Vai al contenuto

Profilo e origine del nome

    Le Marche

    Profilo della regione

    Il nome della regione.

    Il nome della regione nella forma Marche è adoperato dal 1815 in poi in tutti gli atti ufficiali, dal protocollo del Congresso di Vienna ai dispacci dei legati pontifici, dalle pubblicazioni dei Ministeri a quelle della R. Deputazione di storia patria per le province marchigiane e solo sporadicamente e saltuariamente si trova nella forma singolare.

    La sua derivazione indubbiamente germanica è legata strettamente alla organizzazione feudale; quando infatti agli imperatori carolingi si sostituirono quelli di origine tedesca, cominciò ad affacciarsi qua e là il nome di Marca, dal germanico Mark, nel significato di confine; si trattava di territori particolarmente delicati per la loro posizione e per la loro difesa, che erano posti sotto la giurisdizione di una specie di governatore o di marchese. Nell’Italia centrale le Marche cominciarono a comparire dopo il 1000; la prima ad essere nominata è la Marchia Firmana, a cui segue quella Anconitana al tempo della terza Crociata; accanto a queste denominazioni erano diffuse quelle del ducato d’Urbino, del principato di Pesaro, di quello di Camerino. Nei secoli XVI, XVII e XVIII la regione è indicata dall’insieme di tutte queste forme che delimitano un territorio di estensione variabile in rapporto alle vicende storiche. Il nome attuale pertanto, che costituisce la forma plurale del nome originale, non fa altro che sintetizzare la derivazione storica e riassume tutte le denominazioni precedenti. Al principio del secolo XIX, nel 1825, il Brandimarte scriveva : « I moderni geografi dividono poi la Marca in tre contadi e li chiamano Marca Ascolana, Marca Fermana, Marca Anconitana e queste tre Marche formano una sola provincia, cioè la Marca ».

    La regione marchigiana in una carta d’Italia del secolo XV.

    Al principio del secolo attuale alcuni geografi come Olinto Marinelli, Filippo Porena, Carlo Maranelli discussero sulla opportunità di adoperare il nome nella forma singolare o in quella plurale, ma si trovarono d’accordo nel considerare opportuna la denominazione ufficiale nella forma plurale, che deriva dalla esistenza in passato di più Marche e dalla loro unione in un’unica regione.

    Questa forma che, come si diceva poco fa, compare nei primi decenni del secolo XIX, non è di origine volgare, ma letteraria e anzi in un primo tempo anche presso gli scrittori le due forme sono indifferentemente adoperate; il Leopardi, ad esempio, usa sia la forma Marca che quella Marche ma con molta maggiore frequenza la seconda: « … Nelle Marche vi giuro… » (i), «… farà la via delle Marche… » (2). Il popolo pure, da molto tempo adopera il plurale salvo rari casi contrari; il Sensini afferma che al suo tempo nel circondario di Camerino era più diffusa la forma singolare; poiché però tale uso anche allora non aveva una maggiore estensione si può pensare che derivasse dal fatto che proprio quella zona aveva mantenuto più a lungo l’ordinamento di Marca indipendente; attualmente, a poche decine di anni di distanza, non si trova più alcuna traccia di questa differenza.

    Alla luce anche delle notizie che ci offrono le rappresentazioni cartografiche si può concludere che il nome della regione ha una derivazione logica e naturale, in quanto indica il naturale processo storico che ha dato luogo all’unione di più unità amministrative, le quali nel tempo avevano partecipato di vicende comuni e che avevano un comune retaggio di tradizioni, in una unità ad individualità etnica e geografica abbastanza netta; la forma singolare è la più vecchia, quella che si ritrova nei documenti di archivio e che si riferisce ad un territorio superficialmente limitato ad una sola porzione della regione, mentre quella plurale è la più recente e la più rispondente alla realtà storica, amministrativa e tradizionale. La forma singolare del nome sopravvive tra il popolo solo nell’espressione ironica e direi campanilistica di « Marca sporca » per indicare la parte più meridionale della regione e più specificatamente le differenze dialettali tra la parte a nord del Conero e quella a sud.

    La regione marchigiana in una carta d’Italia del secolo XVI.

    La «Marca d’Ancona» in una carta del 1564.

