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Colline, centri costieri e valli

    Una corsa attraverso le Marche

    Le colline tra il Musone, il Potenza e il Chienti.

    L’aspetto naturale delle Marche con il susseguirsi di monti, di colline, di marine, con l’alternarsi delle distese con la vite e con l’ulivo, col frumento e col verde trifoglio, è ad un tempo armonioso e dolce, aspro e malinconico, ma sempre equilibrato in tutte le sue differenti espressioni. Leandro Alberti presenta la regione come «…buono et dilettevole territorio tutto posto ne’ colli, ornati di belle vigne et di ulivi dalle quali se ne traggono buoni vini et dolce olio con altre saporite frutte ».

    Anche se la popolazione vive per lo più nelle campagne e se le città sono di piccole proporzioni e con l’aspetto di grossi borghi non offrono attraenti prospettive agli abitanti, pure la gente che s’incontra è di carattere cordiale, armonioso, schietto, con un parlare dalle cadenze musicali piene di molle lentezza e si direbbe quasi che si studi di intonarsi e di adeguarsi alla morbidezza delle forme ed alla tenuità dei colori della natura. Il Leopardi nello Zibaldone dice : « Mettendo il piede ne’ termini della Marca si riconosce visibilmente una fisionomia più viva, più animata, uno sguardo più penetrante e più arguto che non è quello dei convicini, nè de’ romani stessi che pur vivono nella società e nell’uso di una gran Capitale ».

    Dopo aver considerato le caratteristiche ed i problemi peculiari della regione sia fisici che umani, voremmo ora compiere attraverso le Marche un viaggio ideale che ci permetta di cogliere gli aspetti più attraenti e più belli della natura, i vividi colori e lo splendore dell’arte molto spesso raccolta nella chiesa o nel palazzo di una località sperduta, minuscola.

    La regione compresa tra il Musone, il Potenza ed il Chienti è costituita da una zona montuosa accidentata, di natura calcarea, che dà luogo verso oriente ad un’area che si deprime gradatamente in direzione dell’Adriatico, con due serie di colline successive, l’una di marne, arenarie e gessi, l’altra di argille, sabbie e ghiaia. Il fon-dovalle è occupato da alluvioni recenti che dividono l’area collinare in dorsali dirette trasversalmente all’asse della catena principale; i fiumi per superare la barriera montuosa ed aprirsi la via verso il mare hanno inciso gole profonde e strette: il Potenza quelle di Pioraco e di San Severino, il Chienti quelle di Serravalle e di Bistocco.

    Macerata, la Loggia dei Mercanti.

    La parte montuosa che costituiva l’antico stato di Camerino, ricco di feudi, ha conservato molte tracce del passato, specialmente in tutta una serie di torri di difesa che costituivano un sistema organico. Forse le più caratteristiche sono le saracinesche dei ponti di Pioraco che servivano per allagare il piano. La Gola del Pioraco che ora è percorsa dalla strada attraverso ardite gallerie costituì sempre un passaggio obbligato oltre che un punto strategico importante ed il ponte dell’epoca di Augusto, testimonia il passaggio della vecchia strada della valle; il centro di Pioraco stretto tra i monti, si presenta con vie scoscese e dirupate e nell’insieme l’aspetto è difensivo. Durante il Medio Evo infatti era un castello dei Varano posto proprio a guardia delle acque del fiume che, mediante una chiusa, le saracinesche, potevano essere regolate. È in questo luogo pittoresco, posto alla confluenza dello Scarzito col Potenza, che sorsero fino da tempi antichi le cartiere per utilizzare l’energia prodotta dalle cascate.

    A sudovest Sefro per quanto di origine antica non vanta una storia altrettanto interessante, tuttavia nel Medio Evo ebbe certo una fortezza e le stesse case del centro erano costruite in modo da potersi trasformare in fortilizi. Però Sefro in passato fu importante soprattutto economicamente perchè aveva una piccola miniera di ferro della quale resta solo il ricordo e l’avanzo di un forno di fusione.

    Non molto lontano, a Castelraimondo, ecco elevarsi un’altra difesa dei Varano attribuibile al XII secolo, costituita da un cassero con pianta quadrangolare dal quale si eleva un’altra torre più alta e più snella che domina il piccolo centro. In questo paesaggio isolato, aspro, ma industre sono sparse intorno opere d’arte tra le più belle e basterà ricordare la chiesa romanico-ogivale abbandonata della Romitella e gli affreschi di tradizione giottesca di San Biagio in Caprile presso Campodonico appartenenti ad un antico monastero benedettino dell’XI secolo.

    Macerata, lo Sferisterio.

    La regolarità della suddivisione altimetrica da occidente ad oriente, si riflette sul comportamento degli elementi climatici; le isoterme e le isoiete si dispongono in modo quasi parallelo alla costa, ma l’escursione termica è piuttosto notevole tra la costa e la parte più elevata. Date le caratteristiche morfologiche, è facile dividere sia la valle del Potenza che quella del Chienti in zone altimetriche nelle quali si distingue una fascia inferiore ai 200 m. che si prolunga come un acuminato cuneo entrovalle per circa 40 km. limitatamente al fondo vallivo, mentre ai lati si protende con digitazione la fascia successiva compresa fra 200 e 500 m. e nella quale si raccolgono importanti centri abitati come Macerata e Tolentino.

    Macerata sorge sulla dorsale compresa fra il fiume Potenza e il Chienti, nel punto in cui questa è attraversata dalla strada Ancona-Foligno-Roma. Sviluppatasi nel Medio Evo dall’unione di due borghi preesistenti, il Poggio di San Giuliano e il Castello di Macerata, la città si è accresciuta nei secoli successivi senza assumere mai grande importanza, giacché ancor oggi è rimasta essenzialmente un grosso centro commerciale, di poco meno di 30.000 abitanti, capoluogo di un distretto agricolo, quale è appunto la provincia di Macerata.

    San Claudio al Chienti presso Macerata.

    La struttura della città è naturalmente strettamente legata alla topografia delle colline plioceniche su cui sorge, a circa 300 m. d’altitudine, e alla posizione dei borghi che si erano formati per primi; nell’insieme l’abitato occupa il versante a solatio di una lunga dorsale, che culmina nella parte ove si trovano la piazza della Libertà, l’Università e il Duomo e si presenta in forma allungata da est ad ovest e in parte chiusa da mura. Queste, fatte costruire verso la metà del 1300 dal cardinale Egidio Albornoz e ancor oggi ben conservate, racchiudono lo spazio cittadino a forma di trapezio, i cui vertici sporgono nei punti in cui si prolungano le varie dorsali collinose sulle quali corrono verso l’esterno le strade cittadine che fanno capo alle porte. Nelle medesime direzioni si sono sviluppati anche i borghi suburbani, che hanno conferito all’insieme della pianta della città una forma digitata. All’interno della cerchia muraria la maggior parte delle strade avvolgono la collina mantenendosi orizzontali e parallele fra loro, congiunte da ripide rampe che convergono verso la piazza centrale.

    La città ha nell’insieme carattere moderno, pur avendo ricevuto l’impronta dell’architettura del tardo Cinquecento o dei secoli posteriori. Però già nel 1290 vide sorgere per concessione di Nicolò IV lo Studio, da cui si origina l’attuale Università, e dal 1320 ebbe il titolo di città e fu sede vescovile. Come sede dei legati pontifici della Marca e della zecca della Camera Apostolica acquistò maggiore importanza regionale; le effimere signorie che si alternarono nel dominio della città con il governo papale come quelle dei Mulucci, dei Varano, di Francesco Sforza, non vi hanno lasciato profonde tracce.

    Invece dal punto di vista edilizio, ebbe importanza il piano regolatore voluto nel 1621 dal cardinale Pio Carlo Emanuele di Savoia di Carpi, col quale si iniziò lo sviluppo cittadino al di fuori delle mura, mediante il rettifilo di allacciamento alla strada Ancona-Roma, sul lato occidentale. Merita un cenno lo sviluppo moderno, a cominciare dalla sistemazione dei viali perimetrali, da cui si gode la vista di tutta la regione circostante. Vari quartieri residenziali si sono sviluppati sulle vicine dorsali collinose o, quando la ripidità lo ha permesso, nelle vallette comprese fra queste. Tale, ad esempio, è il quartiere che si protende a mezzogiorno della città a partire da Porta Picena e che si estende fino alla stazione ferroviaria; così pure sono notevoli, sul lato occidentale, i giardini Diaz.

    Dei monumenti compresi nella vecchia città, vanno segnalati la Loggia dei Mercanti, elegante opera attribuita a Cassiano da Fabriano su modello toscano, posta nella prima metà del XVI secolo, tutta in laterizio con membrature in pietra; vari palazzi, la piccola chiesa della Misericordia, con la Madonna omonima del Cinquecento e con l’interno dovuto al Vanvitelli, infine il noto Sferisterio, interessante costruzione neoclassica, il più bello dei monumenti del genere, di elegante grandiosità, costruito nel 1829 per il giuoco del pallone, allora molto diffuso nelle Marche. In posizione appartata fuori delle mura sorge la chiesa di Santa Maria delle Vergini, cinquecentesca, a croce greca e braccia absidate che, nello schema, risente l’influsso del Bramante e che porta il caratteristico motivo delle finestre a triplice luce.

    Pianta di Macerata con i successivi sviluppi topografici.

    Come si è detto, è importante l’Università che ora ha solo la facoltà di giurisprudenza, mentre in passato aveva anche quella di teologia, di medicina e di filosofia.

    Dall’abbondanza dei monumenti e dall’insieme austero della città si ricava l’impressione che essa ebbe un notevole rigoglio di vita specie dal XIV al XVI secolo e forse una prova può essere costituita anche dall’esistenza dell’Accademia dei Cate-nati fondata nel 1574, alla quale si dice che il Tasso abbia sottoposto il suo poema. Da qui provengono anche uomini illustri come il già ricordato padre Matteo Ricci e G. M. Crescimbeni, uno dei fondatori dell’Arcadia. Vanno ricordati anche il Collegio dei Gesuiti, il Seminario e la Biblioteca Comunale Mozzi Borgetti, che contiene una ricchissima raccolta di opere, manoscritti e incunaboli.

    L’importanza della città è più che altro letteraria, artistica e culturale, le attività economiche non sono molto sviluppate; ai traffici commerciali importanti nei rapporti con la provincia si deve aggiungere la fabbricazione degli strumenti musicali.

    A breve distanza a nord di Macerata sorge Montecassiano racchiuso da mura castellate con torrioni che testimoniano della storia agitata di questo piccolo centro;

    la sua origine si fa risalire alla distruzione di Helvia Ricina, ma soltanto molto più tardi e cioè nel XII secolo si hanno notizie storiche precise che parlano della signoria dei Cassiano. Successivamente si alternarono nel suo governo i monaci Cistercensi di Chiaravalle, i pontefici, i Malatesta e infine si eresse a libero Comune. Di tutte le controversie che ebbe e le lotte che sostenne la più interessante è quella che ebbe con Macerata per l’utilizzazione delle acque del fiume Potenza a scopo industriale, cioè per l’azionamento di molini. Ad occidente invece di Macerata, su di un colle di forma allungata, si trova Treja da cui si può spaziare con lo sguardo sulle colline circostanti e sulla pianura sottostante.

    Montecassiano, palazzo Comunale.

    Tolentino, il ponte del Diavolo sul Chienti.

    Il nome deriva da quello di una antica città del Piceno, già municipio romano, che poi fu distrutta nel IX secolo dai Saraceni; gli abitanti raccolti sulle colline circostanti fondarono un centro chiamato Montecchio che ebbe notevoli vicissitudini storiche. Soltanto nel 1790 sotto il governo di Pio VI il Comune potè riassumere l’antico nome di Treja. Fino dal XV secolo la cittadina ospitò un’Accademia letteraria chiamata dei Sollevati che poi nel secolo XVIII assunse il nome di Società Georgica e si occupò della pubblicazione di un giornale agrario e di effemeridi meteorologiche. Fanno corona a Treja Appigliano e Pollenza posti rispettivamente a nordest e a sudest; il primo su di una collina lambita dal Menocchia, fu a lungo soggetto ad Osimo prendendo parte alle aspre lotte fra guelfi e ghibellini. Ma dell’antica vita rimangono pochi ricordi: le mura con quattro bastioni e gli acquedotti della fontana pubblica detta Bocca di Leone. Pollenza invece era un’antica città del Piceno che nel Medio Evo si chiamava Montemilone; la collina sulla quale sorge, posta fra il Potenza e il Chienti, è in una buona posizione difensiva e nello stesso tempo anche appartata; forse per questo vi fu fondata nel VII secolo l’Abbazia di Rambona.

    Il chiostro di San Nicola a Tolentino.

    Tolentino che fu probabilmente una colonia greca e poi romana, passò sotto la signoria dei Varano e di Francesco Sforza e di questo periodo della sua storia conserva tante tracce specie di carattere militare: le mura verticali e scarpate nella parte inferiore, con porte a sesto acuto, merlate; il ponte del Diavolo ad archi centinati che ha all’estremità una torre di difesa. Sono numerose però anche le vicende della storia moderna che si ricollegano alla cittadina; nel 1797 Napoleone vi imponeva il trattato a Pio VI e nel 1815 vi tramontava il tragico sogno di Murat; ma i Marchigiani conoscono Tolentino soprattutto per una ragione mistica, per San Nicola, la cui basilica, meta di numerosi pellegrinaggi, ha una bella facciata in laterizio dalle forme di transizione dal gotico al rinascimento e nell’interno oltre a conservare affreschi giotteschi di grande pregio, mostra incastonate negli interstizi degli archetti scodelle di ceramica con motivi freschi ed eleganti, geometrici o vegetali su fondo bianco. Alla chiesa è annesso il Museo delle maioliche di relativa recente costituzione.

    Il Castello della Rancia

    Non molto lontano da Tolentino, isolato sul piano sorge il Castello della Rancia, di origine medievale, costruito dai monaci dell’Abbazia di Fiastra come una fattoria fortificata cioè un castellare granario. La costruzione si fa risalire al XII secolo, ma fu modificata alla metà del XIV secolo quando divenne possesso dei Varano. Proprio nelle vicinanze del castello avvenne la battaglia decisiva per il Murat.

    Legato a Tolentino nei ricordi storici è Beiforte al Chienti che fino dalla metà del XIII secolo gli si diede in spontanea signoria; nel nome sono riassunte le caratteristiche del luogo che posto a 350 m. di altitudine sulla sinistra del fiume sorse a protezione della strada per Roma in un punto nel quale la valle si restringe ; le due porte che si aprono nelle mura sono chiamate Marchigiana e Romana. Urbisaglia a sudest di Tolentino sulla sinistra del Fiastra ricorda nel nome un’antica città del Piceno, colonia e municipio romano, Urbs Salvia, distrutta da Alarico.

    Uno dei più elevati centri abitati delle Marche è San Ginesio a 687 m. di altitudine tra il Fiastra e il Fiastrella; la tradizione lo vuole sorto al tempo dei Goti su tre colline alle quali facevano capo cinque contrade che ne costituivano il territorio. Nonostante le numerose lotte che sostenne e come repubblica e come città soggetta a vari signori, sembra che raggiungesse una certa prosperità specie con l’industria della lana, tanto che nel 1278 la popolazione era così aumentata da rendere necessaria la divisione del territorio in cinque rioni ciascuno dei quali aveva cento consiglieri. La sua posizione di chiave per la circostante regione montana lo rese sempre molto potente fino alla formazione del Regno Italico, e la seconda cerchia di mura con i torrioni e i baluardi del XIV e XV secolo e i resti di diverse rocche ne sono la testimonianza. Per molti secoli fu soggetto a San Ginesio Ripe San Ginesio, in posizione poco meno elevata sulle ripide pendici di un colle che trae il nome da un fenomeno franoso caratteristico di molte aree marchigiane. La vita tormentata per le frequenti ribellioni alle quali cedette sembra abbia avuto termine al principio del XVI secolo quando il Papa impose subordinazione a San Ginesio e per ammonimento vi fece costruire una fortezza.

    San Ginesio, piazza Gentili con la collegiata.

    La più importante tra le elevate cittadine delle Marche è Camerino, che sorge a 600 m. d’altitudine circondata da un’ampia cerchia di monti; già centro di movimentate vicende storiche, sebbene non sia molto popolosa (conta, nel centro, poco meno di 6000 abitanti) è dotata di una notevole vivacità, di una interessante tradizione culturale e civile, di un attivo commercio, ed è anche sede vescovile.

    Camerino, l’aspetto della città all’esterno.

    Il panorama che si gode dal balcone dell’Università di Camerino.

    Posta su un’elevata dorsale, che divide la valle del fiume Potenza da quella del Chienti, non lontano dalla regione sorgentifera di questi due fiumi, ha ovviamente una posizione difensiva assai buona che sembra quasi isolarla dai territori finitimi.

    Oggi è collegata da una linea ferroviaria secondaria, innestata sulla linea marchigiana interna Urbino-Cagli-Fabriano-Macerata-Porto Civitanova, che si spinge fin poco sotto l’abitato, ma un tempo, quando i mezzi di trasporto più rudimentali dovevano percorrere le non sempre comode vie della collina e della montagna, la posizione di Camerino non era così sfavorevole come potrebbe apparire, poiché la città, oltre a godere di buone possibilità di difesa, poteva sorvegliare e attirare i traffici delle fertili valli interne della sinclinale camertina, e quelli dei vicini valichi transappenninici, ora superati dalla strada statale Lauretana e dalle sue ramificazioni.

    La storia di Camerino ha origini remote; fu notevole centro umbro, poi alleato di Roma, quindi municipio romano; nel Medio Evo riuscì a svilupparsi libero Comune, ricco di traffici e d’industrie. Dopo la distruzione subita nel 1259 ad opera delle truppe di Manfredi, fu ricostruita da Gentile da Varano, che ottenne il riconoscimento di signore della città. La signoria dei Varano durò per quasi tre secoli, con brevi interruzioni, e fu in quell’epoca che Camerino ebbe la maggiore floridezza e fu ricca di vita culturale e a questo rigoglio si accompagnò anche un notevole sviluppo edilizio.

    La signoria però era sempre all’erta, come dimostrano le numerose rocche che sorsero nell’ambito dell’àntico stato di Camerino e che costituivano un sistema difensivo organico con collegamenti fatti da torri poste in località dominanti. Le opere vanno dal XII al XIV secolo e le più caratteristiche sono quelle del Fiungo, di Cam-polarzo, di Spinoli, di Santa Lucia; la più complessa è quella di Varano posta alla sommità di una collina a dominio della valle del Chienti e delle vie di comunicazione tra Marche e Umbria.

