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I monti Lepini, gli Ausoni e gli Aurunci

    I monti Lepini, gli Ausoni e gli Aurunci

    La montagna lepina della quale abbiamo descritto altrove i lineamenti essenziali, ha anche per quanto riguarda il popolamento caratteristiche proprie che, almeno in parte, dipendono dall’ambiente naturale o, soprattutto dalla struttura calcarea del gruppo montuoso, dalla scarsezza di acqua in superficie, dalle conseguenti limitate possibilità dell’agricoltura, ed anche dalla difficoltà di accesso nel seno dei massicci (da poco tempo attenuata dalla nuova rete stradale). Ma sul popolamento ha influito anche il lungo perdurare del regime feudale. La popolazione sparsa in campagna — salvo talune eccezioni, molto notevoli — è scarsa, i centri abitati di modesto rilievo, sono ammassati ed arroccati talora a grandi altezze ed hanno conservato aspetti arcaici. Vi è tuttavia qualche notevole divario, nella distribuzione dei centri, tra il versante occidentale o meglio sudoccidentale rivolto alla Piana Pontina e al mare e il versante orientale rivolto alla valle del Sacco.

    I centri dei Lepini

    Nonostante le condizioni in complesso mediocremente favorevoli, i Lepini furono abitati da tempo remoto. I più antichi abitanti storici furono i Volsci, cui successero, dopo la conquista definitiva, i Romani; non poche località volsche hanno la loro continuità nei centri attuali, che spesso perpetuano anche il nome classico. Altri centri abitati sorsero nel Medio Evo, ma alcuni di essi in località appartate e di non facile accesso furono poi abbandonati. Testimonianze dell’età feudale restano rocche e castelli, spesso di dimensioni imponenti, in posizioni dominanti, ma talvolta così ardite da sembrare inaccessibili.

    Cori. Il Tempio d’Ercole.

    Al piede del versante occidentale, corre, come sappiamo, la Via Appia, dalla quale diramano le strade inerpicantisi con serie di tornanti, fino a raggiungere i centri elevati; al piede del versante orientale corrono la Casilina e, da poco, l’Autostrada del Sole, dalle quali si dipartono le diramazioni. Due o tre strade tagliano oggi tutta intera la montagna mettendo in comunicazione la Pianura Pontina con la valle del Sacco (la più importante è la statale dei Monti Lepini).

    Dall’Appia, a Velletri, si diparte una strada provinciale che per Giulianello si inerpica a Roccamassima — il più alto comune della provincia di Latina — a circa 750 m. su uno sprone calcareo. La struttura urbana è composta da case serrate o separate da strette viuzze, così da dare l’impressione di una fortezza; e vi fu infatti chi, probabilmente a torto, la identificò con ì’arx Carventana, qualche volta nominata nelle fonti classiche. Il suo isolamento — onde conserva ancora elementi arcaici nella struttura delle case — è ora rotto da una magnifica strada che, attraverso la montagna, la congiunge a Segni (sull’opposto versante). Nella zona prospera bene l’olivo e diffusi sono gli alberi da frutta (ciliegio, fico, ecc.). Il centro aveva al 1951, 967 ab. mentre l’intero comune raggiungeva i 1600 (al 1961 si è ridotto a 1400 ab.).

    Sulle balze scoscese dei Lepini guardano dall’alto l’Appia, l’ubertosa Pianura Pontina ed il mare le vetuste città volsche: Cori, Norma, Sezze e la più recente Sermoneta.

