulteriori espansioni dei quartieri: in questi casi il limite tra il quartiere e il relativo suburbio appariva del tutto convenzionale. Questo era il caso del suburbio Tuscolano (ripartito oggi fra i quartieri Don Bosco ed Appio Claudio), che mostrava uno sviluppo notevolissimo nel quinquennio 1951-1956, essendo passato da 7750 ab. nel 1951 a 22.400 nel 1956, con incremento del 180%: al 1961 i due quartieri, ora ricordati, hanno raggiunto quasi 68.000 abitanti. Seguono per entità d’incremento il suburbio Tiburtino (oggi quartiere Collatino), passato nell’ultimo decennio da 16.740 ab. a ben 46.180, ed il suburbio Appio-Latino (oggi quartiere Appio-Pignatelli) con 8310 ab. al 1961 (3460 al 1951), ecc. Tutti i vecchi suburbi, che sono divenuti quartieri nel settembre 1961, in seguito alla già ricordata nuova ripartizione del territorio comunale di Roma (che ha lasciato i suburbi — in numero di 6 — solo nel settore da sudovest a nord della città), hanno avuto nel periodo 1951-61 un intenso incremento, già precedentemente segnalato.

    Montesacro.

    Il progressivo spopolamento dei rioni del centro documenta una tendenza sempre più evidente nello sviluppo della Roma attuale: la formazione della city, cioè di un nucleo urbano centrale, nel quale la circolazione diurna è affollata, ingombra fino all’inverosimile e le costruzioni ad uso di abitazione diminuiscono sempre di più a vantaggio di negozi e magazzini, grandi e medi, di banche, di sedi di società commerciali, di agenzie di viaggi e trasporti, di alberghi, ecc.; frequentatissimo di giorno, questo nucleo centrale ospita un numero di abitanti permanenti o notturni di anno in anno minore. Questo nucleo, che si designava in passato semplicemente come il centro, poteva essere indicato dal triangolo tra le piazze Colonna, Venezia e del Pantheon. Negli ultimi decenni si è andato spostando verso Piazza Barberini e verso la stazione ferroviaria. Oggi di un centro non si può più parlare: l’area centrale — il cuore della city — può essere rappresentato da un poligono irregolare tra Piazza Colonna, Piazza San Silvestro, Piazza di Spagna, Piazza Barberini, Piazza Termini, Piazza Venezia, il Pantheon. Qui sono le vie più frequentate e animate: il Corso, il Tritone, Via Condotti, Via Veneto, Via Bissolati, Via Nazionale, ecc.

    Una distinzione in quartieri funzionali (che nulla hanno a che fare coi quartieri amministrativi) non può farsi in modo netto. Non vi è un quartiere degli uffici pubblici. Se quelli comunali sono concentrati sul Campidoglio o nelle adiacenze, i Ministeri sono sparpagliati ed anzi mostrano la tendenza a decentrarsi sempre più, all’EUR, presso il Foro Italico, ecc. Vi è una «Città Universitaria», inaugurata nel 1935, ma essa non basta più all’accresciuto numero degli studenti, per il che altre sedi universitarie sono sorte — come si è già detto nel Cap. VII — anche a grande distanza. Una città ospitaliera, con cliniche e altri istituti sanitari, ha per nucleo il vecchio Policlinico prossimo alla Città Universitaria, ma altri più recenti e numerosi nuclei sanitari sono dispersi alla periferia, specie sulle colline a destra del Tevere, Gianicolo, Monteverde e Monteverde Nuovo, Monte Mario, ecc. Un quartiere militare esiste ai Prati di Castello, un altro al Castro Pretorio, ma per entrambi è previsto un prossimo trasferimento in aree più eccentriche.

    Un lato molto cospicuo dello sviluppo recente di Roma è la formazione di quartieri industriali. I grandi stabilimenti o complessi industriali, che ormai non servono soltanto i molteplici e crescenti bisogni della città, ma lavorano anche per l’esportazione in Italia ed all’estero, esigono larghezza di spazio e perciò sono necessariamente — come del resto in tutte le grandi città — respinti verso la periferia, ma cercano anche facilità di comunicazioni e perciò si sviluppano lungo le grandi strade, e in vicinanza di scali ferroviari : la localizzazione prediletta è perciò lungo le vie Salaria, Nomentana, Tibur-tina, Prenestina, Casilina, dove sono possibili raccordi con le prossime stazioni (Tiburtina, Tuscolana). I tentacoli suburbani connessi con questi stabilimenti si allungano sempre più all’esterno; su alcune di tali appendici si notano già allineamenti di industrie affini, per esempio industrie chimico-farmaceutiche lungo la Via Salaria e la Tiburtina. Sulla Via Tuscolana è Cinecittà, mentre un nuovo importante centro di produzione cinematografica è in via di completamento sulla Via Pontina, lungo la quale stanno sorgendo vari complessi industriali. Il più recente piano regolatore di Roma ha disposto la formazione di una nuova, vasta zona industriale (circa 2000 ha.), oltre quelle già previste nella borgata di Tor Sapienza (fra le vie Tiburtina e Prenestina) e in località Grotte Celoni (fra i chilometri 14 e 15 della Via Casilina), nella parte meridionale del territorio comunale situata verso la Piana Pontina, e comprendente anche le due aree (una fra la Via di Decima e la Via Pontina, l’altra presso Santa Palomba) entro la zona d’influenza della Cassa per il Mezzogiorno. Tale intervento darà luogo, nel corso dei prossimi anni, ad uno sviluppo topografico intensivo a carattere prevalentemente operaio o per la piccola borghesia in direzione sud, che verrà certamente a fondersi con quello già in atto nelle zone industriali poste fra est e sudest.

    I quartieri di Testaccio e San Paolo sono piuttosto quartieri commerciali: quivi sono i mercati generali, una stazione merci e quivi faceva capo, un tempo, un discreto movimento di merci risalenti il fiume.

    In prossimità dei grandi nuclei industriali e commerciali sono anche le costruzioni intensive dei quartieri popolari (quasi mai però veri e propri quartieri operai) con imponenti fabbricati alti e ravvicinati, cui l’edilizia moderna si sforza tuttavia di dare un po’ di respiro. Ma quartieri popolari esistono ormai quasi ovunque alla periferia, tranne nelle zone collinose, nelle quali, oltre a tutto, il terreno movimentato, meno si presta ai blocchi di costruzioni intensive. La collina è per contro preferita dai quartieri residenziali: Parioli, Tor di Quinto, Vigna Clara, Camilluccia, Monte Mario, Gianicolo, Monteverde e Monteverde Nuovo. Ma anche in taluni di questi quartieri residenziali, le originarie costruzioni a villini sono sopraffatte dai nuovi edifici a sette, otto piani ; anzi in taluni casi la fase « villini » non ci fu mai e il carattere residenziale è conferito dalla presenza di « servizi » autonomi concentrati intorno ad una piazza centrale.

    A causa dell’elevato e sempre crescente costo dei terreni, i quartieri residenziali di ville e di villini non possono essere costituiti che molto lontano dalle porte, come per esempio, sulla Via Cassia, ove il più recente è quello dell’Olgiata; altrove, nelle adiacenze di strade aperte di recente, come il Viale C. Colombo, si vede una deturpante associazione di palazzi signorili, di costruzioni intensive popolari, di ville con sempre più ridotte intercalazioni di aree verdi, prossime ad essere inevitabilmente inghiottite. Qui è sorto anche, nei pressi dell’EUR, per l’Olimpiade del i960, un modernissimo quartiere sportivo con attrezzature grandiose (Palazzo dello Sport, Velodromo, ecc.), collegato alle maggiori arterie che conducono a Roma, specialmente da nord, mediante una nuova via appositamente costruita, la Via Olimpica.

    Si comprende facilmente che lo straordinario incremento della popolazione ha aggravato molti problemi presenti già da tempo; altri ne ha imposti di gravissimi. Quello dell’approvvigionamento idrico era stato magnificamente risolto nell’antichità con la costruzione di grandiosi acquedotti, dei quali entro la città è ormai da tempo scomparsa quasi ogni traccia, ma che, coi loro imponenti ruderi costituiscono tuttora, come si è già accennato, una delle caratteristiche del paesaggio della Campagna Romana. Due delle maggiori sorgenti sono ancora utilizzate. Una è l’Acqua Vergine o di Trevi condotta a Roma dalle sorgenti presso la stazione di Salone mediante un acquedotto costruito da Agrippa nel 19 a. C. ; più volte restaurato da Papi nell’alto Medio Evo fino a Nicolò I (IX secolo), e sboccante nella fonte di Trevi, fu sistemato definitivamente per opera di Nicolò V (1453). La fontana monumentale è, come si è già detto, molto posteriore: fu commissionata a N. Salvi (1732) dal papa Clemente XII. Ma data la bassa quota della sorgente, l’Acqua Vergine non poteva e non può servire che ai quartieri bassi di Roma. Molto più ricca l’Acqua Marcia, che attinge alle copiose sorgenti carsiche dell’alto Aniene, captate già in parte nel 144 a. C. dal pretore Marcio, divenute peraltro inutilizzabili per guasti e inquinamenti dell’acquedotto nel Medio Evo; furono ripristinate con altre più abbondanti prese e ricondotte ad abbeverare la città con opera grandiosa, voluta da Pio IX, terminata, come si è già detto, nel 1870, pochi giorni prima della cessazione del potere temporale. Soltanto allora cessò quasi interamente l’uso dei pozzi, che erano frequenti nelle case, alimentati da vene acquifere sotterranee, ma non sempre purissime, onde le non infrequenti malattie a carattere epidemico.