    Dei monumenti innalzati all’interno della città durante il periodo di maggiore splendore soltanto pochi si sono conservati, perchè oltre ad essere costruiti per la maggior parte con una pietra arenaria locale, scarsamente resistente agli agenti atmosferici, furono anche gravemente danneggiati dai terremoti. Così il Duomo è opera interamente moderna, dovuta a una ricostruzione dell’Ottocento; dell’antica chiesa di San Venanzio rimangono ancora solo la facciata con un bellissimo portale di gotico fiorito e la torre, mentre il resto è di recente ricostruzione. L’Università, che occupa la sede del Palazzo Ducale con un bel cortile rinascimentale, è in posizione dominante rispetto al giardino botanico che gli è di fronte e alle vallate circostanti fino all’ampio sfondo dei Sibillini. La Pinacoteca conserva pregevoli raccolte di opere della scuola di pittura locale, specialmente del Quattrocento.

    Alla tradizione artistica di Camerino si associa quella culturale, che trova espressione principalmente nella Università e nelle istituzioni che ad essa fanno capo. L’Università venne fondata da Benedetto XIII, nel 1727, dopo che già esisteva un antico centro di studi. Essa godette di notevole importanza e in passato ospitava numerosi studenti stranieri, specie jugoslavi, bulgari, romeni; dal 1861 è stata dichiarata Università libera, con le facoltà di giurisprudenza, chimica e farmacia; possiede fra l’altro la ricca Biblioteca Valentiniana, il museo di zoologia e anatomia comparata, e un osservatorio meteorologico; inoltre ha sede presso l’Università la Società Eustachiana di studi biologici. In passato vi fiorirono varie accademie come quella dei Costanti, quella degli Insensati, degli Offuscati, dei Docili.

    Il centro della cittadina è la piazza Cavour, su cui sorgono il Duomo, l’Università, l’Arcivescovado; l’abitato ha nell’insieme forma allungata perchè occupa, come si è detto, una lunga dorsale; ad un’estremità sorge la chiesa di San Venanzio, all’altra la Rocca, solida fortezza a torri cilindriche costruita dal Valentino, per assicurarsi il dominio sulla città nel breve periodo in cui l’ebbe.

    Camerino, il cortile dell’Università e un cancello di ferro battuto.

    Le moderne vie di circonvallazione aggirano l’abitato mantenendosi a mezza costa sulle pendici della collina.

    Caldarola, in collina sulla destra del Chienti, ad est di Camerino, fu per un certo tempo soggetta a questa città, ma la sua origine è più remota e sembra connessa con una sorgente termale che si trovava presso il monte Carufo e che le avrebbe dato anche il nome; ma di essa si perde memoria nel secolo XVI. Delle lotte che sostenne contro Camerino e i signori di Varano resta un ricordo nella località chiamata Pian dell’Assalto. In passato più che attualmente vi si lavoravano le pelli con molto profitto.

    San Severino, panorama.




    Antica fonte pubblica del Borgo Vecchio di San Severino.



    Sulla destra del Potenza, non molto lontano da Tolentino, si incontra una interessante cittadina, San Severino, che deriva da una antica colonia romana chiamata Septempeda; il centro è diviso in due parti: quella antica quasi disabitata, il Castello, sulle pendici del Monte Nero, e quella moderna che si sviluppa in pendio verso il fiume. Una tale planimetria deriva dal fatto che l’abitato più antico, raccolto intorno alla chiesa dedicata a San Severino, non solo fu ben presto insufficiente a contenere gli abitanti ma questi per esercitare l’industria della lana già fiorente nel XII secolo, trovarono più comodo spostarsi verso il Potenza, dove gli edifici potevano usufruire dell’acqua. La vita politica fu sempre densa di lotte ma quella economica fiorente e nel XV secolo la città era una delle principali delle Marche, e del periodo di massimo splendore restano notevoli monumenti come la Torre comunale forse del XIII secolo, gli avanzi del Palazzo Consolare, la fontana delle Sette Cannelle del XIV secolo, il Duomo vecchio che fu anche la prima chiesa del Castello, con una tacciata in romanico del Trecento.

    Nel secolo XV ebbe i natali a San Severino Bartolomeo Eustachi, anatomico insigne, professore alla Sapienza di Roma.

    A nordest della città tra il Musone e il Potenza, è situato Cìngoli a 638 metri di altitudine, sul versante orientale del Monte Cìngulo in una posizione dominante, incantevole tanto da essere chiamato il balcone delle Marche. La posizione munita per natura ospitò per tempo un centro abitato e Cingulum è ricordato da Plinio e da altri autori latini; la città partecipò a numerose guerre specie durante il Medio Evo quando si schierò dalla parte ghibellina ; più tardi sotto gli Sforza e poi sotto il governo pontificio perdette di importanza.

    Attualmente la cittadina è circondata da una circonvallazione esterna di grande interesse panoramico dalla quale nei giorni limpidi si può spaziare colla vista fino a Pesaro, Ancona, Fermo e verso occidente su tutto l’Appennino fino al Gran Sasso. Conserva alcuni notevoli monumenti architettonici come la Torre dell’Orologio, romanica, il Palazzo del Podestà del XV secolo, Sant’Esuperanzio in romanico ogivale, San Giacomo, con portale romanico.

    Già a Camerino posta in posizione elevata e da cui si spazia la vista fino ai Sibillini ci si avvicina al dominio della bassa montagna, dove il paesaggio umano muta notevolmente e dove alle forme dolcemente degradanti si sostituiscono quelle scabre e rocciose.

    Nelle stesse valli del Potenza e del Chienti la successione delle varie fasce altimetriche ha una grande influenza sulla distribuzione della popolazione. La densità della fascia collinare più esterna si aggira in media sui 250 ab. per kmq., escludendo naturalmente la considerazione dei nuclei più importanti di popolazione accentrata come Macerata e Tolentino. Per la fascia più interna la densità non può essere generalizzata perchè ha oscillazioni notevoli tra area ed area in rapporto con le variazioni locali della ricchezza agricola: si va in genere da 200 a 100 ab. per kmq., mentre solo raramente e sporadicamente questo valore è raggiunto dall’area più propriamente montana.

    Le variazioni della popolazione sparsa in un certo senso ricalcano quelle della popolazione complessiva, in quanto la diminuzione è graduale di mano in mano che ci si avvicina alla montagna, solo però tra i valori dell’alta collina e quelli della montagna c’è uno scarto assai notevole. Più in particolare si può dire che nella valle del Potenza non compaiono le massime densità di popolazione sparsa, come ad esempio, in quella del Tronto e la collina interna è compresa tra i valori di 25 e 50 ab. per kmq., ma successivamente si ha un salto e poco più a monte di Camerino la densità discende al disotto dei 25 per passare sùbito dopo a meno di 10 abitanti per chilometro quadrato.

    Per la valle del Chienti si possono ripetere le stesse cose, solo le densità minori di popolazione sparsa in rapporto alla morfologia locale giungono molto più a valle; bisogna anche ricordare che qui sono più frequenti le proprietà collettive che occupano a volte oltre il 35% delle superfici comunali e che il contadino vive molto spesso anziché in case isolate, in piccoli centri che hanno un prevalente carattere agricolo.

    La Sibilla, il Vettore, il Monte Bove: ecco i contrafforti più elevati dell’Appennino che con la loro mole imponente chiudono e proteggono ad ovest l’estrema parte meridionale delle Marche. E molto diffìcile poter descrivere lo spettacolo che si gode risalendo la stretta valle d’Ussita sulla quale incombe a picco il bastione piramidale del Monte Bove e le ricchezze naturali della Gola di Arquata alla quale fa da sfondo grandioso il Monte Vettore, il più elevato dei Sibillini, dalla cui cima nelle giornate serene è possibile vedere la lontana lucente distesa del mare.

    La regione montana meridionale

    Qui ai piedi delle cime montuose sfumate di grigio, si distendono sopra il limite dei boschi minuscoli campi di frumento e pascoli magri di ovini nei quali spesso il pendio appare gradinato da scaglie di roccia che si alternano a ciuffi erbosi.

    Amándola, chiostro di San Francesco.



    A Bolognola, Castelsantangelo e Ussita la popolazione vive accentrata; in proporzione minore a Montegallo, Montemònaco ed Acquacanina, mentre a Monteforti no, Sarnano e Amandola quella sparsa e quella accentrata tendono ad equilibrarsi; tale differenza è strettamente legata alla maggiore o minore estensione dell’area montuosa; dove i pendìi sono molto scoscesi, dove l’esposizione non è buona la popolazione tende ad unirsi ed in questi casi sono anche rare le dimore temporanee, i casali dei pecorai.

    Tra tutti i centri abitati dei Sibillini Amandola è il più importante, distesa su una collina lambita dal Tenna con una esposizione tra mezzogiorno e ponente. Si formò come centro murato nel XIII secolo dall’unione di tre castelli: Castelleone, Agello, Morabbione e per le lotte di fazione dei cittadini e dei vicini fu soggetta a vicende alterne; dal XIV al XVI secolo le sue fortune si consolidarono con l’impianto delle industrie della lana, della tintoria, della concia e della carta. La posizione tra la montagna e la collina, con facili comunicazioni sia con le valli vicine che con il mare, ha favorito ad Amandola uno sviluppo più intenso che nei centri vicini, ad esempio a Montefortino, che sorge su uno scosceso costone tra i torrenti Cossudro e Vetre-mastro; le case alte, in pendenza, addossate le une alle altre danno al centro l’aspetto di una fortezza. Ad onta di questa asprezza apparente l’area circostante è facilmente coltivabile e per questo la popolazione si disperde in tanti piccoli nuclei.

    Montemònaco, scorcio panoramico.

    Sarnano, panorama.

    Montemònaco, più a sud, domina la valle dell’Aso all’uscita da una forra; la tradizione lo vuole fondato da alcuni monaci che eressero un convento nella località. E un centro di modeste dimensioni e di carattere prettamente rurale e la popolazione che costituisce il Comune si raccoglie in una serie di piccoli nuclei, il più elevato dei quali è Aitino a 1025 metri di altitudine.



    Sarnano, a breve distanza da Amàndola, su un ripido colle sulla destra del Ten-nacola, è una grossa borgata nella quale sono raccolte notevoli opere d’arte pittoriche e monumentali derivanti dalle diverse signorie che vi si alternarono. Il suo aspetto è fiorente perchè l’area circostante offre un’alta percentuale di seminativi.

    Di carattere del tutto diverso è Montegallo, che non è altro che un aggregato amministrativo dell’alta valle del Fluvione composto di nuclei sparsi: i più elevati sono Astorana (980 m.) e Interprete (930 m.); solo nella frazione di Piano c’è una notevole popolazione sparsa.

    Parapetti antivalanghe verso Monte Sassotetto.



    Sui contrafforti dell’Appennino, nella valle del Tronto s’incontrano due località molto interessanti per motivi diversi: Acquasanta e Arquata del Tronto. La prima si formò come centro nei pressi delle terme romane indicate col nome di Vicus ad Aquas forse intorno al X secolo e ben presto cadde sotto la giurisdizione della vicina Ascoli. Questo Comune dedicò sempre grandi cure alle terme che sono ricordate in modo particolare anche negli Statuti. Il centro si distende ai due margini di una strada e poco discosto, su di un terrazzo, sorge oggi lo stabilimento di cura al quale è annessa una grotta sudatoria, la piscina, che ornata di cristallizzazioni di vario colore ha un aspetto fantastico. E indubbiamente uno dei centri turistici più importanti della regione in quanto accanto alle attrattive di carattere curativo vi si possono trovare anche quelle naturali, costituite da un paesaggio montuoso ricco di vegetazione di castagni e di faggi. Arquata del Tronto sulla sinistra del fiume è più elevato, a 770 m. di altezza, e fu una statio lungo l’antica via Salaria. Posta ai confini dei territori di Camerino, Ascoli e Norcia, fu spesso contesa nel Medio Evo da queste città e fu implicata in numerose guerre anche perchè, oltre ad essere importante per la posizione, disponeva di una solida attività economica sostenuta dalla filatura e tessitura della lana oltre che dal commercio con il resto delle Marche e con l’Abruzzo del carbone ricavato dai suoi boschi e della legna da ardere.

    Fra i centri della regione montana più a nord si incontra Bolognola che ha una tradizione storica secondo la quale sarebbe stata fondata intorno al XIII secolo da un gruppo di bolognesi che, stanchi delle lotte cittadine, si sarebbero ritirati in questo luogo solitario della valle del Fiastra: tre sono i centri abitati principali che nel nome ricordano antiche famiglie bolognesi, sorti nel fondovalle ai piedi del Monte Val-vasseto, tra le quote di 950 e 1050 m. ; questo centro sparso, chiuso ad est e ad ovest dalle pendici dei Monti Castel Menardo e Rotondo ha un’ottima esposizione che attutisce gli svantaggi dell’altitudine. La regione circostante è ricca di piccoli centri montani di villeggiatura: Acquacanina a 750 m. di altitudine vicino alle sorgenti del Fiastrone alle falde del Pizzo Tre Vescovi. Essa fu feudo di un convento di Benedettini che aveva sede presso il rio Sacro e del quale però si perdono le notizie verso la metà del 1300. Fiastra, poco più a nord, si trova ad un’altitudine pressoché uguale (783 m.) e l’abitato è costituito di diversi piccoli nuclei; dal punto di vista turistico offre un vantaggio rispetto alle altre località per la presenza del lago di sbarramento formato con una diga sul Fiastrone nel 1954 e che rese necessaria la sommersione delle case del borgo e di San Lorenzo. Pievebovigliana, Muccia hanno un’altitudine molto minore sebbene ridenti per la loro posizione e per i bei campi circostanti, mentre Serravalle del Chienti e più ancora Monte Cavallo con l’altitudine acquistano un aspetto più montano ed impervio.

    Arquata del Tronto.

    Il primo si trova allineato lungo la strada in un piccolo allargamento della valle angusta, non molto lontano dal Piano di Colfiorito ricoperto anticamente dalle acque di un lago, prosciugato con l’attivazione di un emissario intorno al 1483. Il nome indica la funzione che ebbe il centro in passato, fortificato prima dai Goti e poi dai Varano; di questa sua antica storia restano avanzi di grosse mura, di torri, di porte di un castello. Qui giungeva anche il limite del regno napoleonico in Italia. Il territorio di Monte Cavallo è molto più elevato e fra i vari aggregati sparsi nel territorio comunale il più alto è Selvapiana (1118 m.); però il borgo più conosciuto e relativamente meglio attrezzato per una recezione turistica anche invernale è Collattoni (1085 metri).

    Visso può essere considerato come il cuore dei Sibillini e storicamente comprende anche l’area dei Comuni di Castelsantangelo e Ussita che se ne distaccarono nel 1919; è di origine molto antica e durante il Medio Evo costituì un libero Comune. In un primo tempo però era situata in una collina vicina, circondata da imponenti difese; soltanto intorno al 1200 cominciò a formarsi nel fondovalle il primo nucleo dell’attuale Visso che rimase a lungo isolato dalle aree circostanti per le difficoltà delle comunicazioni; le strade di collegamento con Spoleto, Camerino e Macerata risalgono soltanto alla seconda metà del secolo passato.

    I centri abitati distribuiti nel Comune di Ussita si raccolgono di prevalenza sul fondovalle ed il più elevato è quello di Casali a 1100 m. di altitudine.

    Questo ambiente che, come si può comprendere, non è sempre molto favorevole all’uomo, è caratterizzato dall’allevamento degli ovini nutriti dalle distese erbose dei Sibillini; non sono tanto gli armenti stanziali quelli che dànno l’impronta al tipo di economia e che poi sono in genere i soli rilevati dalle statistiche, quanto i greggi transumanti che provenendo dalla campagna romana salgono nelle zone dei Sibillini durante l’estate oltre i 1200-1300 m. usufruendo di pascoli che altrimenti rimarrebbero abbandonati. La pratica, benché modernizzata con l’introduzione degli automezzi per i trasporti degli ovini, è in generale in decadenza come ogni altro tipo di questo allevamento, tuttavia per secoli ha costituito la risorsa principale dei Comuni più elevati e quasi tutti gli addetti agli armenti provenivano dall’area dei Sibillini.

    La pratica secolare, svolta nei silenzi delle ampie distese montuose, lontano dai centri abitati e a contatto diretto con la natura, ha contribuito a creare e a conservare negli uomini una mentalità singolare, che quasi dà luogo ad un gruppo sociale isolato; in questa zona vengono ancora raccolte leggende e storie piene di ingenuità e di fantasia e la Sibilla Appennina abitante nella Grotta delle Fate è come se fosse un personaggio vivo, attuale come il Guerin Meschino o la Polisia del selvoso Monte dell’Ascensione. Non soltanto i pastori che guidano i greggi e che nella solitudine si dilettano di comporre versi, animano questo paesaggio dai contorni aspri e dal contenuto leggendario, ma anche i grossi cani bianchi che vigilano sulle pecore durante il giorno e durante la notte, che aiutano il pastore a portarle all’abbeverata, a ricondurre quelle smarrite, ma che soprattutto assalgono i lupi difendendosi e colpendo con le acuminate punte ferrate del collare. Quando la fortuna arride ai pastori ed essi diventano ricchi con greggi anche di 15.000 capi, si trasformano in imprenditori, quasi in industriali, i così detti pastori grossi, ed allora seguono il lavoro dei loro dipendenti restando nei centri abitati ad animare la conversazione delle piazze dove sono sempre distinguibili per la caratteristica del loro vestito nero.

    Pianta di Ascoli Piceno del 1646.

    Ascoli Piceno, la Porta romana Gemina, attraversata dalla via Salaria.

    Il contatto tra questa fascinosa regione montana ed il resto delle Marche è stabilito da Ascoli; la città posta nella valle del Tronto in posizione un po’ appartata rispetto al resto della regione, quasi al limite di questa verso l’Abruzzo, non è certo l’ultima delle Marche per numero di abitanti, per vivacità di attività economiche, per prestanza di edifici cittadini, per antichità d’origine e ricchezza d’opere d’arte.

    Il carattere peculiare le deriva soprattutto dall’aver conservato, nell’aspetto edilizio, nella sua struttura urbana, l’impronta lasciata dai secoli passati, particolarmente dal Medio Evo, in modo da colpire il visitatore che vi ritrova l’atmosfera tranquilla e severa di tempi lontani, e che nello stesso tempo può ammirare insigni opere d’arte ancora circondate dall’ambiente in cui furono create.

    Ascoli Piceno, parziale veduta aerea.

    Già all’epoca romana capoluogo del Piceno, Ascoli mantiene anche oggi funzione e carattere di vivace capoluogo regionale; la sua importanza come centro del territorio circostante le deriva senza dubbio dalla fortunata posizione, nel tratto centrale della valle del Tronto, alla confluenza con due notevoli valli affluenti, all’in-circa al limite tra la montagna appenninica e le colline del subappennino. Dove infatti la valle del Tronto si dischiude per divenire un’ampia vallata alluvionale aperta al mare, un elevato terrazzo di antiche alluvioni, racchiuso tra i letti profondamente incassati del fiume Tronto e il torrente Castellano che confluisce col primo, offre alla città uno spazio pianeggiante, ottimo dal punto di vista della difesa e anche del controllo della via, che, seguendo il corso del Tronto, porta dai valichi appenninici aperti sull’Umbria e sul Lazio verso il Mare Adriatico.