    Cori è sdraiata su un colle, in gran parte coperto da oliveti, e, come già fu detto, è divisa in due parti, Cori bassa (o a valle), tra 270 e 300 m., e Cori alta (o a monte), che raggiunge i 397 m. al sommo dell’erta ove è il tempio di Ercole. E considerata una delle più antiche città del Lazio, e possiede ruderi e monumenti che ne attestano la continuità dall’età preromana fino ai nostri giorni. Fu città latina in territorio prevalentemente volsco, lottò contro Roma, ma già nel 503 a. C. appare come colonia latina, fiorente e ben fortificata; ebbe la cittadinanza romana al tempo della guerra sociale. Importanti i resti di mura ciclopiche a grandi blocchi poligonali, di varia età; nella Cori alta, dove si ergeva l’acropoli, le mura sono dell’età sillana, ovvero in quest’epoca restaurate; ma anche in basso la parte più recente della città era cinta di mura, tra le quali si aprono due porte. Della sua storia nell’età antica e nel Medio Evo si sa poco: nel secolo XIII apparteneva ai Conti di Segni, cui si deve l’erezione del castello; dal secolo XV entrò a far parte del dominio della Chiesa. Nel 1656 aveva circa 4800 ab., poi con varie alternative — grave soprattutto il deperimento del secolo XVIII — toccò di nuovo i 5000 ab. alla metà del secolo XIX e da allora l’aumento fu costante fino ai 7118 ab. del 1901. Il secolo attuale segna sempre un aumento, sia pur minimo, fino al 1951: 7308 ab. al 1911; 7500 al 1921; 9078 al 1931; 9730 al 1951, di cui oltre 8300 nel centro. Al 1961 il comune aveva una popolazione di poco inferiore ai 9400 abitanti. Nel paese, e soprattutto nella parte alta, si conserva l’aspetto antico, con case a scala esterna, viuzze strette e tortuose, voltoni, gradinate. Ma oltre al tempio di Ercole (secolo I a. C.), oggi accuratamente restaurato, e le mura, ha alcune chiese notevoli (S. Oliva e la Collegiata) e abitazioni con elementi architettonici quattrocenteschi. Nuove costruzioni hanno in parte colmato le lacune fra le due sezioni della città, la quale invece non si espande verso la pianura. Notevole è la produzione dell’olio e diffusa è anche la vite, che dà buoni vini.

    Roccamassima.

    L’altissima rupe a picco — la rava come è detta localmente — dalla quale le nerastre, ammassate case di Norma si affacciano da oltre 400 m. sulla pianura, è una delle caratteristiche più singolari di questa parte del paesaggio lepino : a chi, percorrendo la Via Appia o la ferrovia Roma-Napoli, la guardi da sotto, sembra incredibile che un abitato sia andato ad appollaiarsi lassù. E pure l’abitato è antichissimo: lo dimostrano — a breve distanza dal paese attuale — gli spettacolari avanzi dell’antica Norba, con la sua ampia, possente cintura di mura poligonali del perimetro di oltre 2 km. e alte fino a 15 m., ancora ben conservata con le sue porte; essa viene attribuita alla metà del secolo IV a. C. Quale che ne fosse l’origine, si trattò dunque di una vera e propria fortezza, eretta forse dai Latini a difesa dai Volsci, come, sul versante opposto dei Lepini, Signia? O, come è più probabile, di fondazione ancor più antica? E l’abbandono data già dall’epoca di Siila che sembra la distruggesse ? Vi fu un periodo nel quale l’alto bastione rimase interamente deserto ? Certo, là dove il bastione calcareo, che a Norba ha conformazione tabulare, si rastrema più ad est, in uno stretto dosso, sorse — e certo sino dal secolo Vili d. C. — Norma, le cui case si allineano, a oltre 400 m. di altezza lungo quel dosso; vi arriva dalla stazione di Latina (a 8 km.) la strada che con lunghi faticosi tornanti taglia la rupe abbellita da rigogliosa vegetazione mediterranea. Dall’alto l’occhio spazia su un panorama vastissimo che già suscitò l’entusiastica ammirazione del Gregorovius.

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    Monti Lepini. La ripida balza che precipita sulla Pianura Pontina. In alto, il paese di Norma.

