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Gli abitanti delle città della Lombardia

    Attraverso le terre lombarde

    Il Milanese e il Lodigiano

    Se, nelle pagine che precedono, notizie e considerazioni di ordine generale relativamente ai problemi che distinguono nel suo assieme il territorio lombardo hanno prevalso (e ciò a causa del significato che i problemi stessi hanno nel quadro regionale e nazionale), si vuol qui porre riparo cercando di delineare in breve le caratteristiche e gli elementi che danno un’impronta particolare alle diverse parti e regioni precedentemente distinte nell’àmbito della Lombardia.

    E par giusto, in questa successione di quadri che compongono l’armonioso assieme, dar la precedenza al Milanese che, per la presenza della metropoli (cui son dedicate alcune pagine del capitolo seguente), ha sentito più vibrante le sollecitazioni a quel ritmo e a quelle forme di vita che distinguono il capoluogo lombardo da ogni altra città d’Italia. L’influsso del capoluogo è qui più sensibile che altrove, nè, data la vitalità dello stesso e la sua vicinanza, potrebbe essere altrimenti. Nel contempo, però, i requisiti più tipici di cui la natura ha dotato il territorio del Milanese non sono stati obliterati dall’impeto innovatore dell’opera umana, talché mentre chi da Milano si diriga verso l’alta pianura fatica a distinguere dove cessi la metropoli, per i tentacoli che allacciano l’un l’altro i centri e per gli opifici che questi attorniano quasi anelli di un’unica ininterrotta catena, chi invece lascia la città per la bassa s’interna, pochi chilometri fuori dalla cerchia delle mura spagnole, in un paesaggio georgico che l’opera umana ha trasformato per più alti rendimenti, ma non distrutto. Si può dire che nel Milanese si possa aver rivelazione in poco spazio della saggia opera che l’uomo ha svolto anche nel territorio lombardo, plasmandolo nella forma meglio rispondente alle condizioni d’ambiente. In complesso, dunque, il Milanese dal Ticino all’Adda può essere distinto in due parti tra loro dissimili: la parte dell’alta pianura, industriale, fitta di città e di opifici, la parte della bassa, agricola, con radi borghi e grandi corti; l’una dall’altra distinta dal limite superiore dei fontanili. Volti diversi, ma ugualmente animati da un’intensa vita.

    La bassa pianura milanese è dominio della marcita, che verso il Pavese cede a poco a poco alla risaia. I verdi riquadri di prato rigoglioso, cinti dai fossatelli colmi delle acque tiepide dei fontanili (da cui visibilmente si leva nelle fredde giornate invernali il vapore che contribuisce a render brumosa l’atmosfera milanese), iniziano ai margini meridionali della metropoli.

    L’Abbazia di Chiaravalle.

    Veduta aerea di Melzo.

    All’Abbazia di Chiaravalle, a cinque chilometri da Porta Romana, ebbe inizio tal tipo di coltura otto secoli or sono ed essa ancora predomina. L’antico monumento, il più notevole dei dintorni della città, sorge sul luogo del cenobio fondato nel 1135 da San Bernardo, abate di Clairvaux (da cui il nome di Chiaravalle). I Cistercensi oltre ad erigere e ad abbellire l’Abbazia (1172-1221) da cui furono cacciati nel 1789, curarono per secoli la bonifica della campagna circostante. Dopo i danni recati dai furori rivoluzionari di fine Settecento e l’incuria di un secolo e mezzo, l’antico monastero, restaurato con il ritorno dei frati (1953), ha ricuperato di recente parte della sua antica bellezza architettonica che scaturisce dall’armoniosa fusione del gotico con elementi lombardi. Non è tuttavia quello di Chiaravalle l’unico vestigio lasciato dai religiosi nella bassa milanese. Lungo il Naviglio di Bereguardo, a sud di Abbia-tegrasso, sorge la bella Abbazia di Morimondo fondata un anno dopo quella di Chiaravalle dai Cistercensi di Morimond (Francia), che si resero benemeriti nella trasformazione agricola della zona. Più volte saccheggiata nel corso dei secoli, venne restaurata nel 1950, ricuperando una parte modesta del suo antico splendore. Lungo la Via Emilia, nei pressi di San Giuliano Milanese, rimane l’Abbazia di Viboldone, fondata dagli Umiliati nel secolo XII ed edificata nei secoli seguenti, la cui chiesa, in cotto, associa in bella armonia elementi strutturali del romanico e del gotico. Lungo la strada Vigentina, presso Noverasco, sorge l’Abbazia di Mirasole, pure fondata dagli Umiliati nel secolo XII ; ma per lungo abbandono, ha perso gran parte del suo pregio.

    La pingue uniformità della bassa è interrotta dalle grandi arterie di traffico lungo le quali s’incontrano i centri maggiori, alcuni dei quali di antica origine, tradizionalmente agricoli e attualmente in via di evoluzione verso l’industria. Sulla Padana, a 26 km. da Milano, ecco Magenta (12.453 ab.), stazione fondata dagli Insubri, colonia romana, fortezza medioevale, feudo poi dei Melzi di Milano. Il 4 giugno 1859, attorno all’ancor piccolo centro, si svolse la cruenta ma vittoriosa battaglia, che determinò il ritiro delle truppe austriache da Milano e dalla Lombardia. Pur non perdendo le sue prerogative tradizionali, Magenta nel nostro secolo ha visto sorgere notevoli industrie quali quelle dei fiammiferi, della seta artificiale, delle materie plastiche, delle serrature, ecc. Lungo la strada per Mortara si trova Abbia-tegrasso (14.525 ab.), grosso centro agricolo sorto attorno al castello medioevale (1382) e alla bella basilica rinascimentale di Santa Maria Nuova. Sulla Via Emilia, si susseguono diversi abitati tra i quali notevole Melegnano (10.806 ab.), l’antica Marignano, fortezza eretta dai Visconti lungo il corso del Lambro, celebre campo della «battaglia dei giganti» (1515) tra le truppe di Massimiliano Sforza e Francesco I di Francia. Attualmente accoppia, alle sue tradizionali funzioni agricole, uno sviluppo industriale notevole per prodotti chimici e metallurgici. Presso il tratto della Padana Superiore che bordeggia il Naviglio della Martesana s’incontrano Melzo (8114 ab.) che, con Gorgonzola (5948 ab.), vanta notevoli industrie casearie.

    Monza: la Villa Reale.

    L’Autodromo di Monza con l’anello a curve sopraelevate per alte velocità.

    L’alta pianura milanese è tutto un seguito di centri assai più popolosi di quelli della bassa. Emergono tra essi Monza e Sesto, quella collegata a questa e questa a sua volta collegata a Milano da sobborghi lineari disposti lungo l’antica arteria lunga una decina di chilometri. Monza, che, fatte le debite proporzioni, qualche scrittore ha chiamato la Versailles di Milano, è città di antica origine; la tradizione la vuole fondata dagli Insubri e sede, con il nome di Modicia, di veterani provenienti da Magonza. Cominciò ad avere importanza con i Longobardi, la cui regina Teodolinda avrebbe avuto particolare predilezione scegliendola come dimora estiva. Divenuta Comune, spesso ostile a Milano, con i Visconti entrò a far parte del ducato e cinta di mura e torri. All’epoca dell’unità d’Italia era già una florida cittadina di 24.662 ab., quasi triplicatisi di numero in meno di un secolo (63.625 nel 1951). L’attività economica presenta aspetti molteplici; nel complesso prevale l’industria e il commercio, ma « la popolazione in generale è di tendenze conservatrici più vicine alla forma mentis dell’artigianato e dell’agricoltore brianteo che non alla mentalità più spregiudicata del cittadino milanese o, se il confronto con la metropoli non regge, di quello della vicina, industrialissima Sesto ».

    Questa osservazione, rispondente al vero, non è esclusiva tuttavia di Monza, ma vale per tutte le cittadine di questa popolosa plaga e ciò è « almeno in parte spiegabile con la gradualità della trasformazione dell’attività artigiana in quella industriale che si è inserita quasi naturalmente nella vita del luogo ». Le industrie monzesi, in prevalenza piccole e medie, sono varie: tessili, meccaniche, del legno e, tradizionali ma assai decadute, del cappello. Non si può però far a meno di sotto-lineare anche l’importanza artistica di Monza; anzitutto notevole è il Duomo edificato nel secolo IV per volontà della regina Teodolinda, ricostruito poi nel secolo XIII e riadattato nei secoli XVI e XVIII ; bellissima è la facciata marmorea, opera di Matteo da Campione, che vi dedicò la sua opera per diversi anni verso la fine del XIV secolo; di data posteriore è il campanile eretto su disegno del Pellegrini (secolo XVII). L’interno è ricco di pregevoli opere d’arte, ma la maggiore attrazione è costituita dalla Corona ferrea, custodita nella Cappella di Teodolinda. L’aurea Corona tempestata di gemme, ma detta ferrea perchè secondo la tradizione l’anello interno sarebbe forgiato con un chiodo della croce di Cristo, costituisce, oltre che un’opera di antichissima oreficeria, una curiosità storica, poiché dal Medioevo in poi fu usata per incoronare i re d’Italia, da Berengario a Napoleone. Di grande interesse e valore artistico e storico è anche il tesoro custodito nella sagrestia del Duomo stesso. Altri monumenti notevoli di Monza sono la Cappella Espiatoria fatta erigere sul luogo del regicidio di Umberto I (29 luglio 1900) e soprattutto la grandiosa Villa Reale, fatta edificare da Ferdinando d’Austria tra il 1777 e il 1780 su disegno del Pier-marini e fastosamente decorata da insigni pittori lombardi. Nel grandioso complesso si trovano la Civica Galleria d’Arte, il Museo storico e la Biblioteca italiana per ciechi con oltre 30.000 volumi in ogni lingua. Dietro la Villa vi è il vastissimo Parco (800 ha.), attraversato dal Lambro e recinto da un muro di 12 chilometri. In una parte del Parco sono stati costruiti l’Autodromo (1922) e l’Ippodromo detto di Mirabello (1925); inoltre vi è un campo di golf. Particolarmente notevole è l’Autodromo, rinnovato nel 1955, formato da due piste (5750 e 4250 m.), di cui quella veloce con curve sopraelevate che permettono velocità sino a 260 km. orari. Annualmente vi si tengono importanti manifestazioni automobilistiche e motociclistiche d’interesse internazionale.

    Sesto San Giovanni è una città eminentemente industriale; ancora verso la metà dello scorso secolo era un borgo di poche case con qualche dimora di villeggiatura estiva e qualche filanda (oggi scomparsa); poi, quasi in sordina, vi si insediarono altre piccole industrie, una dozzina, sinché agli inizi del nostro secolo sorsero quattro grandi impianti metalmeccanici che diedero e danno un carattere proprio a Sesto: la Ernesto Breda, quivi trasferita da Milano nel 1903, la Ercole Marelli, pure trasferita da Milano nel 1905, la Camona, antica fabbrica milanese che prese poi il nome di O. S. V. A., anch’essa trasferita qui nel 1906 e, infine, le Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck pure qui trasferite nel 1906. Accanto a queste grandi, il numero delle medie e piccole industrie andò crescendo di anno in anno sino a costituire un aggregato di 468 aziende, con un totale di oltre 30.000 addetti (1951). Di conseguenza il centro, che all’inizio del secolo annoverava appena 7000 ab., nel 1951 ne contava 41.941, per il prender dimora, presso le industrie in cui erano addetti, di lavoratori provenienti dal Bergamasco, dal Bresciano, dalla Brianza e da altre località lombarde, venete, emiliane, ecc. Popolazione, quella di Sesto, di composizione molto eterogenea, caratteristica anche di altri centri industriali, ma qui in una forma più accentuata che altrove. Il numero di lavoratori oggi residenti in luogo non basta a saturare l’offerta di lavoro: perciò ai 15.000 addetti all’industria che abitano in luogo si aggiungono altri 15.000 lavoratori provenienti, per lo più con trasferimento quotidiano, da altre località. « Le località di afflusso della mano d’opera sono concentrate nel Bergamasco, nel Bresciano e nel Lodigiano, mentre è minore l’afflusso da quelle parti della Lombardia dove sorgono notevoli centri industriali come Rho, Busto Arsizio, Legnano, ecc., o dalle località briantee dove prospera l’industria del mobile ».