    Il Colle dell’Annunziata, che chiude il ripiano sul lato occidentale, domina con la Fortezza Pia tutta la città, anzi l’intera vallata, chiusa a nord dal Monte dell’Ascensione, a sud dal Monte dei Fiori, la tipica montagna d’Ascoli.

    Vedi Anche:  Crescita demografica ed emigrazione

    All’interno della cerchia murata che delimita la vecchia città, seguendo l’orlo dei grandiosi fossati naturali in cui scorrono i due fiumi, abbondano gli avanzi di costruzioni romane, i templi, il teatro, la cittadella. Ma anche le porte della stessa cerchia murata risalgono in parte all’epoca romana, come la Porta Gemina del I secolo avanti Cristo ottimamente conservata, con i due ingressi per i pedoni e per i veicoli, attraverso la quale la via Salaria entrava in città; e così pure i ponti arditamente gettati sul Tronto, come il maestoso Ponte di Solestà ad un solo arco, o sul Castellano, come il Ponte di Cecco a due archi attraverso il quale la Salaria usciva dalla città. Nella stessa pianta conserva la struttura della città romana, disegnata a vie rettilinee incrociate ortogonalmente, tagliata longitudinalmente dall’arteria che congiungendo Porta Gemina col Ponte di Cecco, ricalca l’antica via Salaria. Dell’epoca medioevale Ascoli conserva un gran numero di monumenti, testimonianza dell’intensa vita civile ed economica del centro urbano in età comunale, come Comune autonomo, o città soggetta all’impero o alla Chiesa o sede di effimere signorie. Ancora numerose case e palazzi di stile romanico serbano nelle nobili linee costruttive, nelle finestre e portali fregiati, negli ambienti interni e nelle torri gentilizie, il pittoresco colore dell’epoca. Per non parlare dei maggiori monumenti come il Battistero del XII secolo, il Palazzo dell’Arengo o del Comune, la così detta Casa Longobarda del XIII secolo, cui si appoggia l’elegante Torre Ercolani alta una quarantina di metri, la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, quella di San Giacomo, quella di San Venanzio.

    Pianta di Ascoli Piceno.

    Ascoli Piceno: il ponte Solestà sul Tronto.

    Caratteristica delle chiese romaniche di Ascoli è la struttura della facciata, a coronamento orizzontale, come nelle chiese coeve dell’Abruzzo e dell’Umbria; il motivo si ripete, con le opportune modifiche, anche nelle chiese di età successive. Il travertino, pietra che si estrae nei dintorni della città, è largamente usato nelle costruzioni e contribuisce a dare un’impronta severa a questi edifici.

    Di forme ogivali è la chiesa di San Francesco, affiancata alla signorile piazza del Popolo, con bellissime absidi e con due torri esagonali; nella facciata, con la consueta forma rettangolare, spiccano tre bei portali di stile veneziano; ad essa sono annessi due notevoli chiostri.




    Ascoli Piceno, torri medievali di piazza Garibaldi.

    Palazzo del Popolo ad Ascoli Piceno; l’edificio della fine del 1200 fu più volte restaurato; il portale ed il sovrastante monumento a Paolo III sono opera di Cola dell’Amatrice. Attualmente vi hanno sede la Biblioteca, l’Archivio storico, il Museo archeologico.

    Del Rinascimento si hanno numerosi monumenti, vari palazzi, gli edifici che circondano la piazza del Popolo; il più importante è la Loggia dei Mercanti, commissionata nel 1512 dall’Arte della Lana che ne fece un luogo di esposizione dei prodotti per facilitarne la vendita; nel secolo XVIII divenne un luogo di raduno dei nobili.

    Di tesori artistici è ricca la Pinacoteca Civica, particolarmente nel campo della pittura, che ebbe specialmente nel Quattrocento e Cinquecento una notevole fioritura in Ascoli, per influsso di Carlo Crivelli.

    Delle attività che fiorivano un tempo, merita d’essere ricordata l’arte tipografica, che si sviluppò qui molto precocemente.

    Ascoli Piceno, chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio.

    Ascoli Piceno, chiesa di San Vittore.

    Tutta la storia dell’arte italiana trova una esemplificazione in questa città che ne ha conservato forse più di ogni altra un modo di vita un po’ trascorso, paesano; così le strade strette chiamate rue accolgono ancora gli artigiani che lavorano fuori della bottega e il caffè della piazza del Popolo accoglie ogni giorno i senatori, cioè i personaggi più autorevoli ; nell’abbondanza degli ornamenti femminili di coralli e d’oro il Piovene ravvisa l’accentuarsi di una passione italiana e più spiccatamente meridionale.

    Oggi la città industre, fiorente per l’agricoltura e la bachicoltura del territorio e per le fabbriche di ceramica, di calce idraulica e gesso, per i setifici, i pastifici, le industrie chimiche, ha dovuto svilupparsi con quartieri moderni al di fuori dei limiti tracciati dai due fiumi, e ha visto incrementarsi notevolmente la popolazione, che quasi tocca i 45.000 abitanti.

    L’area circostante ad Ascoli è molto ridente ed amena; vi è ovunque estesa la coltura del gelso che alimenta la bachicoltura e la produzione del seme-bachi caratteristica della città; qui si potrebbero citare i nomi di numerosi centri abitati, piccoli e di non particolari caratteristiche, che tuttavia hanno un aspetto comune, quello della ruralità. Forse dagli altri si distacca un po’ Montalto delle Marche sia per la sua maggiore altitudine (548 m.), sia per la sua storia che sembra si ricolleghi alla distruzione di castelli circostanti avvenuta durante l’invasione longobarda, sia infine perchè vi derivò la famiglia del papa Sisto V che poi la predilesse sempre in modo particolare, concedendole privilegi e fondandovi una zecca.

    Suggestiva veduta di Ascoli Piceno da Porta Tufìlla.

    Il litorale e le colline a sud del Cònero

    Se dalla regione interna ci si sposta verso il litorale piceno, il paesaggio si trasforma rapidamente, dominato non più da forme selvagge ma da distese sabbiose e dal succedersi di morbidi colli entrambi fittamente umanizzati. La fascia litoranea a sud del Cònero fu soggetta anche in tempi storici a notevoli modificazioni ed anche prima della dominazione romana vi si allineavano alcuni ricoveri marittimi posti presso le foci fluviali o in piccole incisioni della costa ; gli studi storici hanno potuto accertare l’esistenza di piccoli porti, i navali, presso Porto San Giorgio, Torre di Palme, Grot-tammare. I toponimi molto spesso registrano la denominazione di porto che certo si riferisce all’attività esercitata dagli abitanti; però forse fino ad epoca relativamente tarda il mare lambiva i rilievi subappenninici mentre le foci fluviali si allungavano verso di esso. I Romani trovarono già sulla costa alcuni piccoli centri, altri ne crearono o ne fortificarono come Potentia, Novana (Porto Civitanova), Castrum Firmanorum (Porto San Giorgio), Cupra Maritima, Castrum Truentinum.

    Nel Medio Evo una parte dei centri costieri, divenuti poco sicuri per le incursioni dal mare, furono abbandonati ed altri ulteriormente fortificati. Quando venne a cessare la causa che aveva indotto la popolazione ad allontanarsi dalla costa, sor-

    sero nuovi centri abitati che il più delle volte non erano altro che uno sdoppiamento di quelli posti più internamente e che avevano la funzione di stabilire il contatto con il mare e con le attività ad esso connesse.

    Per i centri costieri a sud del Cònero, l’Ortolani, in un lavoro riguardante il litorale piceno, distingue tre differenti origini; Porto Recanati, Porto Civitanova e Porto d’Ascoli che sorgono presso lo sbocco in Adriatico dei tre principali fiumi, Potenza, Chienti e Tronto sono dovuti alla posizione favorevole rispetto ai traffici, posizione già apprezzata dai Romani che impiantarono nelle vicinanze delle colonie agricole.

    Porto Recanati sorse nel luogo del borgo romano di Potentia al tempo di Federico II per conto di Recanati; le abitazioni diramavano dal castello verso il mare; gli abitanti si dedicavano oltre che alla pesca, forse anche alle razzie dei pellegrini che si recavano al Santuario di Loreto. Il centro marittimo dunque mostra un agganciamento diretto ed indiretto con due cittadine più interne, Recanati e Loreto, entrambe con una fiorente economia agricola, bisognosa certo di uno sbocco commerciale verso il mare quando ancora la viabilità interna era deficiente.


    Panorama di Recanati

    Recanati, il Palazzo Leopardi e la piazzetta del Sabato del villaggio

    Recanati posta su un colle alla sinistra del fiume Potenza, domina all’intorno un paesaggio arcadico e all’orizzonte, quando l’aria è tersa, compaiono anche i monti prospicienti la costa dalmata; il Leopardi rievoca il paesaggio e l’ampio sfondo con i celebri versi:

    … E che pensieri immensi,

    Che dolci sogni mi spirò la vista

    Di quel lontano mar, quei monti azzurri,

    Che di qua scopro,…

    La cittadina, che oggi conta soltanto 15.424 abitanti, ebbe nella sua lunga e tormentata storia una certa importanza, sottolineata dal sorgere del porto; oggi trae importanza soprattutto dall’aver dato i natali al poeta che nel suo canto immortale ha fissato le immagini di tutte le Marche e in modo particolare del « natio borgo selvaggio » dove con commozione si scopre la piazzetta del Sabato del villaggio, la casa di Silvia, l’ermo colle, la siepe, insomma tutti gli sfondi solitari e malinconici della poesia leopardiana.

    A breve distanza tra un succedersi di campi fecondi e di viti frondose, sorge la verde collina di Loreto, unico centro della regione che possa vantare una lunga tradizione turistica, basata su un richiamo religioso; sorge sulla destra del fiume Musone e la sua storia si identifica con quella della Santa Casa. Infatti la tradizione narra che nel 1294 la Santa Casa, sparita già da alcuni anni dalla Palestina in seguito all’invasione dei Maomettani, fu miracolosamente trasportata vicino a Recanati presso un bosco di lauri, rifugio abituale di ladri; per questo, poco dopo, fu di nuovo trasportata dagli angeli sulla strada in mezzo alla quale sta tuttora e intorno ad essa fu costruito il Santuario che, pur nell’abbondanza delle forme gotiche, presenta il largo respiro rinascimentale; alla sua costruzione durata a lungo parteciparono artisti insigni tra cui Sangallo e Bramante.

    Attorno alla Basilica sorse un abitato chiamato prima Villa Santa Maria che, trasformato poi in un castello, divenne città alla fine del Cinquecento, quando si estese lungo la strada del borgo Montereale dove, per invito del Papa, ogni Comune del piano costruì una casa.

    La città è stata sempre meta di numerosi pellegrinaggi non solo dall’Italia ma da ogni parte d’Europa; fra questi sono caratteristici quelli dei treni di malati che si effettuano in occasione delle principali feste della Vergine.

    La notte che precede il 10 dicembre, ricorrenza della traslazione, nelle campagne di tutta la regione si accendono per tradizione i falò detti fuochi della venuta. E annesso alla Basilica un museo che raccoglie specie arazzi, maioliche e quadri di Lorenzo Lotto.

    La specifica fisionomia di Loreto ha fatto sorgere qui un’industria particolare, quella delle corone da rosario già altrove ricordata.

    Il borgo romano di Cluana alla foce del Chienti, fu abbandonato nel V secolo ed i suoi abitanti si trasferirono all’interno, originando Civitanova; più tardi una filiazione di questa nei pressi dell’antica Cluana, diede luogo a Porto Civitanova divenuto Comune amministrativamente autonomo solo nel 1913.

    Conserva molte memorie di Annibai Caro a cui diede i natali.

    Porto d’Ascoli, pur con presupposti simili ai centri precedenti, ha una individualità meno spiccata e ancora non ha raggiunto neppure l’autonomia amministrativa.

    Nel secondo gruppo i centri abitati costieri si distinguono in due parti: una irregolare e munita, più prossima alla collina, l’altra a scacchiera rettangolare, verso il mare. Porto San Giorgio, il Castrum Firmanorum dei Romani, fu costruito da Fermo sulla marina con carattere difensivo, e infatti anche durante il Medio Evo si chiamava Castel San Giorgio; soltanto quando la costa divenne più sicura, cominciò a formarsi un insediamento in riva al mare, costituito forse di pescatori, che alla fine del 1800 rimaneva ancora al di là della ferrovia costiera. Solo più tardi quindi ebbe inizio il quartiere balneare che si estende proprio in riva al mare oltre la ferrovia.

    La città matrice di Porto San Giorgio, Fermo, che per sfuggire ai disagi dell’isolamento cercò il contatto con il mare, non ha registrato lo stesso sviluppo della filiazione, benché abbia una popolazione di 23.000 abitanti e sia congiunta mediante una ferrovia alla linea litoranea adriatica.

    Recanati, la torre del Passero solitario e il chiostro di Sant’Agostino.

    Loreto, abside del Santuario.

    La città posta alla sommità di una collina, che domina quasi isolata un gruppo di valli e un bel tratto di costa, dista solo 7 km. dal mare, pur trovandosi ad un’altitudine di 300 metri. La sommità della collina è occupata dal Duomo, che in tal modo è ben visibile da ogni lato, circondato com’è da un’ampia spianata, detta piazzale Girifalco, sistemata a giardino, da cui si gode un amplissimo panorama all’intorno.

    La chiesa duecentesca, con una bella torre campanaria innestata nella facciata, con un portale tutto ornato e un bel rosone, è il monumento più notevole della città. Sul posto sorgeva precedentemente una chiesa del secolo X, incendiata dal Barbarossa, e, ancor prima, una basilica paleocristiana del V secolo, di cui rimangono avanzi di un meraviglioso mosaico pavimentale.

    Poco sotto il Duomo, la piazza del Popolo, tutta fiancheggiata da portici, costituisce il centro della città, con il Palazzo Comunale, il Palazzo degli Studi che ospita una ricca biblioteca, il museo e la pinacoteca. In questo Palazzo aveva sede fino al 1808, quando fu soppressa, l’Università, di origine antichissima; lo «studio» infatti venne fondato da Lotario I nell’825 e fu fiorente specialmente dopo il 1585. Raggruppata sulle pendici della collina, con vie per lo più strette e tortuose, la cittadina, ricca di notevoli edifici, palazzi e chiese, prevalentemente di età medioevale o rinascimentale, conserva l’impronta antica. Tutto attorno girano moderni viali alberati, da cui la vista può spaziare sulla città soprastante o sulle colline dei dintorni.

    Fermo può vantare una storia millenaria, poiché esisteva come luogo abitato già nella preistoria, centro importante del Piceno, fedele a Roma al tempo della guerra sociale, fiorì sotto il suo governo e di quell’epoca si conservano ancora alcune notevoli costruzioni, come gli avanzi del teatro e la « piscina epuratoria », consistente in una serie di 24 ambienti sotterranei che dovettero servire per purificare le acque. Nel secolo X fu capoluogo della « Marca Fermana », passò più volte in mano di eserciti imperiali, riuscendo però a mantenersi come libero Comune; cadde poi sotto vari signori e finalmente sotto lo Stato Pontificio.

    La rocca della città, detta Girifalco, distrutta dai Fermani quando si ribellarono a Francesco Sforza, si trovava al culmine della collina, presso il Duomo, al posto dell’attuale piazzale.

    Cupra Marittima, pur avendo la distinzione nel borgo difeso e nel quartiere marittimo recente, è meno espanso di Porto San Giorgio anche per una minore disponibilità della cimosa costiera che tende ad assottigliarsi sempre più. E città di origine molto antica, preromana e nel suo territorio, nella località La Civita, furono trovati avanzi di monumenti, di templi, di statue.

    La parte antica di Grottammare, situata su di un colle, pare derivi da una curtis di monaci farfensi del VII-VIII secolo; nonostante la scarsa stabilità della collina che in parte franò nel 1574 demolendo anche delle abitazioni, il centro si sviluppò entro le mura che circondavano la cima della collina stessa e solo dopo il 1800 si estese verso il piano generando la parte marina. La cittadina oltre che come centro balneare, è nota per aver dato i natali a Sisto V, il severo fustigatore dei costumi della Corte romana.

    Panorama di Fermo.

    In tutta la costa il centro più importante è quello di San Benedetto del Tronto nel quale forse, più che altrove, sono chiare le successive tappe dell’espansione; trae origine da un monastero benedettino trasformato al tempo dell’incursione saracena in luogo munito, dove ripararono non solo i contadini della campagna circostante ma anche alcuni profughi d’Imola che alla fine del XV secolo avevano avuto da Fermo delle terre in enfiteusi. Però fino al principio del 1800 quando divenne amministrativamente autonomo, San Benedetto rimase circoscritto dalle mura, fuori delle quali si cominciò allora a formare il borgo che assunse la forma a scacchiera e soltanto al principio del 1900 si iniziò anche l’ampliamento a contatto del mare e la formazione del quartiere balneare.

    Nel 1798 la città contava 2796 ab. saliti nel 1851 a 5351 ab. ed attualmente a 19.000.

    Del primo nucleo abitato rimane soltanto un piccolo agglomerato, in posizione elevata sulle estreme propaggini delle colline plioceniche, ed una torre esagonale a forma di nave con la prora rivolta al mare, del principio del XIV secolo, testimonia il luogo dell’antico castello.

    Le attività connesse con la pesca si accentrano nel porto e nei dintorni di questo; il porto è tutto costruito artificialmente, mediante lunghe dighe protese nel mare; i lavori per il primo rifugio marittimo ebbero inizio nel 1907. Gli impianti portuali, modernamente attrezzati, permettono l’ormeggio di pescherecci capaci di affrontare con successo il mare aperto; a terra un ampio «mercato del pesce» ne smercia l’abbondante prodotto: per la quantità del pescato, San Benedetto è ai primi posti fra le località pescherecce italiane.

    Fermo, abside di San Francesco.

    Oltre alle lavorazioni per la conservazione ed esportazione del pesce, la cittadina possiede alcune altre industrie, anch’esse più o meno di rettamente legate all’attività peschereccia; tali, ad esempio, l’industria dei cordami di canapa, largamente usati per i navigli, in passato anche esportati. Così pure l’industria, eminentemente femminile, delle reti da pesca; è animata anche la costruzione dei navigli da pesca in piccoli cantieri.

    Nè va dimenticata l’abbondante produzione di ortaggi e frutta, che alimenta una forte esportazione, ottenuta principalmente nella fertile pianura costiera, intensamente coltivata. Anche gli altri centri costieri di recente formazione testé ricordati imperniano gran parte della loro economia sulla pesca che è importante soprattutto per Porto Civitanova dove in genere sono molto attive anche altre attività industriali come la fabbricazione di materiale ferroviario, le industrie tessili e dell’abbigliamento. Lungo il litorale si susseguono anche alcune fabbriche di concimi chimici che servono l’entroterra agricolo e che permettono agli abitanti di integrare i proventi della pesca.

    Pescherecci a San Benedetto del Tronto.