    In basso, ai piedi della rupe, dove una sorgente sgorga dalla montagna calcarea, formando un pittoresco laghetto, dal quale si origina il piccolo fiume Ninfa, è la città medioevale di Ninfa, della quale si ha notizia sin dal secolo Vili ; centro fiorente nei secoli XI e XII (nel 1159, quando era feudo dei Frangipane, vi fu consacrato papa Alessandro III) fu dalla fine del secolo XIII quasi sempre possesso dei Caetani; nel corso del secolo XVII venne abbandonata per la malaria e non fu più ripopolata, perchè i tentativi fatti in seguito per risanare il luogo andarono falliti. « Si prova un’inesprimibile emozione nel penetrare in questa città d’edera, nel percorrere le sue vie deserte, nascoste quasi sotto l’erba e i fiori e nell’errare fra quelle mura dove il vento scherza fra le foglie. Non un rumore turba l’alta sua pace, all’infuori del grido del corvo che ha posto dimora sulla torre del castello, del mormorio delle limpide acque nel Ninfeo, del sussurro dei giunchi in riva allo stagno e del canto melodioso e dolce delle erbe agitate dalla brezza. I fiori coprono le vie e vanno come in processione, salgono sulle chiese in rovina, si arrampicano ridendo sulle finestre cadenti, barricano la porte, invadono le case… ». Questa poetica descrizione del Gregorovius — che ebbe anche a definire Ninfa, con frase iperbolica, la « Pompei medioevale » — può dirsi ancora attuale.

    La doppia cinta murata, il castello con l’altissima torre, che si riflette nel laghetto, tre chiese (del secolo XIII) e altre rovine tuttora invase e ricoperte da rigogliosa vegetazione mediterranea, ed attraversate dal fiume Ninfa — serpeggiando tra rive fiorite — costituiscono un paesaggio quanto mai pittoresco ed indimenticabile, abbellito e ravvivato ancor oggi dai Caetani con signorile senso di arte.

    Ma il centro del vastissimo feudo dei Caetani, i quali possedettero un tempo gran parte della regione Pontina, era Sermoneta, su un colle a soli 257 m., che, se pure fu precorsa da un centro volsco, è nota dal secolo XIII e dal 1297 fu sempre nelle mani dei Caetani ; a loro si deve la bella cinta di mura turrite, lo spettacolare castello — a dominare l’abitato — uno dei più insigni e meglio conservati monumenti del genere in tutto il Lazio, con il suo alto mastio (m. 42), i cammini di ronda, il ponte levatoio, gli alloggiamenti militari, le prigioni, le segrete che ricordano il soggiorno di Lucrezia Borgia. Nei suoi dintorni — coltivati a cereali, olivi, ortaggi, ecc. — è interessante visitare l’Abbazia di Valvisciolo del 1240, in forme cistercensi e con bel chiostro.

    Sermoneta.

    Per questi paesi appollaiati in posizioni dominanti, ma lontani dalle vie principali — e ad essi appartiene anche Sezze, oggi il più popoloso (circa 8000 ab. nel centro), erede diretta di Setia, conquistata dai Romani alla fine dell’età regia — ci si può domandare come mai la popolazione non tendeva ieri a discendere al basso, verso l’Appia. Il perchè è da ricercarsi, superate le ragioni di difesa da nemici, almeno in prima linea nella malaria, come ci insegna la sorte subita da Ninfa, come ci conferma l’abbandono di tutta la parte più bassa di Sermoneta, ridotta a un mucchio di case in rovina, e ancora la scomparsa di altre minori località dei dintorni. Ma oggi, per la bonifica, e i recenti insediamenti industriali, la gente della montagna tende a scendere al piano e a mescolarsi con i nuovi venuti, i coloni dell’Italia settentrionale trasferiti a cura dell’Opera Nazionale dei Combattenti nelle terre redente dal lungo abbandono. Quasi tutti i comuni lepini — nell’ultimo decennio in particolare — hanno avuto larghi flussi migratori ed il loro bilancio demografico è sempre più negativo. La crisi dei comuni montani è qui ormai presente con notevole ritmo! L’unico insediamento sparso di antica data nei Lepini, che continua il suo relativo sviluppo, è quello attorno alla frazione di Suso, nel comune di Sezze.