    Sesto San Giovanni: gli impianti industriali della Falck.

    Quello che, con precedenza di tempo, si è verificato sulla direttrice da Milano a Monza, si sta verificando — sebbene, almeno per ora, in misura assai minore — anche sulla direttrice da Milano a Rho. Il Comune di Pero, che, sulla strada del Sempione, si stende intermedio tra la metropoli e Rho, sembra destinato a un notevole sviluppo industriale con una preminenza nel campo della raffineria dei petroli; infatti, al grandioso impianto della Condor, alimentato direttamente da un oleodotto proveniente da Genova, si vanno affiancando nuovi impianti (Shell, Rondine, Pibigas, ecc.) presagio di futuro sviluppo; se qualche perplessità può sorgere ancora per le emanazioni sgradevoli disperse nell’aria (che, in particolari condizioni meteorologiche, investono anche la metropoli), è facile tuttavia presumere l’eliminazione futura degli inconvenienti e la continuità dello sviluppo industriale della zona, avvantaggiata particolarmente dalla prossimità di Milano e da una fitta rete di comunicazioni. Rho, cittadina di antica origine, sede di moderne industrie e importante nodo ferroviario, potrebbe in tal caso essere paragonata, in piccolo, a Monza, ossia quale anello di congiunzione tra la metropoli e i centri più settentrionali. La cittadina ha visto nel volgere di un ventennio raddoppiare la sua popolazione e attualmente conta oltre 20.000 ab. (18.381 nel 1951). Essa nel campo dell’arte vanta un bel santuario voluto da San Carlo Borromeo (1584), alla cui erezione prestarono la loro opera artisti come il Pollak e il Pellegrini.

    Nella innumerevole serie di centri dell’alta pianura meritano anzitutto citazione Legnano, Busto Arsizio e Gallarate, tutti sulla strada del Sempione e associati dalla medesima preminenza nell’industria del cotone. La celebrità di Legnano è però anzitutto storica: quivi il 29 maggio 1176 avvenne la famosa vittoria dei Comuni della Lega Lombarda, stretti attorno al Carroccio, sul Barbarossa, e l’avvenimento, oltre che eternato nel monumento del Butti (1900), è ricordato ogni anno con una sagra. La città (38.003 ab.), a 27 km. da Milano, costituisce oggi uno dei centri industriali più notevoli di Lombardia e, oltre le industrie tessili, vanta il grandioso impianto metalmeccanico della Tosi. Busto Arsizio, distante 3 km. da Legnano, pur essendo inclusa dal 1927 nella provincia di Varese, geograficamente e storicamente fa parte del Milanese. La stessa cosa vale anche per Gallarate. Busto, d’incerta ma sicuramente antichissima fondazione, borgo fiorente nell’arte del tessere (lino, seta) sin dal secolo XVI, è divenuta dal Settecento il centro all’avanguardia nella lavorazione del cotone. La città, posta al margine dell’arida brughiera (da cui, secondo una tradizione, le venne il nome), ha una popolazione di 48.000 abitanti (bustocchi) e il loro numero è in continuo aumento. Nel campo artistico vanta, oltre il duomo del secolo XVII, la bella chiesa di Santa Maria di Piazza, gioiello semplice e armonioso dell’arte rinascimentale, che custodisce affreschi di Gaudenzio Ferrari e di Bernardino Luini. Gallarate, a 9 km. da Busto Arsizio, ormai al margine delle colline, là dove la strada per Varese si stacca da quella del Sem-pione, è un centro di origine gallica e borgo medioevale fortificato del contado del Seprio. Lo sviluppo industriale, specialmente cotoniero, ha conferito un aspetto moderno alla cittadina attuale, che conta 30.000 abitanti. Tra i suoi monumenti d’arte merita di essere ricordata la chiesa romanica di San Pietro del secolo XII.

    Anche Saranno, per quanto in provincia di Varese, gravita nell’orbita di Milano. La fiorente cittadina sorge lungo il corso della Lura, là dove il torrente esce dalla zona collinare, all’incrocio di numerose strade; antico mercato e borgo agricolo, ha tratto grande vantaggio dalla costruzione delle Ferrovie Nord che ne hanno fatto il nodo più importante della loro rete; divenuta nel nostro secolo centro di industrie (tipica quella dell’amaretto), ha visto lentamente accrescersi il numero dei suoi abitanti sino a raggiungere i 20.000 nel 1951. In prossimità dell’abitato sorge il celebre santuario della Madonna dei Miracoli, che fu eretto, in stile bramantesco, a ricordo di una miracolosa guarigione avvenuta nel 1447. Nell’interno si ammirano celebri affreschi, tra i quali il Concerto degli angeli, grandiosa opera di Gaudenzio Ferrari, e alcuni capolavori di Bernardino Luini.

    Veduta aerea di Saranno.

    Dalla Lura all’Adda l’alto Milanese è costellato di cittadine, dall’aspetto sempre più industriale e sempre meno rurale. Tra le notevoli meritano un cenno Desio (14.600 ab.) che deve la sua maggior fama all’aver dato i natali ad Achille Ratti, papa con il nome di Pio XI dal 1922 al 1939; Lissone (16.551 ab.), centro preminente nella lavorazione del mobile, sede di una scuola di specializzazione di disegno e intaglio del legno e di una biblioteca di opere sul mobile e sull’arredamento; Seregno (22.661 ab.) centro di industrie meccaniche, tessili e del legno, e poi Sèveso (7524 ab.), Meda (10.276 ab.), Vimercate (7216 ab.), ecc. Il Lodigiano, compreso tra l’Adda e il Lambro, dai quali riceve il beneficio delle acque, conserva il pingue volto agricolo della bassa Milanese; questa sfuma in quello insensibilmente, ma, a poco a poco, l’impronta di una più moderna opera di trasformazione agraria offre all’occhio esercitato variazioni di un motivo comune a tutta la pianura. Amministrativamente il Lodigiano fa parte della provincia di Milano, quasi appendice di questa sino al Po; ma i legami tra Lodi e Milano, tra il Lodigiano e il Milanese non appaiono per altri aspetti molto differenti da quelli tra Milano e le altre terre nel raggio d’influenza della dominante metropoli.

    La periferia di Lodi: veduta invernale.

    Sant’Angelo Lodigiano: il castello.

    La città di Lodi non sorge sul luogo della romana Laus Pompeia, così chiamata in onore di Pompeo Strabone; questa, divenuta importante municipio romano, fu distrutta da Milano nel 1151, e sulle rovine, di cui ancora si conservano le vestigia, sorse un modesto villaggio oggi chiamato Lodi Vecchio (3192 ab.).

    La città nuova fu edificata nel 1158, per volere del Barbarossa, sei chilometri ad oriente dell’antica, presso la sponda destra dell’Adda e acquistò rapidamente nuova importanza. Fu aggregata poi con il suo territorio nel Ducato di Milano seguendone le sorti. Durante la dominazione austriaca fu per vario tempo capoluogo di provincia e nel 1860 entrò a far parte della provincia di Milano. La pianta della città, a strade incrociantesi più o meno perpendicolarmente, ha il suo centro nella Piazza della Vittoria, cinta di portici e dominata dal duomo costruito a cominciare dall’anno di fondazione della città e rimaneggiato più volte nei secoli seguenti. Ma il gioiello artistico di Lodi è l’Incoronata, celebre santuario rinascimentale costruito nel secolo XV su disegno del Battagio, allievo del Bramante. A nord la città si affaccia all’Adda presso il cui ponte il 10 maggio 1796 si svolse la battaglia che diede a Napoleone il possesso della Lombardia. L’abitato si espande sugli altri tre lati, dove le abitazioni si alternano alle industrie. Per l’incremento di queste lo sviluppo della città è aumentato soprattutto in anni recenti. La popolazione del nucleo urbano nel 1951 assommava a 29.231 abitanti. Tra le industrie è preminente quella dei latticini, di cui è espressione la Fiera nazionale del latte che si tiene annualmente; notevoli sono anche le industrie tessili (canapa-lino) e le industrie varie che la scoperta dei vicini giacimenti metaniferi ha richiamato in luogo. Ma l’attività ancora predominante del Lodigiano è l’agricoltura, dedita particolarmente ai foraggi e ai cereali; tale carattere agricolo conserva ancora la maggior parte dei borghi disseminati nel fertile piano, per quanto i maggiori, quali, San Colombano al Lambro (5504 ab.), Sant’Angelo Lodigiano (8694 ab.), Casal-pusterlengo (8059 ab.), già vadano arricchendosi di moderni impianti industriali.

    Caratteristico aspetto primaverile nella regione a risaia.

    Il Pavese, la Lomellina e l’Oltrepò

    Attraversato a mezzo dal Po verso cui corre a confluire il Ticino, il territorio assegnato alla provincia di Pavia è dal corso degli stessi fiumi distinto in tre parti: del Pavese p. d., della Lomellina e dell’Oltrepò pavese. Di esse, la parte che manifesta caratteristiche più propriamente lombarde è il Pavese, adiacente al territorio milanese e lodigiano; per contro, in Lomellina per mille segni si avverte l’influsso piemontese e nell’Oltrepò, oltre che piemontese, l’influsso emiliano. In posizione intermedia ai tre territori, sta Pavia, centro anche di attrazione e di coordinamento.

    Il Pavese, disteso lungo il Ticino e il Lambro, percorso dai Navigli di Pavia e di Bereguardo, ricco di acque fluenti dai fontanili, è una zona di prospera agricoltura, con caratteristiche di transizione tra l’area spiccatamente foraggera del Lodigiano e quella precipuamente risicola della Lomellina, e di tal fatto si ha anche visibile prova attraversando il territorio, fitto, nella parte più interna, di estese risaie. Vaste sono le proprietà fondiarie, vaste le corti che s’intercalano tra radi e piccoli borghi. Tra i centri degni di nota Miradolo (2521 ab.), stazione idrotermale di acque salso-bromo-iodiche, e Beigioioso (4068 ab.) dominato dall’imponente castello, eretto forse da Galeazzo II Visconti, dove soggiornarono Francesco I prigioniero, e, più tardi, Parini e Foscolo. Ma il luogo del Pavese che gode gran fama per i tesori d’arte, che richiamano folle di turisti, è la Certosa di Pavia, che sorge a una decina di chilometri dal capoluogo. Il monumento, iniziato nel 1396 per volontà di Gian Galeazzo Visconti, che vi ebbe sepoltura, riassume in sè le esperienze rinascimentali lombarde: la chiesa, dalla mirabile facciata in marmi policromi, con il piccolo chiostro, dall’agile eleganza, il grande chiostro, aperto e severo, costituiscono un assieme tra i più suggestivi della Lombardia.