    Vedi Anche:  Colline, centri costieri e valli

    Una parte delle Marche, quella meridionale, costituiva il Piceno romano; il nome di Piceno però non è più adoperato se non nel linguaggio dei letterati; gli storici e i cronisti a cominciare da Strabone, da Plinio, da Paolo Diacono, gli davano una derivazione storica. Comunemente infatti si trova detto che la regione fu colonizzata da una immigrazione sabina guidata dall’uccello sacro di quella gente, cioè il picchio; da questo deriverebbe il nome di Picentes. Questa discendenza, accettata e tramandata per tanti secoli, è indubbiamente quella che ha cercato di dare una spiegazione plausibile al nome, tuttavia poiché la derivazione del nome stesso non è rigorosamente storica, forse si possono fare anche altre ipotesi e tra queste appare attraente ed interessante quella secondo la quale il nome di Picenum può avere una radice comune con picea, cioè che esso si riferisca più che ad un ambiente etnico, ad un ambiente naturale. La vegetazione del piano montano appenninico oggi si presenta degradata, ma, come testimoniano anche le analisi polliniche, in un tempo non troppo lontano era costituita in prevalenza da foreste di faggio e di abete; è proprio da questa estensione, massima soprattutto nella parte meridionale della regione alla quale corrispondeva il nome di Picenum, che potrebbe derivare il nome.

    Data la suddivisione amministrativa della regione fin dai tempi storici molto lontani, è piuttosto difficile seguirne l’estensione nelle diverse epoche e la cosa più agevole è quella di considerare le successive suddivisioni. Nell’atlante storico dello Spruner-Menke le Marche in un primo tempo e cioè fino al 1137 si trovano divise (tav. XXI) tra la Pentapoli, che da Rimini giungeva sino a sud di Osimo, e il Ducatus Firmanus, che si estendeva oltre il Tronto e il Pescara; dal 1137 fino al 1302 (tav. XXIII) compare la Marca Guarnerii o Anconitana quasi nei limiti dell’attuale regione, dal Montefeltro al Tronto, e verso l’Appennino includeva anche Nocera. Dal 1302 al 1492 (tav. XXIV e XXV) invece, la regione è occupata dalla Marca Ancona facente parte dello Stato Pontificio, cioè della provincia Romana; dal 1492 fino al Trattato di Campoformido nel 1797 (tav. XXVI) lo Stato Pontificio appare diviso in Ducato d’Urbino e in Marca Ancona; il primo si stendeva da San Leo fino a Pesaro includendo anche Gubbio, la seconda invece dal bacino del-l’Esimo a quello del Chienti ed oltre fino ad Ascoli e Fermo. Dal Trattato di Campoformido fino al 1860le Marche comprendevanoormai l’area odierna, meno il territorio di Gubbio e quello di Visso.

    Le notizie delle Marche come rappresentazione cartografica, sono relativamente recenti, infatti la più antica carta della Marca di Ancona, Marcha de Ancona Nova, si trova nell’edizione della Geographia di Tolomeo, curata da G. Gastaldi (Venetiis, 1548) ed è opera di questo cartografo; si tratta di una incisione in rame che rappresenta la regione costiera tra Cattolica (Chatolica) e Pescara, mentre verso l’interno giunge a Cortona, Perugia, Terni e al lago Fucino. Dello stesso secolo è la carta La Marca d’Ancona che figura in alcune raccolte atlantiche che vanno sotto il nome di Lafreri e che abbraccia una regione più ristretta comprendendo la Marecchia (Marechia), Gubbio (Agubio), Visso (Visse), Cerreto (Cereto), il Tronto e Civitella. E ancora su un’altra carta, sempre dello stesso periodo, i confini della Marca Anconitana sono costituiti da una parte, verso il regno di Napoli, dal Tronto, dall’altra, verso il ducato d’Urbino, dall’Isauro e ad occidente dall’Appennino.

    Nel l’Italia del Magini pubblicata a Bologna nel 1620 le Marche sono comprese in due carte, nella tavola XXXVII e in quella XLVI ; nella prima « Marca d’Ancona olim Picenum» il confine è segnato dal Tronto e dal Foglia mentre nell’angolo sudest la rappresentazione si spinge oltre l’Appennino fino a Teramo; nella seconda «Ducato d’Urbino » i confini sono normali benché siano tracciate anche le regioni contermini, come l’alto bacino del Savio, l’Esino, la bassa valle del Tevere e il contado di Città di Castello. La estensione della regione non sembra quindi presentare spiccate singolarità in quel tempo, salvo una restrizione verso la parte appenninica; infatti Sassoferrato risulta sotto il governo dell’Umbria; invece la suddivisione amministrativa interna aveva qualche particolarità in quanto il governo di Macerata giungeva molto più a nord degli odierni confini della provincia e includeva Ostra Vetere, Serra dei Conti, Arcevia, Filottrano. Queste notizie risultano da una lettera di Francesco Stelluti al Magini trovata da O. Marinelli, che si occupò della cartografia marchigiana.