    Altre minori sorgenti utilizzate erano e sono l’Acqua Felice, che attingendo alle stesse sorgenti dell’Acqua Alessandrina (di Alessandro Severo, 222-35 d. C.) fu condotta a Roma tra il 1587 e il 1589 (dal papa Sisto V) per fornire acqua soprattutto alle ville dei quartieri alti e a numerose fontane, come quella del Mosè in Piazza San Bernardo; l’Acqua Paola condotta a Roma sotto Paolo V, nei primi anni del XVII secolo per abbeverare i quartieri di Trastevere, utilizzando in parte l’antica Acqua Traiana, presso Bracciano ed in parte acqua di quel lago. Così Roma ebbe fino agli ultimi anni acqua largamente sufficiente, tanto che una parte non esigua poteva essere distribuita per alimentare le numerose, ricche, magnifiche fontane che sono caratteristica e orgoglio della città.

    Fino agli ultimi anni — dicevamo. Ma con l’aumento della popolazione, nuove esigenze si facevano di giorno in giorno più urgenti. Ad esse si è provveduto mediante l’acquedotto del Peschiera, del quale si è già fatto cenno in altro capitolo. La grandiosa opera, una delle maggiori del genere eseguite in Italia, fu iniziata nel 1937 ed inaugurata nel 1949, ma solo nel maggio 1957 l’acquedotto venne completato in tutto il suo sviluppo di 86 km., dei quali 78,5 di gallerie, il rimanente in ponti-canali, sifoni di cemento armato e condotte metalliche, fino alle cabine di distribuzione, sulle pendici di Monte Mario. Ai 4000 l./sec. già concessi, se ne aggiunsero nel 1958 altri 1000 ed ancora altri 4000 l./sec. all’inizio del 1964. Della distribuzione dell’acqua e dell’esercizio degli acquedotti per la città di Roma si occupa dal 1937 l’Azienda Comunale Elettricità e Acqua (ACEA), che nel 1962 aveva 36.000 utenze idriche circa. La disponibilità idrica complessiva è oggi di 15.000 l./sec., dei quali la Società dell’Acqua Marcia dispone di 5000 1. e l’ACEA di 10.000. Nel 1865 gli acquedotti esistenti distribuivano in totale 25.800.000 1. per una popolazione che era meno di un decimo dell’attuale.

    Gli impianti di innaffiamento e di irrigazione di parchi, ville e giardini sono stati notevolmente dotati ; si è sviluppata la rete antincendio ed aumentato il numero delle fontanelle utilitarie, mentre alle grandi fontane monumentali è stata assicurata una maggiore erogazione (per tutte ricordiamo solo quella delle Naiadi, in Piazza Esedra); nel contempo le nuove e sempre crescenti organizzazioni industriali sono state soddisfatte nelle loro richieste.

    Le opere più importanti di distribuzione idrica, di recente entrate in funzione, sono quelle di Monte Mario, Madonna del Rosario, Piazza Carpegna e Monteverde. Sono in corso, infine, studi e provvedimenti per le future esigenze della città, che prevedono lo sfruttamento del Lago di Bracciano (6000 l./sec.), dei finitimi bacini del Treia e del Mignone, il completamento della captazione della sorgente Peschiera (1000 l./sec.), oltre alla ricerca delle falde acquifere potabili nel territorio dell’Agro Romano (1400 l./sec.).

    All’approvvigionamento alimentare concorrono tutte le zone intorno a Roma ed anche molte regioni lontane. L’antica cerchia di orti del suburbio è ormai ridotta a pochi lembi sempre più ristretti e le colture orticole, pur molto estese oggi nel Lazio, sono ben lontane dal supplire ai bisogni della città. Per citare un solo esempio, nel 1961 affluirono ai mercati generali e direttamente ai mercatini rionali quasi 1.287.300 q. di ortaggi, dei quali solo 426.500 q. da varie zone del Lazio (per veicoli), mentre i restanti (di cui appena 76.133 q. per ferrovia) dalle altre regioni d’Italia (Campania, Sicilia, Puglia, ecc., a seconda dei mesi e della quantità locale della produzione).

    Nello stesso anno affluirono al mercato all’ingrosso ed ai vari mercatini nei rioni e quartieri quasi 1.756.550 q. di frutta, della quale appena 48.500 q. dalle zone limitrofe a Roma e 224.000 dal resto del Lazio (tutti per veicoli); il resto, cioè 996.185 q. per veicoli e circa 487.690 q. per ferrovia, giunsero da altre varie regioni (Campania, Sicilia, Emilia-Romagna, Sardegna, Calabria, ecc.).

    Per l’approvvigionamento di carne, sempre nel 1961, furono macellati circa 87.840 capi di bestiame (giunti in specie da Toscana, Umbria e Marche, oltre che dallo stesso Lazio), mentre furono introdotti al mercato all’ingrosso 43.706 q. di ovini, 47.656 q. di pollame e 118.424.600 uova. Del pesce, oltre 142 milioni di quintali al 1961 : i principali fornitori sono naturalmente i porti del Tirreno, con alla testa Porto Santo Stefano (poco meno di un terzo del totale), seguito da Anzio, Civitavecchia, Fiumicino, Terracina, ecc., ma alcune di queste località sono solo centri di distribuzione di pesce affluito anche da plaghe lontane. I porti adriatici delle Marche (in particolare San Benedetto del Tronto) e dell’Abruzzo concorrono per il 17-18%, ma non mancano altre provenienze più lontane, anche dall’estero.

    Roma. La Stazione Termini, la Piazza dei Cinquecento e le Terme di Diocleziano.

    Al rifornimento lattiero in parte provvedono le tenute della Campagna Romana (come Torre in Pietra e Maccarese), in parte zone più lontane. Ma il territorio che provvede al rifornimento si è andato progressivamente allargando e mentre nel 1938 non superava distanze di 22-25 km. dal margine urbano, comprende ora la regione pontina, alcune località della valle del Sacco e si spinge fino in Campania (Capua), data la possibilità di impiegare automezzi più celeri e più efficienti che nel passato. Il consumo medio di latte dei romani risulta però ancora modesto: in media circa 50 litri a persona nel corso dell’anno. Nel 1961 il latte affluito alla Centrale di Roma ha superato i 105 milioni di litri, dei quali più della metà sono giunti dall’Agro (55 milioni di litri), oltre 45 milioni dalle restanti province laziali, mentre da altre regioni d’Italia poco meno di un quinto, limitato solo nei mesi da giugno a dicembre. Del totale ne sono stati distribuiti quasi 104 milioni.

    Il problema delle comunicazioni e dei trasporti pubblici in città si presentò sempre come di ardua soluzione — anzi, si può dire — di giorno in giorno più ardua, a causa delle pendenze e dell’angustia delle vie del centro, spesso ancora ad andamento tortuoso e sempre affollate di pedoni e di veicoli privati. Come si è già detto il primo tram su rotaie comparve nel 1877 ed era un tram suburbano; nel centro il primo capolinea fu Piazza San Silvestro, sede della posta centrale, donde il tram saliva a fatica per Capo Le Case a Porta Pinciana. La trazione elettrica fu introdotta nel 1900 nei tram urbani, che erano stati preceduti due anni prima da quello per Tivoli e poi seguiti (1902) da quello per Frascati. Ma a poco a poco i tram su rotaie cedettero il posto agli autobus; entro il perimetro della cinta aureliana ne restano pochissime linee. Capilinea dei servizi automobilistici urbani sono, con San Silvestro, la Piazza Termini e la vicinissima Piazza Indipendenza, il Piazzale Flaminio, Piazza Venezia e adiacenti; ma altri capilinea sono sparsi in vari punti della città. Da questi capi-linea le linee raggiungono la cintura aureliana, e sono raccordate da un anello circolare di tram a rotaie, che segue in genere dappresso quella cintura; fuori di essa proseguono poi nei quartieri, dove un’altro anello periferico li raccorda. Al di là di questo anello, cioè verso l’interno, irradiano linee che percorrono le grandi strade consolari fino a capilinea sempre più lontani e con diramazione verso nuclei di caseggiati dell’Agro, come vedremo in seguito.

    I servizi dei quali si è parlato sono unificati nell’Azienda Tramvie, Autobus del comune di Roma (ATAC), che provvede anche alle comunicazioni con alcuni centri più lontani, per esempio Tivoli.

    La lunghezza delle linee gestite dall’ATAC era nel 1962 di circa 906 km. (esclusa la linea per Tivoli, 44 km.) divisi fra tramvie (138 km.), filobus (140 km.), autobus (628 km.). La rete urbana nel 1911 copriva appena 18 km! Il movimento dei passeggeri nel 1963 è stato di 922.322.000 persone.

    Ma, mentre i servizi suburbani possono ancora affittirsi e moltiplicarsi, non altrettanto può dirsi di quelli del centro, che anzi dovrebbero essere sfollati e snelliti. Due trafori stradali, quello sotto il Quirinale e quello sotto il Gianicolo, hanno recato qualche sollievo; pare che altri non siano previsti. I tronchi sotterranei presentano a Roma particolari difficoltà a causa della natura del suolo, della presenza di acque, ecc. Una « metropolitana » (gestita dalla STEFER) congiunge la stazione ferroviaria principale (Termini) con il quartiere dell’EUR (km. 10,580), ma non traversa zone di intenso traffico; essa si prolunga con una ferrovia subaerea rapidissima che arriva al mare al Lido (km. 30,520). Ne riparleremo tra breve, ma qui occorreva accennarvi perchè a questa si deve, negli ultimi anni, l’eccezionale sviluppo edilizio dei quartieri dell’EUR e del Lido: esempio cospicuo dell’influenza determinante esercitata, sull’orientamento recentissimo dello sviluppo urbano, dalla presenza di una comunicazione rapida. Più antica è un’altra linea sotterranea che dal Piazzale Flaminio raggiunge il Tevere all’Acquacetosa non lungi dalla confluenza dell’Aniene, in località che trent’anni fa era campagna aperta; anche questa linea continua come subaerea e provvede alle comunicazioni con località a nord di Roma fino a Viterbo. E in progetto il raccordo fra le due metropolitane con un tronco che veramente dovrebbe passare sotto il cuore della città, ma esso è di difficile e costosa costruzione; sono invece in corso i lavori di un altro tratto della metropolitana fra Termini e l’Osteria del Curato (Ciampino). A servizi suburbani provvedono anche le linee che allacciano Roma ai Castelli Romani (tram e autobus) e una linea su rotaie che da Termini percorrendo la Casilina e poi la Prenestina collega al centro popolosi quartieri suburbani e ancora prosegue verso sud fino a Fiuggi.