    La Lomellina, estremo lembo della Lombardia verso occidente, si presenta come un vasto piano, leggermente mosso qua e là da dossi (o sabbioni) appiattiti dall’opera di trasformazione agraria iniziata nel Medioevo da ordini religiosi e continuata nei secoli sino ad anni recenti. Ricchissima delle acque dei suoi fontanili, che qui si espandono in una fascia larga oltre 25 km., dei suoi fiumi, che la cingono (Ticino e Sesia) o l’attraversano (Agogna e Terdoppio), e dei fossi di derivazione del Canale Cavour, essa costituisce la zona di più intensa coltivazione risicola della Lombardia. Quivi la coltivazione del prezioso cereale fu introdotta verso il secolo XV, trovando un ambiente favorevole per l’estensione delle aree acquitrinose e per la

    Vedi Anche:  La popolazione e la sua distribuzione

    prevalenza della grande proprietà nobiliare. Gli acquitrini sono scomparsi in seguito a bonifica, la risaia stabile è stata trasformata in risaia avvicendata, la proprietà si è conservata invece di grandi dimensioni, come grandi dimensioni conservano le corti. Ovviamente, se il riso costituisce un tipico prodotto della Lomellina, non è neppure l’unico; per il fatto stesso dell’avvicendamento notevoli sono le produzioni di foraggio, di frumento e di ortaggi.

    Teatro di notevoli vicende storiche (tra l’altro campo di grandiose battaglie, da quella del 218 a. C. tra Annibaie e Scipione a quella del 1859 tra Piemontesi e Austriaci a Palestro) la Lomellina annovera centri di antica origine e di notevole importanza storica e artistica, quali, ad esempio, Lomello, da cui ebbe nome la regione. Tra essi, di maggior sviluppo attuale sono Vigévano e Mortara, entrambe nella parte settentrionale del territorio lomellino.

    Vigévano, antico castrimi romano, comune autonomo medioevale, cittadina fortificata durante il Rinascimento, centro in rapido sviluppo industriale in epoca moderna, conserva nella sua struttura, tipicamente radiale, le testimonianze del suo evolversi in tempi successivi. Il centro è costituito dalla rettangolare Piazza Ducale, a eleganti portici, che fu ideata da Leonardo verso il 1494. Su di essa si affacciano la bramantesca Torre del Castello e il Duomo di stile barocco. Oltre il limite dell’antica linea fortificata si espande la città moderna con le sue notevoli industrie, quali quelle delle calzature (di cuoio e di gomma), della tessitura del cotone, della concia delle pelli, ecc., che hanno sostituito quella della lavorazione della seta un tempo floridissima. L’aumento della popolazione è stato sensibile: nel volgere di mezzo secolo è raddoppiata raggiungendo nel 1951 i 37.000 ab. nel solo aggregato urbano.-

    La Certosa di Pavia vista dall’aereo.

    Vigévano: la Torre del Castello e la Piazza Ducale.

    Sartirana Lomellina: il castello.

    Mortara, sorta nel luogo d’incrocio d’antiche strade, conserva ancor oggi un ruolo notevole come nodo di comunicazioni. Nel corso dei secoli subì più volte assedi e saccheggi, che tuttavia non ebbero potere di cancellare nella topografia cittadina lo schema dell’antica struttura. Anch’essa, come Vigévano, fu castrimi romano e città murata medioevale; anch’essa, in epoca recente, va estendendosi di pari passo con lo sviluppo delle industrie. Nel 1951 la popolazione dell’aggregato urbano era di 10.000 abitanti.

    L’Oltrepò pavese si stende dalla sponda destra del Po a guisa di un triangolo che, incuneandosi tra i territori delle province di Piacenza e di Alessandria, risale con un vertice sino allo spartiacque appenninico. Vi si possono quindi distinguere una fascia di pianura, che dolcemente discende al corso del Po, un’area di collina dai morbidi profili e una ristretta zona di montagna che non manca di scorci pittoreschi. L’attività rurale predomina ovunque, ma con diverse caratteristiche colturali: prevalgono i cereali nella pianura, i vigneti nella collina, i boschi e i pascoli nella montagna. Nel complesso dunque un paesaggio molto vario in breve spazio, che trova tuttavia continuità nei territori delle province subappenniniche adiacenti. Del resto si può aggiungere che questo dell’Oltrepò è geograficamente il meno lombardo dei territori delle province che della Lombardia fanno parte; da notare che gli stessi abitanti, se interrogati, rimangono perplessi della loro qualifica di lombardi.

    Voghera (26.587 ab.), presso la Stàffora, è il capoluogo dell’Oltrepò. La città ha antiche origini ed il suo nome moderno deriva da quello del villaggio medioevale Vicus Iriae. Dopo il Trattato di Worms (1743) fu assegnata al Piemonte cui rimase aggregata sino al 1859. La sua importanza quale mercato agricolo si è conservata nel tempo, associata di recente a un promettente sviluppo industriale nel campo alimentare, tessile e meccanico, in ciò agevolata dalla sua posizione lungo le arterie ferroviarie e stradali sulle quali si convoglia il traffico da Milano e da Piacenza verso Genova.

    Lungo il margine tra la collina e la pianura, vi sono, oltre Voghera, altri centri, alcuni particolarmente noti per l’industria enologica, come Casteggio (3730 ab.), Broni (6421 ab.) e Stradella (7965 ab.), tutti in fase di aumento di popolazione e di sviluppo industriale. Per contro i centri della collina, ancorati all’economia rurale, sono per lo più poco popolosi e alcuni soggetti anche ad un esodo, seppure contenuto, degli abitanti; tra i maggiori Montaldo Pavese (508 ab.) e Godiasco (980 ab.). Numerose le località di interesse storico o artistico e di villeggiatura; tra queste si può annoverare Sàlice Terme, ridente stazione termale, con alberghi e ville disseminati tra il verde, di notevole richiamo estivo.

    Il Cremonese e il Cremasco

    Il territorio della provincia di Cremona, compreso all’incirca tra l’Adda e l’Oglio, i quali delimitano una fascia di pianura allungata dalla zona dei fontanili fino al Po, può essere diviso nel Cremonese e nel Cremasco, con incerta distinzione dell’uno dall’altro a mezza via tra Soresina e Castelleone.

    Il Cremasco si stende nel lembo settentrionale di un’area anticamente coperta in parte dal velo di acque di un’estesa palude, il lago Gerundo, e in parte da boschi, entrambi scomparsi con lenta opera di trasformazione, che, iniziata in antico dagli ordini religiosi, si completò dopo l’unità nazionale, agevolando l’insediamento rurale. La zona è oggi caratterizzata da una fiorente attività agricola, rivolta particolarmente alla produzione frumentaria e foraggera. Numerosi i borghi rurali e i villaggi, tra i quali sono disseminate dimore dal tipico portico antistante.

    Crema (17.603 ab.), sorta forse già fin da epoca etnisca sopra un vasto isolotto emergente dal lago Gerundo, divenne una fortezza romana e poi libero comune medioevale alleato di Milano contro Lodi, Cremona e Como. Nel 1160, dopo una epica resistenza, fu rasa al suolo dal Barbarossa. Risorse pochi lustri appresso, passò ai Visconti, agli Sforza e, infine, nel 1449 alla Repubblica veneta, sotto cui rimase per due secoli e mezzo, che furono tra i più floridi della vita della città, divenuta mercato agricolo importante. A questa sua caratteristica predominante, il nostro secolo va aggiungendo quella industriale, soprattutto nel ramo caseario e alimentare. La città attuale ha struttura irregolarmente radiale, ha il suo centro nella Piazza del Duomo cinta da portici e dominata dalla bella cattedrale romanico-gotica (secolo XIII) opera dei maestri comacini. Ma il gioiello artistico più prezioso di Crema è, appena fuori dalla città, Santa Maria della Croce, santuario in stile bramantesco di straordinaria grazia e armonia.

    Crema nel 1599. Stampa dell’epoca.

    Crema: l’arco del Torrazzo, a destra il Duomo.

    Il Cremonese si stende nella parte meridionale, ancor più florido del Cremasco nell’agricoltura e nell’allevamento. I suoi terreni omogenei e naturalmente umidi hanno favorito le colture del frumento, del granoturco, del foraggio, del lino, della canapa. E qui che si ottengono i più alti redditi unitari di frumento non solo della Lombardia ma dell’Italia, con massimi anche oltre i 60 quintali per ettaro. Nella pingue pianura sono disseminati innumeri villaggi e agglomerati costituiti da corti, tra i quali s’intercalano borghi più popolosi, resi tali per lo più dalla loro posizione lungo le vie di maggiore traffico. Ecco Soresina (9108 ab.) centro di importanti industrie casearie, e Casalbuttano (4165 ab.) sulla strada tra Crema e Cremona; Pizzi-ghettone (3578 ab.), diviso in due dal corso dell’Adda e tuttora cinto da antichi bastioni a pianta stellare, sulla strada tra Codogno e Cremona; Piàdena (3617 ab.) all’incrocio di strade e di ferrovie tra Cremona e Mantova e tra Brescia e Casal-maggiore. Ma qui, nella parte inferiore della pianura racchiusa tra l’Oglio e il Po, suddivisa bizzarramente tra la provincia di Cremona e quella di Mantova, il quadro ambientale muta. Le acque di piena traboccanti dai due fiumi hanno per lungo tempo costituito un insidia, mutando larghe superfici in acquitrini, che solo da poco tempo sono stati annullati con un’importante bonifica; ora si attuano coltivazioni di foraggi e di barbabietola da zucchero. La fascia che accompagna i corsi fluviali accoglie i centri più popolosi. Oltre Piàdena, vi è lungo l’Oglio (ma già in provincia di Mantova) Bòzzolo (4009 ab.), antico principato del ramo cadetto dei Gonzaga, e sul Po, oltre Casalmaggiore (5656 ab.), sede di un importante zuccherificio, Viadana (5587 ab.) già feudo dei Malaspina e poi dei Gonzaga (sicché, per ragioni storiche, appartiene alla provincia di Mantova). Al centro della regione vi è altresì Sabbioneta, di grande importanza storica e artistica, di cui si fa cenno appresso.

    Campagna mantovana (Ponte Visconteo).

    Il Mantovano

    Il Mantovano, che dal margine dei colli benacensi si estende sin oltre il Po e travalica il Mincio e (come dianzi s’è accennato) l’Oglio, costituisce una vasta zona per nulla monotona nelle particolarità, ma nel complesso uniformemente pianeggiante e orientata nettamente verso l’agricoltura. Questa tuttavia non gode dappertutto di una disponibilità di acque nella misura che si nota (e più volte lo si è rilevato) nelle altre parti della pianura lombarda; e ciò nonostante le formidabili opere che, per non dir dei Romani (la cui sistemazione irrigua andò in rovina nel periodo delle invasioni), si attuarono dal secolo XII sino ad epoca recente. Ad esse va soprattutto il merito di avere risolto grandi problemi di scolo delle acque che costituivano il presupposto della bonifica. Rimangono i problemi di irrigazione per una superficie di almeno 100.000 ettari; è certo che «con la sapiente e integrale utilizzazione delle masse d’acqua che già solcano le campagne e le altre ancora maggiori che dovranno essere convogliate, la provincia di Mantova, che basa esclusivamente la sua attività e la sua prosperità sopra l’agricoltura, è destinata a toccare il vertice massimo della potenza produttiva e sarà annoverata tra le zone italiane che maggiormente apportano splendore alla difficile arte di coltivare i campi» (L. Consolini). Ciò trova conferma in quel che si osserva nei 35.000 ettari che l’approvvigionamento idrico ha già notevolmente trasformati.