    Il terzo gruppo di centri costieri ricordato dall’Ortolani, è costituito da quelli che sorgono sulle alluvioni terrazzate antiche che giungono a contatto del mare: Porto Potenza Picena, Fontespina, Porto Sant’Elpidio, Pedaso. Quest’ultimo è il più antico perchè deriva da un castrum che sorgeva su uno sperone costiero; alla fine del XVIII secolo, minacciato da fenomeni franosi, fu spostato a nord e costruito secondo un piano regolatore. Porto Potenza Picena e Porto Sant’Elpidio si formarono presso la costa, nel punto in cui le strade provenienti dai centri più interni vennero ad incrociare la ferrovia.

    Pur di origine recente, neirinsieme questi centri hanno un aspetto differente dagli altri già ricordati perchè, avendo a disposizione una scarsa striscia di terreno, non si sono potuti sviluppare con una pianta rettangolare a scacchiera, ma solo in lunghezza sui due Iati della strada adriatica.

    Ancona e i centri circostanti

    Mentre buona parte dei centri marittimi della costa meridionale delle Marche è di minuscole proporzioni e di origine recente, legati alle variazioni morfologiche della costa e all’attività economica marittima, Ancona, per la posizione e per la morfologia presenta una storia ed un aspetto del tutto differente.

    Il gomito del Cònero che si protende in mare spezzando l’uniformità della linea costiera, costituisce l’origine della differente orientazione della costa nord e sud; si presenta come un punto di convergenza naturale e Ancona che sorge su di esso raccoglie infatti tutti gli interessi economico-commerciali della regione e ne rappresenta il capoluogo storico e morale. La città sorge ad anfiteatro entro i bracci estremi, Cardeto-Guasco e Marino-Astagno, del promontorio del Monte Cònero, inciso e modellato dall’abrasione marina che a volte ha formato una serie di scogli e di ammassi pietrosi, a volte invece ha provocato la scomparsa di opere costruite dall’uomo come la chiesa di San Clemente sulle pendici del Guasco, rovinata in mare intorno alla metà del XVI secolo.

    Il luogo che già ospitava un villaggio piceno di cui è stata ritrovata la necropoli, accolse il centro abitato di Ancona fondato dai Siracusani intorno al 387 a. C. ; il nome sembra ricollegarsi al greco nel significato di gomito, forse in rapporto alla forma che il promontorio prospiciente il mare fa assumere alla costa. Gli avanzi archeologici del tempo, limitati ad un muro rinvenuto sotto la Cattedrale di San Ciriaco, non permettono di precisare dove sorgesse questo primo nucleo; probabilmente sulla sommità e sulle pendici occidentali del Guasco.

    Strategicamente importante e ben difesa, ebbe un considerevole sviluppo commerciale anche durante il periodo romano non in funzione del suo retroterra, ma del suo porto che allacciava le comunicazioni con l’altra sponda dell’Adriatico.

    Dell’epoca romana rimangono avanzi di costruzioni in opus coementicium come un anfiteatro del tempo di Antonino sulle pendici meridionali del Guasco; il meglio conservato del periodo è l’arco di Traiano, innalzato nel 115 d. C. in segno di riconoscenza verso l’imperatore per la costruzione del porto. E in marmo ad un solo fornice, fiancheggiato da quattro colonne corinzie fra le quali s’incontravano i rostri di bronzo ed è sormontato da una trabeazione; la scalinata originaria si protendeva verso il mare.

    La prima grande espansione della città si può far risalire al XIII secolo quando come libero Comune Ancona raggiunse una grande floridezza economica; ne sono testimonianza le mura e le porte deH’XI-XIII secolo ed i palazzi e i monumenti del XIV e XV secolo, come la Loggia dei Mercanti eretta nel 1443 con decorazioni in stile gotico fiorito veneziano da Giorgio da Sebenico; il Palazzo Comunale, costruito a picco sul mare, del quale restano avanzi di un portico e di otto finestre in quello attuale, nella piazza antistante il Palazzo e anche, in modo particolare, nelle ricche ornamentazioni delle chiese come i portali di Sant’Agostino e di San Francesco.

    Il Duomo dedicato a San Ciriaco, è posto sulla vetta del Guasco e dalla sua posizione domina il mare; è un monumento romanico con influenze successive bizantine e gotiche derivanti dal lungo periodo di costruzione che si protrasse dall’XI al XII secolo. Sorse sul basamento di un tempio ellenico forse nel IV secolo, successivamente rimaneggiato; fu restaurato nel XIX secolo. Il portale in pietra rosea del Cònero, è romanico ogivale, ed è preceduto da un protiro, attribuito a Giorgio da Como o a Margaritone cTArezzo; lateralmente si eleva un campanile isolato che esisteva già al principio del XIV secolo.

    Conseguenza allo sviluppo urbanistico di questo fortunato periodo fu lo spostamento delle costruzioni dalla parte più elevata del Guasco verso la valle e la digitazione verso le pendici dell’Astagno, dove passava l’unica strada di collegamento con l’Italia settentrionale.

    Sotto il dominio dei pontefici, che avevano mirato a lungo alla conquista della città per l’importanza del porto come base nella lotta contro i Turchi, furono in particolare rafforzate le opere militari; e nello stesso tempo sorsero ospedali e palazzi privati. Nel XVII e XVIII secolo però comincia una graduale decadenza che si può dire duri fino alla seconda metà del secolo XIX, quando Ancona fu annessa al Regno d’Italia.

    Ancona, incisione di Claudio Duchetti, 1585.

    Ancona, molo della Sanità con l’Arco di Traiano e l’Arco dementino.

    Parziale veduta aerea di Ancona: viale della Vittoria e il campo sportivo.

    Da allora si iniziò un nuovo periodo di floridezza dovuta soprattutto alla creazione della ferrovia litoranea adriatica per mezzo della quale la città potè essere collegata al suo retroterra e al resto della penisola.

    La espansione pianimetrica della città subì una profonda modificazione alla fine della seconda guerra mondiale, in sèguito ai violentissimi bombardamenti che fecero sparire quasi completamente interi quartieri. Le rovine più gravi si ebbero nei quartieri del porto e di San Pietro, cioè entro la cinta romano-medioevale ; al porto andò distrutto il 92% delle abitazioni; per la sua posizione lontana dalla stazione ferroviaria e dal porto fu abbastanza risparmiato il quartiere adriatico.

    Sùbito dopo la guerra si iniziò la ricostruzione e ad onta delle recentissime rovine causate dalla grave alluvione del settembre 1959, oggi Ancona è una città moderna, con vie popolose, animate da frequenti negozi e da molti mezzi di comunicazione; il più moderno quartiere residenziale è quello adriatico i cui ampi viali convergono verso il piazzale IV Novembre dal quale si gode un’ampia vista sul mare. I quartieri più antichi e più caratteristici sono invece quelli adiacenti alla zona del porto, con vie strette e tortuose ; qui si possono ancora osservare case sorgenti su antiche torri di controllo o edifìci pubblici e religiosi come l’arcivescovado e il seminario.

    Il quartiere ottocentesco di piazza Cavour si può considerare il centro più vitale della città che raccoglie le sedi delle attività economiche e bancarie. La valle media e inferiore del torrente Miano raccoglie un quartiere molto denso a carattere popolare, così come la digitazione del quartiere Palombella, mentre Le Grazie e Posatore entrati di recente a far parte di Ancona, costituiscono quartieri prevalentemente rurali. L’unica concentrazione industriale è quella intorno al molo nord che raccoglie i Cantieri Navali Riuniti.

    Ancona, Santa Maria della Piazza, portale del XII secolo.

    Come si vede dalla storia sommaria della città, Ancona trae la sua ragione d’essere e il suo carattere di capoluogo regionale dalla sua posizione rispetto al mare che, nei periodi di massima potenza, permise l’espansione dei traffici commerciali verso il Mediterraneo e verso l’Oriente.

    L’apertura verso il mare tuttavia le impose anche una funzione strategica che ne ha condizionato lo sviluppo topografico limitato per lungo tempo alla sommità del Guasco. Il porto, artefice della vita della città, tenne a lungo vincolato presso di sè il nucleo abitato che poi si estese verso la valle Pannocchiara, il torrente Miano e le colline prospicienti questo.

    Il porto di origine naturale e ben protetto dal Monte Guasco, fu ampliato e fortificato sia sotto Traiano che nel Medio Evo e nel XVII secolo; da nord a sud ha una lunghezza di circa un chilometro e fondali di circa 8 m. ; la marea vi supera il metro di ampiezza solo se accompagnata da una forte bora.

    Il retroterra economico si può dire sia costituito dall’intera regione ed il suo traffico è prevalentemente di importazione. La morfologia propria del luogo non dà al porto un grande respiro nell’immediato retroterra, capace di sviluppare tutte quelle attività complementari che in genere si stanziano nelle vicinanze di uno scalo marittimo; per questo si è cercato di colmare lo specchio d’acqua tra la stazione e il bacino del porto stesso.

    Ancona, bassorilievo di Adamo ed Eva inserito nella facciata del Palazzo Comunale e appartenente ad una precedente costruzione romanica.

    Le vicissitudini economiche e politiche si sono sempre rispecchiate nelle condizioni demografiche della città che hanno oscillato da minimi di 10.000 abitanti come quello della fine del XVI secolo, al complesso notevole di oggi costituito da 61.000 abitanti.

    Ancona dunque si presenta con la sua parte più antica aggrappata ad un colle in alto, e domina il mare e tutto il resto della città che digrada intorno ed alla quale fa da sfondo un susseguirsi di poggi che di anno in anno si arricchiscono di numerose, civettuole villette. In questo insieme nel quale alla maestà dei monumenti colonnati e dei palazzi sontuosi si accompagna la grandezza e la luminosità dei viali della città nuova non stona la memoria gelosamente tramandata col rinnovamento del nome, della vedova Stamura che, spinta da amor patrio, uscì di notte dalla città assediata per incendiare le macchine di guerra del Barbarossa.

    Ancona, San Ciriaco.

    Pianta di Ancona: successivo ampliamento della città in base alle mura.

    Nella parte meridionale del promontorio di Ancona si apre la piccola marina di Portonovo, protetta dalle ultime propaggini del Monte Cònero sulle quali si erge isolata una torre medievale.

    Alle spalle del Monte Cònero sono disseminati numerosi centri posti in genere in collina, in posizione dominante aH’intorno, e di origine antica; Òsimo tra le valli dell’Aspio e del Musone è il più importante e già nel IV secolo a. C. subiva l’invasione dei Galli; successivamente col nome di Auximum fu municipio romano e città principale del Piceno. L’età di mezzo lo vide sempre implicato in lotte sanguinose dalle quali di volta in volta trasse vantaggi o distruzioni o incendi; fu quasi sempre di parte ghibellina passando sotto la signoria di Federico II e dei Guzzolini. Nel periodo di maggiore splendore nel secolo XIV emanò gli Statuti Osimani, i più importanti della regione; intorno alla metà del XVI secolo passò definitivamente alla Chiesa. L’abitato è raccolto in cima a un colle e distribuito intorno a due piazze: quella Bocco-lino e quella del Comune; sono ancora conservati alcuni tratti di mura romane in pietra, ma più interessante appare il Duomo di forma romanica rimaneggiato, la chiesa di San Giuseppe da Copertino con un’abside poligonale del XIII secolo. L’economia è florida specie per gli attivi commerci agricoli.

    Ancona, il portale di stile gotico veneziano di San Francesco della Scala ove ha sede il Museo Nazionale.



    Ancona, il Palazzo Giovannelli Benincasa, del XV secolo.



    Legato ad Òsimo in quanto ad esso soggetto fino all’XI secolo è Castelfidardo, posto in alto in vicinanza della via Flaminia; fino al 1585 ebbe il nome di Castel Ficardo. Anche qui le vicende storiche furono assai agitate ma la località ora è nota soprattutto per la battaglia del 18 settembre 1860 combattuta tra le truppe pontificie e quelle del generale Cialdini, ricordata dall’Ossario circondato da bassi cipressi che si elevano nella piana del Musone.

    Escluso il porto di Ancona il cui rilievo è notevole, i porti e gli approdi delle Marche, che in genere non presentano un rilievo fisico e neppure economico, sono legati, come già in parte si è visto, all’economia del retroterra agricolo ed hanno una limitata funzione locale che serve anche a diminuire il traffico del porto maggiore, Ancona. Ogni piccolo porto ha il retroterra limitato al bacino idrografico del fiume sul quale o presso il quale sorge e pertanto il suo traffico è in rapporto con l’economia retrostante; ma accanto alla funzione commerciale essi ne esplicano anche una peschereccia che in molti casi prevale sull’altra.

    La popolazione ha favorito questo contatto dell’economia interna con il mare e distribuendosi con una forte densità nell’area litoranea vi ha creato un allineamento di piccole industrie con caratteristiche bilaterali; mentre infatti da un lato concentrano i prodotti del retroterra agricolo e li lavorano prima di avviarli alla distribuzione anche via mare, dall’altro raccolgono i prodotti derivanti dalla pesca o dal traffico marittimo e li manipolano per poi distribuirli in un’area che non sempre supera l’àmbito del retroterra naturale. Benché come si è visto i caratteri dell’economia siano prevalentemente agricoli e i maggiori fenomeni umani siano distribuiti di prevalenza nell’area della media collina dove l’agricoltura è più fiorente, pure l’asse di equilibrio dell’economia regionale risiede presso la costa, favorita in modo particolare dalle vie di comunicazione e dalle possibilità di scambio marittimo e terrestre. Ad ogni centro peschereccio si è sempre addossato un centro turistico anche là dove la spiaggia sabbiosa lascia luogo a quella ghiaiosa; in genere gli edifici che lo compongono sono distribuiti abbastanza regolarmente, però esistono esempi anche di un affastellamento caotico; essi sono destinati soprattutto all’esercizio dell’industria del forestiero che è svolta in minore misura dagli esercizi alberghieri e in misura preponderante dall’iniziativa privata minuta con la cessione in affitto di stanze e di appartamenti.

    Centri balneari del tutto particolari nei confronti degli altri della costa marchigiana sono i due che fanno corona a sud al promontorio del Cònero, Numana e Si-rolo, in quanto la costa verso il Cònero è alta e rocciosa e si apre in grotte, alcune delle quali anche molto conosciute come quella degli Urbani e quella degli Schiavi che è profonda una settantina di metri e nella quale l’acqua marina non può più penetrare, impedita da una frana caduta una quarantina d’anni or sono. Entrambe le località, appartate e come racchiuse da una cerchia di colline, si specchiano in un mare tiepido, cosparso di scogli, dai colori vivi e intensi che specie al tramonto sfumano verso il largo in un giuoco dorato di luci.

    Ancona, antico pozzo del cortile del Palazzo Ferretti.

    Ancona, particolare della fontana del Calamo o delle 13 « Cannelle », del XVI secolo.



    Ancona, il monumento a Clemente XII.

    La marina di Portonovo.

    I centri costieri a nord di Ancona.

    Differente è l’aspetto che si riscontra sùbito a nord del promontorio, dove c’è una maggiore intensità di vita economica non tanto a Palombina quanto a Falconara sia come nodo ferroviario all’incrocio della linea adriatica con quella Falconara-Foligno-Roma, sia come approdo e imbarco specializzato per la nafta e la benzina. Il centro si suddivide in due parti: Falconara Marittima, sviluppata sui due lati della strada adriatica, e Falconara Alta di dove si gode una bella vista sulla valle dell’Esino e sul mare.

    Il paesaggio costiero odierno, pieno di vita e così industriosamente utilizzato, non permette di scorgere le tracce delle modificazioni in esso avvenute anche in epoca storica e che lo hanno profondamente trasformato. A sud del Cònero, come si è visto, un tempo esso si presentava infatti con caratteristiche differenti, simili a quelle lagunari; a Scossicci presso Loreto e a Marinuccia presso San Benedetto del Tronto esistevano anche due stagni costieri. Anche nella zona costiera a nord del Cònero sono avvenuti profondi mutamenti; presso Senigallia, tra la foce del fosso della Giustizia e quella del rio Morignano, c’era in epoca storica una piccola laguna successivamente colmata; l’area da essa occupata si presenta ora lievemente depressa e coperta di un sottile limo argilloso e nella parte che si trova a sudest della città conserva il nome di Saline, mentre a nordest di Canizze o Cannucce. La laguna costiera infatti si trasformò per insabbiamento presumibilmente entro l’XI secolo, in uno stagno costiero, che fu utilizzato per l’estrazione del sale; le saline erano ancora attive nel secolo XVI, ma la loro prima menzione risale al 1223. Sotto Guidobaldo II della Rovere nel 1574 fu iniziato il loro prosciugamento sia per risanare l’aria malsana dell’area circostante già ricordata dal Boccaccio nel Decamerone, sia per estendervi redditizie colture pascolive e prative. Attualmente quest’area, drenata da una serie di cunicoli e di portelle che giungono al mare dopo aver inciso una duna costiera, è intensamente coltivata ed abitata.

    La torre medievale di Portonovo.

    L’abitato e la spiaggia di Numana.

    Nell’insieme però la sezione costiera a nord del Cònero è più uniforme di quella meridionale per quanto si succedano falcature concave o sassose o sabbiose, e falcature convesse costituite dalle foci fluviali; presso queste si sono creati fino da tempi relativamente remoti dei porti-canali quali quelli di Senigallia, Fano e Pesaro, mentre a Falconara, approdo di spiaggia bassa, si è dovuto costruire un lungo pontile proteso verso il mare, per permettere lo sbarco della nafta destinata aH’industria locale.

    Senigallia è una vivace cittadina di circa 20.000 ab., in provincia di Ancona, a circa metà percorso tra questa città e Pesaro, sulla costa, allo sbocco del fiume Misa; è animata specialmente per il movimento dei forestieri durante la stagione balneare; come altre città della costa essa ha un nucleo antico all’interno, e i quartieri a ville, alberghi, pensioni, per la vita balneare, allungati lungo la costa, tra la linea ferroviaria e il mare; questi ultimi si sono straordinariamente sviluppati dopo la seconda guerra mondiale ed hanno contribuito a dare all’insieme della città un carattere molto ridente. Anche la parte interna, ha un aspetto quasi del tutto moderno, perchè fu ricostruita dopo i gravi danni del terremoto del 1930.

    La storia ci parla delle origini galliche della città (donde il nome: Sena Gallica) e delle sue vicende dall’epoca romana in poi, delle distruzioni subite per mano di Alarico, e nell’età comunale, nel 1280, per mano di Guido da Montefeltro, delle lotte con gli altri Comuni, e delle signorie che si avvicendarono nel possesso della città; tra queste, durò più a lungo, fino al 1631, la signoria dei Della Rovere, sotto cui la città conobbe periodi di pace e prosperità. Ma anche nei secoli successivi, sotto il dominio diretto della Chiesa, specialmente durante il Settecento, la città ebbe importanza per la fiera famosa, le cui origini risalgono probabilmente al Quattrocento e che, giovandosi del porto franco, diede grande incremento ai traffici cittadini e al movimento portuale, tanto che durante il maggiore splendore approdavano più di 300 navi e accorrevano più di 50.000 forestieri.

    Panorama di Falconara Marittima.