    Le vie di comunicazione fondamentali irradianti da Roma.

    Panorama generale di Roma, dall’aereo.

    Numerosissimi sono i servizi automobilistici irradianti da Roma, ma manca finora un coordinamento che parrebbe necessario, come manca una stazione centrale che serva da nodo: il problema dei trasporti collettivi fra Roma, la provincia e le zone limitrofe è di un certo interesse perchè si può inquadrare nel tipico fenomeno di « moto pendolare » ed andrebbe quindi regolato tenendo solo presente che circa 230.000 persone giornalmente si muovono da e per la capitale per ragioni di lavoro, di studio, cura, svago, ecc.

    Roma, oltre alla grandiosa stazione centrale (terminata nel 1950), ha quattro stazioni secondarie ed altre tre ferrovie vicinali. L’aeroporto internazionale di Fiumicino, del quale si è parlato nel capitolo precedente, ha ormai sostituito quello di Ciampino mentre per gli appassionati del volo e per le scuole di volo per aerei da turismo funziona l’aeroporto dell’Urbe.

    Il volto attuale di Roma

    La maggior parte dei visitatori che percorrono oggi Roma non può — credo — sottrarsi al desiderio di conoscere o riconoscere quello che è il volto tradizionale della città eterna. Ma che cosa è rimasto di esso? Le strade strette e tortuose fiancheggiate da modeste case ammassate o anche da palazzi con ampi portoni, sono ormai divenute rare: bisogna ricercarle nel quartiere tra Piazza Navona, il Corso Vittorio Emanuele e il Tevere, che ha per asse la Via dei Coronari, o, d’altra parte di quel Corso, nel cosi detto quartiere del Pellegrino e nelle adiacenze di Via Arenula o ancora un po’ intorno al Pantheon e nel quartiere di Trastevere specialmente attorno alle vie della Lungara e della Lungaretta. Ma anche in questi angoli superstiti, rarissimi ormai sono i cortili, cui si accedeva per un arco e nei quali immettevano le scale esterne, conducenti alle abitazioni. Scomparsi quasi interamente gli androni e i vòlti, smozzicate le torri e incastrate nelle costruzioni, rarissime le facciate con dipinti e graffiti che una volta erano frequente decorazione delle case più decorose. Ma del volto tradizionale di Roma restano le chiese, varie nei loro stili, e i palazzi sontuosi tra i quali, accanto ad insigni esempi rinascimentali, domina il barocco; restano le magnifiche piazze e le grandiose fontane scroscianti di acque e quelle più modeste, rallegranti con eleganti zampilli angoli di case appartate. E restano, inseriti ormai nell’abitato i ruderi, non solo nel quartiere archeologico del Colosseo, del Palatino, dei Fori, degli Archi, ma talora emergenti impensatamente, nel cuore stesso della città, come in Via delle Botteghe Oscure, o in una stradicciola tra Via del Tritone e San Silvestro, o nei pressi di Piazza Navona.

    Questo insieme di elementi disparati che consentono all’archeologo e all’urbanista di ricostruire gli aspetti della città nelle diverse epoche e fasi di sviluppo, costituiscono per il visitatore profano, le caratteristiche della vecchia Roma e con la loro scompigliata varietà, compongono un volto che è unico al mondo.

    Di contro a questo volto vi è quello della Roma moderna, con alcune vie dignitose, e con nobili palazzi, non sufficienti peraltro a dare un nuovo volto, o meglio, una propria fisonomia alla città; e vi è poi la Roma contemporanea coi suoi quartieri regolari di blocchi alti e serrati, la Roma della periferia che si espande con spietata prepotenza soffocando le poche superstiti aree verdi, una Roma che non ha un proprio volto, e potrebbe chiamarsi con qualsiasi altro nome di grande città europea o magari anche americana. Dall’alto del Gianicolo lo sguardo può ancora indugiarsi a riconoscere qualche quartiere della vecchia Roma, dall’alto del Pincio si può contemplare un aspetto, ancor dignitoso, della Roma moderna; dall’alto di Monte Mario si ha prevalentemente un panorama della Roma contemporanea e, se non ci fosse il richiamo di qualche edificio di secoli passati, si potrebbe credere di vedere un’altra città.

    E stato di recente affermato da una studiosa straniera, che si è occupata di alcune caratteristiche geografiche della Roma attuale (A. Seronde), che Roma è una città senza banlieue. Se per banlieue, parola che non ha il corrispondente esatto nella nostra lingua, si intende un centro e un insieme di centri, che, pur avendo una vita propria, sono strettamente legati ad una grande città — non puri e semplici satelliti dunque, ma comunque partecipanti alla vita della città — l’affermazione che poteva corrispondere a verità ancora venti o venticinque anni fa, non può più considerarsi esatta attualmente. Sono oggi banlieues di Roma, Tivoli, che dista poco più di una trentina di chilometri dal centro della capitale, ma meno della metà dai tentacoli esterni a carattere industriale e operaio, che si protendono in quella direzione; i più vicini tra i Castelli Romani, come Frascati ed Albano, distanti 20-25 km., dai quali una frazione non piccola della popolazione si reca quotidianamente a Roma per ragioni di lavoro, e soprattutto il Lido, distante anch’esso circa 25 km., che, non più solamente stazione balneare, ospita permanentemente numerosi lavoratori di varie categorie, il cui afflusso a Roma è facilitato dalle rapidissime comunicazioni. Il Lido è oggi, anzi ufficialmente, ripartito, come si è già più volte detto, in tre quartieri e va assumendo l’aspetto di « quartiere » di Roma anche per il tipo cittadino di costruzioni ad uso di abitazione che tende ormai a prevalere sul tipo balneare; esso ha servizi pubblici — scuole, luoghi di ritrovo, servizi sanitari e assistenziali, uffici comunali — per una popolazione che vi ha stabile residenza. Si è già ricordato che prima del 1920 la località era quasi deserta: come entità demografica non compare ancora neppure nel censimento 1931; nel 1936 noverava una popolazione residente di 5295 ab., nel 1951 ben 13.777, nel 1956 19.885, ora si avvicina a 25.000. Il maggior incremento si è verificato fra il 1936 e il 1951, ma anche nell’ultimo decennio la popolazione è raddoppiata. Impiegati e operai costituiscono la maggioranza della popolazione, a differenza della vicina Ostia che ha un nucleo rilevante di lavoratori agricoli; qualche industria fa la prima apparizione.

    In conclusione il Lido è ormai saldamente inserito in quello che può designarsi come lo « spazio geografico » di Roma. Questo spazio cui appartengono anche alcune altre marine tirreniche, come Fregene, a nord arriva fino alla Storta, a Cesano, a Prima Porta, ad est fino a Tivoli, a sudest fino alle prossime cittadine dei Colli Albani. L’espansione preferenziale verso il mare e verso le colline ad est ed a sudest è evidente e suggerita da condizioni geografiche.

    Fino a pochi anni fa si soleva ripetere che Roma non è una città industriale; ma anche questa affermazione deve essere oggi riveduta. Si è già accennato più volte a fatti connessi con lo sviluppo delle industrie, che hanno favorito la costituzione di quartieri o nuclei localizzati in talune sezioni periferiche della città. Di questo sviluppo abbiamo indici adeguati dai dati dell’ultimo censimento industriale (effettuato nel 1961), che pertanto ci fornisce determinati elementi statistici. Da essi risulta che le industrie di Roma sono 19.755 con quasi 188.500 addetti; l’incremento — rispetto al 1951 — è stato rispettivamente del 28,4% e del 32,7%. In rapporto poi alla popolazione totale la percentuale degli addetti è pari ad appena l’8,6%. Le industrie manifatturiere sono al primo posto per numero di unità (17.083) e di addetti (111.932), con un incremento del 26,2% e 45 >7° o confronto al 195°- Fra industrie manifatturiere presentano maggior numero di addetti quelle metalmeccaniche (35.280) e poligrafiche ed editoriali (16.600); seguono, in ordine decrescente, le industrie del vestiario e abbigliamento, del legno, le alimentari e affini, le chimiche, ecc. Una città come Roma, in grande e continua espansione topografica, presenta pure alto il numero degli addetti alle costruzioni (quasi 60.500; circa 55.000 erano al 1951). In media un’industria romana impiega fra nove e dieci operai, ma d’altra parte il numero degli addetti non commisura affatto l’importanza delle corrispondenti industrie. Sono piuttosto da tener distinte le industrie che provvedono essenzialmente ai bisogni della città, come le edilizie, le poligrafiche e quelle alimentari, dalle altre industrie che forniscono prodotti esportati al di fuori, con raggio più o meno vasto, come quelle meccaniche, le chimico-farmaceutiche e — si può aggiungere — quelle cinematografiche. E l’impronta industriale è data soprattutto dai vasti complessi industriali, imponenti più per ampiezza di costruzione, per complessità di macchinari, ecc., che per numero di addetti. Questi complessi si localizzano in posizione periferica, come si è già detto, e in prevalenza lungo o presso le vie irradianti ad est, a sudest e a sud, spingendo tentacoli anche a gran distanza dal centro. Come si è visto altrove si possono infatti considerare come dipendenti da Roma i complessi di Guidonia, Monterotondo Scalo, Pomezia, Aprilia, ecc.

