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Subregioni del Lazio

    Regioni naturali e subregioni

    In conclusione, le denominazioni che abbiamo passato in rassegna solo in pochi casi ci aiutano a suddividere la regione cui si dà oggi il nome di Lazio in subregioni. Né ci si può appagare dell’attuale divisione in province, della quale si sono già esposte l’origine e le vicende; e neppur si potrebbe ricorrere ad aggruppamenti arbitrari di comuni, per quanto nel Lazio il comune, nei suoi confini spesso immutati da secoli, rappresenti una unità territoriale più significativa, anche dal punto di vista geografico, della provincia.

    La campagna viterbese presso Tuscania.

    Ma si può vedere se le caratteristiche fisiche del Lazio, descritte nei precedenti capitoli, non suggeriscano una suddivisione in subregioni meglio rispondente alle condizioni naturali? Il lettore troverà un tentativo — nulla più che un tentativo — di risposta a tale quesito nella cartina della pagina seguente, a chiarimento della quale possono del resto richiamarsi anche alcune cose esposte nella succinta descrizione della morfologia del Lazio fatta nel capitolo terzo; quivi sono già adombrati alcuni degli individui geografici cui può spettare l’appellativo di regioni naturali. Ma un rapido commento della carta non sembra superfluo.

    Cominciando da nord, nella Tuscia Romana, si possono individuare sei o sette regioni naturali. La più settentrionale e più vasta è la regione vulsinia, la cui individualità è determinata dal grande apparato vulcanico, col suo ben conservato orlo craterico, col suo lago, con i minori apparati periferici e le estese espansioni tabulari che irradiano in ogni senso dall’area centrale. A nord appartiene a questa regione ancora Acquapendente, ma essa sorge propriamente al limitare di un’appendice che, come già altrove vedemmo, si insinua fra le province di Grosseto e di Perugia ed ha per il paesaggio, le colture, i tipi di abitazioni, affinità con la Toscana; non sarebbe forse troppo ardito dare a questa piccola subregione il nome di «Lazio toscano», se il termine Lazio non suonasse come esotico qui, come in tutta la Tuscia Romana per ragioni che vedemmo a suo tempo.

    Una bassa soglia — il Pian di Viterbo (denominazione che ricorre frequente nell’uso locale) — divide la subregione vulsinia da quella cimina, che ha per centro l’apparato vulcanico dello stesso nome ; subregione ben individuata, costituita dal grande apparato che circonda il Lago di Vico e dall’espansione di materiali vulcanici — lave e tufi—che largamente si distendono all’intorno in dossi e ripiani ondulati, cui le forme del terreno, la qualità delle colture, la posizione e il tipo degli abitati, espressione diretta e manifesta della morfologia, conferiscono una netta individualità.

    Meno evidente del limite settentrionale è il limite meridionale della subregione, perchè meno marcata la soglia divisoria dalla terza subregione, la regione sabatina, più limitata, divisa fra le province di Viterbo e di Roma (caso tipico di un confine provinciale che non ha alcun rapporto con caratteristiche fisiche), ma tuttavia ben individuata anch’essa dagli apparati vulcanici e dalle loro appendici distese anche qui in piani inclinati rotti dai profondi solchi d’erosione di numerosi, vivaci torrentelli.

    Da queste tre subregioni il terreno declina ad ovest più o meno rapidamente assumendo sotto i 150-200 m., l’aspetto di una pianura cui può spettare il nome di Maremma Laziale, per analogia con la Maremma Toscana. Simili erano difatti gli aspetti del paesaggio naturale: laghi e acquitrini costieri, cordoni di dune litoranee con lembi di pinete, fiumi pigri, irregolari e capricciosi, vaste distese di acque stagnanti, scarsezza di abitanti stabili, macchie e pascoli. Simile dovunque l’intervento dell’uomo, e analoghi i risultati raggiunti o avviati: bonifica, riduzione della macchia e del pascolo, diffusione delle colture erbacee, popolamento con colonie stabilite secondo piani predisposti, formazione di una rete di strade rurali con centri di servizio, ecc. La fascia della Maremma è variamente larga: a nord essa si ingolfa in corrispondenza delle valli della Fiora, dell’Arrone e della Marta e conserva aree nelle quali il pianificato intervento umano è di data recente.

    Vedi Anche:  I Castelli Romani

    Subregioni del Lazio.

    Verso sud interrompono la Maremma i Monti della Tolfa, residuo, come si è visto, di un apparato vulcanico più antico degli altri e molto smantellato; essi formano una piccola subregione a sé, che si spinge fino al mare (a Capo Linaro) e gli si avvicina anche nelle alture di Cerveteri e del Sasso; a sud di queste la fascia di maremme riprende più ristretta e si riallaccia alla Campagna Romana.