    L’agro di Sezze, che domina la bassa valle dell’Ufente, e quello di Priverno, su un dosso a 150 m. sulla sottostante valle dell’Amaseno, si trovano in condizioni particolari, non per la loro storia che risale ad un’età lontanissima e nell’epoca antica e nell’alto Medio Evo subirono vicende di contese e distruzioni analoghe a quelle delle città lepine già menzionate, e neppure per la struttura edilizia, a case ammassate e anguste viuzze, ma perchè qui, in corrispondenza alle valli dei due fiumi già menzionati, la pianura si ingolfa largamente nell’interno, ed è ricca di acque che hanno pendenza sufficiente per scolare naturalmente: acquitrini e lame d’acqua sono rari o furono già prosciugati in epoca antica. Così a Fossanova, la celebre abbazia che si vuol fondata già dai Benedettini, ma nelle imponenti forme attuali (fin dal secolo XII) si deve ai Cistercensi — insediativisi nel 1133 — l’opera di bonifica della zona è merito dei Cistercensi stessi, che scavarono una grandiosa fossa di scolo (in sostituzione forse di una più antica, onde il nome), e risanarono la regione mettendola a coltura. Così questo territorio forma una specie di oasi di popolazione sparsa (nel 1951 si avevano 10.500 ab. sul totale di circa 18.400 a Sezze; 2600 ab. su 11.770 a Priverno). A Sermoneta la bonifica è più recente ed eseguita dai Caetani con criteri in parte diversi da quelli attuati poi dall’Opera Nazionale Combattenti: la popolazione qualificata come sparsa dal censimento 1951 è di circa 3000 ab. sul totale di 4375; al 1961 si hanno 4555 ab. nel comune, ma il centro tende a spopolarsi a vantaggio della campagna.

    Priverno, che è l’erede della volsca Privernum, costruita più in basso del borgo attuale, ebbe vita oscura nell’antichità e nel Medio Evo; una tradizione ne attribuisce la distruzione a corsari arrivati fin qui nel secolo IX. Fu ricostruita col nome di Piperno ed ha l’aspetto consueto dei centri lepini, con caratteristiche case a scala esterna e chiese di architettura cistercense, come il Duomo attuale (secolo XII-XIII); ma la parrocchia intitolata a S. Benedetto è più antica (secolo IX). La citta, che dal 1928 ha ripreso l’antico nome, anche dal punto di vista demografico ha avuto vicende analoghe a quelle degli altri centri lepini. La popolazione di 3750 ab. circa, che risultano dal censimento pontificio del 1656, rimase intorno alla stessa cifra fino al principio del secolo XIX (3593 nel 1816), poi si accrebbe e soprattutto nell’ultimo trentennio del secolo (circa 6740 ab. nel 1901); rallentato dall’emigrazione, tra il 1911 ed il 1921, questo incremento è poi ripreso (9154 ab. nel 1951 al centro e meno di 12.000 nel comune, che solo per breve tempo — dal 1928 al 1947 — incorporò anche i due comuni limitrofi di Maenza e Roccasecca dei Volsci; quest’ultimo centro domina dal versante occidentale degli Ausoni la valle dell’Amaseno). Al 1961 il comune di Priverno aveva poco più di 11.600 ab., mentre Maenza e Roccasecca dei Volsci presentavano rispettivamente 3200 circa e 1260 abitanti. Ma Priverno ha il grande vantaggio di trovarsi quasi sulla strada che, utilizzando il solco percorso dall’Amaseno, tra i Lepini veri e propri e gli Ausoni, conduce nella valle del Sacco e poi a Frosinone; da essa si dirama, a poca distanza sotto l’abitato di Priverno, l’altra via meno frequentata che per Carpinete) Romano e Montelànico raggiunge la Casilina a Colleferro: sono le due strade principali che traversano l’intera montagna lepina.

    Vedi Anche:  Tradizioni popolari di Roma e del Lazio

    L’oasi della quale si è parlato è intensamente coltivata ad ortaggi (carciofi, insalata, ecc.), alterna ai campi di grano, oliveti, vigneti, frutteti, ed è popolata di bovini al pascolo ed anche di bufali; si insinua poi nella montagna calcarea, cedendo il posto al solito paesaggio di boscaglia, macchia, pascolo magro, intercalato però, dove emerge qualche sorgente, da altre piccole aree con ortaglie, vigneti, frutteti, ecc.