    Numerosi centri del Mantovano, per quanto non popolosi, hanno nomi di grande risonanza: anzitutto Piètole, villaggio sul luogo dell’antica And.es, patria di Virgilio; poi Curtatone (131 ab.), sul Mincio, che con Montanara (436 ab.), ricorda l’eroica resistenza del 29 maggio 1848, opposta dai volontari di Toscana alle preponderanti forze austriache, e Còito (1156 ab.) che il sacrificio dei volontari toscani vide rifulgere in vittoria nel dì seguente; e ancora Solferino (844 ab.) campo della grande battaglia che il 24 giugno del 1859 decise delle sorti della Lombardia. Per altro motivo è memorabile Sabbioneta (n 13 ab.), che, come già s’è accennato, sorge a occidente del Mincio; la cittadina cinta di poderose mura s’adorna di monumenti di squisita grazia cinquecentesca che ricordano il soggiorno dei Gonzaga che l’arricchirono di una accademia, d’una biblioteca, un museo e le infusero un ritmo di così piena vitalità da meritarsi il nome di Piccola Atene; numerosi i ricordi del brillante passato e tra essi il Palazzo Ducale, il Palazzo del Giardino, il Teatro Olimpico. Sulla sponda sinistra del Po, sorge Ostiglia (5759 ab.) centro agricolo di antica origine (ricordato da Plinio per l’allevamento delle api) oggi sede anche di industrie notevoli (zuccherifici, caseifici, ceramiche); la cittadina è collegata da un ponte stradale e ferroviario con l’opposta sponda del fiume, dove sorge Révere (2148 ab.), grosso borgo agricolo all’ombra del castello fatto erigere dai Gonzaga. Sulla stessa sponda centri notevoli sono: Sèrmide (2734 ab.), su cui, con un furioso saccheggio, si sfogò l’ira del Radetzky (1848), San Benedetto Po (1932 ab.) dal nome dell’insigne Basilica di San Benedetto appartenente all’ormai quasi millenaria abbazia, e infine Gonzaga (2394 ab.), patria di Cornelio Nepote, da cui ebbe origine pure la famiglia che per oltre tre secoli dominò Mantova.

    Legato al nome dei Gonzaga vi è, infine, al margine dell’anfiteatro morenico del Benaco, Castiglione delle Stiviere (5317 ab.), noto come patria di Luigi Gonzaga, santo esaltato per la purezza di vita. Ma il nome del luogo è legato anche all’opera di Enrico Dunant, che, soccorrendo qui, dopo la battaglia del 29 giugno 1859, i feriti, diè vita alla Croce Rossa.

    La Rocca di Solferino, poderosa torre del secolo XI, detta la « spia d’Italia ».

    Il castello di Villimpenta sul fiume Tione, all’estremo limite orientale del Mantovano.

    La Basilica di San Benedetto a San Benedetto Po, nell’Oltrepò mantovano.

    Il Bresciano

    Le regioni che si susseguono dal Benaco al Verbano s’adagiano tutte tra il piano e il monte e le loro contrade alla prosperità accoppiano la bellezza: una felice fusione di ricchezza molteplice e di paesaggi pittoreschi. Ecco il Bresciano dalla sponda del lago di Garda a quella del lago d’Iseo, cangiante per mille prospettive di serena leggiadria. La stessa pianura bresciana, continuazione della pianura cremonese e mantovana, manifesta una maggiore varietà di aspetti per una maggiore variabilità dei terreni e, di conseguenza, per una più varia composizione di colture e per una promiscuità più evidente dei tipi di dimora umana, soprattutto rurale, associati pur sempre alla corte.

    Nell’alta pianura poi, benché non con l’intensità che si osserva ad occidente del-l’Adda, al quadro agricolo s’associa quello industriale e nei centri maggiori si può di frequente notare la vecchia cascina affiancata da moderni opifìci. Così, ad esempio, a Chiari (8868 ab.), a Rovato (6288 ab.), a Rezzato (3384 ab.), a Lonato (3572 ab.), a Montichiari (4922 ab.).

    Dalla pacata distesa della pianura s’eleva tra il Chiese e il Mincio la cerchia delle colline che recingono il Garda; profili morbidissimi, coperti da un verde mantello in cui s’alternano messi e vigneti, boschi e parchi, ville e villaggi, e s’adagiano, occhi di cielo, minuscoli laghetti. Qui domina per largo orizzonte l’Ossario di San Martino che raccoglie le spoglie di quanti, nell’epica battaglia del 24 giugno 1859, morirono in tanto splendore di natura per la libertà della Patria. La sponda del Garda è di sovrana bellezza. Dal vasto arco della costiera meridionale si protende la penisoletta di Sirmione, già stazione romana (prediletta e cantata da Catullo) di cui rimangono vestigia in una grandiosa villa romana d’età imperiale, munita fortezza sotto la signoria scaligera come attesta l’imponente Rocca che domina sul borgo attuale, centro d’attrazione non solo per le sue bellezze e le sue memorie, ma altresì per le sue acque termali cloruro-sodiche-solfuree.

    La costa bresciana meridionale del lago tutta a seni e a golfi non è da meno per bellezza e per memorie: dalle stazioni palafitticole di La Polada, alla villa romana di Desenzano, all’Abbazia di Maguzzano, ai Castelli di Padenghe e Moniga è tutto un susseguirsi di testimonianze dell’attrazione che la zona ha suscitato in ogni tempo. I centri attuali più notevoli sono: Desenzano (6150 ab.), cui fanno capo i servizi di navigazione del Garda, e Salò (5568 ab.), ridente cittadina distesa nell’arco più interno del golfo omonimo, cinta da un verde anfiteatro di colline e dominata dalle incombenti Prealpi. Da qui inizia la Gardesana occidentale, strada nota per le sue grandiose prospettive, ora ridenti, ora orride, per la sua vegetazione mediterranea, per i suoi centri pittoreschi, le sue ville famose. Ecco Gardone Riviera (1259 ab.) con il Vittoriale, bizzarra dimora di Gabriele d’Annunzio, poi Fasano e Maderno, centri turistici e di villeggiatura sistemati su delta lacustri, Toscolano (3936 ab.), l’antica Benacum, forse, allora, capoluogo della regione e poi culla dell’arte della stampa, Gargnano (970 ab.) e Limone (668 ab.), oasi di uliveti e limoneti tra precipiti dirupi strapiombanti nelle acque.

    Veduta aerea di Sirmione e della Rocca.

    Dalla pianura bresciana la visione sui colli che fan da corona alle Prealpi non appare di primo acchito invitante. Le alture mostrano brulli versanti squarciati da ampie ferite da cui si traggono calcari che forniscono pietre, tra cui famoso il bot-ticino, e materiali cementanti. E questa infatti una tra le zone lombarde più tormentate dal carsismo che a Cariàdeghe, ripiano roso dalle doline, domina tanto da produrre la sensazione di trovarsi sul Carso giuliano. Ma se dal piano ci si addentra lungo il solco delle valli bresciane si ritrova la quieta bellezza delle Prealpi lombarde.

    Veduta aerea di Salò.

    La vai Sabbia, la cui antica importanza militare è testimoniata dai ruderi di numerose rocche, s’addentra tortuosa sino al lago d’Idro, ma aperta in ampie conche dai frequenti roccoli, dove s’alimenta la passione dei bresciani per la caccia, celebrata nelle osterie paesane attorno al fuoco degli spiedi. Domina l’ingresso alla valle, Gavardo (3865 ab.), centro di lavorazione della lana; risalendo lungo il Chiese si susseguono Vobarno (4167 ab.), centro di industrie del ferro, Nozza (594 ab.), antico capoluogo della vallata in cui si radunava nel dì di Natale il Consiglio dei Comuni per eleggere il vicario della valle, e Vestone (1276 ab.), l’attuale centro di maggiore importanza, sede di industrie meccaniche e chimiche. Poco appresso ecco l’antico Eridio, il lago d’Idro, ora trasformato in bacino artificiale, allungato sul fondovalle tra versanti incombenti. Il pittoresco specchio è dominato dalla sponda destra dalla Rocca d’Anfo, famosa fortezza costruita dai Veneziani (1486), rifatta dai Francesi e in seguito dagli Austriaci, rafforzata ancora nel nostro secolo e da ultimo parzialmente danneggiata dai Tedeschi in fuga (1945).

    Alla vai Trompia e alla valle del Garza si accede da Brescia attraverso un ampio solco percorso dal Mella e dal Garza stesso. Il solco di quest’ultimo è breve e termina al luminoso Passo di Sant’Eusebio (574 m.); il solco del primo s’addentra più profondamente, una trentina di chilometri, nel cuore delle Prealpi. La valle è percorsa da una strada detta delle Tre Valli, poiché risalendo oltre il passo di Maniva (1669 m.), va ad innestarsi all’altra strada che, per il passo di Croce Domini (1859 m.), congiunge la valle dell’Oglio con quella del Chiese. La vai Trompia, ora aperta in conche luminose ora rinserrata tra versanti precipiti sul Mella, ricca di coltivi, di boschi e di pascoli, è soprattutto nota da gran tempo per i suoi monti « fertili di spade », come pittorescamente fu detto per indicare la presenza di giacimenti ferrosi, che vi han fatto fiorire l’industria del ferro, non unica tuttavia, poiché non trascurabili sono pure le industrie tessili e del legno. La molteplice attività ha favorito il popolamento, manifesto in una fitta sequenza di villaggi e di borghi, non solo lungo il solco principale, ma anche nelle vallecole confluenti. I centri più notevoli sono: Gardone vai Trompia (332 m. ; 7037 ab.), luogo ameno di villeggiatura e sede di fabbriche di armi, Bovegno (684 m. ; 1079 ab.) e Collio (884 m. ; 1109 ab.), stazioni climatiche estive nella zona di estrazione del minerale di ferro.

    Il lago d’Iseo.

    Il lago d’Iseo, dolce e fresco — a dire della Sand — come un’egloga virgiliana, costituisce lo splendido ingresso alla Valcamònica. In esso decanta le sue acque l’Oglio, che n’esce all’apice meridionale, attraversando l’anfiteatro dei colli morenici. Le sponde hanno differente bellezza: più distesa e riposante quella bresciana, più brulla e tormentata quella bergamasca. Nel centro dello specchio emerge la più grande isola dei laghi italiani: il Montìsola, quasi smeraldo posato su un levigato turchese, romantico piedestallo alla Madonna della Ceriola che domina dalla sommità (600 m.). I centri dell’isola, Peschiera, Carzano, Siviano Porto, leggiadri e luminosi, manifestano, con i festoni di reti al sole, l’attività precipua degli abitanti. Lungo le sponde che recingono il lago si stendono numerosi centri rivieraschi ; sulla sponda bresciana sono notevoli, Iseo (3515 ab.), là dove la collina cede alla montagna, e Pisogne (2458 ab.), centro industriale metallurgico. Sulla sponda bergamasca: Sàrnico (2680 ab.), Castro (1595 ab.), sedi di grandi impianti siderurgici, e Lòvere (5577 ab.), industre cittadina ricca d’antiche memorie, dominata dall’imponente basilica quattrocentesca di Santa Viaria in Valvendra.

    Boario Terme in Valcamònica.

    Édolo in Valcamònica.