    Alcune delle maggiori industrie animano un notevole commercio d’importazione di materie prime ed esportazione di prodotti lavorati e semilavorati.

    Tuttavia non può certamente dirsi che la funzione industriale di Roma — in misura non ancora esattamente valutabile per il prossimo futuro — abbia oggi un particolare risalto; anzi sotto questo riguardo essa resta al disotto di tutte le maggiori città d’Italia; ma, come caratteristica del tutto recente dello sviluppo della città, il fenomeno del sorgere e dell’espandersi dell’industria merita di essere segnalato.

    Roma è sempre stata un notevole centro di cultura perchè sede, oltre che di istituti d’istruzione d’ogni grado, di gran numero di biblioteche, accademie e di istituti di scienze e lettere, molti dei quali stranieri (questi ultimi hanno trovato in buona parte posto a Valle Giulia, dove si è così andato sviluppando un quartiere culturale), dei quali si è già parlato nel Cap. VII.

    L’Ateneo Romano in passato aveva la sua sede nel Palazzo della Sapienza, tra il Pantheon e Piazza Navona, ma fin dal 1870 alcune facoltà avevano dovuto trasferirsi in edifici che meglio si adeguassero alle necessità degli studi; così gran parte della Facoltà di Medicina e Chirurgia trovò una buona sistemazione nel Policlinico, appositamente costruito per essa in prossimità del Castro Pretorio. Poi tra il 1932 e il 1935, su progetto dell’architetto M. Piacentini ed altri venne edificata — contigua al Policlinico — la Città Universitaria, che si compone di molti edifici, separati da viali e giardini. Al centro si trova il Palazzo del Rettorato, ai lati del quale sono disposte sia la Facoltà di Lettere (a destra), che quella di Giurisprudenza (a sinistra) e attorno, sui lati corti della piazza centrale, nelle immediate vicinanze i diversi istituti della Facoltà di Scienze. Gli altri istituti delle varie facoltà sono posti nei pressi e separati da piccole zone a verde; altri ancora sono in via di completamento. Nell’insieme la Città Universitaria, che si trova cintata da ogni lato, occupa un’area trapezoidale di 500 m. per 400.

    La funzione preminente della Roma odierna è notoriamente quella di centro politico-religioso, che esercita da tempo remoto, ma si avvia a divenire altresì un notevole centro di affari, una city finanziaria in continua espansione.

    Come centro politico la sua funzione è preminente da quando essa è divenuta capitale di uno Stato unitario: ne sono espressione demografica il numero cospicuo di pubblici funzionari, espressione urbanistica molto più visibile, gli edifici dei Ministeri, quelli delle rappresentanze diplomatiche con tutti i loro annessi. Non vi sono peraltro, come si è già detto, quartieri di Ministeri, o di ambasciate, ecc. ; anzi sembra che queste e quelli tendano piuttosto a dislocarsi in zone differenti.

    Come centro religioso — prescindendo dalla Città del Vaticano, della quale parleremo a parte — Roma ha la sua espressione nel grandissimo numero di chiese ed edifici religiosi : le prime distribuite con assoluta prevalenza nei rioni e nei quartieri più vecchi, più rare, ma talora di spettacolare grandiosità nelle parti più recenti della città; i secondi — conventi, istituti di istruzione religiosa — tendenti a districarsi in quartieri periferici nei quali vi è maggiore larghezza di spazio disponibile e maggior quiete, laddove i conventi e simili della vecchia Roma sono ormai spesso adibiti ad altri usi.

    Connessi con la funzione religiosa di Roma sono i pellegrinaggi, che si effettuano ogni anno anzi, si può dire, in ogni mese dell’anno sia pure con varia frequenza, culminando poi in occasione di speciali solennità religiose o negli Anni Santi. Ma l’entità di questo movimento non può determinarsi con esattezza, come non può, in genere, determinarsi l’entità globale dell’afflusso dei forestieri che dall’Italia come dall’estero convengono a Roma, attratti da altri motivi fuor di quello religioso (attrattive dovute a condizioni climatiche, attrattive culturali, artistiche, storiche, scientifiche; attrattive di carattere ricreativo, attrattive sportive, attrazione politica, economica, commerciale, ecc.). Il Floridia, dopo aver rilevato che una parte non indifferente del movimento dei forestieri a Roma (forse un quinto) sfugge ad ogni indagine statistica, nota che l’unica fonte attendibile è fornita normalmente dalle statistiche alberghiere che ci danno il numero dei forestieri e quello delle presenze. Secondo i suoi calcoli, nel 1957, il movimento complessivo fu di 1.852.000 forestieri, dei quali 966.000 italiani e 886.000 stranieri. Dal 1931 l’aumento è stato quasi sempre costante se si prescinde dagli anni 1934-35 e 1939-45. Nell’ultimo Anno Santo 1950, si è raggiunto un totale di 1.488.000 presenze senza contare gli ospiti di istituti religiosi; con questi si è saliti a 1.931.000, cifra mai raggiunta in seguito fino al 1957, ma superata negli anni seguenti: i turisti italiani e stranieri durante il 1962 sono stati oltre 2.400.000. Tra gli stranieri, nel 1957, il 32% proveniva dagli Stati Uniti, il 12% circa dalla Gran Bretagna, il 10,4% dalla Francia, l’8% dalla Germania; questi quattro dati assommavano pertanto poco meno dei due terzi di tutti i forestieri. I mesi preferiti sono quelli dall’aprile all’ottobre.

    Roma. Piazza di Siena, sede dell’annuale concorso ippico.

    Massima espressione urbanistica del movimento dei forestieri è la presenza degli alberghi, specialmente di quelli più grandiosi per numero di camere e per accessori, che si segnalano anche per elementi architettonici facilmente riconoscibili (ma numerosissimi sono anche gli alberghi minori, le pensioni, ecc. che non hanno una loro propria fisonomia e poco si differenziano dalle comuni costruzioni per abitazioni civili). Non esiste a Roma un vero e proprio quartiere degli alberghi, ma vi sono tre nuclei principali : uno nelle adiacenze della stazione Termini (con maggiori frequenze di commercianti, funzionari, ecc.), uno nelle adiacenze di Via Veneto (alberghi di lusso), un terzo nel centro, fra San Silvestro, Piazza Colonna e il Pantheon (gente d’affari, commercianti, professionisti). Recentissima è la comparsa, agevolata dalle comunicazioni rapide, di grandi alberghi in situazione periferica. Via Veneto è l’unica strada di Roma — e forse una delle poche nel mondo — alla quale gli alberghi e gli esercizi connessi (caffè, ritrovi notturni, ecc.) conferiscano una fisonomia peculiare.

    Roma. Il Foro Italico.

    Infine Roma ha ormai una funzione di notevole rilievo nel campo dello sport, tanto che si è parlato e scritto di una « Roma Olimpica ». Infatti è stata l’Olimpiade svoltasi nell’Urbe dal 25 agosto all’i 1 settembre i960, e definita la « più fastosa della storia », che ha dato il suggello a questa funzione, del resto già da tempo avviata da molteplici manifestazioni dell’ultimo decennio. L’inaugurazione dei Giochi coincise infatti con quella di alcuni impianti sportivi fra i più moderni del mondo. Dal punto di vista topografico e urbanistico, che qui soltanto interessa, si può rilevare che l’Olimpiade ha lasciato un’impronta permanente nella costituzione di un vero e proprio quartiere sportivo, già ricordato, nello spazio prossimo all’EUR e di altri impianti sportivi pure permanenti presso il Tevere nella sezione adiacente al Ponte Flaminio e a valle di questo. Il Villaggio Olimpico, che accolse gli atleti delle 87 nazioni partecipanti, fu poi adibito ad abitazioni civili. Di non minore importanza furono l’apertura di strade (Via Olimpica), di raccordi, di sottovie e di viadotti sopraelevati (Corso Francia), che restano come opere stabili contribuenti a snellire alquanto l’ormai caotico traffico nel centro urbano.

    A conclusione di quanto fin qui detto, si presenta spontanea una domanda: qual’è la vita quotidiana a Roma? Essa è caratterizzata dal movimento e dal lavoro di un numerosissimo personale amministrativo e commerciale della sua università, dei musei, delle gallerie, degli studenti e dal passaggio ininterrotto di visitatori stranieri e di altre città italiane.

    La circolazione è intensa fino a tardissima sera e fin dalle prime ore della giornata in ogni stagione. Essa si svolge in superficie per mezzo di una fitta rete di linee di autobus e di filobus ; fuori dal centro della città rimangono le linee di tram mentre altri autobus raggiungono i punti urbani più lontani. La metropolitana svolge un servizio ridotto a causa dell’unico e breve tratto marginale, già ricordato, che è in efficienza.