    Vedi Anche:  Il litorale, le montagne e le pianure

    Le carte del Magini costituirono la base di tutte le carte del XVII secolo e bisogna giungere al XVIII secolo in genere per trovare qualche cosa di nuovo; per le Marche alla metà del secolo XVIII si trova una rappresentazione complessiva che ha una certa originalità anche dal punto di vista cartografico; la carta, compresa in un atlante pubblicato a Milano nel 1712: Corographica descriptio provin-ciarum et conventorum f. /. min. S. Francisci capucinorum, ecc., è intitolata Provincia Piceni e comprende il territorio tra la Marecchia e il Tronto e inoltre l’alta valle del Tevere, cioè ci presenta una regione con confini più vasti di quelli naturali. Del resto che i confini amministrativi delle Marche si estendessero di più di quelli attuali risulta si può dire da ogni rappresentazione; anche la carta manoscritta della Legazione di Urbino del padre Cristoforo Maire del 1757 giunge fino a Cesena, a Senigallia e Montemarciano, a Perugia, Nocera, Borgo San Sepolcro; tuttavia è da ricordare anche che i limiti riportati dalle carte citate non sempre corrispondevano a quelli effettivi in quanto, come per le altre caratteristiche cartografiche ci si trova spesso di fronte a prodotti non troppo raffinati, così anche le notizie che le carte offrono non sono sempre vagliate e attendibili perchè tramandate di carta in carta e a volte anche erroneamente modificate.

    Le Marche sono situate nella parte mediana della penisola e comprese tra 42° 41′ 15” e 43° 58’ 8” di latitudine nord. Per la longitudine, se si considera quella di Greenwich si ha un valore unitario ovest, 12° 5’ 56” e 13° 55’ 29” mentre se si prende come base il meridiano nazionale di Monte Mario si hanno i valori compresi tra 0° 21’ 18” longitudine ovest e 1° 28’ 15” longitudine est, la regione cioè viene ad essere in tal modo divisa in due parti disuguali dal meridiano fonda-mentale che passa presso Macerata Feltria.

    A nord la regione confina con la Romagna, a sud con l’Abruzzo, ad ovest con la Toscana e l’Umbria e ad est con il Mare Adriatico. Se dall’àmbito amministrativo si passa a quello fisico i confini possono essere definiti con una maggiore precisione in quanto si appoggiano o ai rilievi appenninici o ai corsi d’acqua. La grossolana forma trapezoidale, più ampia a sud che a nord, si impernia sulla quinta del Monte-feltro che sfuma dal Monte Maggiore fino al promontorio di Gabicce e verso sud giunge al valico di Scheggia; ad essa segue la quinta del Catria fino al Colle d’Appennino, quella del San Vicino fino a Forca Canapine, i Monti della Laga che si diramano in dolci forme collinari fino alla foce del Tronto.

    La superficie racchiusa entro questi limiti è caratterizzata da una serie di valli che, originandosi dalla dorsale appenninica, si orientano verso l’Adriatico come altrettanti rami di albero e pertanto, mentre ad occidente il confine è segnato dallo spartiacque della testata dei vari corsi d’acqua, a nord è delimitato dallo spartiacque Foglia-Tavollo e a sud da quello Tronto-Vibrata.

    Il confine amministrativo della regione presenta a nordovest un saliente maggiore verso la Romagna che si estende oltre il confine fisico ed uno minore a sudovest proteso verso l’Abruzzo; entrambi rappresentano una eredità storica derivante dalla divisione amministrativa dello Stato Pontificio che era in vigore quando si compì l’unità d’Italia. Inoltre a sud-sudovest e a nord-nordovest il confine amministrativo è più ristretto di quello fisico, non tiene conto cioè dell’ampiezza dei bacini idrografici e ne decapita alcuni per una estensione più o meno grande.

    In conclusione a nordovest il confine amministrativo invade in parte alcune valli romagnole e precisamente la media valle della Marecchia e una parte di quelle del Conca, del Rio Ventena, del Tavollo, deirUso, del Savio o dei loro piccoli affluenti; a sudovest e a sud invece si protende verso il bacino della Nera e quello del Vibrata. Le aree che fanno parte fisicamente delle Marche ma che ne sono distaccate amministrativamente appartengono invece a nord ai bacini principali o affluenti del Foglia, del Metauro, dell’Esino, a sud a quelli del Potenza, del Chienti e del Tronto; comunque tutta la regione appartiene al versante adriatico, salvo il breve tratto del bacino del Nera e del Vibrata che defluiscono verso il Tirreno.