    Ad est gli apparati vulcanici della Tuscia Romana, o meglio le espansioni tabulari di lave e tufi che ne irraggiano, declinano verso la valle del Tevere, la quale ha caratteristiche comuni in tutto il suo percorso a monte di Roma: impluvio ampio nel quale il fiume serpeggia inondando frequentemente tutta la fascia del fondovalle, che è perciò rifuggita dai centri abitati: pendici di solito non molto ripide e terrazzate con allineamenti di villaggi sulle brevi spianate, su dossi, su sproni, colture di vite, ulivo, grano. Si può pertanto individuare una subregione a sé, che peraltro appare divisa in due sezioni dalla rupe di Orte, imminente sul fiume e sotto la quale confluisce il Nera. La sezione a monte di questa altura ha anche un proprio nome, già sopra menzionato

    — Teverina — che peraltro abbraccia anche il versante sinistro della valle che è umbro. La sezione a valle più ampia, non ha un proprio nome, che dovrebbe in ogni caso applicarsi anche qui, come per la Teverina, ad entrambi i versanti che hanno aspetto e caratteri similari. Ma il versante sinistro per un tratto sotto Orte è umbro (provincia di Terni), per il resto appartiene alla provincia di Rieti; anche in questo caso dunque il confine provinciale, che qui è pur segnato e da tempi remoti dal Tevere, non separa due diverse regioni naturali, ma ha la sua origine e la spiegazione in un fatto storico (antico confine fra il paese sabino e il paese etrusco).

    La valle del Tevere da Filacciano.

    La Campagna Romana.

    A valle di Passo Corese e, in modo più evidente tra le alture di Monterotondo e di Riano, la valle del Tevere si apre e si entra nella Campagna Romana, che può costituire indubbiamente una subregione a sé, come in parte si è veduto nel descriverne l'originaria fisonomia naturale, e come meglio apparirà da una descrizione particolare che ne presenterà il suo aspetto attuale, i cui lineamenti dipendono, in modo sempre più evidente, dall’opera dell’uomo.

    Riserviamo il nome di Sabina, quale subregione, al territorio situato ad ovest del Turano (e a nord del Tevere): ad esso danno una assai spiccata individualità il paesaggio collinoso, costituito in prevalenza da rocce arenacee, marnose, ecc. del Terziario superiore, il tipo e la distribuzione delle colture, la situazione e la forma dei centri. Più difficile è la divisione in subregioni della rimanente provincia di Rieti costituita da montagne calcaree delle quali già abbiamo più volte segnalato le caratteristiche essenziali. Possiamo distinguere il Cicolano, cioè la valle del Salto coi monti che la rinserrano su entrambi i versanti, la Piana Reatina, che ha caratteri propri, la subregione del Terminillo, e la subregione delle alte conche intermontane (Leonessa, Amatrice), che, come si è già rilevato altrove, è veramente un lembo di Abruzzo e potrebbe designarsi come « Lazio abruzzese » se anche in questo caso il binomio non apparisse quasi un bisticcio.

    Vedi Anche:  La valle dell'Aniene

    Alle dodici o tredici subregioni che abbiamo segnalato nel Lazio a nord del Tevere, altrettante almeno se ne debbono aggiungere per la parte a sud.

    Tra queste i Colli Laziali costituiscono, come si è già segnalato, sia dal punto di vista fisico, che da quello antropico, una subregione ben delimitata, tra la Campagna Romana e quelle che erano le « Paludi Pontine », tanto bene individuata che si additava come un’oasi nelle incolte e spopolate piane laziali. Oggi le coltivazioni discendono irraggiando in ogni senso nella pianura, il popolamento ha proceduto di pari passo con la bonifica, e di oasi non si può più parlare; ma la piccola regione ha mantenuto e mantiene la sua spiccata individualità.

    Ad oriente, oltre la soglia prenestina, si adergono, di contro ai Colli Laziali, i rilievi di quella che può designarsi come subregione prenestina in senso largo, estendendola fino al solco dell’Aniene. La struttura calcarea del rilievo contrasta in modo evidente con quella vulcanica dei Colli Laziali ; ma l’altezza relativamente modesta (i così detti Monti Ruffi non arrivano a 1300 m.), le forme movimentate per l’intensa azione erosiva di fossi e torrenti, la diffusione delle coltivazioni, che in appezzamenti frequenti ma non molto estesi, si alternano con superstiti lembi di bosco e con aree pa-scolive, conferiscono un aspetto ancor lontano dalla rudezza del prossimo Appennino calcareo laziale; scarsissima la popolazione disseminata in campagna, ma molto numerosi i villaggi compatti, non pochi dei quali, appollaiati ormai su dossi scoscesi o su cocuzzoli, preannunziano una caratteristica, che è propria dell’Appennino calcareo vero e proprio.