    La circolazione per mezzo di automobili si è andata sempre più intensificando, soprattutto dal 1954. Nel 1963 gli autoveicoli che hanno pagato la tassa di circolazione sono stati a Roma 432.000; a questi — per avere un quadro completo del traffico automobilistico nella capitale — si debbono aggiungere quelli che non sono soggetti a registrazione (Esercito, C.R.I., ecc.) e gli altri migliaia e migliaia che quotidianamente giungono attraverso le vie consolari a Roma. Oggi il movimento automobilistico nel centro della città, specie nelle ore di punta, è lentissimo e sta ponendo gravissimi problemi alle autorità; in altre zone più lontane le nuove arterie aperte fanno passare un flusso costante di vetture, ma la saturazione del traffico anche qui non è ancora da venire; e il problema dei posteggi delle vetture private si pone ormai da tempo in modo piuttosto acuto, tanto più che sempre in maggior numero abitanti delle città vicine o della regione laziale vengono a Roma con le loro auto.

    Interessante è la circolazione dei pedoni. La folla delle vie di Roma meglio esprime con la sua varietà la funzione di questa capitale, di questa città cosmopolita. C’è anzitutto, nelle ore mattutine (e serali), l’arrivo (e la partenza) degli operai dell’edilizia e dell’industria dai vicini centri, l’afflusso degli impiegati (anche da altre città), dei funzionari che si recano ai loro uffici nelle amministrazioni pubbliche e private, nei magazzini, quello degli studenti nella Città Universitaria e intorno ai vari istituti medi e superiori situati in più punti della città. Più tardi comincia la visita della capitale da parte di folti gruppi di stranieri di tutti i continenti, l’andari-vieni della gente venuta dalle città vicine e dall’Agro Romano per pratiche varie, acquisti, ecc. Una folla variopinta si ritrova in seguito nei musei e nelle gallerie, in Piazza San Pietro, al Foro Romano, al Colosseo e nei punti più caratteristici della città (Pincio, Via Veneto, Piazza di Spagna, ecc.).

    Nei confronti di tutti questi visitatori occasionali o non, Roma — per il dinamismo del suo sviluppo, che non è tuttavia esente da contrasti, per la peculiarità dei suoi monumenti e per tante e tante altre sue particolarità notate in precedenza — adempie veramente alla funzione di centro rappresentativo.

    La città del Vaticano

    Città del Vaticano è il nome ufficiale dello Stato, istituito in seguito agli accordi dell’il febbraio 1929 (Patti Lateranensi) coi quali l’Italia riconobbe alla Santa Sede l’esclusiva potestà e giurisdizione sovrana sui Palazzi Vaticani, con le loro pertinenze, compresa la Piazza San Pietro, che peraltro rimane normalmente aperta al pubblico ed è sottoposta alla giurisdizione della polizia italiana. Appartengono alla Città del Vaticano anche il Palazzo di Castelgandolfo, dimora estiva del Pontefice, ed il Palazzo Laterano. L’area — che si estende sulla riva destra del Tevere, tra le ultime propaggini di Monte Mario a nord e del Gianicolo a sud — è ragguagliata a 0,440 kmq. e la popolazione a circa 1000 ab. (400 residenti). Nonostante l’esiguità dell’area e il piccolissimo numero di abitanti, la Città del Vaticano è un vero Stato indipendente, sotto la sovranità del Sommo Pontefice, con propria milizia e bandiera, propria monetazione, propri servizi postali, telegrafici, bancari, di stampa, ecc., con propria stazione ferroviaria (raccordata alle ferrovie statali italiane) e con propria stazione radiotrasmittente ultrapotente, quest’ultima situata fuori del perimetro della città, in prossimità della Via Cassia (a Santa Maria di Galeria). Come Stato sovrano, gode di tutti i privilegi della extraterritorialità, mantiene rappresentanze diplomatiche presso tutti gli Stati cattolici e riconosce ambasciatori accreditati presso di sè dai vari governi, compresa la Repubblica Italiana. Gli abitanti dello Stato hanno naturalmente una propria cittadinanza, la cittadinanza vaticana.

    Il visitatore nota la presenza del piccolo Stato, perchè le sue pertinenze che si affiancano alla piazza e alla chiesa di San Pietro, sono ricinte tutto intorno da alte mura, con accessi vigilati non molto diversamente dalle ordinarie frontiere interstatali.

    Un numero ragguardevole di edifici destinati ad abitazioni o ad altri usi, che per ragioni di spazio, non possono trovar posto entro le mura dello Stato, e sorgono pertanto nelle immediate adiacenze, sono tuttavia di proprietà della Santa Sede; nei dintorni sono anche altre costruzioni adibite a conventi, istituti di istruzione religiosa, ecc., ovvero anche negozi di oggetti religiosi di varia specie; per il che nell’insieme si viene costituendo un quartiere che dalla presenza dello Stato della Città del Vaticano ritrae un suo particolare carattere che non ha riscontro altrove nel mondo.

    La Città del Vaticano.

    La Campagna Romana

    Il nome di Campagna Romana o Agro Romano è tuttora frequentissimamente adoperato per designare il territorio, che, senza limiti definiti, circonda la città eterna. Sotto il dominio pontificio non costituì mai una circoscrizione a sè; molto meno esteso eli quella che si denominava, come si è visto altrove, Comarca di Roma, era peraltro più esteso del Comune, perchè erano di solito chiamati Agro Romano anche i territori di Anzio e Nettuno, parti di quelli di Marino e Frascati, ecc. Se l’estensione dell’Agro non era ben definita all’esterno, esso era invece ben distinto all’interno, non solo dall’aggregato urbano entro la cinta murata, ma dal suburbio, che, nel suo significato originario, ben diverso dall’attuale, era, come si è già accennato, una breve, irregolare cintura di orti e di vigne, fuori delle mura, dove molte famiglie romane avevano una casa di campagna. Questo suburbio è stato ormai da tempo inghiottito dall’espansione della città e se ne cercherebbe invano qualche lembo superstite, anzi le appendici e i satelliti di Roma hanno invaso anche le parti più vicine dell’Agro, che frattanto ha profondamente mutato il suo aspetto. Ma esso resta legato alla città, anzi è oggi molto più strettamente vincolato ad essa, sia dal punto di vista demografico che da quello economico. Pertanto uno sguardo alle vicende passate non è superfluo per intendere il suo aspetto e la sua funzione recente.

    L’Agro Romano verso il 1921.

    Un tratto della Campagna Romana coi ruderi degli antichi acquedotti.

    Ancora mezzo secolo fa o meno, le deserte solitudini dell’Agro, interrotte solo da qualche isolato casale e dai ruderi di costruzioni antiche e medioevali, erano motivo comune di moltissime descrizioni di visitatori italiani e stranieri. In verità se ci rifacciamo al censimento del 1901 e computiamo come Agro i territori degli attuali comuni di Roma, Guidonia, Pomezia, Anzio, Aprilia e Nettuno, con i lembi di pianura alle radici dei Colli Albani, troviamo (escludendo i capoluoghi comunali) una popolazione (invernale) non superiore a 25.000 ab. (16-17.000 nel 1871), che corrisponderebbe ad una densità di 13 ab. per kmq.! Ma questo valore di densità, come ancora quello che si può dedurre dal censimento del 1921 (circa 20 per kmq.), ha scarsissimo valore, perchè la sparuta popolazione non era affatto distribuita con qualche uniformità, ma raccolta in piccoli nuclei — di solito intorno ai casali — isolati in mezzo a spazi interamente vuoti.

    Si è già visto che questa condizione di cose non è stata sempre tale ab antiquo: abbiamo infatti accennato che in epoca anteriore alla dominazione romana l’Agro doveva essere di certo ben popolato come è dimostrato da quella singolare rete di cuniculi, descritti nel capitolo terzo, che, quale che ne fosse la funzione, sono documento della presenza e dell’opera attiva e assidua di gente che vi era stanziata con sede fissa. E un’autorevole tradizione accenna all’esistenza, nel breve territorio del Latium Vetus, di trenta populi, i quali, quando ancora Roma non esisteva o si affacciava all’alba della storia, costituivano una specie di federazione, che aveva il suo centro religioso nel tempio di Giove Laziale sul Monte Cavo. I populi — dobbiamo intendere nulla più che villaggi di capanne — erano anzi molti di più secondo Plinio il Vecchio; ma Roma fece il vuoto intorno a sè, distruggendo interamente i centri più vicini, onde già quell’autore, come si è già detto, poteva scrivere, non senza un senso di spavento: «ex antiquo Latio tres et quinquaginta populi intenere sine ve-stigiis ». La lega latina fu sciolta nel 332 a. C. ; alcune località più importanti poterono tuttavia sussistere come città alleate. Nel IV secolo a. C. comincia la costruzione delle grandi vie romane e la Campagna riprende vita; allora la malaria, il terribile flagello che molti additano come fattore di decadenza, aveva già fatto la sua comparsa ma comunque aveva dapprima caratteri miti. Si ritiene da molti studiosi, in base a concordi elementi di varia natura, che la Campagna attraversasse un periodo di floridezza tra il II secolo a. C. e il principio del III d. C.: allora tutto il territorio intorno a Roma pullulava di villae, di giardini, di aree coltivate anche intensamente col sussidio di opere d’irrigazione, accuratamente sorvegliate. Ma anche in quest’epoca di prosperità i centri abitati di qualche importanza non erano certamente numerosi.

    Il casale di Lunghezza.

    La Via Appia Antica nei pressi di Roma, fiancheggiata da cipressi.