    Senigallia, porto-canale e darsena.

    Si comprende così come nella vita della città dall’età rinascimentale allo sviluppo recente non si sia verificata una vera interruzione, donde il carattere moderno che la cittadina presenta anche sotto l’aspetto edilizio. Del centro rinascimentale si conserva in gran parte la cinta muraria coi suoi bastioni e specialmente la rocca, a pianta quadrata, con quattro bastioni circolari ai vertici, una delle più tipiche costruzioni militari della fine del Quattrocento, eretta per Giovanni della Rovere sui resti di fortificazioni romane e di una fortezza dell’Albornoz. Sono inoltre da ricordare per lo stesso periodo la decorazione a stucco con soggetti biblici, mitologici e storici del Palazzetto Baviera, fatta da Federico Brandani, la bella chiesa di Santa Maria delle Grazie della fine del Quattrocento che sorge su una collina a circa 3 km. dalla città. Nel centro sorge il Duomo, settecentesco, con facciata dell’Ottocento, eretta per munificenza di Pio IX, che ebbe patria appunto a Senigallia; vi è inoltre un grandioso Foro Annonario, costruzione circolare della prima metà dell’Ottocento, e la Porta Lambertina, arco trionfale eretto all’uscita dalle mura cittadine nel sobborgo situato sulla riva sinistra del fiume Misa. Allo sbocco nel mare, il fiume è stato sistemato a porto-canale, anche con piccoli bacini.

    Vedi Anche:  Distribuzione popolazione e tipi di dimore e di insediamento

    Senigallia, Porta Lambertina detta Porta Fano.

    Senigallia, il Palazzo Mastai-Ferretti, o Casa di Pio IX, visto dalla Loggia del Palazzo Municipale.

    Lo sviluppo della città di Fano può essere considerato in buona parte dovuto alla sua posizione nei confronti delle vie di comunicazione e del mare. In prossimità dei fiumi Arzilla e Metauro sorse nel periodo augusteo la colonia Julia Fane-strensis con il cardo ed il decumanus orientati secondo la direzione della via Flaminia; la città, posta ad un livello inferiore dell’attuale, giungeva con le mura sin sul mare ed aveva un porto di approdo; la sua consistenza demografica e la sua organizzazione dovevano essere notevoli come dimostra sia la suddivisione in 24 sezioni che dava alle vie una struttura a scacchiera che ancor oggi si conserva, sia la cloaca massima, che in parte funziona anche attualmente. Sotto Augusto la città si ingrandì e fu racchiusa entro una solida cerchia muraria e in onore di questo imperatore fu eretto l’arco posto verso la via Flaminia in direzione di Roma. La città che era sorta come centro di transito presso il tempio della Dea Fortuna, ebbe anche una certa importanza marittima tanto che nell’età bizantina fu scelta come capitale della Pen-tapoli Marittima, pur avendo subito in precedenza la distruzione da parte dei Goti.

    Nell’età dei Comuni e delle Signorie Fano vide un ripetuto succedersi di periodi di indipendenza e di semi indipendenza, a periodi di soggezioni a potenti famiglie locali 0 della regione e di dominio papale, dimostrando però sempre sia nella buona che nella cattiva fortuna una notevole vitalità.

    Qui nel 1357 il cardinale Egidio Albornoz emanò le Costitutiones Aegidienae con le quali furono unificate le leggi e le consuetudini della regione.

    Nel periodo successivo nel quale Fano rimase sotto i Malatesta, vicari della Chiesa, ebbe un impulso edilizio ed artistico che continuò per tutto il Quattrocento e parte del Cinquecento. Molti illustri artisti, letterati e capitani uscirono in quei secoli dalle famiglie fanesi; nel Cinquecento vi si stamparono libri e la città fu anche sede di un’università, chiusa soltanto nel 1824, che aveva sede nell’attuale Palazzo Vescovile.

    La città di Fano e le sue fortificazioni nel secolo XVI.

    Fano, facciata della chiesetta di San Michele del XVI secolo.



    La mancanza di una adeguata attrezzatura portuale ha favorito la sua decadenza; il piccolo porto peschereccio che oggi possiede, è un porto-canale ottenuto dalla deviazione di un lungo canale del Metauro, il canale del Taglio del Porto; presso lo sbocco in mare sono state costruite dighe che proteggono alcuni bacini per modeste imbarcazioni.

    Per l’accrescimento della spiaggia dovuto all’apporto di materiale sabbioso proveniente dalla foce del Metauro, la città si trova arretrata rispetto alla costa; lo sviluppo edilizio moderno su questo lato è stato in parte ostacolato dalla presenza della linea ferroviaria costruita fra la città e il mare, che però non ha impedito il sorgere lungo la spiaggia di tutta una zona balneare ricca di bei viali alberati. Accanto allo sviluppo dell’attrezzatura per il turismo stagionale, la vecchia cittadina ha mantenuto il suo carattere di centro storico artistico, raccolto intorno ai monumenti romani, medioevali, rinascimentali. La pittoresca piazza XX Settembre col Palazzo della
    Ragione del Dugento animato dal porticato e dalle quadrifore, con la bella torre
    del Vanvitelli e la fontana della Fortuna simbolo della città — Fanum Fortunae — è tuttora il centro movimentato della vita cittadina; poco distante è il quattrocentesco Palazzo Malatesta nelle cui sale ha sede la Pinacoteca.

    Fano, torrione delle mura malatestiane visto dal porto-canale.






    All’angolo delle mura della vecchia città si conserva l’antica fortezza con i suoi muniti bastioni.
    Il centro economico di Fano si trova in piazza Amiani che corrisponde all’antico centro della città.

    Dopo la seconda guerra mondiale che apportò a Fano notevoli distruzioni, ha avuto incremento soprattutto il rione Giardino, quello Bagni e il quartiere Sotto

    Fano, Palazzo della Ragione dalle forme lombarde del Dugento.

    Ponte, come i quartieri operai verso il Metauro, oltre l’Arzilla, intorno alla stazione ferroviaria e lungo la nazionale adriatica.

    I dati della popolazione della città rivelano un costante incremento che dal 1701 fino ai nostri giorni può considerarsi pari all’11 per mille medio annuo; attualmente la popolazione ammonta a 22.893 abitanti.

    A solo pochi chilometri ecco raccogliersi intorno alla Rocca Costanza Pesaro, la seconda città delle Marche in quanto a popolazione; conta attualmente circa 41.000 abitanti. La sua posizione è dunque costiera, legata alla foce del fiume Foglia, che sceso dall’Appennino, dopo aver percorso per circa 15 km. un tratto di valle larga, alu-vionale, tra le ultime colline che degradano fino al mare, si getta in questo con una piccola sporgenza deltizia.

    Le colline dei dintorni, tutte cosparse di case coloniche e di centri agricoli, non presentano un serio ostacolo alle comunicazioni di Pesaro con i territori vicini ; la costa dirupata che presenta al mare la collina di Gabicce a nordovest della città, non è percorribile da una strada, ma questa, come pure la ferrovia, si allontana un poco dalla linea costiera, aggirando facilmente la collina dall’interno; solo una strada panoramica di costruzione recente percorre in parte il crinale della collina.

    Maggiori problemi vennero a Pesaro dal fiume Foglia, che un tempo divagava e impaludava nelle alluvioni da esso stesso deposte, nella valle che peraltro permette dalla città un facile accesso verso l’interno, in particolare verso Urbino.

    La bonifica della breve pianura del Foglia è stata per molto tempo un problema essenziale per Pesaro, per quanto bene impostato già in epoca romana; fu finalmente concluso al principio del XVIII secolo, sotto papa Clemente XI, così che oggi una ricca e fertile pianura si stende alle spalle della città, mentre sui lati ridenti colline la proteggono dai venti troppo violenti.

    L’antica città romana, fondata su un centro piceno preesistente, aveva pianta quadrata, ancora riconoscibile nel centro cittadino, con vie rettilinee incrociate ad angolo retto. Fiorente nell’epoca romana, importante centro marittimo nell’epoca bizantina, come facente parte della Pentapoli Marittima, rifiorì come libero Comune e successivamente, sotto la signoria dei Malatesta e sotto quella degli Sforza e dei della Rovere.

    I baluardi della cinta di mura pentagonale, ancora in parte conservati, risalgono al periodo di maggiore splendore, sotto i Della Rovere, nel Cinquecento, mentre la Rocca, fortezza con quattro torri rotonde angolari, avanzata sul lato del mare, è opera di Luciano Laurana, della fine del Quattrocento costruita per conto degli Sforza.

    Notevolissima la vita civile e culturale della città in quei secoli del Rinascimento. La corte ducale di Pesaro divenne punto di richiamo per artisti e letterati, particolarmente sotto Francesco Maria II della Rovere, a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento. Fra gli altri dimorò a Pesaro il Tasso, che vi fece rappresentare per la prima volta l’Aminta.

    Pesaro, panorama della città con lo sfondo del Monte Ardizio, Nobili palazzi risalgono all’epoca rinascimentale, e tra questi primo il Palazzo Ducale quattrocentesco, costruito per Alessandro Sforza nella piazza del Popolo, centro della città, abbellita dalla vivace fontana secentesca.

    Da ricordare pure la villa Imperiale, fatta costruire da Costanzo Sforza sulla collina di San Bartolo fuori della città, e la villa Miralfiore, costruita per Guidobaldo II della Rovere, entrambe riccamente ornate di pitture.

    Gloria di Pesaro è l’aver dato i natali a Gioacchino Rossini; il Liceo Musicale Rossini tiene viva la tradizione musicale pesarese nel ricordo del grande compositore. La città è ricca anche di altre istituzioni culturali, come l’Ateneo Pesarese, nella cui ricca biblioteca si conservano preziose edizioni antiche, incunaboli e manoscritti di grande valore.

    Pesaro, panorama della città con lo sfondo del Monte Ardizio.

    Pesaro, Palazzo Ducale.

    Notevole nel Museo Civico, il Museo delle maioliche, il maggiore d’Italia nel suo genere, con pregevoli lavori dei Della Robbia e specialmente con ricche raccolte di piatti di produzione ceramista pesarese, urbinate, toscana, umbra, eccetera. Sempre allo stesso museo è annessa un’importante pinacoteca. L’arte delle maioliche fiorì in Pesaro specialmente dal Quattrocento al Seicento, registrando una ripresa durante il Settecento, ed oggi ancora mantiene una certa importanza. Ma Pesaro non deve la sua fama solo alle ricchezze artistiche e culturali, che le derivano dal glorioso passato, bensì anche alla sua floridezza presente, dovuta alla natura di città marittima e portuale e ad un certo fervore di attività commerciali e industriali, oltre che all’essere capoluogo della provincia marchigiana più settentrionale.

    Pianta di Pesaro del 1650

    Pianta di Pesaro.

    Il porto di Pesaro ha importanza soltanto locale, specialmente come porto peschereccio; analogamente a tanti altri porti della costa adriatica esso è un tipico porto-canale, ricavato nella parte estrema del corso del fiume Foglia mediante dirottamento di quest’ultimo, che è stato fatto sboccare artificialmente, in un punto più settentrionale. I primi lavori di sistemazione del porto risalgono all’epoca di Francesco Maria II della Rovere, ma la deviazione del fiume Foglia venne compiuta sotto il papato di Pio IX, cioè due secoli e mezzo più tardi, ottenendo così di evitare l’interramento dello scalo per colmamento da parte del fiume e del mare; da questo ora il porto-canale viene difeso mediante due moli con scogliera.

    L’importanza turistico-balneare di Pesaro si è determinata per lo sfruttamento dell’arenile che a poco a poco si era andato accrescendo tra la città e il mare, a fianco della foce del Foglia; in questo spazio è sorta la città nuova, regolare e gaia città-giardino, tutta ville e viali alberati, strettamente saldata al vecchio centro, e sviluppatasi dopo l’abbattimento delle mura che cingevano quest’ultimo.

    Lungo l’Esino da monte a valle

    Se dalla costa settentrionale marchigiana si procede verso l’interno, si incontra dapprima un paesaggio collinare dalle morbide distese verdi ombreggiate, frazionato da lunghe, fertili vallate; quella dell’Esino, accompagnata da ridenti colline si perde a vista d’occhio dagli ultimi monti occidentali fino all’estremo orizzonte marino; la parte più elevata è costituita di rocce calcaree e quella collinare di rocce arenaceo-argillose ; l’estrema parte a valle è costituita da una vasta pianura alluvionale accompagnata da una serie di colline e di poggi; quando i fianchi di questi sono argillosi sono di frequente incisi dalle ripe; nella parte più a monte invece, costituita di rilievi calcarei modellati dagli agenti atmosferici, sia l’Esino che il suo affluente il Senti no, incidono delle strette gole che dànno la caratteristica al paesaggio regionale; il primo infatti tra il Monte della Rossa e il Monte Revellone taglia la Gola della Rossa le cui pareti sono segnate da solchi prodotti dall’acqua ed il cui fondo è ingombro di massi. La leggenda di San Floriano attribuisce al Santo il merito dell’apertura della strada ed indica i macigni come ostacoli che il diavolo opponeva al lavoro ed i solchi come i segni delle ruote del carro del Santo.

    Il Sentino prima della confluenza si insinua tra il Monte Valmontagnana e i Monti di Frasassi formando la Gola di Frasassi. In prossimità di queste gole la natura calcarea dei rilievi ha permesso la formazione di una serie di grotte, alcune delle quali di notevoli proporzioni.

    Il suolo è solo in minima parte occupato da superfici improduttive costituite però da terreni sterili, prevalentemente da calcare; le percentuali più alte sono quelle di Ficano, Serra San Quirico, Genga; del resto un’alta percentuale pari al 94°,, è occupata da terreno produttivo, specie da seminativi arborati che prevalgono nella regione collinosa, intensamente coltivata con un avvicendamento prevalente poliennale; nel territorio di alta montagna sono diffusi invece i pascoli e i boschi.

    Predomina la coltivazione del grano e dei foraggi per l’allevamento del bestiame; del resto poi il sistema di conduzione a mezzadria porta all’installazione nel podere di tutte le colture i cui prodotti sono necessari al sostentamento del colono anche se il tipo dei terreni e l’altimetria non è per esse indicata. A differenza delle altre valli le industrie sono abbastanza sviluppate e di origine antica non soltanto limitata-mente alla regione costiera ma anche all’interno. L’industria cartaria localizzata a Fabriano nel punto in cui era facile utilizzare la forza motrice dell’acqua, risale al XIII secolo.

    Fabriano non è molto popolosa, giacché conta nel centro poco più di 14.000 abitanti, e si discosta, per vari caratteri, dalle altre città delle Marche interne: innanzi tutto per la posizione, che anziché essere sommitale, su un’altura come tanti altri centri grandi e piccoli, è di fondovalle, sulle rive di un piccolo fiume, il Giano, affluente dell’Esino. Più precisamente, compresa com’è in una regione montagnosa che raggiunge quasi, con alcune vette, i 1500 metri d’altitudine, Fabriano è situata in una conca interna, formata dal confluire di più valli di scarsa importanza, ma percorse da vie frequentate, in particolare dalla via che, provenendo daH’Umbria, valica al Colle di Fossato l’asse principale dell’Appennino umbro-marchigiano e attraverso Fabriano raggiunge la valle dell’Esino e quindi l’Adriatico. È questa via che, utilizzata anche dalla linea ferroviaria Roma-Foligno-Falconara-Ancona, ha allacciato Fabriano al traffico interregionale.

    Passa per questa cittadina anche la ferrovia secondaria delle Marche interne, la Urbino-Cagli-Fabriano-San Severino-Macerata, profittando di brevi tratti di valle longitudinale che convergono appunto nei pressi di Fabriano.

    Ma anche per un altro carattere la cittadina si distacca dalle altre: per la sua economia, che oggi come nel passato è fondata, prima che sulle attività agricole della campagna circostante, sull’attività industriale.

    A tutti è nota la città per l’industria della carta, risorta in età moderna sul luogo ove era stata fiorente e famosa per secoli nel passato. Le origini di tale industria si perdono nell’alto Medio Evo; rinvigoritasi nell’età comunale, essa acquistò fama e importanza in tutta Italia e anche all’estero, fino al XVIII secolo, in cui si contavano in Fabriano 30 cartiere. I tipi di carta prodotti erano di alto pregio per la bravura della manodopera locale; qui si inventò la filigrana e si trovarono nuovi procedimenti di fabbricazione. Dopo un periodo di decadenza, per l’iniziativa di Pietro Miliani, alla fine del Settecento, l’industria riprese vigore, specializzandosi verso la produzione di carte pregiate, raffinando la tecnica, ma non abbandonando mai anche i più antichi sistemi di lavorazione che ancor oggi sono in atto.

    Panorama di Genga.

    Fabriano, Palazzo del Podestà.



    Per l’intraprendenza dei suoi abitanti, Fabriano seppe sviluppare all’epoca dei Comuni in modo notevole non solo l’economia ma anche la potenza politica; pur avendo origini assai remote la cittadina si è sviluppata soltanto nel Medio Evo, riuscendo a imporsi come libero Comune di fronte ai potenti feudatari che dominavano il territorio. Della floridezza raggiunta nell’età comunale o sotto la signoria dei Chiavelli prima, di Francesco Sforza poi, sono testimoni i monumenti che risalgono appunto al tardo Medio Evo o al principio del Rinascimento, come il Palazzo del Podestà, forte costruzione dugentesca sulla piazza del Comune, allietata da una bella fontana. Ma soprattutto notevole fu il rifiorire della pittura, alimentata da una scuola locale di gloriose tradizioni, in cui spiccano i nomi di Allegretto Nuzi e Gentile da Fabriano. Una cospicua raccolta di dipinti di scuola fabrianese sono conservati nella locale Pinacoteca. Accanto al vecchio centro, ancora in parte cinto dalle mura e da giardini, la cittadina si è sviluppata lungo le più moderne vie periferiche.

    Oltre alle moderne cartiere, si devono annoverare altre industrie, come quella dei cappelli, del cemento, delle ceramiche, degli oggetti in rame battuto. La valle dell’Esino vanta anche l’industria della seta di Jesi, quella estrattiva dello zolfo a Sassoferrato, quella idroelettrica relativamente recente e quella recentissima della raffineria del petrolio situata sulla costa a Falconara.

    Una dislocazione così varia di attività è stata favorita e sostenuta dalla rete di comunicazioni assai sviluppata e che schematicamente può essere indicata da un asse principale costituito dalla via Clementina che entra nel bacino dell’Esino dal valico di Fossato e s’innesta presso Fiumesino alla litoranea adriatica, e da una serie di rami secondari che uniscono i vari centri tra loro, percorrendo le dorsali principali e secondarie.

    Fabriano, panorama.

    Jesi, le mura.