    Questo costituisce la subregione ernico-simbruina, ad oriente dell’Aniene, del Piano di Arcinazzo e della valle superiore del Cosa, la più rude e alpestre del Lazio, con vette superiori a 2000 m. (Viglio 2156 m.) e coi tipici caratteri della struttura carsica, già descritti nel capitolo terzo, cui si accompagna nudità e aridità delle aree culminali, sviluppo della circolazione sotterranea, prevalenza dell’economia pastorale, scarsità di centri abitati. La linea di cresta della montagna serve di confine con l’Abruzzo; ma se si adottasse una partizione che prescindesse da tale confine, la subregione si dovrebbe estendere fino al profondo solco dell’alto Liri.

    Questo sbocca in piano poco a monte di Sora dove comincia la Val Sorana, nome territoriale in passato frequente anche in atti e documenti, oggi non più in uso, ma rimasto nel nome di un piccolo centro dell’Abruzzo, Balsorano.

    Vedi Anche:  I monti Lepini, gli Ausoni e gli Aurunci

    Ad est del Liri, il rilievo che occupa la parte sudorientale dell’attuale Lazio amministrativo viene talora compreso sotto il nome di Mainarde, di incerta origine, ma, come si è visto altrove, esso non può certamente applicarsi a tutto il complesso, che è del resto rotto in più cantoni dalle valli del Melfa e del Rapido e da altre minori. Vi si possono distinguere l’area culminale che, distesa a semicerchio, può considerarsi una subregione prolungante, con i medesimi caratteri, la montagna simbruino-ernica; le colline dell’Arpinate, morbide e riccamente coltivate, l’alto e medio bacino del Melfa, costituente in gran parte la Val di Cornino o Cominese, denominazione tuttora in uso, che perpetua con significazione territoriale, il nome dell’antica città di Communi; inoltre il gruppo isolato del calcareo Monte Cairo, ben individuato tra il Melfa e il Rapido.

    La valle del Sacco, continuata dal Liri fino alla confluenza col Gari, confine della Campania, costituisce una subregione a sé, che si può ben designare col nome, già adottato in queste pagine, di Valle Latina. Dall’anfiteatro collinare di Genazzano e Paliano si sviluppa, in direzione di sudest, angusta sul lato destro, sul quale scendono ripide le pendici dei Lepini, molto più ampia sul lato sinistro, dove si ingolfa in corrispondenza alle basse valli del Cosa, del Liri, del Melfa e del Rapido-Gari. Il fondovalle va diminuendo di altezza man mano che si procede verso sudest: sotto Genazzano è a 205 m., sotto Frosinone a 150 m., a Pontecorvo a 50 m., alla confluenza col Gari a 16 metri. La fertilità del suolo, adatto alle più svariate colture, la presenza di strade di comunicazione, frequentate da remota antichità, con altri fattori di ordine naturale e storico, hanno determinato l’affollarsi della popolazione sia nelle ubertose campagne (è, come si è già detto, una delle parti del Lazio con più copiosa popolazione sparsa), sia in centri di varia entità lungo i fiumi e più ancora sulle più vicine alture.

    Pendici ad olivi dei Lepini presso Norma.

    Le pendici meridionali del Circeo ed un’antica torre di difesa.

    La montagna del Lazio meridionale comprende a sua volta tre subregioni delle quali non ripetiamo qui le caratteristiche già altrove descritte; la subregione lepina, quella ausona e quella aurunca, non dissimili tra loro per gli aspetti connessi direttamente o indirettamente con la struttura calcarea. Notiamo, infine, che la regione di Roccamonfina, a sud dei confini tra il Lazio e la Campania, e divisa dagli Au-runci dal corso inferiore del Garigliano, sebbene sia un apparato vulcanico spento, di aspetto perciò del tutto differente dai monti ora ricordati, anche per la minore altezza, può dirsi una ripetizione in miniatura della subregione laziale, trasportata in ambiente di clima più mite.

    Il Lazio meridionale litoraneo e sublitoraneo può dividersi in tre subregioni : quella della Pianura Pontina bonificata che prolunga, senza soluzione di continuità, ma con caratteri diversi, la Campagna Romana; la Pianura di Fondi, compresa fra le pendici meridionali dei Monti Ausoni e quelle occidentali degli Aurunci ; ed infine il Mintur-nese, breve pianura in massima parte percorsa dall’Ausente ed appoggiata a sudest al Garigliano. Le Isole Ponziane debbono naturalmente considerarsi come una subregione a sé.