    La decadenza cominciò al tempo dei Severi: turbolenze politiche, abbandono delle opere idrauliche, recrudescenza della malaria, e più tardi incursioni devastatrici, si indicano come cause principali. Tuttavia il Medio Evo non fu, come da molti si crede, il periodo di maggiore desolazione per la Campagna. Tentativi di ripopolamento non mancarono, a partire dall’Vili e dal IX secolo, per opera di pontefici avveduti (ad es., Zaccaria, 741-52), i quali favorirono la creazione di centri rurali o domus cultae, molto spesso in località che erano state sedi di città scomparse. Per vero la maggior parte di queste domus cultae ebbe vita breve, mentre notevole vitalità dimostrarono alcuni nuclei minori, coloniae e curtes, forse eredi di antiche ville, e luoghi fortificati, castra o casalia. Molti di questi servirono poi da fortezze nel periodo feudale, allorché le maggiori famiglie romane erano frequentemente in contesa fra di loro, onde scorrerie, distruzioni, saccheggi si succedevano di continuo. Le più potenti famiglie baronali vennero costituendosi nella Campagna, soprattutto nel XIII e XIV secolo, estesi latifondi che esse sorvegliavano da castelli eretti lungo le vie principali o in punti strategici, collegati da posti fortificati intermedi e da alte torri di guardia, delle quali non poche restano, nude ma imponenti rovine. I pochi abitanti furono obbligati a porsi sotto la protezione dei baroni, ovvero ad abbandonare la Campagna per rifugiarsi entro le mura della città; l’agricoltura decadde sempre più e le aree lasciate a steppe pascolative si estesero da ogni parte.

    In tal modo, alla fine del XV e al principio del XVI secolo si venne fissando nella Campagna un genere di vita economica e una forma d’insediamento le cui vicende si possono poi seguire fino a nostri giorni.

    La Campagna era divisa in tenute o proprietà di varia estensione, recinte da staccionate di legno o più raramente da muriccioli a secco (macère); tenute il cui numero, nonostante i frequenti cambiamenti di proprietà, non subì notevoli mutamenti da quando se ne ha il primo catasto esatto, per opera di Alessandro VII (1655-67); esse erano allora 425 circa; un secolo dopo erano 409, nel 1890 e nel 1911, 413. Da allora può dirsi abbia inizio la trasformazione recente.

    Centro di ciascuna tenuta era il casale, che, se di grandi dimensioni e solidamente fortificato, assumeva il nome di castello. La struttura dei casali e dei castelli è stata già descritta in altro capitolo; in tutta la Campagna il nome casale e quello di castello sono tuttora frequentissimi anche se pochi sono quelli che, in plaghe più remote, hanno conservato inalterate le caratteristiche originali. Casali e fortezze furono edificati di preferenza in luoghi elevati, talora al posto delle arces di antiche città (Isola Farnese, Castel Giubileo, Castiglione presso Gabi, Lunghezza, Corcolle, Castel di Leva, ecc.), ovvero a dominio di passaggi obbligati di strade, o presso sorgenti, ecc. Non di rado intorno al casale vi era qualche fabbricato minore (casaletto); nel casale era incorporata una chiesetta e spesso anche una dispensa di generi di prima necessità, o questa era in un edificio a breve distanza. In qualche caso si venne formando un gruppo di abitazioni, spesso poco più di capanne. Tra i casali più antichi e tuttora esistenti si citano Capocotta, Salone, Procoio Vecchio, Prima Porta, Passerano, ecc.

    Raramente i grandi proprietari si occupavano direttamente dell’utilizzazione della tenuta, ma la affittavano a loro agenti, i cosiddetti mercanti di campagna. La tenuta, la cui vigilanza generale era affidata al guardiano a cavallo, armato di fucile, e ad alcuni suoi dipendenti, comprendeva di solito tre aziende. Anzitutto la parte coltivata, spesso ridotta ad appezzamenti di modesta estensione, meglio provvisti di acqua e con suolo più fertile e soffice: le colture — prevalentemente cereali — erano avvicendate con anni nei quali il terreno era lasciato in riposo o adibito a pascolo (terziaria o quartana). Capo dell’azienda del campo era il fattore; le varie operazioni erano dirette o sorvegliate dal capoccia, che è il tecnico dell’azienda; all’aratura attendevano i bifolchi con paia di buoi (o più tardi con aratrici meccaniche), riuniti in gruppi (gavette), alle semine i sementarelli (avventizi), ecc.

    Ma più che l’agricoltura, base dell’economia era l’allevamento comprendente altre due aziende distinte: la masseria, o azienda bovina (procoio) ed equina (eventualmente anche bufalina) con a capo il massaro (suoi dipendenti i vaccari, i cavallari, ecc.) e l’azienda ovina diretta dal vergaro con alle dipendenze il caciaro, che sovraintendeva alla manipolazione del latte, il pecoraro sovraintendente all’allevamento e alla custodia delle pecore (in branchi di 350 per lo più), con molti aiutanti, tra i quali il biscino o pecorarello.

    Il buttero, oltre che guardiano degli armenti, era incaricato di portare a vendere a Roma i prodotti o, come si diceva, il frutto (abbacchi, formaggi, ricotta, pelli, ecc.); aveva insomma funzione di collegamento tra l’azienda e il mercante di campagna.

    Le pecore discendevano nella Campagna dalle montagne del Lazio calcareo o dell’Abruzzo in settembre e vi restavano fino a metà giugno, allorché risalivano ai pascoli estivi delle aree elevate. Dalle montagne umbre i pecorari scendevano di preferenza nella Maremma laziale; gli Abruzzesi nell’Agro Romano vero e proprio; quelli dell’alto Aniene, di Guarcino, di Filettino nelle campagne di Anzio e Nettuno ; quelli degli Ernici, dei Simbruini e dei Lepini verso Cisterna e nella zona pontina.

    Come si è già accennato, i greggi pascolavano all’aperto di giorno e sul far della sera venivano raccolti in recinti di reti; i pastori abitavano in capanne di solito circolari, a tetto conico.

    Il personale dell’azienda era costituito in piccola parte da abitatori stabili dell’azienda stessa, in parte maggiore da avventizi chiamati per lavori stagionali od occasionali, tra i quali, come si è detto altrove, alcuni specializzati provenienti da località diverse. Al reclutamento di questo personale provvedeva il caporale; guitti erano chiamati coloro che fra quelli erano adibiti ai lavori più umili; bagaglioni gli uomini di fatica.

    Questo sistema di economia rurale rappresentava un adattamento a condizioni naturali e sociali e si era a poco a poco diffuso e radicato, anche perchè consentiva ai proprietari notevoli profitti con un modesto interessamento. Il periodo peggiore per le condizioni economiche della Campagna sembra sia stato quello tra il 1650 e i primi decenni del XIX secolo, anche, a quanto pare, in conseguenza di una recrudescenza della malaria, che determinò il definitivo abbandono di alcune località, soprattutto a nord del Tevere tra la Via Cassia e il Tirreno.

    Nel XIX secolo si cominciò ad intravedere qualche miglioramento per l’opera oscura, ma intelligente di pastori abruzzesi e marchigiani (in prima linea i Vissani) che introdussero a poco a poco nuove razze incrociate di pecore, atte a fornire una lana migliore e un latte più abbondante, onde si avvantaggiò la principale industria della Campagna, quella casearia (formaggio pecorino e ricotte). Ma anche le aree coltivate a grano si vennero alquanto estendendo, onde si determinò un afflusso di popolazione avventizia nel periodo dei più intensi lavori: questi nuovi venuti provenienti per lo più da poveri villaggi del Subappennino calcareo o dell’Abruzzo, formavano aggruppamenti di capanne, non isolate come quelle dei pastori ma raccolte in nuclei, talora di qualche diecina, presso il casale o presso la fonte: miserabili villaggi temporanei, parecchi dei quali finivano per divenire permanenti.

    I legami economici tra la Campagna Romana e la montagna laziale e abruzzese erano diventati pertanto più stretti. Tale era il sistema di economia, tale la fisonomia della Campagna quale la trovò il Regno d’Italia al momento dell’annessione del Lazio nel 1870.

    II problema di risanare, ripopolare e mettere in valore la vastissima area stendentesi da ogni parte intorno alla capitale, ponendo fine ad un complesso di condizioni ormai del tutto anacronistiche, si presentò nella sua interezza al governo italiano e, dopo una lunga serie di studi, fu affrontato con le leggi del 1878 e del 1883 che prevedevano tutta una serie complessa di lavori. Ma l’attuazione procedette dapprima con grande lentezza, attraverso ostacoli ed incertezze, con risultati che per lungo tempo furono giudicati insufficienti. Non possiamo seguire qui le varie fasi della grandiosa opera di redenzione, acceleratasi dagli inizi del nostro secolo, interrotta dalla prima guerra mondiale, ripresa poi con ritmo sempre più intenso dopo la seconda guerra, apportatrice, in alcune parti dell’Agro, di gravi devastazioni. Dobbiamo piuttosto dare uno sguardo alle trasformazioni generali del paesaggio, che hanno ormai modificato interamente l’aspetto della regione.

    Tra le opere di bonifica idraulica vera e propria, le più importanti sono quelle che hanno condotto al prosciugamento degli stagni e delle aree acquitrinose litoranee e sublitoranee, fomiti pericolosi di malaria: gli stagni di Ostia (95 kmq.), quelli dell’Isola Sacra (13 kmq.), quelli di Porto, Maccarese e dintorni (125 kmq.). Alcune di queste aree erano sotto il livello del mare e presentavano caratteri analoghi a quelli dei polders olandesi. Ad Ostia, quasi abbandonata ancora alla fine del secolo scorso, fu trapiantata nel 1884 una colonia di 600 braccianti romagnoli, che, dopo un’aspra battaglia contro la malaria, costituì un villaggio che aveva 570 ab. nel 1921, circa 1000 nel 1931 ed oggi circa 5000. Furono prosciugati anche il Pantano di Castiglione ed altre aree a sud e a sudovest di Roma, ecc.

    Questi grandiosi lavori contribuirono validamente alla lotta contro la malaria, che fu combattuta con tutti i mezzi e ovunque senza sosta, col risultato, ormai definitivamente acquisito, che essa è scomparsa in tutto intero il territorio della Campagna. Ha cessato pertanto di esistere uno dei più gravi ostacoli al ripopolamento.