    Il centro più importante della via Clementina è Jesi, industre cittadina di oltre 30.000 ab.; essa ha senza dubbio tratto vantaggio dai traffici che si svolgevano in passato, come pure oggi, lungo l’Esino, che permette un facile accesso dalla costa, in prossimità di Ancona, verso l’interno. All’epoca romana per il commercio con le Marche era preferita la via Flaminia, che passava più a nord, mentre l’Esino formava il confine fra l’Umbria e il Piceno. Anche la via che successivamente prese il nome di Clementina era frequentata e questo diede importanza alla colonia romana di Aesis. Durante il Medio Evo e nei secoli successivi fino ai nostri giorni, questa via, che pone in comunicazione la costa con l’Umbria, è stata una delle più importanti.

    Lungo lo stesso percorso è stata tracciata la linea ferroviaria che toccando anche Jesi congiunge direttamente Ancona con Roma.

    Jesi, piazza Federico II

    Posta presso il fondovalle, Jesi ha tratto beneficio dalla facilità delle comunicazioni e dalla frequenza dei traffici ; il nucleo cittadino è posto presso la sponda sinistra dell’ampia valle alluvionale, su un terrazzo dalla superficie inclinata e nella sua pianta è facile distinguere tre parti, che corrispondono ad altrettante fasi di sviluppo: la città vecchia, raggruppata attorno al Duomo e al Palazzo della Signoria, con le sue belle piazze, occupa un terreno inclinato, con un agglomerato di case assai denso, separato da vie strette, tortuose e ripide, per lo più a rampa. Essa conserva in gran parte del suo perimetro la cerchia delle mura trecentesche ben munite di torri di vario aspetto.

    La parte più moderna, si sviluppa a sudovest della vecchia città e si allunga nella direzione della via Clementina, sul terrazzo che fiancheggia la valle dell’Esino; al contatto fra le due parti la piazza della Repubblica rappresenta il vero centro cittadino, di dove una lunga e moderna via rettilinea, il corso Matteotti, conduce fino all’Arco dementino, eretto nel 1734 in onore di papa Clemente XII.

    I quartieri di sviluppo recente si trovano da un lato verso la pianura dell’Esino, fino alla stazione ferroviaria, dall’altro verso la parte collinosa. Il lungo viale della Vittoria, è divenuto la principale arteria longitudinale che, parallelamente all’asse di allungamento della città, assorbe il traffico della strada statale.

    Dalla Porta Valle, aperta nella vecchia cinta muraria, sul lato del fiume, prende inizio la strada che, attraversato questo, conduce direttamente a Macerata; su un’altura posta di fronte alla città, sul lato opposto della valle, l’antica torre detta « Guardia di Jesi » difendeva l’accesso alla città su questo lato.

    Jesi ebbe vita economica e politica fiorente nel Medio Evo e nel Rinascimento, come libero Comune o sottomessa a signori locali, o a più potenti signorie della regione, o alla Chiesa. Fu una delle prime città in cui fiorì l’arte della stampa, sì che vi apparve una delle primissime edizioni della Divina Commedia nel 1472. Il Palazzo della Signoria, ospita ora la ricca Pinacoteca, che possiede fra l’altro alcune importanti tele di Lorenzo Lotto.

    L’attuale città, che ha potuto liberamente espandersi nella valle e sui colli, riceve vitalità dal commercio col territorio circostante, popoloso e intensamente coltivato, sia sulle colline che nella fertile pianura valliva.

    Le industrie più importanti sono in primo luogo quella della seta alimentata dalla produzione locale di bozzoli, quella del sapone, dei fiammiferi, dei cordami; pure l’oreficeria gode di una buona tradizione.

    Anche l’industria di Chiaravalle, il tabacchificio, è direttamente connessa con l’area agricola circostante, pur avendo radici remote; a Chiaravalle infatti esiste una bellissima abbazia cistercense e si dice che sia la coltivazione che la lavorazione del tabacco sia stata iniziata proprio dai monaci che già nel XVIII secolo preparavano tabacco da fiuto.

    Non lontano da Jesi, sulla destra dell’Esino, ma più a monte, si incontra in collina una serie di piccoli centri che furono legati a Jesi molto più nel passato che attualmente; Cupramontana ne è un esempio.

    Nel suo territorio sorgeva una città picena dello stesso nome che poi scomparve mentre sorse in collina, in posizione un po’ dominante, Massaccio, che mantenne tale nome fino al secolo XIX per poi assumere quello attuale. Massaccio dunque era una specie di fortezza della città di Jesi che vi aveva edificato il cassero e vi manteneva dei soldati e per questo subì stragi e distruzioni ; però l’amenità dei campi circostanti e soprattutto le condizioni favorevoli per la coltivazione della vite hanno fatto prosperare e diffondere col tempo questa pianta e ne è derivata una notevole industria: quella dei vini spumanti.

    Poco lontano è l’eremo dei Camaldolesi di San Romualdo conosciuto anche come eremo delle grotte del Massaccio.

    Tutto il territorio circostante si può dire che sia ricoperto dalla coltivazione della vite che tende a generare un’industria del vino nel centro di Stàffolo dove si trova anche una lavorazione artigiana di posate di corno, vendute un po’ dovunque in genere da mercanti ambulanti.

    In queste amene colline è anche Majolati che è da ricordare come patria di Gaspare Spontini, il compositore di musica drammatica che trionfò nella prima metà del secolo XIX. Egli, tornato a morire nella sua terra, donò al Comune tutto il suo patrimonio per opere di beneficenza; oggi il Comune stesso ha aggiunto al suo nome quello del musicista.

    Più in alto e nel bacino del Musone sorge Apiro che attualmente non riveste una grande importanza, ma che è singolare per la sua storia in quanto pur circondato da un territorio ristretto, per tutto il Medio Evo rimase indipendente, retto dapprima dai consoli e poi dai podestà.

    La coltura viticola è estesa anche sulla sinistra dell’Esino e Castelplanio rappresenta un importante centro di commercio del vino che ha consigliato la costruzione di un grande enopolio.

    Più a monte verso Serra San Quirico la coltura si dirada e lo stesso paesaggio assume un aspetto alpestre non per la sua eccessiva altitudine ma piuttosto per la morfologia e per la vicinanza della pittoresca Gola della Rossa. Forse proprio per la particolare posizione ottima per la difesa, la zona fu abitata assai per tempo come dimostrano gli avanzi di numerosi centri abitati, di sepolcri, di acquedotti rinvenuti presso il centro e lungo la ferrovia e la strada tra Jesi e Fabriano. L’abitato di forma allungata è circondato da mura e nell’esistenza di una biblioteca e di un archivio comunale di notevole pregio si coglie ancora il fervore di vita non solo politica ma anche culturale che l’animò nell’epoca medioevale e rinascimentale tanto che nel XVI secolo vi si manteneva una cattedra di lettere greche.

    Più a monte Sassoferrato, alla confluenza del Sanguirone nel Sentino nella stessa toponomastica mantiene il ricordo della sua antica origine : era infatti una città umbra, Sentinum, che sorgeva nella località ora denominata Civita e nel suo territorio nel 295 a. C. i Romani sconfissero i Galli e i Sanniti. Successivamente subì alterne vicende ma più volte fu distrutta per azioni di guerra finché nel Medio Evo sorse in una collina vicina il castello di Sassoferrato. Intorno ad esso si raccolse un notevole nucleo di popolazione che nel XIII secolo costruì il borgo ai piedi della collina, verso il fiume Sentino. Oltre che per i ricordi storici la località è interessante dal punto di vista industriale per l’esistenza delle miniere di zolfo di Bellisio che però, come si è visto altrove, sono ora in una fase di decadenza. Quasi alla testata dell’Esino si incontrano due abitati abbastanza importanti: Matèlica e Esanatoglia; il primo alla confluenza del Braccano con l’Esino, ha una storia notevole. Deriva dall’antica città umbra di Matilica che nel Medioevo fu dapprima indipendente sotto il governo dei consoli e di un collegio di nobili pur riconoscendo l’autorità dei conti; ribellatasi a questi fu distrutta. Successivamente ricostruita ebbe vita agitata con le lotte ghibelline, con le fazioni interne, con le guerre con i Comuni vicini finché si stabilizzò sotto il dominio della Chiesa dopo l’occupazione francese del 1797. Il fervore di vita animava non soltanto l’attività politica ma anche quella economica sorretta soprattutto dalla filatura e tessitura della lana alla quale il territorio circostante forniva la materia prima, e dalla concia delle pelli; oggi questo è in buona parte decaduto e la cittadina vive specie sulle risorse economiche agricole e dell’allevamento. Della gloria e della vita passata restano alcuni bei monumenti architettonici come la chiesa di Sant’Agostino del Trecento con un portale romanico, quella dugentesca di San Francesco; nel museo Piersanti ospitato nell’omonimo palazzo quattrocentesco sono raccolte opere d’arte varia che vanno dagli arazzi settecenteschi ai disegni del Barocci, dai crocefissi lignei alle ceramiche, dalle ricche vesti settecentesche ai mobili e alle carrozze di gala.

    Matèlica, Palazzo Pretorio.




    Esanatoglia non può certo competere con Matèlica in quanto a storia e neppure per l’aspetto esteriore del centro che è molto meno ricco benché offra una bella fontana del Duecento, un palazzo comunale quattrocentesco, una pieve col portale del Duecento. Il centro è in collina, a 450 m. di altitudine, presso la confluenza del Sant’Angelo nell’Esino; l’ambiente naturale offriva possibilità per l’industria cartaria e quella del legno che però il progresso generale industriale ha fatto decadere.

    Oltre che dai centri abitati fin qui ricordati l’ambiente antropico della valle del-l’Esino è caratterizzato da una generale notevole densità di popolazione che varia in ragione inversa all’altimetria e in linea particolare con le condizioni locali delle colture e delle risorse industriali; infatti nella zona litoranea pianeggiante la popolazione è fittissima, in quella collinare a valle della Gola della Rossa c’è una media densità, mentre la zona montuosa è di scarso popolamento, non solo perchè il suolo è povero e ricoperto di bosco ceduo, ma anche perchè la notevole carenza delle vie di comunicazione ha isolato quasi alcune aree.

    Si distaccano da questa situazione generale come eccezioni alcuni Comuni della zona collinare dove la diffusione della coltura della vite ha portato ad un incremento nella densità di popolazione e inoltre i due Comuni della zona montuosa: Fabriano e Sassoferrato; essi risultano densamente popolati specie in conseguenza della localizzazione delle industrie.

    L’area più densamente popolata è quella che si trova ad una altimetria inferiore ai 100 m., nella quale sono situati centri di grande interesse commerciale ed industriale come Jesi, Chiaravalle e Falconara. Nelle fasce altimetriche successive l’addensamento diminuisce anche in rapporto alla minore stabilità del terreno prevalentemente argilloso, che conduce agli stanziamenti sia dei centri abitati che delle case sparse nelle sommità e nei punti più elevati del terreno. Nella regione montuosa invece accade il fenomeno inverso, in quanto la popolazione tende a stabilirsi nelle valli e nelle parti pianeggianti e così la densità diminuisce col crescere dell’altezza.

    La popolazione sparsa, costituita esclusivamente di contadini, presenta delle oscillazioni della densità che sono in rapporto più diretto con le condizioni dell’agricoltura e con quelle della conduzione agraria; i massimi valori sempre superiori a quelli medi, si notano nella zona di pianura valliva, fertile e irrigata; quelli più bassi sono nei centri situati in prossimità dell’Appennino, dove i contadini abitano in piccoli centri, dove sono in vigore comunanze agrarie di pascoli e di boschi. Da qui deriva anche la differenza nella distribuzione della densità dei centri che è maggiore nella regione montuosa e minore in quella collinosa, dove invece c’è la massima densità di popolazione sparsa. Per questa stessa ragione nella zona valliva sono molto frequenti i centri di valle e di pianura di origine abbastanza recente e il più delle volte legati allo stabilirsi di una industria o di una coltura specializzata; è il caso già ricordato di Chiaravalle che deve un rapido sviluppo alla manifattura dei tabacchi prodotti dalla piana circostante. Per quanto di posizione simile, si distinguono i centri di valle alluvionata, raccolti nella parte più a monte della valle, dove avevano a disposizione una minore superfìcie utile. I centri di pendio non sono molti e in genere localizzati nella regione a monte della Gola della Rossa, dove la ricerca di una buona esposizione non è limitata alle aree da coltivare, ma si estende anche agli abitati.

    In conclusione la morfologia e l’altimetria come determinano variazioni nella distribuzione della popolazione e delle colture, influenzano anche la posizione dei centri tanto che a monte della Gola della Rossa prevalgono quelli disposti o nel fondo delle valli o sul fianco dei monti, mentre nella zona più a valle prevalgono i centri di poggio e quelli di fondovalle.

    Le valli del Cesano e del Misa

    Più a nord della valle dell’Esino ecco la piccola unità geografica costituita dai bacini del Cesano e del Misa che neirinsieme formano un territorio approssimativamente rettangolare; sulla costituzione geolitologica piuttosto uniforme di marne argillose, arenarie, sabbie arenacee l’intensa erosione fluviale e torrentizia del Quaternario ha modellato un paesaggio collinare dalle forme dolci, la cui altitudine aumenta gradatamente e regolarmente a mano a mano che si procede dal litorale verso l’interno.

    La serie delle dolci dorsali collinari, interposte tra i piccoli corsi d’acqua, è occupata da colture che costituiscono il fondamento economico della zona nella quale anche le attività industriali ed artigiane che vi sono esercitate rivolgono la loro produzione alle necessità locali dell’agricoltura. I seminativi occupano oltre l’86% della superficie totale mentre l’estensione dei prati-pascoli è molto esigua; la percentuale della superficie seminativa non subisce grandi variazioni nelle varie zone se si fa eccezione per Monteporzio dove supera il 90%, e per i Comuni di Arcevia, Frontone e Pergola, dove l’altitudine superiore ai 500 m. permette una maggiore estensione del pascolo e degli incolti produttivi.

    Questi centri abitati piccoli e quasi sempre in posizione difensiva furono celebri in passato per le fortezze che vi costruirono i vari signori ; così ad Arcevia, un tempo Rocca Contrada, che anche oggi ha una pianta di forma allungata quasi con la forma di una nave, dovuta alla topografia del luogo in cui sorge: uno sprone alto m. 530 dal quale si domina la valle del Misa; la località era abitata già in epoca preistorica come dimostrano i ritrovamenti di Conelle ma il centro assunse la massima importanza nel Medio Evo quando la Chiesa vi manteneva una rocca capace di tenere a freno il Ducato d’Urbino e l’Umbria. Il Palazzo Comunale e la chiesa di San Medardo sono gli edifici più importanti. Il Comune ha un’economia agricola non molto fiorente data la posizione e la morfologia della regione; è un piccolo centro di villeggiatura estiva. Serra Sant’Albondio ad un’altitudine simile a quella di Arcevia sulle pendici del Monte Croce della Serra ebbe forse un’importanza ancora maggiore per la sua posizione prossima al Càtria e pericolosa per Gubbio il quale, secondo la tradizione, vi costruì un castello e la trasformò in una città fortificata.

    Nella parte meno elevata delle valli il grano prevale sugli altri cereali, mentre il granoturco è in diminuzione sia per l’estendersi delle colture industriali, sia per l’incremento della coltivazione dei prodotti integrativi dell’alimentazione del bestiame, soprattutto dei prati artificiali di medica e di trifoglio.

    Le colture industriali sono quasi esclusivamente rappresentate dal tabacco, dal lino, dalla barbabietola da zucchero e dal sorgo, limitate però alle zone nelle quali vi è possibilità di irrigare, cioè in prossimità dei fondovalle alluvionali o dove si sono create riserve artificiali di acqua. La vite diffusa uniformemente in tutta la zona è coltivata in vigna o in filari con qualità varie che dànno luogo a vini atipici ma di buona gradazione. Le colture orticole sono limitate alla zona litoranea.

    Questo schema così semplice della utilizzazione del suolo e della distribuzione delle colture permette di delineare tre zone distinte: una più elevata dove diminuiscono i seminativi in favore dei pascoli; una mediana di prevalente coltivazione e una litoranea, a coltura specializzata.

    Alla differenziazione nella utilizzazione del suolo si accompagna la differenziazione della densità dell’allevamento bovino che è massimo nell’area di San Lorenzo in Campo e minima in quello di Pergola e in media in tutti i Comuni montani.

    L’industria connessa più o meno direttamente con l’agricoltura e costituita di fabbriche di macchine agricole, di fornaci per laterizi, è distribuita un po’ ovunque ma in modo particolare nell’area collinare, mentre quella che si sviluppa indipendentemente dall’ambiente agricolo, è localizzata quasi esclusivamente presso la costa, cioè a Senigallia e nelle immediate vicinanze; consta di cementifici, di uno stabilimento per la costruzione di proiettori fissi e di lenti, ma soprattutto di industrie connesse con l’ambiente marino: la pesca, la costruzione e riparazione di natanti, la ospitalità estiva.

    In un ambiente così costituito e che si presuppone abbia presentato anche nei secoli passati le medesime caratteristiche economiche, seppure con forme meno progredite, e le stesse differenziazioni tra la regione costiera e quella più elevata, la popolazione è andata lentamente, ma gradatamente aumentando da quando si cominciano ad avere notizie statistiche, cioè dalla metà del XVII secolo fino ad oggi. Essa si è distribuita con densità decrescente dalla costa dove è massima, verso l’interno montuoso, dove è minima, seguendo con una notevole regolarità il variare deH’altimetria; la variazione è anche in rapporto con la distribuzione percentuale dei seminativi che da un massimo di oltre il 90% in prossimità della costa scende successivamente a meno dell’80%. Le aree di massima percentuale dei seminativi coincidono con quelle che presentano i massimi valori di densità di popolazione, cioè Senigallia, Mondolfo, San Lorenzo in Campo; qui l’agricoltura assume un aspetto particolarmente intensivo con la massima percentuale di terreni irrigati. Meno densamente popolate sono le località più occidentali in massima parte rupestri, che mentre fino a non tanto indietro nel tempo erano ricoperte di boschi e macchie dai quali si ricavava legna da carbone e legna da ardere, oggi, malamente disboscate si presentano brulle e aride ed anche soggette ad un lento progressivo spopolamento.

    La fascia altimetrica che raccoglie la maggiore quantità di popolazione cioè circa la metà, è quella compresa tra 100 e 400 m., mentre il 38% circa vive tra o e 100 m. e il 14% oltre i 400 m. ; la densità massima di popolazione è quella raggiunta nel-l’altimetria tra 100 e 200 m. ed in questo àmbito spiccano specie i valori dei Comuni di Senigallia e di Mondolfo, l’uno caratterizzato da una economia mista, l’altro da una economia prevalentemente agricola; anche però se dal computo generale si fa astrazione dei valori di popolazione di Senigallia che come maggiore centro in un certo senso falsano un po’ i risultati generali, si ottiene una forte densità di popolazione; sono queste le aree di maggiore fertilità e più progredite tecnicamente nei confronti della coltivazione. Procedendo altimetricamente la densità diminuisce gradatamente e sensibilmente fino a raggiungere valori bassi di circa 20 ab. per kmq. nelle aree oltre i 600 m. di altitudine, comprese nei Comuni di Pergola e Frontone Serra.