    I centri abitati, compatti e ammucchiati — spesso cinti di mura — si rifugiano di nuovo in alto, raggiunti da ardite strade: Roccasecca dei Volsci (che si vuol fondata dai profughi della distrutta Priverno), Prossedi, Villa Santo Stefano, Roccagorga, Maenza, Bassiano; case scure, quasi nere, viuzze tortuose, che immettono in piazze solitarie, volti oscuri, abitanti che circolano silenziosi, chiusi ancora nei loro tradizionali abbigliamenti, talora bellissimi. Ma chi penserebbe che Bassiano fu patria di Aldo Manuzio, che a Maenza soggiornò a lungo, ammalato — secondo la tradizione — S. Tommaso, che illustri famiglie ebbero qui i loro feudi? Ogni paese conserva memorie antiche; più d’uno, oltre Roccasecca, ripete la sua origine dalle genti disperse dopo la distruzione di Priverno.

    Priverno. Palazzo comunale e Cattedrale.

    L’Abbazia di Fossanova sorge allo sbocco della valle del-l’Amaseno nella Pianura Pontina. È insigne monumento di architettura gotico-cistercense, eretto nel secolo IX dai Benedettini, ricostruito poi nei secoli XII-XIII dai monaci cistercensi, in territorio da essi bonificato.

    La strada da Priverno a Colleferro, che, salendo fin quasi a 700 m., traversa una delle aree più aspre dei Lepini — si aderge ad ovest il Monte Semprevisa, ad oriente il Malaina — permette di farci un’idea vivace del paesaggio carsico, nelle sue forme più grandiose, come la spettacolare grotta del Formale presso Carpinete, e in quelle più minute e bizzarre, coi suoi solchi torrentizi privi spesso di un filo d’acqua, con le sue pendici nude, e i dossi calcarei erosi e come cariati ; vasti tratti del percorso sono assolutamente suggestivi ma deserti: due soli i paesi, Carpinete Romano, patria di Leone XIII, e Montelanico.

    Questa strada sbocca, come si è detto, a Colleferro, ma, prima di raggiungere il piano che, solcato dal Sacco presenta un paesaggio del tutto diverso, già descritto nel capitolo precedente, passa sotto l’allungata collina sulla quale, a 668 m. è sdraiata Segni, che abbiamo già altrove segnalato come esempio caratteristico di centro di dorsale. E anche questa un’antica città volsca, munita e possente, come attesta il perimetro di circa 2 km. della imponente cinta murata che faceva il giro della intera collina; ne sono conservati vasti tratti, in uno dei quali si apre la singolare Porta Saracena, nome che si vuol collegato ad una incursione di Saraceni, della quale è memoria in altre località dei Lepini. Sulla sommità dell’acropoli sono le rovine di un grandioso tempio, trasformato poi in chiesa, e di un cisternone che qui, come in altri paesi dei Lepini poveri di acqua, serviva per la raccolta dell’acqua piovana. La tradizione attribuisce all’ultimo periodo dell’età regia la dedizione di Segni a Roma, cui rimase sempre fedele; dal 90 a. C. fu elevata a municipio. Nel Medio Evo fu sede vescovile sino dalla fine del secolo V, e dal principio dell’Vili appartenne alla Santa Sede. Il periodo di maggior splendore cade tra il secolo XII e il XIV; nel 1353 fu ceduta in feudo ad una famiglia che prese poi il nome di Conti di Segni; nel 1557 fu saccheggiata dalle truppe del duca d’Alba; nel 1639 passò ai Barberini. Allora la città si era assai ridotta di estensione e non aveva più di 2500 ab. e, dopo varie alternative, circa 3500 nel 1816 e 4842 nel 1853. Con progressivo incremento raggiunse quasi i 7000 ab. nel 1901 e oggi (1961) ne ha circa 8650 (8385 nel centro al 1951). La vicinanza di Colleferro ha giovato allo sviluppo di Segni che ha in basso caseggiati nuovi del tutto in contrasto con quelli di vecchio tipo della parte antica.

    Panorama di Segni.

    Gli altri paesi dei Lepini situati sul versante del Sacco, evitando il fondovalle soggetto a inondazioni, si allineano su dossi o aspre colline fra 300 e 400 m. — Gavi-gano (390 m.), Morolo (397 m.), Supino (320 m.) — cioè verso il limite superiore delle colture vallive; il più alto e il più appartato è Gorga, a 780 m. nel cuore della montagna; la popolazione in diminuzione tra il 1871 e il 1901, prese poi a crescere, ma con estrema lentezza. Oggi tende nuovamente a diminuire.