    Un altro problema grave, specialmente in talune zone a sud del Tevere, quello dell’acqua per abbeveramento e per irrigazione, fu risolto con la costituzione di sindacati per la captazione e il collegamento di sorgenti, per la costruzione di acquedotti (l’Acqua Marcia è stata condotta fino ai centri della costa), per lo scavo di pozzi, ecc.

    Variazioni del territorio comunale di Roma dal 1871 al 1938.

    Si può dire che l’acqua non manchi più, per le fondamentali necessità, in nessun punto della Campagna. Già le prime leggi su menzionate imponevano l’obbligo ai proprietari di fondi di estendere i terreni adibiti all’agricoltura; più tardi si favorì con varie disposizioni, anche coercitive, il frazionamento del latifondo e la costituzione di piccole e medie aziende agricole; alcuni dei più illuminati latifondisti dell’Agro vi provvidero spontaneamente. Pertanto le aree esclusivamente pascolative si vennero riducendo. Sono — si può dire — scomparse nello spazio fra Roma e i Colli Laziali le più estese; rimangono, ma in lembi discontinui, a nordest e a nordovest di Roma e nell’area fra i colli e il mare. Ma i pascoli residuati furono migliorati in modo da accrescere le loro capacità di alimentazione del bestiame; si provvide anche a ridurre quello svernante all’aperto, stimolando la costruzione di stalle e di centri agricoli, oggi in numero sempre più ragguardevole e taluni specializzati nell’allevamento e dotati di attrezzatura moderna.

    La macchia è ancora più ridotta del pascolo; il bosco di alto fusto compare solo nell’area litoranea di Castel Porziano e Castel Fusano; altrove si tende a ricostituire le belle pinete litoranee, antico vanto delle spiagge tirrene.

    Tra le colture si sono avvantaggiati soprattutto i seminativi asciutti e in prima linea il grano; poi, nelle aree più ricche di acqua o irrigabili, le colture orticole e frutticole, in continuo incremento: la coltura della vite si è propagata dai Colli Laziali fino alla pianura a sud di Roma e tende a espandersi anche dalle alture sabine; sono comparse colture nuove, come in lembi ristretti, quelle dei fiori, della barbabietola, ecc.

    Il ripopolamento dell’Agro Romano è avvenuto soltanto in qualche caso mediante la costruzione di case rurali distribuite secondo piani di bonifica predisposti; questo si è verificato, come altrove si è accennato, in proporzioni notevoli nelle bonifiche di Porto-Maccarese e dell’Isola Sacra. Più frequente è stata invece la formazione di borgate rurali. La prima (prescindendo da Ostia), quella della Magliana, a 7 km. da Roma sul terrazzo alla destra del Tevere, è ora in parte assorbita entro il suburbio Portuense. Nel 1924 sorse, tra Roma e Ostia, ai Monti di San Paolo, la borgata Acilia, poi la borgata Settecamini, a 11 km. da Roma sulla Via Tiburtina, e la borgata Ottavia sulla Via Trionfale. Tutte le altre sono più recenti. Se ne contano circa una ventina di diversa entità demografica. Ma altri centri si sono formati intorno a vecchi casali o castelli, che, riattati e rimodernati, hanno veduto sorgere abitazioni, negozi, scuole, ecc., e sono assunti perciò a veri e propri centri a carattere non più solamente rurale. Altri centri sono poi sorti intorno a stabilimenti industriali dei quali, come si è già accennato altrove, non pochi sono stati costruiti in località diverse della Campagna, ovvero nelle vicinanze di una stazione ferroviaria o di un incrocio stradale.

    Si deve notare a questo proposito che un’altra ben visibile trasformazione del paesaggio della Campagna Romana è costituita dalla rete stradale. Fino a mezzo secolo fa, la Campagna non possedeva si può dire altra rete stradale che quella delle antiche vie consolari, le quali, irradiando da Roma, si allontanavano sempre più l’una dall’altra, man mano che cresceva la distanza dalle porte. Negli spazi interposti fra esse non vi erano che carrareccie; la steppa disabitata poteva essere percorsa dai pedoni in ogni senso a condizione di traversare i fossi incassati nel tavolato, di saltare le staccionate e le macère limitanti le tenute. Oggi le strade consolari sono allacciate da anelli all’incirca concentrici alla città con raggio crescente quanto maggiore è la distanza da essa; tra anello ed anello altre congiungenti si intrecciano in rete sempre più fitta. Il grande raccordo anulare, del quale si è già parlato, costituisce un anello rego-larissimo col raggio medio di 12 km. circa dal Campidoglio. Le ferrovie secondarie da Roma al Lido (metropolitana), ai Colli Laziali, a Fiuggi, a Civita Castellana, i servizi automobilistici numerosissimi hanno ormai aperto l’accesso a tutte le plaghe dell’Agro. E le strade, specialmente in corrispondenza alle stazioni e agli incroci hanno costituito direttrici dell’insediamento. Su talune di tali strade, tra Roma e il Lido, tra Roma e Tivoli, tra Roma e i Colli Laziali, tra Roma e La Storta gli spazi superiori a 400-500 m. privi di case sono diventati un’eccezione sempre più rara.

    Nell’Agro pertinente al comune di Roma la popolazione si accresce con ritmo molto rapido; i 61.012 ab. del 1936 si sono quasi raddoppiati nel 1951 (120.085) al 1961 erano 189.622 (nelle 59 zone in cui è diviso l’Agro Romano dal settembre 1961), con un aumento del 60% circa nel decennio (popolazione residente). Questa popolazione vive in parte in centri, in parte in nuclei, numerosissimi, e in case sparse. Il censimento del 1951 enumera 42 centri, dei quali 12, escludendo il Lido, con popolazione superiore a 1000 abitanti. Essi sono, in ordine decrescente di popolazione: Fiumicino (5681 ab.), Acilia (4696), Tor Sapienza (4068), Prima Porta (2978), Torre Gaia (2550), Cesano (2317), Finocchio-Borghesiana (1842), Morena (1651), Ostia Antica (1398), La Rustica (1393), Fregene (1202), Casalotti (1115).

    Di questi centri alcuni sono divenuti, in seguito all’espansione posteriore al 1951 (non si posseggono ancora dati più recenti), appendici urbane, come Tor Sapienza e Prima Porta, altri sono la trasformazione di borgate rurali, come Ostia, la più antica, Acilia, Borghesiana. La Rustica, altri sono sorti come località balneari (oltre al Lido, Fregene, Focene, ecc.), altri infine hanno per nucleo primitivo un casale (Morena, Cesano). Molto più frequenti sono i centri minori e i nuclei che si sono formati negli ultimi decenni intorno ad un vecchio casale come, ad esempio, Lunghezza (260 ab.), Santa Maria di Galeria (97), Castel di Guido (134), Castel di Leva (62), Isola Farnese (291), Maccarese (815), ecc. Ma i casali sono — come si è detto — quasi tutti ormai trasformati, sì che hanno perduto la tradizionale struttura adeguata a condizioni economiche che si vanno rapidamente evolvendo.

    La zona di Ciampino nel 1872.

    La zona di Ciampino nel 1929.

    La zona di Ciampino nel 1949.

    I centri costieri da Santa Marinella a Nettuno

    Ci resta infine da dire qualche cosa in particolare della zona litoranea e sublitoranea. La formazione e l’incremento delle marine costituiscono una delle più importanti caratteristiche dell’Agro Romano, che ha la sua ragion d’essere principale — ma non unica — nel risanamento dalla malaria, oggi completo. Al principio del XVII secolo sull’intera costa laziale, da sud di Civitavecchia fino al Circeo, non esisteva che un solo centro, Nettuno, pochi casali o castelli, Santa Marinella, Santa Severa, Palo, Astura, Fogliano, qualche abitazione temporanea di pescatori e alcune torri di guardia. Vi erano fomiti di malaria temutissimi, come Porto, l’antico Porto Traiano, e Pratica di Mare.

    Oggi la lunga fascia pullula di località abitate in permanenza, di diverso carattere. Il Lido, che rompe quasi a metà quella fascia, è ormai, come si è visto, un centro a carattere urbano, con tutti gli uffici e i servizi relativi: è annoverato di diritto dal 1961 come quartiere marino di Roma.

    A nord, Santa Marinella (che veramente si considera fuori dell’Agro Romano) sorta da un piccolo nucleo di pescatori intorno al vecchio e malandato castello degli Odescalchi, è divenuta un centro balneare di lusso, frequentatissimo; sviluppatasi soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, si allunga sul litorale e sull’immediato retroterra dove è una fascia intensamente coltivata a fiori; eretta nel 1949 a Comune autonomo, conta oggi 6247 ab. (3879 ab. al centro, nel 1951, ma 5171 in tutto il Comune). Santa Severa, sul luogo dell’antica Pyrgi, scalo marittimo dell’etnisca Caere, della quale affiorano oggi cospicue rovine, fino a pochi anni fa ergeva il suo imponente castello intatto nella triplice cinta murata, ora ha visto sorgere intorno una ridente borgatella balneare. Modesta borgata di pescatori è Palo, dominata dal Castello degli Odescalchi, ma a breve distanza da questo, intorno al 1890, il principe Ladislao Odescalchi, benemerito per opere di bonifica nella Campagna, diè vita a un centro balneare, da lui denominato Ladispoli (2400 ab. nel 1951). La provvida iniziativa, dette a Roma la prima, vera e propria spiaggia balneare, tuttora frequentatissima da chi non ha tempo di spostarsi a lungo da Roma. Il suo sviluppo è stato però rallentato sia da Santa Marinella che da Fregene, la quale si avvantaggia sia dalla maggior vicinanza a Roma (è il punto del litorale più vicino alla città in linea retta), sia soprattutto dalla presenza di una bella fascia superstite di rigogliosa pineta litoranea, l’unica di qualche estensione (4 km.) del Lazio a nord della foce del Tevere. Nella pineta sorgono numerose ville ed alberghi con ogni sorta di ritrovi e servizi. La popolazione stabile è modesta (1200 ab.) ma alle spalle, dove cessa la pineta litoranea, che cedeva il posto ad un’area di stagni, acquitrini e bassure in parte coperte di macchia e terribilmente infestate dalla malaria, è ora la bonifica di Maccarese, la più estesa del Lazio dopo quella pontina. Essa ha il suo centro nell’antico casale di Maccarese oggi interamente trasformato e conta circa 6200 ab., distribuiti in una sessantina di masserie e in qualche maggior nucleo. Recenti marine a nord di Fregene sono quelle di Palidoro e di Passo Oscuro.