    Qui ha inizio la Valcamònica che s’allunga per 80 chilometri risalendo sino al passo del Tonale (1883 m.), tra una cortina di monti sempre più alti, sempre più erti, dominati dal massiccio dell’Adamello (3554 m.). Ampia e fertile, nel tronco inferiore essa accoglie centri ricchi di storia e d’arte e fervidi di molteplici attività; notevole Darfo (221 m. ; 4457 ab.) allo sbocco del Dezzo da cui giunse, in sèguito al cedimento della diga del bacino del Gleno, la immane fiumana che distrusse parzialmente l’abitato (i° dicembre 1923); prossime a Darfo, le frazioni di Corna, con notevoli industrie del ferro, del cotone, del tannino, ecc., di Boario Terme (692 ab.), stazione idrominerale di acque solfato-calciche-alcaline ; poi Cividate Camuno (280 m. ; 1571 ab.), la romana Civitas Camunnorum, antico capoluogo della valle di cui rimangono vestigia, e la feudale Breno (342 m. ; 2489 ab.), capoluogo della valle imposto nel 773 da Carlomagno in sostituzione di Cividate. Dopo Breno la valle si fa più rupestre; le opere imponenti delle centrali elettriche divengono frequenti, quasi familiari; ma le impronte della industre attività e della lunga storia cammina non s’attenuano. Ecco, in vista dell’imponente parete della Concarena, Capo di Ponte (362 m.; 1227 ab.), dalle caratteristiche case a gheffo; poco lungi dall’abitato le superfici di arenaria rossa e grigia, levigate dal ghiacciaio, conservano le più stupefacenti espressioni della preistoria lombarda, ossia incisioni rupestri a migliaia, che rappresentano figure umane, animali (cervi, bovini, uccelli) e abitazioni a palafitta. Ormai nell’alta valle, alla confluenza della valle di Còrteno, che porta al passo deH’Aprica, ecco Èdolo (690 m. ; 3067 ab.), pittoresco capolinea della ferrovia risalente da Brescia, centro di turismo di transito e di villeggiatura estiva. Ancor più rinomata sotto questo aspetto è Ponte di Legno (1258 m. ; 1274 ab.), in una verde conca ridente di ville, circondata da boschi profumati di resina, in vista delle imponenti cime innevate deU’Adamello e del corno dei Tre Signori, mute spettatrici dell’epica lotta degli alpini nei duri anni della prima guerra mondiale.

    Vedi Anche:  Origine nome e territorio della Lombardia

    Il Bergamasco

    Anche il Bergamasco ha notevole molteplicità di aspetti. Il capoluogo domina dal margine pedemontano sulla pianura tra l’Oglio e l’Adda e vigila sullo sbocco delle sue valli che risalgono sino al crinale delle Orobie.

    La pianura riceve la sua impronta peculiare dallo sviluppo secolare dell’attività agricola. Ai villaggi rurali assai frequenti, si intercalano numerose dimore sparse, di struttura varia, talvolta a corte, adorna spesso di portici e di loggiati o di ballatoi, che attestano l’intensità della vita dei campi. Ma qui (certo meno che nella pianura milanese, ma assai più che nella pianura bresciana) nel quadro rurale s’inserisce con evidenza l’industria, specie verso il margine pedemontano e abduano. Nella stessa famiglia agricola è raro che i membri più giovani in età di lavoro resistano al richiamo delle officine. Quadro assai vario, dunque, dove, alle impronte di una tradizione secolare, alle testimonianze di un passato fervido di lavoro, a monumenti di una storia ricca d’eventi, si accostano le opere prepotenti della nuova civiltà del lavoro. Ecco accanto alle abbazie di Fontanella e di Pontida, accanto ai castelli di Malpaga, di Governago, di Romano, di Brignano d’Adda e di Costa di Mezzate, accanto agli spalti e ai fossati di difesa di Martinengo e di Cologno, sorgere le officine tra le quali, simbolo di una nuova età, la Dàlmine, fucina fervente del lavoro di migliaia di braccia.

    Nella bassa bergamasca il centro più importante è Treviglio (16.362 ab.), città agricola e industriale e nodo di comunicazioni stradali e ferroviarie. Poco distante Caravaggio (8955 ab.), dal celebre Santuario della Madonna, patria di illustri pittori, tra i quali il Merisi detto il Caravaggio. Notevoli anche Romano (7461 ab.) e Martinengo (4150 ab.), centri agricoli nella zona dei fontanili, Ponte San Pietro (4606 ab.), sede di notevoli industrie, e, lungo il margine pedemontano, Almenno San Salvatore (325 m.; 1252 ab.), dove ogni anno si tiene la sagra degli uccelli per la caccia, Pontida (313 m. ; 761 ab.), dalla storica abbazia benedettina, famosa per la tradizione poetica del giuramento della Lega lombarda.

    Il lago d’Èndine con l’abitato di Monasterolo e il monte Torrezzo.

    Seducente è il quadro offerto dalle valli bergamasche con i loro paesaggi ora idillici ora alpestri, con le loro memorie storiche, con i loro abitanti schietti e rudi. La vai Cavallina bagnata dal Cherio, che discende dal lago d’Endine, costituisce un agevole passaggio tra Bergamo e la Valcamònica. Il suo nome deriva forse dagli allevamenti di cavalli che vi teneva la Repubblica di Venezia. All’ingresso della valle vigila Trescore Balneario (2525 ab.), frequentata stazione nota per le sue acque solfuree-clorurate-sodiche.

    La vai Seriana è la più importante delle tre valli bergamasche e la più industre. Allo sbocco ampio e ridente sta Alzano Lombardo (294 m.; 5410 ab.), centro di industrie del cemento, della carta e della seta, più a monte Nembro (324 m. ; 5651 ab.) e Albino (347 m.; 6028 ab.), sedi di notevoli manifatture tessili. Poi la valle si restringe e si fa a volte aspra e selvaggia; ma è affiancata su entrambi i lati da aperte conche confluenti, tra le quali quella di Gandino (553 m. ; 3858 ab.), assai nota per la lavorazione della lana ivi praticata sin dal secolo XIII; geologicamente è di notevole interesse il bacino lignitifero di Leffe, ormai scarsamente sfruttato, ricco di resti di animali vissuti in epoca preglaciale quali YElephas meridionalis, il Rhinoceros leptorinus e il Bos primigenius. Seguendo il solco del Serio si giunge a Nossa (465 m. ; 2205 ab.), centro di notevoli industrie metallurgiche (zinco) e cotoniere, e subito appresso a Ponte Selva (476 m. ; 135 ab.), notevole per il ritrovamento di bronzi preistorici. Qui un’ampia morena coperta di conifere, detta la Selva, indica il limite della fronte dell’antico ghiacciaio quaternario che dalle Orobie scendeva lungo l’alto solco del Serio. Ed ecco l’ampia conca di San Lorenzo, che, dalla località più importante — tanto nota per i curiosi affreschi quattrocenteschi (Trionfo della morte e Danza macabra) che ornano la facciata della parrocchiale — vien detta anche di Clusone (648 m. ; 4641 ab.). In questo ameno luogo di svaghi estivi e invernali ha termine il tronco ferroviario che proviene da Bergamo e inizia la strada che sale al Passo della Presolana (1289 m.) dominata dal dolomitico pizzo omonimo (2521 m.); il valico è un luogo estremamente pittoresco, con ville e alberghi, di soggiorno estivo e di turismo invernale; ma, più che per questo, il passo è notevole per la possibilità di accesso alla valle di Scalve, confluente, è vero, verso la Valcamònica, ma ostacolata verso il suo sbocco naturale dalle paurose forre nelle quali s’incide il Dezzo nel suo corso inferiore. Queste soiì oggi percorse da una strada, la Via Mala, minacciata però, nella cattiva stagione, dalle frane. D’altronde in ogni epoca l’accesso alla vai di Scalve è stato d’interesse notevole per i giacimenti ferrosi che ivi si trovano, e il passo della Presolana ha costituito la via più agevole; talché non fa meraviglia se l’alta valle del Dezzo o vai di Scalve fa parte ancor oggi della provincia di Bergamo. Schilpario è il centro più notevole (1125 m. ; 1145 ab.) frequentato come luogo di villeggiatura; sotto questo aspetto gode buona rinomanza anche Viiminore (1018 m. ; 635 ab.) posto al margine di boschi di conifere. Sottostante al paese scorre il torrente Gleno lungo il quale il Io dicembre 1923 si riversò la fiumana d’acqua, scatenata dalla rottura della diga dell’alto bacino, che rase al suolo Dezzo di Scalve e seminò lutti e rovine sino in Valcamònica.

    La val di Scalve.

    L’alta valle Seriana, a monte di Clusone, ha un aspetto ormai alpino. I versanti s’incupiscono del verde delle aghifoglie, e verso l’alto cedono il dominio agli alpeggi. Dopo Ardesio (608 m. ; 1395 ab.), nota per i suoi marmi grigi e rossi mandorlati, e Gromo (675 m. ; 460 ab.), antico centro di lavorazione dell’acciaio e di fusione delle armi (secolo XV-XVIII), ecco, presso la testata, Valbondione (891 m.) a piccoli villaggi distribuiti sul fondovalle, sedi di villeggiatura e luoghi di partenza per escursioni nelle amene vallecole, cosparse di bacini idroelettrici, e sulle più alte cime delle Orobie. Nel complesso la valle del Serio costituisce una plaga di notevole sviluppo industriale per le manifatture di lana e di cotone (Albino, Gandino), per le industrie dello zinco (Nossa) e per l’abbondanza di acque utili allo sfruttamento idroelettrico.

    La vai Brembana, ugualmente bella, non vanta una copia di risorse pari a quella della vicina vai Seriana. Ciò è stata la causa dell’esodo di popolazione dalle sue contrade, che ha raggiunto punte superiori alle altri valli lombarde e tuttora risulta notevole. La vallata non è priva di industrie, specialmente nel tronco inferiore, ma basa la sua economia soprattutto sull’allevamento e sull’agricoltura. La valle, che s’inizia con un’angusta gola, risale verso le Orobie con un alternarsi di verdi bacini e di forre, ramificandosi in numerose valli confluenti; a Piazza Brembana, dove ha termine la ferrovia risalente da Bergamo, si apre un ventaglio di solchi, che raggiungono il crinale oròbico. Qui s’aprono i più ampi orizzonti e le più pittoresche visioni, ma non da meno sono le bellezze delle valli laterali. Lungo il fondovalle principale si succedono i centri più notevoli: Sedrina (324 m.; 977 ab.), sede di industrie cementizie e prossima a una delle più belle cavità naturali della Lombardia, la Grotta delle Meraviglie, ricca di concrezioni rese più suggestive dal gioco di luci; Zogno (334 m.; 2188 ab.), notevole per le industrie tessili; San Pellegrino (354 m.; 2392 ab.), accogliente e ospitale stazione idrominerale di vasta fama per le sue acque bicarbonato-solfato-calciche-litiose, dotata di terme, di alberghi, di ville e collegata da una funicolare con San Pellegrino Vetta (653 m.), ridente località di villeggiatura, nota anche per la Grotta del Sogno, altra cavità naturale ricca di concrezioni. Più a monte, sempre lungo il tronco principale della valle, vi sono: San Giovanni Bianco (400 ni. ; 1985 ab.), presso le gole dell’Enna, pauroso orrido formato dal fiume che discende dalla vai Taleggio, Cornelio (490 m.), villaggio originario della famiglia cui appartenne Torquato Tasso, e Piazza Brembana (536 m.), località di villeggiatura. Nelle alte valli sono sparse altre località di villeggiatura e, tra esse, Fòppolo (1515 m.), attrezzata stazione sciistica.