    Ma dove la valle del Sacco, subito dopo la confluenza col Cosa, si restringe, come già altrove si è detto, fra le estreme propaggini delle colline erniche e il piede dei Lepini, sorge su un estremo sprone di questi, avanzato verso la pianura, Ceccano, che alta appena un centinaio di metri sul fiume, domina tuttavia su tutto il paese intorno. Se Ceccano sorgesse sul luogo di Fabrateria è incerto; il nome compare all’epoca di papa Silverio (secolo VI), cui si attribuisce la cinta murata che tuttora racchiude la parte vecchia del borgo, del secolo Vili, se pur non anteriore è il castello (spesso rimaneggiato), che fu sede dei famosi Conti di Ceccano. Questi costituirono una vera e propria potente dinastia, ora appoggiata al Pontefice, ora in aperta lotta, che dominava tutta questa sezione della valle del Sacco, e, oltre i Lepini, si estendeva nella Marittima. Il periodo più splendido cade nel secolo XII, ma ancor molto più tardi quando, dopo vari trapassi di feudatari, la contea venne in mano dei Colonna (1524) essa occupava una vasta estensione tra il Sacco e la Piana Pontina. Nel 1656 Ceccano era però ridotta a meno di 1300 ab., un secolo dopo ne aveva circa 2500.

    Vedi Anche:  Subregioni del Lazio

    Oggi la funzione di Ceccano è mutata: l’abitato uscendo dal vecchio borgo, si è esteso in basso lungo il fiume, anzi ha un sobborgo in rapido sviluppo con industrie (saponificio, ecc.) presso la stazione ferroviaria della Roma-Cassino; la campagna si è cosparsa di case rurali e fattorie. Gli abitanti che erano circa 4500 nel 1782, erano saliti a 7000 nel 1871 (nell’intero comune), a 10.000 circa nel 1901, a 17.196 nel 1951. Ma di essi il censimento ne novera poco più di 6000 nel centro e oltre 10.000 in case sparse. Per questo riguardo oggi Ceccano rientra a far parte dell’oasi a popolazione sparsa del Frusinate. Al 1961 il comune aveva 17.500 abitanti. Il passaggio nelle sue vicinanze dell’Autostrada del Sole lascia prevedere per Ceccano, come del resto per gli altri centri del Lazio meridionale lambiti dall’importante arteria stradale, un ulteriore sviluppo delle attività industriali e di conseguenza un ulteriore incremento demografico.

    Il paesaggio degli Ausoni

    L’aspro, rude massiccio degli Ausoni è scarsissimo di popolazione e per quanto i suoi centri più alti, non più di sette od otto (come Sonnino, Roccasecca dei Volsci, Amaseno, Lénola, Pàstena, ecc.), un tempo lontani dalle strade frequentate, possano essere ora raggiunti da vie secondarie diramantisi sia dalla Priverno-Frosinone che dalla Itri-Ceprano, sono rimasti ancora appartati nella loro fìsonomia tradizionale. Di Terracina e Monte San Biagio, centri di maggiore interesse e legati alle normali vie di grande comunicazione della regione — perchè posti alle falde delle estreme propaggini meridionali del massiccio, che si dirige quasi a strapiombo tra la Pianura Pontina, il mare e la piana di Fondi — diremo nel capitolo seguente. Nessuno dei paesi sopra ricordati (escluso Sonnino, compatto ammasso di case attorno ad un colle conico e patria del cardinale Antonelli, segretario di Stato di Pio IX) supera nel centro i 4000 ab., anzi in taluni (Pàstena, Vallecorsa) la popolazione tende a diminuire. Tuttavia le campagne nei solchi vallivi e nei fondi delle maggiori cavità sono ben popolate e abitate. Il paesaggio è conformato dal carsismo che si presenta con fenomeni grandiosi di superficie e di profondità, specialmente fra Vallecorsa e Pastena, dove l’idrografia è completamente sotterranea e i grandi campi carsici (polje) si alternano con zone a doline come quelle che crivellano la dorsale che limita ad est il solco vallivo di Vallecorsa. Ben nota è la Grotta di Pàstena, anche perchè attrezzata in modo da essere, almeno in parte, accessibile ai turisti: si apre con un grandioso portale che immette in un salone d’ingresso alto 25 m. e lungo una sessantina. Da esso si dipartono i due livelli della grotta: quello superiore, antico percorso del fiume, ora abbandonato, si svolge con un corridoio in pendenza, talora ristretto a un tortuoso cunicolo che dà accesso alla magnifica Galleria delle Meraviglie e alla Galleria dei Pipistrelli, poi prosegue bellissimo, formando tre altre grandi sale separate da stretture: la Sala delle Colonne, quella del Monte Nero e, l’ultima, la tondeggiante Sala dell’Aquila. Il livello inferiore, quello attivo, è percorso dalle acque che, dopo una piccola diga artificiale, precipitano con un salto di 10 m. in un altro salone con un lago circolare, poi si inoltrano per stretti passaggi in ambienti di varia ampiezza con minuscoli pittoreschi laghetti; al termine sono due sifoni, uno rischiosamente transitabile ad acque basse, l’altro sempre sommerso. Le due grotte presentano diramazioni e cunicoli non ancora interamente esplorati; come inesplorata è la eventuale comunicazione fra la grotta superiore e l’inferiore.