    Il Lido di Ostia nel 1872.

    Il Lido di Ostia nel 1925.

    Il Lido di Ostia nel 1950.

    L’entroterra di Ostia-Mare. In primo piano, il Lago Traiano con il ramo di Fiumicino del Tevere.

    Attraverso un’altra nascente marina, Focene, si arriva a Fiumicino, sulla destra della foce navigabile del Tevere. Essa fu sempre in qualche modo attiva accogliendo piccoli navigli risalenti fino a Roma; il movimento crebbe un poco dopo qualche miglioria eseguita per facilitare l’accesso alla foce, alla fine del XVI secolo e nel XVII, presso la quale Clemente XIV fece erigere nel 1773 una torre (distrutta durante l’ultima guerra). Ma il villaggio sorse più tardi (intorno al 1825), come centro di pescatori e gente di mare, presso la torre che, prima della distruzione, distava dal mare 600 metri. Fiumicino aveva appena 300 ab. nel 1881 e 700 nel 1901; ora ne conta oltre 6000 nel centro ed ha anch’esso assunto in parte funzione balneare, con un’appendice alla sinistra del Tevere sulla spiaggia dell’Isola Sacra. Nuovo incremento va acquistando per l’apertura al traffico (1961) del grande aeroporto internazionale « Leonardo da Vinci ».

    Varcata l’altra foce del Tevere detta di Fiumara, siamo al Lido di Ostia del quale si è già parlato, come della restrostante Ostia, la vecchia colonia agricola ravennate, dominata dal robusto castello del Sangallo, dilatatasi oggi nella campagna; essa è mèta frequentatissima dei visitatori attratti dalle dissepolte rovine della città repubblicana, decorosamente sistemate.

    Il litorale a sud del Lido è quello di più recente popolamento; esso era praticamente deserto ancora una dozzina di anni fa; oggi vede sorgere una serie di marine, Lido di Castel Fusano, Tor Vaianica, Rio Torto, San Lorenzo, Lido dei Pini, Lido di Lavinio, località balneari che si sviluppano rapidamente, ma in maniera disordinata e senza alcun piano regolatore, sì da deturpare perfino il bellissimo paesaggio originario. Alle spalle, nella campagna bonificata, si erge su un piccolo colle l’antico nucleo di Pratica di Mare, sul luogo ove fu — secondo la tradizione — la città di Lavinium, fondata da Enea e poi distrutta dai Saraceni. Un castrimi Patricae è ricordato nel 1139 ; in seguito fu feudo dei Borghese. Nei pressi è la nuova cittadina di Pomezia, sorta nel 1939 per servire di centro ad una vasta area ripopolata con nuclei di coloni e numerose case rurali sparse. Ha preso il nome da Suessa Pometia, antica città volsca di cui non restano tracce, che già al tempo di Plinio non esisteva più. Pomezia da centro agricolo è andata, nel corso di poco meno di un decennio, profondamente trasformandosi per il sorgere di vivaci stabilimenti industriali — come si è detto nel Cap. XI — legati alle agevolazioni legislative intese a favorire installazioni di industrie ed alla posizione presso un importante incrocio stradale di quest’area tra i Colli Laziali ed il mare. Il complesso urbano ed industriale si è espanso notevolmente ai lati di un asse stradale interno, posto parallelamente alla Via Pontina, ed ai margini di questa importante arteria di comunicazione con Roma, Napoli ed i vicini centri. Il comune, che nel 1951 aveva poco più di 6000 ab. (2100 nel centro), oggi ha raggiunto quasi i 10.600 ab. residenti, mentre la popolazione presente supera le 15.000 unità.

    Le marine del Lazio da Capo Linaro a Torre Astura. A sinistra: attuali; a destra: nel 1890.

    Nella fascia sublitoranea a sud e a sudest assai arida rimangono ancora estese aree a pascolo e lembi di macchia, tra cui corrono incassati e tortuosi, alcuni dei più caratteristici fossi: su una rupe tufacea ergentesi a picco tra due fossi che confluiscono a formare il Fosso dell’Incastro, a 5 km. dal mare, si erge l’antichissima Ardea (frazione di Pomezia). Ad est, dove già il terreno accenna a rilevarsi verso i Colli Laziali, è un’altra cittadina, fondata pure nel 1936, non lontana dal casale di Carroceto: Aprilia, di cui parleremo in un altro capitolo. Carroceto era trent’anni fa un solitario casale in mezzo a folte macchie, frequentate solo da cacciatori; oggi di esse restano solo alcuni lembi, insidiati dall’espandersi del vigneto e delle industrie, lungo la via per Anzio.

    La spiaggia ed il centro di Santa Marinella.

    Panorama di Anzio.

    Anzio, antica sede volsca sulle morbidi propaggini di alture prospicienti la piccola insenatura, sottomessa a Roma già nel 468 a. C., colonia dal 338, discesa a poco a poco sulla marina, fu nell’evo antico prevalentemente località di villeggiature e di diporti marittimi — Attico, Lucullo, Cicerone, Mecenate, Augusto vi ebbero le loro ville — ma ebbe anche un porto di qualche movimento specie sotto l’Impero. Nerone, che vi ebbe i natali, vi fece edificare una villa grandiosa, ampliò il porto con costruzioni delle quali restano cospicui avanzi ed eresse il famoso tempio della Fortuna Anziate.

    Ma a partire dal III secolo d. C., Anzio scompare — si può dire — dalla storia: devastata più volte da incursioni di barbari e da scorrerie di Saraceni, fu abbandonata dalla popolazione e vide interrarsi il porto. Quello attuale fu costruito alla fine del XVII secolo per opera di Innocenzo XII ad est dell’antico, e intorno ad esso sorse un villaggio di pescatori e di modesta gente di mare. Ma ancora al principio del XIX secolo Anzio non figura come entità a sè: nel 1835 aveva appena 1000 ab. e 2500 nel 1931 (solo centro). Poi crebbe rapidamente come località balneare allungandosi sulla costa e protendendosi verso Nettuno col quale anzi fu fusa in un unico comune (Nettunia) nel 1940. Ma durante l’ultima guerra mondiale, in seguito allo sbarco alleato del 1944 (22 gennaio), subì severissimi bombardamenti, che la distrussero quasi interamente. Oggi è stata interamente ricostruita ed ha perciò una fisonomía del tutto nuova. Nel suo porto vennero effettuati lavori di una certa entità tra il 1929 e il 1936, ampliando il molo e sistemando le calate. Ora occupa circa 170.000 mq. ed è racchiuso da un molo maggiore di 810 m. (Neroniano-Innocen-ziano) e da un molo minore, che protegge la darsena Pamphili, senza tuttavia fornire alle navi riparo sufficiente dai venti di traverso e permettere l’accesso a natanti di oltre 5 m. di pescaggio. Esso serve ad ogni modo alla città di Roma, che rifornisce di sale, fosfati, formaggi sardi e pesce. Inoltre il movimento portuale è mantenuto vivace dagli imbarchi dell’Agro Pontino e dai bisogni degli stabilimenti industriali sorti nell’entroterra. E anche porto di passeggeri per coloro che d’estate visitano le Isole Ponziane, punto d’appoggio di naviglio da diporto e porto da pesca. Ma Anzio è soprattutto — col Lido, con Fregene e con Santa Marinella — una delle più frequentate spiagge di Roma. Nel 1951 aveva oltre 8500 ab. (solo centro), oggi ne conta oltre 10.000 (15.889 nel comune). Sin dal 1945 è stato ricostituito comune a sè; infatti la fusione con Nettuno, nonostante che i due abitati quasi si tocchino, non è giustificata da ragioni di vita economica. Questa cittadina, di origine più recente (scarso fondamento hanno le leggende circa uno stanziamento saraceno), ha, come centro balneare, minore importanza di Anzio, del quale è in sostanza sotto questo aspetto un’integrazione, ma si avvantaggia invece della situazione a cavaliere fra le aree di bonifica recente della Campagna e quelle della regione pontina, onde è un centro agricolo in pieno sviluppo. Caratteristico è il contrasto fra il borgo medioevale con viuzze strette e tortuose, tutto racchiuso da mura, proteso direttamente sul mare e affiancato da un poderoso castello o maschio eretto alla fine del XV secolo (forse da Antonio da Sangallo il Vecchio), e la città moderna con viali alberati e belle costruzioni. La popolazione residente è cresciuta da poco più di 2100 ab. nel 1871, a oltre 5000 nel 1911, a 10.040 nel 1931 ed oggi (1961) supera i 18.600, dei quali circa 15.000 nel centro, non danneggiato che in piccola misura da offese belliche.

     

    Vedi Anche:  Storia del Lazio