    La valle Imagna è, tra le valli confluenti del Brembo, la più prossima allo sbocco; essa s’apre sulla destra del fiume e risale sino alle falde del Resegone, che da questo lato, tuttavia, non presenta l’aspetto suggestivo che manifesta a chi lo guarda dai luoghi manzoniani. Il paesaggio comunque è tra i più ridenti della plaga, animato da ameni villaggi, un tempo industri nella tessitura della seta e della lana. I versanti, coperti di boschi e di pascoli, offrono un campo di particolare interesse geologico e geografico per l’abbondanza di fossili nelle formazioni affioranti e per la frequenza del fenomeno carsico profondo (Tomba dei Polacchi); notevole è anche, presso Vaisecca, la Fonte Turrigliana, da cui l’acqua scaturisce a intermittenza preceduta da un rombo dovuto all’espulsione dell’aria. Affiancata alla vai Imagna si incide la vai Brembilla; essa, angusta verso lo sbocco, s’apre luminosa nella parte superiore. Alla testata il passo di Bura (884 m.) costituiva la più agevole via di accesso alla contigua valle Taleggio, prima della costruzione della carrozzabile attraverso la selvaggia gola dell’Enna. L’economia ha modeste risorse basate sull’allevamento, sull’agricoltura e sullo sfruttamento del bosco; talché notevole è l’esodo degli abitanti dai numerosi e piccoli villaggi sparsi sugli alti pendii. La vai Taleggio, sopra la Gola dell’Enna, si allarga in un ridente bacino disseminato di villaggi, coperto da coltivi, boschi e pascoli. La testata della valle fa parte della provincia di Como (Morterone) e della diocesi di Milano (Morterone e Vedeseta). Nei secoli scorsi una parte degli abitanti emigrò non seguendo la via discendente della valle, ma attraverso i passi montani, per raggiungere la bassa pianura milanese dove si dedicò all’allevamento e alla produzione dei latticini.

    San Giovanni Bianco in val Brembana.

    Fòppolo (1515 m.) nell’alta valle del Brembo.

    Sulla sinistra del Brembo vi sono pure diverse valli confluenti ; tra esse la vai Scrina il cui toponimo comprende il solco percorso dal torrente Parina. Essa, cinta da belle montagne su cui domina l’Alben (2819 ni.), presenta aspetti molto vari per l’alternarsi di strette gole e di conche apriche. All’imbocco, poco a monte di Zogno, in un angusto orrido v’è la Fonte Bracca, sorgente d’acqua alcalina radioattiva assai nota e sfruttata. La popolazione accomuna il lavoro rurale tradizionale con quello prestato nelle industrie di Zogno. Nei villaggi più elevati, specialmente a Serina (825 m.) e a Oltre il Colle (1030 m.), è in notevole sviluppo l’attività alberghiera per il richiamo esercitato dalla pacata bellezza dei luoghi.

    Il Comasco e la Brianza

    Il territorio della provincia di Como include l’intero bacino del Lario, un lembo del Ceresio e una fascia collinare, che si distingue nel Comasco p. d. e nella Brianza. Le bellezze naturali di queste diverse parti, e soprattutto della regione lacustre, sono tra le più note e celebrate della Lombardia; quel che più stupisce è la grande varietà di aspetti per cui ogni angolo presenta una visione nuova con suoi caratteri particolari.

    La parte collinare è costituita dagli anfiteatri morenici costruiti dall’antica fiumana di ghiaccio, che, proveniente dalle alte valli dell’Adda, s’incanalava lungo il solco del Lario e, scindendosi in diversi rami, sboccava nel piano dove si apriva in grandi ventagli. La successione di frequenti colline a dorsali allungate e arcuate, con la concavità rivolta verso gli sbocchi vallivi, indica il limite in cui, nelle varie fasi, la fronte si è arrestata per un tempo sufficiente ad accumulare quel materiale trascinato a valle dal ghiacciaio in movimento. E non fa meraviglia, quindi, di veder oggi affiorare daìì’humus, che riveste il caotico ammasso, grossi massi erratici (detti trovanti) di ghiandone della vai Màsino, di serpentino della vai Malenco, di mica-scisto dell’alto Lario, ecc. Qui, come nella zona montana dove son pure numerosi, lo sfruttamento delle pietre migliori è stato intenso e molti trovanti sono divenuti colonne, capitelli, davanzali e gradini. Fortunatamente ancora molti ne rimangono: se ne sono contati, dei principali, una sessantina nella zona collinare e oltre duecento sui monti del Lario.

    La serie delle arcuate colline, disposte in modo da richiamare negli studiosi la similitudine di immensi anfiteatri, non è motivo di monotonia, a causa della vastità degli orizzonti che si gode dalle alture, della raccolta quiete delle conche, della varietà del rivestimento vegetale, della frequenza degli abitati e delle ville patrizie, della cornice dei vicini monti prealpini, sui quali dominano le Grigne e il Resegone, della presenza di conche lacustri. Queste aggiungono al quadro un tocco di romantica bellezza: a parte il lago di Garlate, formato dall’Adda dopo il ponte di Lecco, quattro se ne trovano in successione ai margini pedemontani: Annone, Pusiano, Alserio e Montòrfano; un quinto, il Segrino, s’incunea tra le falde prealpine. I letterati non sono stati avari nell’esaltazione di queste amene contrade, ma la loro poesia o la loro prosa par sempre inferiore alla realtà; è una di quelle contrade — afferma giustamente il Linati, scrittore lombardo — che si ribellano ad essere catturate dalla magia della parola.

    Brianza: panorama da Inverigo.

    La Brianza, che della zona collinare morenica occupa la parte orientale, ossia quella tra l’Adda e il Lambro, distendendosi dalle falde prealpine al margine della pianura milanese, è la più attraente e il Baretti non esitò a indicarla come « il più delizioso paese d’Italia ». Essa fu già, specie nel Settecento e nell’Ottocento, la più ambita sede di villeggiatura dei Milanesi, che qui potevano godere le gradevoli frescure delle sere estive, negate alla metropoli, e qui costruirono ville cinte di verdi parchi, le quali ancor oggi, nonostante l’abbandono per il richiamo di più eccitanti soggiorni, danno un tono di opulenza al paesaggio. L’agricoltura, un tempo occupazione dominante della regione già ricca di gelseti e di vigneti, per quanto ancora intensamente praticata, cede oggi all’industria, che, specie nel recente dopoguerra, ha fatto il suo ingresso trionfale, alterando non poco, in alcune parti, la primitiva bellezza, ma dando lavoro alla popolazione locale.

    Dire quali luoghi sian più meritevoli di menzione è diffìcile, chè tutti hanno motivo per essere ricordati; meglio sarebbe poter dominare dall’alto del colle del Montevecchia, o dal Santuario di Imbèvera o dal Santuario di Imbersago o dal poggio di Baciolago o dalla Rotonda d’Inverigo o dal mirabile terrazzo di Elio, il superbo e affascinante assieme. Spesso sulle alture briantee domina un santuario, come già un tempo dominava, dall’alto del colle di Brianza (che diede nome alla regione), la chiesa che la tradizione associa alla regina Teodolinda. Il più elevato tra tutti è quello di San Genesio, sul monte omonimo (849 m.) al termine della dorsale che dal Monte Barro (922 m.), quasi ramificazione prealpina, attraversa la Brianza. Lassù, solitario, sorge un antico convento camaldolese, la cui chiesa è dedicata al protettore degli artisti (San Genesio). Ai piedi del monte, verso l’Adda, ecco Merate (288 m. ; 4953 ab.), antico feudo di Ariberto d’Intimiano, luogo ove, giovanetti, compirono i loro studi il Manzoni, il Verri e il Casati, sede di un osservatorio astronomico, centro industriale in rapido sviluppo. Presso le falde delle Prealpi si stende Erba (323 m. ; 8609 ab.) nodo d’incrocio della strada della Valas-sina, che da Milano raggiunge Bellagio, e della provinciale da Como a Lecco; particolarmente a questa posizione il centro deve il suo rapido sviluppo industriale che l’avvia a diventare una città. Sulle alture è di particolare interesse la cavità del Buco del Piombo, che ha fornito testimonianze dell’età preistorica.

    La collina a occidente del Lambro, la collina del Comasco p. d., è meno affascinante, ma non povera di bellezza. Qui, tra i colli, sorge Cantù (368 m.; 13.753 ab.)’ antico centro d’intensa attività, celebre per i merletti al tombolo e ancor più per i mobili d’arte. Più a sud, altro grosso centro attivo nell’industria del mobile è Mariano Comense (250 m. ; 8574 ab.), notevole anche nel ramo tessile.

    Bosisio Parini: la casa natale di Giuseppe Parini.

    Lecco e il San Martino.

    La regione lariana è dominata dalla presenza del grande lago, il terzo per ampiezza tra i laghi italiani, il più profondo, curiosamente ramificato a forma di Y. Il «centro lago», formato dall’incontro dei tre rami, è la parte più aperta, più pittoresca, più frequentata. Nella sua parte mediana si protende la penisoletta di Bellagio, che offre spettacolari visioni sui tre rami. Il ramo settentrionale, o alto Lario, si interna nell’àmbito alpino ed è il più grandioso; i versanti, a boschi e pascoli, lo recingono con lenti declivi terrazzati che lasciano spaziare lo sguardo su una corona di alte montagne, tra cui il monte Legnone che costituisce la cima più elevata (2610 m.) di tutto il bacino. Il ramo di Como è invece stretto e tortuoso, accompagnato da versanti ripidi e boscosi che producono cupi riflessi sullo specchio delle acque, simile a un fiordo norvegese; ma è forse il più ridente dei tre rami. Il ramo di Lecco è invece il più severo a causa dell’aspre pareti che vi incombono dalle Grigne e dal Morigallo. Quasi dovunque, lungo le sponde, si susseguono villaggi e borghi; intercalati ora da ville ora da alberghi. Agli apici meridionali due città: Como (di cui si discorre nel capitolo appresso) e Lecco.

    Lecco (214 m.), città natale dello Stoppani e del Cermenati, sorge là dove il lago — per dirla col Manzoni — « vien, quasi a un tratto, a restringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte… La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di San Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli    in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega». La città attuale si stende appunto sulla costiera formata dai delta alluvio nali cui il Manzoni accenna. Ma forse in antico il nucleo originario sorse, come borgo fortificato, alla base dell’aspra e dirupata parete del San Martino. Nel Medioevo divenne una contea, appartenente dapprima al vescovo di Como, poi all’arcivescovo di Milano; tuttavia nel 1224 ottenne una discreta autonomia. Nel periodo delle lotte tra Como e Milano subì gravi devastazioni: nel 1296 Matteo Visconti rase al suolo il borgo ed esiliò la popolazione. Ma, trascorsi alcuni anni, l’abitato risorse in nuova posizione, ossia sulla sponda del lago tra i torrenti Geren-zone e Caldone. Ad Azzone Visconti si deve la fortificazione della città e la costruzione di un ponte a otto arcate, che in sèguito ai lavori di ampliamento dell’imboccatura dell’Adda (1440) fu allungato di tre arcate (per complessivi 135 m.). Si calcola che, all’epoca in cui il Manzoni pone la vicenda dei Promessi Sposi, Lecco contasse circa 3000 ab.: « un gran borgo che s’incammina a diventar città». Nel 1861 gli abitanti erano ancora 6960. Alla data dell’ultimo censimento erano 41.684 nel solo aggregato urbano. La città attuale si è espansa superando il corso del Geren-zone e del Caldone, risalendo lungo il solco dei torrenti e allungandosi verso la conoide del Bione su cui sorge Pescarenico, ch’era, ai tempi di Padre Cristoforo, « un gruppetto di case, abitate la più parte dai pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare », ed oggi è un sobborgo industriale di Lecco. E fuor dubbio che la posizione geografica è stata uno dei fattori essenziali dello sviluppo della città. Nel secolo XIV, essa vide ampliarsi il suo respiro con la costruzione del ponte di Azzone che permise al traffico di espandersi verso la Brianza e il Comasco. « In tal modo su Lecco cominciarono a gravitare molte località e territori che prima di allora avevano avuto minore facilità di rapporti con questo centro, il quale vide sempre più fiorire la sua economia. Un ulteriore, radicale miglioramento nelle comunicazioni si ebbe dopo il 1825 quando a nord della città fu aperto al transito il tratto lungo il lago di quella che è la strada del lago di Como e dello Spluga con il conseguente abbandono — da parte del traffico non stretta-mente locale — del tortuoso e impervio percorso della Valsàssina, non sempre transitabile d’inverno » (C. Della Valle).