    Vedi Anche:  Le divisioni territoriali

    Da questo irregolare andamento del limite amministrativo della regione consegue che alcuni Comuni per intero ed altri soltanto in parte appartengono fisica-mente alle regioni contermini, mentre altri fanno parte amministrativamente delle regioni confinanti anche se dal punto di vista geografico sono parte integrante della regione marchigiana; proprio su tale argomento si è intrattenuto brevemente il Bonasera al IV Congresso nazionale di urbanistica che ebbe luogo a Venezia nell’ottobre 1952. Egli osserva che i Comuni di Casteldelci, Sant’Agata Feltria, Penna-billi, Novafeltria, Talamello, Maiolo, San Leo, Sasso Feltrio, Gradara, Gabicce fanno parte interamente di un’area extra marchigiana, mentre Monte Grimano, Mercatino, Conca, Monte Copiolo, Monte Cerignone, Tavoleto, Tavullia, Carpegna, Macerata Feltria, Pietrarubbia, Auditore, Pesaro, Visso, Ussita, Castelsantangelo, Arquata del Tronto, Folignano, Maltignano hanno una parte della loro area che non appartiene alla regione. D’altra parte altri Comuni che completamente o in parte si trovano entro i limiti fisici delle Marche, appartengono amministrativamente ad altre regioni e più precisamente Accumoli, Amatrice, Mondaino, Saludecio, Sestino, Badia Tedalda, Scheggia, Pascelupo, Santa Giustina, Città di Castello, Pietralunga, Gubbio, Costac-ciaro, Sigillo, Gualdo Tadino, Nocera Umbra, Folignano, Controguerra, Colonnella, Rocca Santa Maria, Civitella del Tronto, Sant’Egidio alla Vibrata, Montereale, Campotosto; in complesso considera che tra la regione naturale e quella amministrativa vi sia una differenza di kmq. 43,57.

    Un’altra caratteristica amministrativa delle Marche veramente notevole è la presenza di numerose isole amministrative, oltre venti, che sono anche a notevole distanza dal capoluogo del Comune o addirittura in una provincia differente da quella alla quale appartengono amministrativamente; il numero maggiore di esse è distribuito nella provincia di Pesaro e Urbino. L’anomalia ha con ogni probabilità un’origine storico-tradizionale e può ricollegarsi con antichi possedimenti di ordini religiosi o di signori feudali posti in località distanti o comunque differenti da quelle di residenza; queste anomalie avrebbero potuto essere facilmente eliminate o all’atto della costituzione dell’unità d’Italia o successivamente, ma in genere l’ostacolo maggiore per una normalizzazione è costituito dalle popolazioni che non rinunciano facilmente ai possedimenti tradizionali.

    La regione ha complessivamente una superfìcie di kmq. 9691,93, cioè costituisce una delle minori regioni d’Italia dopo la Valle d’Aosta, la Liguria, il Friuli-Venezia Giulia, l’Umbria; è suddivisa in quattro province secondo la seguente consistenza territoriale: Ancona kmq. 1937,76, Ascoli Piceno kmq. 2086,62, Macerata kmq. 2774,33, Pesaro e Urbino kmq. 2893,22. Nel complesso, come si vede, c’è una certa disformità nella entità superficiale delle singole province e questo genera alle volte alcune situazioni di disagio specie per quanto si riferisce alle relazioni e alle comunicazioni tra le unità amministrative più periferiche e il capoluogo; per esempio, nella parte più meridionale della regione alcuni Comuni come Monte Vidon Corrado, Francavilla d’Ete ed altri hanno maggiore facilità di comunicazione con Macerata, piuttosto che con Ascoli Piceno che rappresenta il loro capoluogo provinciale.

    La superfìcie territoriale delle Marche sta a quella dell’insieme di tutte le regioni italiane come 1:31; il confine orientale della regione è un confine marittimo che si estende per 174 km. e se tale lunghezza si pone in rapporto con quella territoriale si ha che ad ogni chilometro di costa corrispondono nell’interno 56 kmq. di superficie. Il rapporto tra lo sviluppo del litorale e quello della estensione superficiale della regione è di 1:56; il valore è superiore a quello medio italiano pari a 1:38. La massima distanza in linea d’aria dal mare del confine occidentale è di 80 km. nei pressi di Monte Cavallo in provincia di Macerata, mentre quella minore di 40 km. è presso Sasso Simone in provincia di Pesaro. Di tutta la superficie della regione il 36% è occupato da territorio montuoso, il 53% da colline e 1′ 11% da pianure; queste ultime come indica la percentuale hanno uno scarso valore e comunque sono limitate alle brevi strisce che accompagnano corsi d’acqua e ad una stretta fascia litoranea.