    Nel complesso circa il 60% della popolazione vive sparsa, però nella percentuale della popolazione vi sono oscillazioni molto notevoli e mentre alcune aree hanno valori superiori alla media pari circa a 100 ab. per kmq., altre hanno percentuali inferiori; le oscillazioni in genere mostrano una notevole concordanza con quelle della percentuale della superficie seminativa; Senigallia e Frontone Serra, ad esempio, hanno una minore percentuale di popolazione sparsa, presentano entrambe per ragioni diverse la tendenza all’accentramento sia per la posizione rispetto alle vie di comunicazione e per la concentrazione di piccole industrie che permettono la vita ad una cospicua classe operaia, sia per l’altitudine che restringendo l’area seminativa dà luogo alla utilizzazione del suolo con altre forme economiche. Anche tra le due valli c’è una certa diversità nella densità della popolazione sparsa, in quanto la valle del Misa ha una maggiore diffusione dei valori più elevati, e infatti le condizioni locali dell’agricoltura tra l’una e l’altra sono un po’ diverse oltre a quelle della proprietà, che nella parte più meridionale è più frazionata che non in quella settentrionale.

    Vedi Anche:  Profilo e origine del nome

    Nelle aree nelle quali la percentuale della popolazione sparsa è minore, si verifica una maggiore densità di centri; il valore medio è di circa un centro ogni 9 kmq., però la maggiore densità pari a circa un centro ogni 4 kmq. si ha, ad esempio, a Frontone Serra e a Senigallia, aree già ricordate per la più scarsa percentuale di popolazione sparsa e di superficie seminativa. La massima densità dei centri è nella zona di media collina e di bassa montagna; nella prima è anche elevata la densità della popolazione sparsa, ma la favorevole esposizione, la fertilità del terreno e la facilità delle vie di comunicazione, permette e favorisce ogni forma di insediamento. Nella bassa montagna invece le forme del terreno, l’altitudine e di conseguenza le condizioni climatiche, consigliano l’uomo a raggrupparsi quanto più è possibile in piccoli centri. In genere tutti i centri abitati sono piccoli, in molti casi non raggiungono i ioo ab. e difficilmente superano i 500; il numero maggiore di essi è raccolto nella fascia tra 200 e 500 m. di altitudine e la massima altezza è quella di Fenigli di Pergola con 650 m. La consistenza demografica dei centri è sempre in rapporto inverso con l’altimetria, non solo per la minore disponibilità morfologica di aree atte ad accogliere un raggruppamento di case, ma anche per le ridotte possibilità economiche offerte dai luoghi.

    Le strette relazioni che intercorrono tra le condizioni fisiche delle valli e l’aspetto antropico che esse hanno assunto, sono sottolineate anche qui dalla posizione dei centri che sono in gran numero dislocati lungo i fondovalle alluvionali, disposti prevalentemente ai margini delle strade e presso i crocicchi; nell’area più elevata hanno occupato anche i brevi spazi dei fondovalle d’erosione, come Caudino di Arcevia, oppure gli sproni come Arcevia stessa, però nella media collina, dove la coltivazione è assai estesa ed il reddito notevole, i centri si sono distribuiti in gran numero sui poggi e sulle piccole sommità delle colline stesse e più raramente in pendio, in modo da dominare l’area circostante ed i campi. In prevalenza questi centri infatti sono di origine medioevale e sorsero quando ancora non pare fosse diffuso il popolamento sparso ma quando anche i contadini vivevano nell’àmbito del castello o del luogo munito, all’ombra delle cinte murarie; per questo era necessario che la posizione dei centri offrisse favorevoli condizioni alla difesa e facilità di controllo sui campi circostanti. Molto spesso in epoca recente questi centri di poggio si sono estesi sulle pendici delle colline stesse dando luogo ad un centro composto.

    Corinaldo, scorcio di panorama.




    Tra i centri di queste amene colline si possono ricordare Ostra, Ostra Vetere derivanti dall’antica città di Ostra di origine umbra, poi gallica e infine municipio romano, ed inoltre Corinaldo dove abbastanza di recente c’è stato il tentativo di creare un centro di interesse turistico-religioso come paese natale della santa giovinetta Maria Goretti; tuttavia la scarsezza dei ricordi di una santa che qui vide solo la luce, non ha favorito lo stabilirsi di una corrente turistica, benché il luogo sia ameno ed offra uno dei più caratteristici e conservati esempi di città castellana, racchiusa entro mura quattrocentesche, munite di torri merlate poligonali e quadrangolari ed aperte con porte originali.

    Carattere un po’ diverso presentano altri centri abitati come Pergola e San Lorenzo in Campo; il primo pur situato a 300 m. di altezza non ha l’aspetto di un antico centro medioevale e infatti le mura che un tempo lo cingevano furono distrutte e l’abitato si è esteso molto fino a congiungersi con alcuni sobborghi meno elevati; il terreno assai fertile ha permesso una prospera agricoltura che ora impronta l’aspetto della cittadina assai attiva dal punto di vista economico e la stessa cosa si può dire per San Lorenzo in Campo.




    Corinaldo, una delle caratteristiche « scalinate » frequenti nei centri abitati di collina.

    Corinaldo, viuzza medievale.

    La regione metaurense con lo sfondo dell’Appennino.

    La valle più interessante a nord della regione è quella del Metauro, il cui bacino racchiuso entro i limiti fisici dello spartiacque ha una forma allungata quasi triangolare compresa tra il Monte Maggiore e il Passo di Scheggia da una parte e il Mare Adriatico dall’altra. Il limite fisico non coincide sempre con quello amministrativo e infatti qui ci si trova di fronte proprio ad una delle maggiori aree di discordanza già altrove rilevate.

    Il Metauro che dà il nome alla regione, è accresciuto poco dopo la Gola del Furio da due affluenti molto ricchi di acqua, il Candigliano ed il Burano che, distanziati alla loro origine insieme al Metauro stesso, determinano la singolare forma triangolare della regione che ha il suo vertice verso il mare; nella ristretta area racchiusa

    entro lo spartiacque si susseguono da ovest-sudovest ad est-nordest come in ogni altra sezione trasversale della regione, zone montuose, collinari e una pianura costiera che va da Fossombrone fino al mare e che è ampia, relativamente a quella di altre valli. Il rilievo è caratterizzato da quattro anticlinali quasi parallele di calcare, del Càtria, dei Monti di Montiego, del Furio, dei Monti della Cesana; quest’ultima dà accesso alla regione tipicamente costiera formata da due serie di colline divise da una pianura alluvionale.

    La Gola del Furio è un luogo incantevole di orrenda bellezza, con colori dalle tinte cineree e giallastre; le sue pareti rocciose specie sulla destra si alzano a picco chiudendo ogni vista all’intorno, salvo quella di un breve spazio di cielo; le acque che scorrono spumeggianti in un letto incassato e ingombro di sassi, mandano un suono cupo. L’aspetto naturale della gola è stato in parte modificato con la creazione di un lago. La via Flaminia che attraversa la stretta mediante una galleria, vide passare di qui dapprima le legioni romane e via via quelle di tutti gli invasori. La costituzione geologica varia ha generato una differente incisione ed erosione della valle che nelle aree di alluvioni quaternarie è terrazzata con una serie di quattro livelli da 100 a 160 m., da 50 a 80 m., da 20 a 30 m. che oltre ad essere atti all’insediamento rappresentano i migliori e più fertili terreni. Dall’alta percentuale dei terreni di collina e di montagna e dalla scarsezza delle risorse naturali deriva il carattere prevalentemente agricolo della regione che ha una densità media di popolazione non eccessivamente elevata, ma comunque con differenze piuttosto notevoli, massime lungo la costa e di mano in mano degradanti verso l’interno fino a raggiungere i valori più bassi nell’estrema parte occidentale in corrispondenza delle maggiori altitudini. Alla differenziazione altimetrica corrisponde anche una differenziazione nell’attività prevalente della popolazione che, pur essendo sempre quella agricola, mostra una maggiore percentuale nella parte più occidentale ed una minore verso l’area pianeggiante, dove prevale la popolazione accentrata che trova possibilità di sistemazione nelle piccole industrie. Nei confronti della popolazione quindi, il fattore principale che ne determina sia le variazioni di distribuzione, sia quelle di occupazione, è l’altimetria alla quale si accompagna poi la costituzione del suolo; l’area della valle per queste caratteristiche è facilmente distinguibile in tre zone, ciascuna delle quali ha una propria individualità: litoranea, limitata soltanto ad una diecina di chilometri entroterra, di collina, fino all’anticlinale del Furio, di montagna, tutta la restante parte occidentale.

    Il numero complessivo dei centri è elevato con una densità media di un centro ogni 13 kmq. circa, ma questi valori generali non sono molto espressivi dal momento che tra zona e zona vi sono differenze piuttosto notevoli che, mentre fanno scendere i minimi a volte a meno di due centri per ogni 100 kmq. nella parte montana, fanno salire i massimi a più di 40 nella regione più ad est; nonostante questo però per la maggior estensione dell’area montana, il numero assoluto dei centri è maggiore ad ovest piuttosto che verso la costa. Qui poi i centri oltre ad essere più popolosi annoverano anche un maggior numero di centri maggiori, ai quali non sempre è possi-

    bile dare la classifica di centri agricoli ma piuttosto di centri composti. Mentre in linea generale la densità dei centri va aumentando dalla montagna verso la collina e il litorale, cioè varia in ragione inversa alla altimetria, si possono notare alcune particolarità legate essenzialmente alle condizioni del suolo ed alle possibilità colturali. La massima densità dei centri si ha infatti non proprio sulla costa ma in corrispondenza di Orciano, San Giorgio, Barchi, Saltara, cioè alle spalle della costa stessa; i valori elevati della costa poi si ritrovano anche in alcune oasi, le più caratteristiche delle quali sono proprio nella zona montuosa, cioè Cantiano, Piobbico e Borgo Pace. I valori minimi si può dire che siano continui ed allineati lungo il Metauro a monte della confluenza con il Candigliano. In genere le differenti aree di densità dei centri sono in rapporto con le condizioni locali del rilievo, del suolo e con le direttrici delle comunicazioni; cosi se ne trova un certo concentramento lungo la via Flaminia, sulla sinistra del Metauro, tra Fano e Fossombrone, sulla dorsale di spartiacque fra Metauro e Cesano, tra i monti della Cesana e il Furio, lungo le strade per la Bocca Trabaria e la Bocca Semola, sui ripiani di roccia eocenica del Monte Nerone. La differenza precipua fra questi vari distretti si nota circa all’altezza della dorsale della Cesana che funge quasi da barriera separatrice, in quanto ad oriente di essa i centri sorgono sulle colline e sui displuvi, ma ad una certa distanza dal fiume, mentre ad occidente i centri si trovano o lungo i corsi d’acqua o in allineamenti che grosso modo seguono l’andamento dei principali rilievi.

    Fossombrone, panorama.

    La consistenza numerica di tutti questi centri è poco rilevante e in genere inferiore ai 100 ab.; i maggiori hanno una importanza commerciale derivante essenzialmente dalla posizione rispetto alle vie generali di comunicazione, oppure hanno avuto un’importanza storica; i centri minori invece sono per la maggior parte localizzati nella zona montana. Il comportamento della distribuzione dei centri secondo l’altimetria mostra che la maggiore percentuale di essi, pari al 75%, si trova ad un’altezza superiore a 200 m.; però mentre fino a 100 m. di altitudine la popolazione è raccolta in un grosso centro, Fano, ed in centri minori non molto grandi, dai 100 ai 200 m. la popolazione è raccolta prevalentemente in grossi centri di fondovalle; tra i 200 ed i 300 m. di altitudine si raccoglie la maggiore quantità di popolazione accentrata di tutta la valle. Successivamente i valori della popolazione accentrata diminuiscono, escludendo naturalmente dalla considerazione generale l’area di Urbino che con il suo grosso accentramento falserebbe i valori di tutta la fascia altimetrica.

    I centri abitati il cui numero è legato così strettamente alle vicende del suolo e deH’altimetria, hanno naturalmente anche una costante relazione con la direzione prevalente dei vari rilievi montuosi e collinari; per i centri infatti che si appoggiano ai rilievi montuosi diretti prevalentemente da nordovest a sudest l’esposizione prevalente è sudovest e sud, per quelli invece di collina e litoranei si ha una prevalenza dell’esposizione sudest e sud. Dalle considerazioni fin qui esposte si può dedurre che il paesaggio che oggi si presenta all’osservazione è fortemente antropizzato non solo in quanto cosparso da numerosi insediamenti, ma anche in quanto modificato nella struttura del manto vegetale, dalle colture che l’uomo ha portato sempre più in alto.

    L’espansione della popolazione lungo tutta la regione considerata appare legata prevalentemente a due circostanze: al traffico della strada e quindi ai commerci, e all’agricoltura sia nei confronti dell’insediamento antico, sia di quello più recente. Consideriamo infatti per un momento i tre centri che hanno avuto origine in epoca antica, Cagli, Acqualagna e Fano, e vedremo che essi si localizzarono in tre importanti crocicchi lungo la Flaminia. Il primo, di origine preromana, ebbe sviluppo in epoca romana per ragioni strategiche in quanto posto allo sbocco della gola che il Burano incide nell’anticlinale del Càtria e del Montiego, in un punto dominante sulla via Flaminia e costituente un nodo di strade diramanti in più direzioni. Queste complesse condizioni di sito determinarono la sua formazione e soltanto in un tempo successivo assunse importanza l’economia; questa si basava sulle risorse della regione circostante ricca di allevamento ovino che offriva la materia prima per la filatura e tessitura della lana e per la concia delle pelli.

    Acqualagna è invece un tipico centro di confluenza il cui primo nucleo sorto alla confluenza del Candigliano col Burano era posto su di un terrazzo in posizione dominante: anche la sua espansione più recente è avvenuta in funzione di una via di comunicazione e precisamente in direzione sud per agganciarsi alla ferrovia.

    Anche se in prossimità del mare, non è differente la posizione di Fano, posta nel punto d’incrocio tra la via Flaminia e la litoranea adriatica. E come questi si possono citare altri esempi di centri sorti anticamente in funzione di una strada magari per proteggerne il pacifico svolgimento del commercio; Fermignano, ad esempio, presso una stretta della media valle del Candiano, era in posizione di difesa della via Flaminia, ma nello stesso tempo proteggeva i ripiani vallivi sui due lati della stretta stessa, assai per tempo occupati da ubertose coltivazioni. Fossombrone si può considerare abbia una posizione simile, a difesa del ponte romano e della Flaminia ma anche della pianura sulla quale dopo la piccola Gola delle Cesane scorre il Metauro.

    Il Metauro a Fossombrone.

    Questa sua posizione gli è stata di vantaggio anche nei tempi successivi, in quanto è divenuto centro commerciale e di scambio tra la regione litoranea e quella montana e collinare ad economia differente ed integrativa.

    Di epoca meno antica è Urbania che, fondata nel Medioevo in un punto di facile difesa presso un meandro incassato, usufruiva dei vantaggi del traffico che animava la via per la Toscana.

    Di esclusiva funzione difensiva oltre alla maggioranza dei centri medioevali di sommità sembra Cantiano, anch’esso centro medioevale ma di fondovalle d’erosione, sorto alla confluenza del Bevano nel Burano, su due collinette isolate dall’erosione; quando però la sua funzione originaria si è esaurita, Cantiano, che grazie all’al-timetria non poteva contare sull’utilizzazione agricola di estese zone, ha sviluppato una piccola industria basata sulla manipolazione di marmellate e sulla fabbricazione di macine da mulino; è proprio in corrispondenza di questa limitata area industriale che si riscontra, come si è già visto, un’isola ad alta densità di centri.

    La regione più occidentale delle valli del Cesano e del Metauro è dominata dai gruppi del Nerone e del Càtria dall’aspetto decisamente montuoso; il profilo nudo e gibboso del Càtria specialmente si erge a dominare tutta la regione ed è ricordato anche da Dante (Par., XXI, 106-111):

    Tra due liti d’Italia surgon sassi,

    E non molto distanti alla tua patria,

    Tanto che i tuoni assai suonan più bassi,

    E fanno un gibbo che si chiama Catria,

    Di sotto al quale è consacrato un ermo,

    che suole esser disposto a sola latria.

    Allude il poeta al convento di Fonte Avellana che sorge in una valle solitaria ai piedi del Càtria, circondato da un paesaggio di austera bellezza dalle tinte fosche; qui fu ospitato prima della elezione al soglio pontificio San Celestino e la tradizione vuole che per breve tempo vi sia stato anche Dante. I resti dell’antico splendore del monastero sono pochi, tuttavia il luogo è meta di un certo turismo che si serve di una carrozzabile di costruzione abbastanza recente.

    Il convento sorge in una conca circondata da abbondante vegetazione e tutt’in-torno vi sono case coloniche e campi coltivati; è un esempio del tutto isolato nel paesaggio circostante piuttosto arido. In generale nelle aree al disopra dei 1000 mM dove il pendio non è molto scosceso si sviluppano i pascoli ed i prati, intramezzati da minuscoli appezzamenti di cereali e di patate. I pascoli del Monte Nerone sono tra i migliori dell’Appennino centrale, tanto che più che da greggi sono utilizzati per l’allevamento dei bovini; gli abitati non sono mai a notevole altezza: i più elevati, Serravalle, Pieia e Cerreto sono sui 700 metri.

    I pascoli del Càtria sono più limitati nel versante meridionale arido e più estesi in quello settentrionale; anche qui l’abitato preferisce il fondovalle e non è molto elevato; sono pochi infatti i nuclei che superano i 500 metri: Catornaro, Serra Sant’Abbondio.

    Le dimore temporanee sono pochissime e si distinguono in quelle in muratura a due piani destinate alla famiglia del vergar0 e nei capannelli o ricoveri in legno coperti di lamiera, montati su slitte o tregge in modo da poter essere facilmente sistemati in vicinanza dello stazzo. La pastorizia transumante è meno abbondante che nei Sibillini e proviene generalmente dalla Toscana, ed è unita ad una discreta pastorizia locale. Una particolarità caratteristica di quest’area montuosa piuttosto arida è la distribuzione di conserve d’acqua formate da vasche rettangolari di cemento poste in vicinanza delle sorgenti.

    Dal Montefeltro ad Urbino

    Più a nord delle ridenti colline del Metauro si stende il Montefeltro, il cui paesaggio è dominato dal Monte Carpegna, cosparso di rare dimore temporanee di pastori a base rettangolare e con muri a secco; il tetto a due pioventi è coperto da lastre di pietra. Ma a questo ambiente un po’ desolato succede quello accogliente punteggiato di centri dalle vie tortuose ed irregolari, posti in prevalenza in pendio e con le case allineate secondo l’andamento delle isoipse in modo da usufruire del vantaggio della posizione.