    Vedi Anche:  Vicende storiche Lombardia

    Nel quadro economico della città, l’agricoltura e l’allevamento hanno scarsa incidenza; le attività fondamentali sono l’industria e il commercio e in particolare l’industria del ferro. Tale industria che trae origine dalla lavorazione del minerale della Valsàssina e dell’alto Lario, effettuata sin dal Medioevo, annovera attualmente circa un’ottantina di opifici in cui trovano lavoro diverse migliaia di addetti (12.000 nel 1951).

    Com’è noto, il teatro degli avvenimenti raccontati nei Promessi Sposi è soprattutto Lecco con i dintorni: il castello sopra lo Zucco ha forse ispirato il Manzoni per il palazzotto di Don Rodrigo, la rupe di San Gerolamo è quella del castello dell’Innominato, Olate e Acquate si contendono l’onore di essere stati la patria di Renzo e Lucia, Chiuso è forse il villaggio del sarto, Pescarenico certamente è il luogo del convento di Padre Cristoforo.

    Nel ramo lecchese del Lario la sponda di gran lunga più popolata e fervida di attività è quella orientale, dove il centro più notevole è Mandello (4705 ab.), posto sull’ampio delta del Meria, sede di importanti industrie di motociclette. Incombe sovrastante la Grigna, dalle cime dolomitiche, palestra di ardito alpinismo. Il massiccio, limitato da un lato dal lago, è recinto a oriente dalla Valsàssina, includendo sotto questo nome, come s’usa localmente, il lungo solco che da Ballabio sopra Lecco giunge a sboccare nel «centro lago» sopra Bellano, comprendendo distinti tronchi di valle, e cioè: la valle di Laorca che discende verso Lecco, ricca di trafilerie e chioderie, il corridoio di Balisio (700 m.) una specie di canon privo di una chiara idrografia e che forse in periodo glaciale si sarebbe trasformato in un lago, la bella e ampia conca di Barzio, ricca di prati e di castagneti, la valle di Introbio e la vai Mug-giasca incisa a forra e sospesa sul Lario. L’economia della Valsàssina era ed è tuttora basata sull’allevamento bovino. Qui hanno avuto origine le più famose industrie casearie che oggi vanta la pianura (Invernizzi, Cademàrtori, Locatelli, Galbani, Arri-goni, ecc.) e che sorsero in prevalenza per iniziativa di famiglie venute anticamente in Valsàssina dalla vai Brembana e dalle sue valli confluenti. Fino allo scorso secolo queste famiglie con i loro armenti, le bergamine, scendevano ancora al piano, ricco dei foraggi delle marcite, per svernare; oggi gli armenti hanno sede fissa nelle stalle del piano e solo il bestiame giovane è inviato d’estate sui pascoli valsassinesi. Ma la bellezza dei luoghi ha dato anche sviluppo turistico ai centri della Valsàssina; tra essi più popolosi: Barzio (767 m.; 941 ab.), centro d’origine della famiglia di Alessandro Manzoni, Pasturo (641 m. ; 922 ab.) e Introbio (586 ni. ; 998 ab.), centri caseari, Primaluna (550 m. ; 520 ab.), luogo d’origine dei Della Torre, gli avversari dei Visconti.

    Il « centro lago » del Lario e le Grigne.

    Lungo le sponde del ramo comasco del Lario numerosi si susseguono i villaggi, alcuni aggrappati allo scosceso pendìo, come Careno e Blevio, altri allo sbocco delle valli come Nesso e Argegno, altri appollaiati su terrazzi come Pigra e Véleso. Numerose e alcune veramente notevoli le ville: a mezza via tra Torno e Faggeto, la cinquecentesca villa Pliniana, così chiamata per la fonte intermittente che suscitò l’interesse di Plinio il Vecchio e di Plinio il Giovane; la famosa Villa d’Este, poco distante da Como, edifìcio principesco fatto erigere dal cardinale Gallio, trasformato in lussuoso albergo nel 1873. I centri più popolosi si trovano sulla sponda occidentale: Cernobbio (6621 ab.), centro d’industrie tessili alle porte di Como, Moltrasio (2025 ab.) dove, nella Villa Passalacqua, Bellini compose parte della Straniera e forse della Sonnambula, Argegno (749 ab.) da cui si accede alla valle Intelvi. Sotto questo nome si comprendono i solchi di due torrenti entrambi distinti col nome di Telo, ma confluenti uno nel Lario e l’altro nel Ceresio e collegati tra loro dall’ampia insellatura di San Fedele (732 m.). E una zona ridente, verde di castagneti e di prati, cosparsa di villaggi attorniati da coltivi. Notevole è l’afflusso estivo per villeggiatura, specialmente a Lanzo (907 m. ; 999 ab.), il maggior centro della valle, che con il suo Belvedere s’affaccia sulla sottostante conca del Ceresio.

    Il «centro lago» è «una plaga di delizie e in essa stanno raccolte, come in una coppa ideale, le più delicate meraviglie del creato ». Sulla sponda orientale, scaglionata su uno sprone roccioso, è Varenna (700 ab.), adorna di ville sommerse nella vegetazione mediterranea; tra esse Villa Monastero sede dell’Istituto idrobiologico italiano. Sulla penisoletta protesa in mezzo ai due rami meridionali sorge Bellagio (1364 ab.) pittoresco centro, molto frequentato in primavera e in autunno da stranieri, con imponenti alberghi e stupende ville, tra cui famose la Villa Serbelloni, edificata sul luogo ove forse aveva la dimora Plinio il Giovane, e la Villa Melzi, entrambe cinte da parchi ricchi di piante rare. Sulla sponda orientale infine vi è la ridente Tremezzina splendida di ville, di alberghi e di parchi con Lenno (890 ab.), al riparo della Punta di Balbianello (dove domina la Villa Arconati in cui soggiornò Silvio Pellico alla vigilia del suo arresto), con Tremezzo (1100 ab.) che dà il nome alla splendida riviera, con Cadenabbia e con numerosi e piccoli villaggi sui terrazzi sovrastanti, tra i quali Giulino dove fu fucilato, nell’aprile del 1945, Mussolini. Tra le maggiori attrazioni, la settecentesca Villa Carlotta famosa per le sculture del Canova e per il suo parco, tutto fiorito in maggio di azalee e di rododendri.

    Il ramo sudoccidentale del Lario (sponda occidentale tra Cernobbio e Carate).

    Villa d’Este a Cernobbio.

    Separata dalla Tremezzina dall’incombente Sasso di San Martino, che porta evidenti tracce dell’esarazione glaciale, vi è Menaggio che chiude il «centro lago». L’abitato (2034 ab.), sul delta del torrente Sanagra, è centro di transito poiché alle sue spalle s’apre l’ampio solco, detto vai Menaggina, che, ampliato e approfondito da una ramificazione della grande colata glaciale quaternaria, porta agevolmente a Por-lezza (1168 ab.) e al lago di Lugano. Questo, in contrasto con il «centro lago» di Como, si presenta, nel tratto italiano, chiuso tra alti versanti e soffuso di quella malinconica dolcezza che il Fogazzaro, del quale resta la casa di Oria, ebbe cara e trasfuse nel suo più noto romanzo.

    Le sponde dell’alto Lario più degli altri rami conservano intatto, nell’assieme, il carattere rurale; esse accolgono tuttavia grossi centri rivieraschi di notevole sviluppo industriale. Sulla sponda orientale, allo sbocco della vai Muggiasca, che ha formato un impressionante òrrido e un ampio delta, sorge Bellano (2812 ab.) attivo nell’industria tessile; più a nord, allo sbocco della vai Varrone, sull’ampio delta formato dal torrente, Dervio (1850 ab.), centro di industrie caratteristiche degli ombrelli; poi ancora più a nord, porta d’ingresso alla Valtellina, Còlico (1177 ab.). Presso Còlico, il lago forma una pittoresca insenatura e su uno dei promontori che lo proteggono sorge l’antichissima Abbazia di Piona, fondata dai monaci cluniacensi e ora retta dai cistercensi, abili nella distilleria di un gradevole liquore. Sulla sponda opposta del lago sono notevoli: Dongo (2052 ab.) presso lo sbocco della valle Albano, sede di industrie del ferro alimentate da piccoli giacimenti locali di minerale, e Gravedona (2207 ab.) allo sbocco della valle del Liro, capoluogo delle Tre Pievi (Gravedona, Sèrico e Dongo), di storia antica ed illustre.

    L’alto Lario, da Rezzònico.