    La grotta di Pàstena.

    Il bacino carsico chiuso di Pastena (Prosinone), secondo A. G. Segre.

    i, Fondo alluvionale dei «Piani»; 2, Area occupata dai laghi temporanei; 3, Colli calcarei isolati (humus); 4, Conoidi; 5, Perimetro del bacino chiuso di Pastena; 6, Bacini minori e periferici; 7, Alvei principali (con indicata la direzione del deflusso delle acque e a trattini trasversali le canalizzazioni artificiali); 8, Alvei secondari; 9, Percorsi sotterranei impenetrabili; io, Doline e piccole depressioni chiuse; 11, Voragini e pozzi carsici; 12, Inghiottitoi e risorgenti a grotta; 13, Grotte asciutte; 14, Sorgenti e risorgenti impenetrabili.

    Una sezione dei Monti Aurunci rivolta al Golfo di Gaeta.

    I centri montuosi degli Aurunci

    La già ricordata strada da Itri a Ceprano (di cui è previsto in un prossimo futuro l’ammodernamento con viadotti, gallerie e nuovi raccordi), si suole assumere — come si è detto — quale confine tra gli Ausoni e gli Aurunci. Questi hanno, come si è già visto altrove, struttura analoga a quella degli Ausoni; ma sono ancora più aspri, plasmati dal carsismo del quale presentano pure fenomeni grandiosi, finora poco studiati; sono poverissimi, nelle parti più elevate, di centri abitati mentre quelli più notevoli sono posti alle loro radici, verso il mare, come avremo modo di vedere nel successivo capitolo.

    L’ora detta strada, che su un percorso di circa 40 km. da Itri al Liri (poco a valle della confluenza del Sacco), sale in qualche punto ad oltre 600 m. (Sella San Nicola, dove vicino è il noto Santuario della Madonna della Civita), incontra appena due centri: Pico (3575 ab. al 1961) e San Giovanni Incarico (4036 ab. al 1961). Più addentro, lungo il primo tratto della strada è Campodimele. Nell’interno della montagna aurunca, ma sul versante del Liri, a 370 m. di altezza, è Esperia (comune istituito nel 1866 per l’unione dei comuni di Roccaguglielma e San Pietro in Curilis), nota per l’abbigliamento muliebre ancora conservato (circa 5450 ab. al 1961). I paesi si allineano al margine meridionale, un po’ in alto, ma in vista ormai del vicino mare, ovvero sulla strada, abbastanza frequentata oggi, da Formia a Cassino, come Spigno Saturnia, Ausonia, Castelnuovo Parano, ecc. Anche i lembi più orientali degli Aurunci, tra questa strada ed il solco del Garigliano, per quanto molto meno elevati, mancano assolutamente di centri notevoli: Coreno Ausonio, Sant’Andrea, ed alcuni altri ancora fra cui Vallemaio (denominato Valle-fredda fino al 1932), il più appartato (337 m.), che ha veduto dal 1921 decrescere la popolazione (1417 ab. al 1961). Questa tende a scendere sempre più al basso, come è avvenuto del resto in tante altre parti dell’area montuosa lepina in senso lato.