    I centri di poggio sono numerosi e fra essi spicca quello di San Leo su un poggio di calcare cristallino, dalle ripide pendici, che si eleva isolato in un’area formata da scisti argillosi. La rocca di origine longobarda subì, da quando vi fu assediato Berengario II da parte di Ottone I, numerosissime trasformazioni fino a divenire prigione pontificia e carcere militare quando accolse Felice Orsini ed il conte Cagliostro. La pieve, edificata nell’VIII secolo, ha alcuni capitelli che probabilmente derivano da un tempio di Giove. A quelli di poggio succedono numericamente i centri di sprone sia di ripiano che di confluenza e quindi di fondovalle, tra i quali Beiforte all’Isauro che si attesta alle due estremità di un ponte.

    Sulle pendici meridionali del Monte Carpegna a 740 m. di altitudine sorge Carpegna in una posizione aperta e dominante; trae il nome dalla vegetazione che dominava aH’intorno ed è celebre per le dispute a cui diede luogo tra i Malatesta e i Montefeltro. Il Palazzo Carpegna, secentesco dalle linee rinascimentali, domina tutto l’abitato. La salita al monte omonimo è di poco conto e dalla cima si può godere di un panorama splendido sulla Romagna e suirAppennino.

    Di lassù si può anche vedere Pennabilli a 570 m. di altitudine, situato tra due sporgenze rocciose. Il centro si costituì per l’unione di due borghi: Penna e Billi, ed ebbe anche una storia come feudo dei conti di Carpegna.

    La Rocca di San Leo.

    Legato al nome dei Carpegna è Scavolino (740 m.) dove il palazzo della signoria fortificato e di forma allungata era munito di ponte levatoio.

    Macerata Feltria forse è il centro abitato più antico, perchè deriverebbe da un Pitinum Pisaurense; data la minore altitudine (321 m.) anche il suo aspetto è diverso se non altro per il paesaggio circostante meno aspro e montuoso.

    Questo paesaggio che oggi si presenta così intensamente antropizzato ha sparse un po’ ovunque rovine di torri e di rocche che testimoniano i numerosi fatti di guerra e di sangue di cui la regione fu teatro in ogni tempo: così la rocca di Pietrarubbia che si eleva su rocce rossastre, quella di Montecerignone ; le più note però sono quelle del Majolo, di Pietracuta, di Montecopiolo. Quella di Pietracuta, già esistente nel IX secolo quando Ottone I la donò ad Ulderico di Carpegna, ospitò ai tempi del-l’Albornoz una delle capitanerie dell’alto Montefeltro. La rocca di Montecopiolo si può dire abbia sempre rappresentato il più avanzato baluardo dei Montefeltro contro i Malatesta prementi dalla Romagna; il castello in cima ad una roccia, dominato da tre torri, era circondato da una triplice cinta di mura che gli davano fama di inespugnabilità. Il castello di Gradara che è fuori del Montefeltro quasi ai confini amministrativi delle Marche fa anch’esso parte del complesso difensivo. Gradara in prossimità del mare ha mantenuto intatta forse più di ogni altro centro la caratteristica impronta medioevale con le viuzze strette, le botteghe, le porte merlate delle mura dalle torri quadrangolari.

    Sorge sopra un colle dal quale si può godere una splendida vista all’intorno, dominato alla sommità dalla rocca con le torri ed un maschio proteso verso nordest; la costruzione risale al XII-XIV secolo, poi successivamente la rocca fu modificata e restaurata dai Malatesta e da Giovanni Sforza; attualmente, ammobiliata e arredata con mobili e armi dello stile dell’epoca, crea con gli ambienti severi un’atmosfera sentimentale che si riallaccia alla patetica storia di Francesca da Rimini.

    Ma se i castelli e le fortificazioni fissano i momenti aspri della fervida vita politica che si svolse nel Montefeltro, poco lontano di qui, ad Urbino, sorge uno splendido palazzo principesco che con le sue opere d’arte ricorda la gloria di una casata e la vita spensierata della raffinata corte deH’umanista Federico da Montefeltro, celebrata anche con geniale levità nel Cortegiano.

    Urbino è indubbiamente il centro artistico maggiore della regione marchigiana, sito in mezzo a un paesaggio tutto mosso di colline, tra la valle del Foglia e quella del Metauro; pur situata a 30 km. di distanza in linea d’aria dal mare, per la sua posizione elevata, a 451 m. d’altitudine, è ancora in vista dell’Adriatico. La posizione è simile a quella di tante altre città italiane e anche marchigiane, aggrappate alla sommità di una collina, a dominare dall’alto tutto un territorio.

    Nelle complesse vicende che queste contrade hanno visto succedersi, special-mente nell’età di mezzo, con alterne fasi di lotte cruente e di fiorenti periodi di pace, spicca la storia della signoria dei Montefeltro, la famiglia che aveva scelto come sua sede a guardia dei propri domini la città di Urbino, a partire dal 1213. Il periodo di maggior floridezza cade in pieno Quattrocento, sotto la signoria illuminata di Federico da Montefeltro, che univa alla saggezza politica il gusto per le belle arti. Nell’ambiente favorevole che si creò attorno a questo mecenate, che aveva chiamato a sè alcuni dei più stimati artisti dell’epoca, si formarono due tra le figure più rappresentative dell’arte italiana: Raffaello Sanzio e Donato Bramante.

    Rimasta, dopo il Seicento, sotto il dominio temporale della Chiesa, la città vide languire la sua vivacità politica ed artistica, e, senza subire profonde trasformazioni nella struttura edilizia, ha conservato pressoché intatto il carattere di città rinascimentale.

    Visibile da lontano per la sua alta mole in posizione dominante, con le due torri circolari cuspidate, il Palazzo Ducale è il monumento massimo della città, una tra le più pure manifestazioni dell’architettura italiana del Rinascimento, opera in gran parte di Luciano Laurana; il cortile elegante, lo scalone monumentale, la loggia, i tesori d’arte nelle sale oggi trasformate in museo, con pitture, sculture, arazzi, testimoniano la magnificenza della corte ducale di Urbino. Una ventina di sale ospitano la « Galleria Nazionale delle Marche ».

    Nel Palazzo ha sede anche l’Istituto di Belle Arti per la decorazione del libro. Accanto al Palazzo Ducale, aperta sulla piazza Duca Federico, sorge la Cattedrale, rifatta sulle rovine di quella quattrocentesca, del Laurana caduta per un terremoto.

    Urbino, panorama.

    Urbino, la facciata del Palazzo Ducale.

    Non molti altri importanti monumenti artistici sono sparsi nella cittadina, per lo più di età rinascimentale o un poco più antichi, ogivali. Ma come si è detto il volto edilizio conserva, nelle vie, nelle dimore costruite in laterizio, gran parte del carattere originario.

    Interessante è la disposizione della città, che ha dovuto adattarsi alla topografia della collina su cui sorge. Questa è formata da una dorsale a due culminazioni, una delle quali è occupata dal Palazzo Ducale; l’abitato che si adagia nella sella compresa tra una culminazione e l’altra, ricopre queste, aggirandole con lunghe vie ortogonali, congiunte da altre minori vie trasversali. Le vie maggiori si incrociano sulla sella centrale, nella piazza Vili Settembre, che rappresenta l’animato centro cittadino.

    La città conserva tutto attorno la sua robusta cerchia muraria, e non ha potuto, per le condizioni topografiche stesse, svilupparsi e ingrandirsi al di fuori di questa. Le strade uscendo dalle porte cittadine son costrette a scendere ripide nelle valli vicine, o a snodarsi tortuose sui crinali delle colline; la linea ferroviaria, con tratti in galleria e viadotti, si porta fino al piede della città.

    Così isolata sull’alta sua collina, Urbino non ha avuto alcun importante sviluppo demografico, e non supera ora i 10.000 abitanti. Notevole è però la vita culturale, raccolta attorno all’antica Università libera, che annovera la facoltà di giurisprudenza, la scuola di farmacia e il magistrato; è dotata di un orto botanico, e dell’Accademia di studi urbinati.

    Gelosa delle sue ricchezze artistiche, Urbino attrae a sè un notevole movimento turistico.

    Come si è visto in questo vagabondare senza itinerario per le Marche, ogni città ed ogni centro abitato si inserisce nel quadro della regione sia come un organismo che occupa una certa superfìcie improduttiva, sia come la testimonianza delle condizioni materiali della vita nelle differenti epoche, e porta impresse in sè molto più della campagna le impronte delle trasformazioni industriali e sociali che si sono verificate. Concentrando le funzioni della produzione e dello scambio, ogni centro s’innesta nel quadro della vita economica evoluta e si oppone con la sua compattezza alla casa rurale; ma se la comparazione tra i due tipi è difficile in ogni caso, in quanto essi sono l’espressione di due sistemi che si evolvono con ritmo diverso, il confronto diviene impossibile nella regione marchigiana, dove un gran numero di centri è di piccole proporzioni, legato alla conservazione di tradizioni e di arcaismi che non hanno ormai più alcun legame con la vita attuale. Le due forme sono l’espressione di due modi differenti della organizzazione della vita collettiva, derivanti da problemi economico-sociali e da forme di relazione complesse tra i vari settori produttivi, che determinano scambi di uomini tra la campagna e la città, in sèguito a cambiamenti di attività; l’aspetto più appariscente delle relazioni tra campagna e città è dato dal movimento della popolazione verso gli agglomerati in genere, che è in relazione con l’apertura di nuovi settori di produzione. Questo scambio si basa sullo spostamento della manodopera rurale eccedente specie lungo determinate linee di espansione urbana, che coincidono quasi sempre con le maggiori vie di comunicazione; poco più indietro vi è stata occasione di rilevare questo, presentando la serie dei centri sorti lungo le strade; essi servono da termine intermedio tra i centri di produzione posti nelle città maggiori e le aree rurali di consumo che in tal modo sono sempre più sollecitate ad assorbire i nuovi prodotti.

    Urbino, parziale veduta della città dal campanile del Duomo.

    Nella regione marchigiana oltre alle numerose cittadine e ai tanti piccoli centri che si inseriscono nel quadro di una gerarchia commerciale che è responsabile della distribuzione regionale dei prodotti, vi sono anche esempi di città che esercitano una influenza intellettuale sulla regione circostante con l’accentramento di istituzioni culturali come università, musei, biblioteche, archivi, ed anche una funzione amministrativa. In ogni tempo l’azione di queste città sulla periferia fu varia e si manifestò differentemente sul paesaggio circostante sia con la modificazione dei meccanismi di scambio e di distribuzione di prodotti, sia con la espansione delle città stesse.

    Urbino, le « scalette » di San Giovanni.




    L’agglomerazione urbana che costituisce il mercato rurale associa in sè il ruolo di piccolo capoluogo locale e di punto di contatto tra l’economia agricola, ancora legata a forme arcaiche, e quella moderna e raccoglie anche la funzione amministrativa secondo la struttura politica attuale.

    In questo breve vagare senza itinerario si è cercato di cogliere gli aspetti rurali ed umani delle Marche, dagli aspri monti massicci ed imponenti fino alle rive del mare, nel lento declinare delle dolci colline, tra le gole profonde incise dai corsi d’acqua e nelle grotte orride; ma la grande varietà dei personaggi e l’abbondanza dei ricordi e dei documenti di tanti secoli di vita, ricchi di intense e turbinose vicende non permette di offrire una visione completa della regione, nella quale accanto all’arte che ha sempre accompagnato ogni espressione della vita politica e religiosa, sono distribuiti con dovizia vellutati colori, suggestivi silenzi, meravigliosi sfondi marini.

    Le Marche che si presentano oggi come un alternarsi di monti e di colline, di piccole valli e di ristrette pianure, hanno conservato un carattere aspro, ricco di contrasti solo nella parte più occidentale a contatto con l’Appennino, mentre la parte esterna, che si affaccia verso l’Adriatico, presenta un paesaggio addolcito, più maturo, al quale l’uomo con la sua incessante attività ha apportato una serie di modifiche. Le differenze e le diversità che si rilevano conducono alla suddivisione in piccole aree, ognuna delle quali ha caratteristiche particolari ; tuttavia presa nel suo complesso si può dire che la regione nella ripartizione dell’Italia può essere ascritta alla penisola appenninica e distinta nella regione del sistema appenninico, costituita per lo più di rocce di origine sedimentaria, incisa profondamente da fiumi in valli parallele; nella regione delle colline subappenniniche, che si avvicinano molto alla linea di costa, intercalate a brevi cimose pianeggianti che accompagnano i corsi fluviali sino allo sbocco in mare.

    Nel complesso di queste condizioni si possono ritrovare quasi tutti quegli elementi e quelle caratteristiche che delineano singolarmente le varie parti d’Italia, considerate però nelle loro manifestazioni più semplici, più normali.

    Alcuni negano alla regione una individualità geografica considerando forse superficialmente le sue forme e rilevando che non sono spiccatamente caratteristiche, tuttavia si può ben dire che la distinzione con le regioni contermini, ad esempio con l’Emilia, è netta se non altro per l’assenza di una vasta fertile pianura, e così pure è difficile estendere tutti i caratteri dell’Abruzzo teramano e del chietino alle Marche.

    Accanto alla tipica impronta della regione dal punto di vista fisico, si deve porre la individualità del popolo, laborioso e tranquillo, religioso e anche superstizioso, che nel tempo ha saputo esprimere una poesia popolare varia e pittoresca, umile nelle forme ma di profondo sentimento, la quale descrive la vita di ogni giorno e i sogni della fantasia, la gioia e il dolore, l’amore e la morte. Nei caratteri psicologici, semplici ed omogenei di questo popolo, si ritrova facilmente in proporzioni ridotte ogni virtù ed ogni difetto delle genti di tutte le altre regioni italiane; è come se verso questa terra del centro d’Italia venissero ad incontrarsi e ad attenuarsi, come dice il Piovene, tutte le caratteristiche del nord e del sud; ne consegue l’equilibrio costante ed il realistico buonsenso della maggior parte dei figli di questa terra.

    La figura delle Marche stretta ed allungata, con la sporgenza del Cònero protesa — si direbbe — verso l’altra sponda, non ha apportato dei particolari benefici, anzi, in un certo senso, è stata di ostacolo allo stabilirsi di facili comunicazioni tra l’est e l’ovest della Penisola, soprattutto per la presenza della dorsale appenninica; però la posizione al centro dell’Italia costituì sempre indubbiamente un vantaggio in quanto permise alla regione di essere in rapporti rapidi ed anche abbastanza facili con le regioni più ricche e popolate specie del nord. Il porto di Ancona poi, per la posizione naturalmente favorevole rispetto alle comunicazioni con la sponda dalmata, ha attenuato il disagio derivante alle comunicazioni dalla vicinanza della catena appenninica. E come la posizione centrale dell’Italia nel Mediterraneo pur costituendo un vantaggio per le comunicazioni tra oriente ed occidente segrega la Penisola dall’oceano aperto e quindi dai più facili contatti economici, così la posizione centrale delle Marche nell’Adriatico impedisce lo stabilirsi di correnti commerciali marittime importanti e lo sfruttamento di una vasta area marittima per una pesca fruttuosa ed industrializzata.

    Il rilievo appenninico con i suoi bassi passi non ha ostacolato il passaggio di altre genti con scambio di elementi di civiltà, proprio così come è avvenuto per l’Italia nei confronti della catena alpina.

    Come le caratteristiche fisiche e storiche somigliano nelle linee generali a quelle della Penisola italiana, così anche le caratteristiche economiche possono essere suscettibili di un paragone; innanzi tutto la prevalenza del carattere agricolo che data fino dall’antichità, tanto che il lavoro umano ha lasciato tracce profonde specie nel mutamento del paesaggio vegetale. In genere la costituzione del suolo è poco propizia all’agricoltura ed i terreni più estesi sono quelli di media e di scarsa fertilità; anche gli elementi climatici non sono favorevoli, soprattutto è dannosa la siccità che domina dalla primavera all’autunno. Nonostante questo si è estesa una coltura promiscua nella quale a poco a poco ha assunto il sopravvento il grano, specie nelle aree di alta collina e di bassa montagna. Questa tendenza ad estendere la coltura del grano è stata salutare fino a dopo la seconda guerra mondiale, ma i mutati orientamenti del mercato mondiale e le cambiate esigenze della popolazione hanno determinato una crisi, che è non solo della regione ma dell’intera Italia. Da questa ormai viene investito tutto il settore agricolo con forme alle volte preoccupanti che si concretano in una estesa disoccupazione, nell’abbandono della terra da parte dei contadini. E come l’Italia deve mutare struttura all’agricoltura e ridurre la superficie investita a grano in modo da potersi inserire vantaggiosamente nel giro economico europeo e mondiale, così anche le Marche hanno la necessità di estendere le colture foraggere, intensificando l’allevamento bovino per la produzione della carne. La crisi e il disagio possono avere un carattere transitorio qualora il complesso dell’economia regionale,

    organicamente organizzata, riesca a riprendere un contatto equilibrato con le espressioni economiche del più vasto quadro italiano. Attualmente più che altro si osserva nella regione una sfasatura dovuta al fatto che alle mutate condizioni e richieste di alcuni settori del mercato nazionale non ha tenuto dietro l’offerta della produzione regionale.

    L’industria non è trascurabile ma la sua attività è ristretta e soprattutto è rivestita di un carattere artigianale, eredità d’altri tempi, che i mezzi limitati a disposizione non permettono di superare; come per buona parte dell’industria italiana si sono conservate qui soprattutto le tradizioni degli artigiani che lavorano a domicilio o in piccole botteghe fuori dalla organizzazione dell’industria nel mondo moderno; contribuisce a mantenere questo stato di cose la mancanza delle risorse del sottosuolo e la scarsezza della produzione di energia idroelettrica.

    L’arte della seta costituita dalla trattura è in decadenza, così come quella della lana alla quale a poco a poco sono venuti a mancare rifornimenti locali di materia prima, mentre altre industrie artigianali si sono sviluppate e tentano una organizzazione industriale; significativo è l’esempio della industria delle fisarmoniche.

    L’impronta dunque che distingue le Marche è soprattutto data da una tendenza allo stabilirsi di un equilibrio, fisico ed economico, tendenza non recente o moderna ma di sempre, durata tutti i secoli di storia che pure sono passati sulla regione con vicende turbinose.

    E stato detto che le Marche rappresentano in Italia il giusto mezzo di tutte le tendenze sia politiche che economiche e forse in questo c’è effettivamente l’espressione della più viva realtà marchigiana.

    Questa caratteristica si riscontra anche nel modo di vita della popolazione; non si trovano qui grandi città ma prevalgono i piccoli agglomerati con case basse strette l’una all’altra dai quali è bandito l’angoscioso movimento della vita moderna, molti di essi sono su alture, simili a castelli di vedetta; buona parte della popolazione vive poi nei campi coltivando un appezzamento di terra piccolo o grande con amore e con un grande attaccamento ereditato dai padri insieme ad un temperamento serio, forse rude, ma pieno di liberalità.

    Il valore delle Marche nel complesso dell’Italia dunque è dato da questo senso di media in ogni cosa; raccoglie in sè la regione le caratteristiche di tutta l’Italia e smussandone i contrasti e le contraddizioni le esprime in un valore medio che pur non discostandosi dai singoli valori, ha una impronta tipica; la regione cioè, come diceva il Porena, potrebbe rappresentare il valore medio dell’unità geografica ed etnica della Penisola italica.