    La Valtellina e le valli di Chiavenna

    All’àpice settentrionale del Lario e in continuazione del suo bacino s’aprono i solchi della Valtellina e delle valli di Chiavenna, che insieme costituiscono il territorio della provincia di Sondrio. E la parte tipicamente alpina della Lombardia, dove l’elemento naturale predomina e soggioga. Non si può tuttavia dire che l’opera umana non abbia anche qui lasciato un’orma profonda. Dai vigneti sparsi sui versanti, risultato di un’opera secolare di trasformazione, ai bacini e alle centrali idro-elettriche, incancellabili monumenti del nostro tempo, è tutta una continua testimonianza dell’attività umana; qui, anzi, per la più dura lotta contro la potenza delle forze naturali, le opere dell’ingegno e del braccio prendono più vivo risalto e suscitano maggiore ammirazione. Già all’imbocco delle due valli il vasto Pian di Spagna, formato dai depositi dell’Adda, che, espandendosi, hanno decapitato l’antico apice del Lario e racchiuso il suggestivo laghetto di Mezzola, denunciano una difficile opera di bonifica in un’area dove per secoli ha dominato l’acquitrino e la malaria. Nè l’opera di bonifica è stata necessaria solamente nel tratto finale della Valtellina, ma in diverse parti del fondo della stessa valle, sul quale, i torrenti precipiti dalle Rètiche e dalle Orobie, specie questi ultimi, hanno riversato gran copia di acque e di detriti ostacolando non poco il flusso dell’Adda. Ora una parte dei cumuli, stabilizzati, si distende in ampie conoidi coperte di coltivi e di prati, una parte invece si presenta a guisa di ferite ancora aperte; tale, ad esempio, quella allo sbocco della vai Tàrtano dove la violenza delle alluvioni ha costretto a forare le roccia viva del monte per dar sicuro passaggio alla ferrovia. La Valtellina nel tratto inferiore denuncia con i suoi verdi prati, i suoi campi di cereali, i suoi frutteti e i suoi vigneti, l’attività prevalentemente rurale degli abitanti. Particolarmente notevole è la cura rivolta alla coltivazione, sul versante a solatìo, del vigneto (i cui prodotti trovano un buon mercato anche nella Svizzera), e aH’allevamento. Ma le risorse, appunto perchè agrarie, non sono suscettibili di un aumento adeguato all’accrescersi del numero degli abitanti e da ciò deriva il continuo seppure tenue èsodo della popolazione. E ciò tanto più in quanto, in relazione all’ambiente naturale, la popolazione è discretamente fitta, come visibilmente denuncia la frequenza dei borghi e dei villaggi distribuiti sul fondovalle o sui terrazzi del versante esposto al sole. La ricerca del sole è qui particolarmente evidente, chè opposto al versante rètico fitto di abitati e di vigneti s’erge il versante oròbico scarso di abitati e denso di bosco ceduo e di castagneti. Il capoluogo della valle e della provincia è Sondrio (307 m. ; 10.561 ab.), che si espande sul fondovalle presso la confluenza della vai Malenco. La città è di origine certamente preromana, ma il suo nome par di conio longobardo (con significato di terreno coltivato dal padrone); coinvolta nelle lotte tra le più potenti famiglie comasche, nel secolo XIV subì assedi e distruzioni. Nel 1336 vi si affermò il potere dei Visconti sino a che nel 1512 calarono i Grigioni. Nel 1797 con tutto il territorio valtellinese entrò a far parte della Repubblica Cisalpina. La città ha ricevuto un notevole impulso dalla costruzione della ferrovia proveniente da Milano e Lecco e dalla strada dello Stelvio; il suo volto si è rinnovato e ammodernato, la sua attività incrementata. Un benefico riflesso ha avuto nell’economia cittadina anche lo sviluppo dell’industria idroelettrica nell’àmbito della valle. Verso la zona di sbocco il centro più importante è Morbegno (255 m. ; 4642 ab.), sede di industrie tessili e alimentari, alla confluenza della valle del Bitto nota per le località di villeggiatura; verso monte il centro più popoloso è Tirano (430 m.; 5609 ab.), centro di vivace movimento turistico quale stazione della ferrovia svizzera del Bernina. Famoso in tutta la valle è il cinquecentesco Santuario della Madonna di Tirano, eretto sul luogo di un’apparizione; esso al richiamo religioso unisce quello artistico. Nell’alta valle domina Bormio (1225 m. ; 2687 ab.), stazione climatica e termale e centro sportivo di soggiorno estivo e invernale, base di partenza per le ascensioni dell’Ortles-Cevedale, nodo d’irradiazione delle strade dello Stelvio, del Gavia e di Foscagno. La sua antica storia e il suo vanto di contea medioevale si rivelano per molti segni: dalla Collegiata, di cui si trova cenno già in un diploma di Carlomagno, alla Torre del Comune, su cui stava la « baiona » che convocava i Consigli della valle, alle rovine del Castello che dominava sul borgo.

    La confluenza della Valtellina (a destra) con la vallata di Chiavenna (a sinistra). Nel piano (in prossimità del vertice dell’ombra) il dosso di Fuentes.

    Sondrio, capoluogo della Valtellina. Sullo sfondo il versante oròbico in veste invernale.

    Le valli di Chiavenna s’aprono con il Piano omonimo, costituito dall’interrimento dell’antico àpice del Lario ad opera della Mera, serrato in una cerchia di aspre montagne. L’abile penna di Giovanni Bertacchi, il poeta di queste valli, ce le presenta « tutte svolte e sproni violenti, con fondi e scorci di cime che ad ogni tratto si spostano, s’adimano, dan su; valli convulse, riottose, che pare vogliano fare da sè ne’ sistemi della natura. Chiavenna giace là in fondo, a’ piedi di quel pietrame caotico intercalato di verde e dominato a nord dalle rocce pittoresche di Capiola, ove le marmitte dei giganti serbano l’arcano dei ghiacciai ». La cittadina (4598 ab.), posta sopra il materiale di una grandiosa frana preistorica precipitata dal Pizzo di Prata, ebbe sin da epoca romana una notevole importanza quale stazione obbligata per il transito dei Passi dello Spluga e del Maloggia. Il suo stesso nome, che par giusto far derivare dal latino clavis, indica la sua precipua caratteristica. L’abitato in periodo medioevale si sviluppò soprattutto lungo la strada del Maloggia alla sinistra del Mera, e nel i486 Bona di Savoia lo fece cingere di mura (di cui rimane qualche avanzo) per difenderlo dalle insidie che venivano d’oltralpe. L’importanza del centro s’accrebbe poi allorché un’immane frana nel 1618 seppellì il vicino borgo di Piuro. Nel 1882 l’apertura della ferrovia del Gottardo tolse a Chiavenna parte della sua importanza, ma lo sviluppo dell’attività industriale, quale quella della birra (che nel 1880 contava ben sette fabbriche), dei latticini, eccetera, continuò a dar sviluppo alla cittadina, che prese a espandersi verso lo sbocco della vai San Giacomo. La cittadina è dominata dai ruderi di un antico castello la cui notorietà è legata soprattutto alla Caùrga, un taglio netto della rupe su cui il castello poggia e che si ritiene fatto dall’opera deH’uomo per meglio difendere il luogo. Interessanti sono anche i erotti, cavità sotterranee tra i massi dell’antica frana in cui circolano forti correnti d’aria fredda, detti sorèl, che servono come cantina.

    La Valtellina a Tresenda. In alto sul terrazzo, Teglio.

    Val di Dentro.

    Pianazzo (1399 m.) nell’alta valle San Giacomo.

    Da Chiavenna si dipartono, risalendo verso i Passi del Maloggia e dello Spluga, rispettivamente la vai Bregaglia, « ricca d’aspetti più che mai, con ogni tono di verde, bella di vigne e di selve » tagliata a mezzo dal confine elvetico, e la vai San Giacomo, « selvaggia con torrioni e castelli di rupi ». Lungo questa si snodava la strada romana voluta da Marco Aurelio e che prese da lui il nome di Via Aureliana, mutata poi nel Medioevo in Via Regina, forse per corruzione di « regia ».

    Dire di quante località attraenti e di quante bellezze naturali sian dotate la valle di Chiavenna e la Valtellina è vano, chè a cento a cento s’affacciano i nomi e i luoghi, tutti meritevoli di menzione. A queste sue bellezze s’affida non poco il territorio della Lombardia meno dotato di ricchezze e s’affida poiché tante meraviglie meritano un afflusso turistico ben maggiore di quello già in atto, che pure non è trascurabile.

    Il Varesotto

    Il Varesotto è una plaga somigliante per diversi aspetti naturali ed economici ai territori contigui: come il territorio di Como esso ha una porzione costituita dalla montagna prealpina e una porzione costituita dalla collina morenica, come il Milanese esso ferve di una molteplice attività industriale. Nell’insieme il territorio, pur mancando di un’unità geografica, si distingue per suoi caratteri particolari. Si può dire che dappertutto, anche in parte delle basse valli, il decadere della viticoltura prima a causa della fillossera, e della bachicoltura poi, per complesse vicende di mercato, ha sospinto la popolazione all’attività industriale, favorita, questa, dalla vicinanza di Milano e dallo sviluppo delle comunicazioni ferroviarie dirette al Canton Ticino per la via di Luino (che s’allaccia alla ferrovia del Gottardo) e al Canton Vallese per il traforo del Sempione. L’agricoltura ha assunto carattere complementare e l’artigianato, già fiorentissimo, è declinato dinanzi al trionfo dell’industria che dal ramo tessile tradizionale si è espansa in altri campi, dal cuoio alle calzature, dalla carta al legno, ecc. Anche il turismo ha avuto un vivace sviluppo per la bellezza dei luoghi non inferiore a quella delle più celebrate e note parti della Lombardia. Vi sono infatti alcune plaghe, forse ancora poco note, davvero incantevoli: basterebbe percorrere le contrade della Gazzada, sul bordo orientale della conca che rinserra il lago di Varese, o raggiungere la Rocca d’Aligera e l’altura di Santa Caterina del Sasso sulla sponda del lago Maggiore, o dal Sacro Monte e dal Campo dei Fiori dominare l’ampio orizzonte cui fa da cornice la bianca cerchia delle Alpi sovrastata dal Monte Rosa, per avere un saggio del fascino di questo lembo di Lombardia.

    Angera.

    Laveno.

    Il Sacro Monte (m. 880), celebre località di richiamo religioso e turistico nelle Prealpi di Varese. Sullo sfondo le Prealpi comasche.

    Santa Caterina del Sasso sulla sponda lombarda del Verbano.

    L’ampia zona collinare è opera anche qui, come nella Brianza e nel Comasco, dell’antico glacialismo quaternario, ma naturalmente di una diversa colata, ossia di quella che scendeva dalle valli ticinesi e ossolane e, attraverso il solco del lago Maggiore, giungeva al piano aprendosi in un largo ventaglio il cui settore orientale copriva il Varesotto, congiungendosi con il bordo alla fronte del ramo luganese della colata abduana. Ma tra le arcuate morene del Varesotto, forse più che altrove, emergono qua e là dossi dell’antiche rocce di fondo, che ravvivano assai la morfologia; a ciò s’aggiunga la presenza dei laghetti di Varese, di Monate e di Comabbio che aggiungono un tocco di leggiadria al paesaggio.

    La parte montana del Varesotto è rappresentata, oltre che dal lembo alpino a nord della Tresa, da un assieme di gruppetti di monti divisi da un intrico di valli che curiosamente s’intersecano (chissà mai per quale evolversi di fatti della lontana storia della Terra) e presentano aspetti molto vari, ma nel complesso assai ridenti. Ampia e popolosa la Valcuvia, profonda e spopolata la Valganna (nota per le sue grotte alcune abitate in epoca preistorica, altre lavorate a colpi di martello forse in epoca romana); aperta e boscosa la Valtravaglia, spaziosa e verde la vai Marchirolo. Le conche sono frequenti e nella parte mediana fan da raccordo tra le diverse vallecole sicché agevole è il passaggio dall’una all’altra. In tutte, la modestia delle risorse locali, basate sull’allevamento, sulla silvicoltura e su una stentata agricoltura, è stata causa, specie nei decenni prebellici, di un notevole disagio della popolazione che in parte non trascurabile ha abbandonato i luoghi nativi per scendere al piano. Lo spopolamento si è manifestato in modo ancor più accentuato nella vai Veddasca che, verde e profonda, s’apre verso il lago Maggiore nell’estremo lembo montuoso del Varesotto.

    Numerosissimi sono i grossi centri nella collina e altrettanto numerosi i villaggi nella montagna. Già nei cenni sul Milanese, in relazione alla posizione intermedia con il Varesotto, si sono ricordati Saronno, Gallarate e Busto, grossi centri dell’in-dustria. Nell’àmbito della collina, per quanto meno popolosi sono pure notevoli. Tradate (303 m. ; 9966 ab.), borgo industriale, poco lungi dalle famose rovine di Castel Seprio, antico centro longobardo di cui rimangono interessanti reliquie, quali la chiesa di Santa Maria Foris Portas, raro documento del secolo VI; Malnate (350 m. ; 5571 ab.), luogo di villeggiatura su un terrazzo della vai d’Olona; Viggiù (483 m. ; 2147 ab.), centro turistico in amena posizione. Lungo le sponde del lago Maggiore si succedono da nord a sud Luino (8542 ab.), cittadina di transito intemazionale, sede di notevoli industrie; Laveno (3699 ab.), notevole scalo lacuale e nota per le rinomate industrie della ceramica, fondate nel 1856; Angera (2901 ab.), l’antica Vicus Sebuinus, dominata dalla Rocca dei Visconti; Sesto Calende (3863 ab.), centro di industrie, presso il passaggio sul Ticino della strada del Sempione. Notevoli località di confine sono Ponte Tresa (588 ab.) e Porto Ceresio (1406 ab.), entrambe affacciate sul lago di Lugano in amenissima posizione.