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Il Volturno

    Il Volturno

    I tipici fiumi della Campania sono il Volturno e il Sele, i quali sono anche i principali dell’Italia meridionale. Essi presentano notevoli analogie nel percorso, nel sistema di alimentazione e nel regime; nascono da ricche sorgenti carsiche, hanno un ramo sorgentifero proveniente da nord e piuttosto corto e ricevono da destra un affluente più lungo e più ricco di acque del ramo principale, ma con regime più torrentizio.

    II più importante è il Volturno, che è lungo 175 km. — ma 167 dalle sorgenti di Capo Volturno e 183 dalle origini del Vandra, suo affluente di sinistra — ed ha un bacino di 5570 kmq., incluso per circa i cinque sesti nella nostra regione. Nella graduatoria dei fiumi italiani, esso occupa il settimo posto per lunghezza, dopo il Po, l’Adige, il Tèvere, il Piave, l’Arno e il Reno, il sesto per portata, dopo il Po, l’Adige, il Tèvere, l’Arno e il Garigliano e il quinto per ampiezza di bacino, dopo il Po, l’Adige, il Tèvere e l’Arno. Tra i fiumi dell’Italia peninsulare esso si distingue per avere un regime non troppo irregolare, grazie alla presenza nel suo bacino di grandi massicci calcarei, dai quali sono alimentate ricche sorgenti.

    Il Volturno ha origine alla base delle Mainarde presso Castel San Vincenzo, da copiose sorgenti carsiche (7 me. d’acqua al secondo), che scaturiscono dal Monte della Rocchetta, a m. 548 sul mare, su un vasto banco di travertino, che è da annoverarsi tra i più alti d’Italia. Incide il suo alveo in tale roccia e, ricevuto alla base di esso il Rio Iemmare, che scende dalla Metuccia, scorre in un profondo solco alla periferia del banco di travertino stesso fino alla confluenza col Rio Acquoso. Taglia poi con una gola la soglia calcarea di Colli al Volturno e si abbassa lentamente nella pianura tra Isernia e Venafro, dove riceve vari tributari a raggiera, tra i quali si distingue il Cavaliere-Vandra, che ha una lunghezza quasi doppia del ramo sorgentifero del Volturno. Nella piana di Venafro, oltre al Rio San Bartolomeo, che confluisce in esso da destra, riceve da sinistra la Rava delle Copelle e il Sava, poco prima dello sbarramento che alimenta la condotta forzata delle centrali di Rocca d’Evandro. La Rava delle Copelle si può considerare la continuazione del fiume Sava fuori della conca di Gallo, ove ora esso si perde. In un passato non molto remoto ne doveva superare il bordo nord-occidentale ed incidere sulla parete della montagna un profondo solco, che si può ritenere la sua valle fossile. E quindi assai improbabile che ne sia la continuazione il Sava di Capriati, il quale porta impropriamente il nome del fiume che scorre nella conca di Gallo.

    Oltrepassata la strozzatura tra le appendici delle Mainarde e del Matese, il Volturno entra in Campania e nella media valle, che esso percorre da tempi relativamente recenti, cioè dopo che il Roccamonfina gli ha sbarrato il passo verso il mare tra il Monte Cèsima e il Monte Maggiore. L’incisione della soglia, che si interponeva tra gli antichi corsi del Torano e del Titerno, gli ha permesso di raggiungere il Calore e di ringiovanire successivamente la valle da Alife a Venafro. In questa il fiume compie parecchi meandri, di cui alcuni incassati, e circuisce varie isole sabbiose; riceve da sinistra pochi torrenti che si originano sul Roccamonfina e sul Monte Maggiore e da destra successivamente il Lete, il Torano e il Titerno, che provengono dal Matese.

    Il Lete è, come il Bussento già ricordato, un fiume molto interessante, perchè si forma sul Matese a 1050 m., traversa il Campo delle Sècine e la conca di Letino, da dove fuoriusciva incidendo un tempo una profonda valle sulla parete meridionale della montagna, come ha dimostrato il Colamonico. Successivamente è stato assorbito da un inghiottitoio, apertosi a 886 m. di altitudine, al margine occidentale della conca di Letino. Il fiume compiva un percorso sotterraneo di circa 500 m. e riappariva un centinaio di metri più in basso, precipitando con una caratteristica cascata nella valle di Prata, prima che le sue acque fossero raccolte in un laghetto artificiale e immesse in condotta forzata. Il Lete ha una lunghezza di circa 20 km., di cui nove dalla grotta di affioramento alla confluenza con il Volturno. Con la realizzazione di un progetto per la completa utilizzazione del Lete e del Sava di Gallo in una catena di centrali idroelettriche le acque del Lete saranno riversate nella conca di Gallo e con quelle del Sava nel Volturno, e quindi nel Garigliano.

    La foce del Volturno dal ponte di Castel Volturno.

    Il Torano si forma nel selvaggio vallone di Piedi monte d’Alife col tributo di ricche sorgenti carsiche e di impetuosi torrenti, che precipitano dalla montagna in profonde valli (valle dell’Inferno), a pareti verticali. L’incisione in cui si origina il fiume taglia la montagna fino alla base ed è una delle più marcate del Matese e si deve mettere forse in relazione con una idrografia superficiale più sviluppata. Il fiume ha una portata piuttosto regolare, che a Piedimonte d’Alife oscilla in media tra 3 e 4 me. al secondo.

    Il Titerno si forma con l’unione di vari torrenti che scendono dai monti circostanti all’ampia conca di Cusano Mutri, dalla quale fuoriesce per un lungo corridoio aperto dal torrente negli strati di calcare. In esso si distinguono vari livelli di erosione e notevoli marmitte dei giganti: l’alveo attuale del torrente è a tratti nascosto da soglie laterali più resistenti, sicché le acque scorrono in una specie di galleria semicoperta. La valle del Titerno è quasi tutta ben marcata e di incisione recente, come nella parte montana, così in quella mediana e inferiore, dove il fiume ha creato notevoli terrazze, ha staccato a Faicchio il Monte Acero dal Matese con una interessante gola e, a valle di questa, ha messo in risalto la struttura colonnare di un vasto banco di tufo grigio.

    Vedi Anche:  preappennino campano

    Ad Amorosi, un paio di chilometri prima delle confluenza col Calore Irpino, il Volturno ha una portata media annua di 44 mc/sec., sulla base dei dati pubblicati dal Servizio Idrografico del Ministero dei Lavori Pubblici. Il suo bacino è per circa il 90% formato da terreni permeabili e il regime non troppo irregolare, grazie al considerevole apporto delle sorgenti. La massima assoluta, al colmo della piena eccezionale dell’ottobre 1949, fu di 1270 mc/sec., la minima assoluta fu registrata nel luglio 1940 con 8,9 mc/sec. In genere, però, la portata del Volturno ad Amorosi raramente scende sotto 11 mc/sec. nei periodi di massima magra o sale oltre 300-400 mc/sec. in quelli di piena, ma tali valori sono alterati dalle recenti derivazioni di acque dal fiume per scopi irrigui, domestici e idroelettrici.

    Il fiume fino alla confluenza col Calore ha una lunghezza di 105 km. dalle note sorgenti ed un bacino idrografico ampio 2018 kmq.; ma per la presenza, sulle montagne calcaree, di vaste aree prive di deflusso superficiale, non è agevole calcolare con esattezza la superficie del suo bacino. Ciò vale anche per altri fiumi campani, dato che è possibile attribuire a bacini diversi una stessa conca priva di deflusso superficiale. Si spiegano così le discordanze dei valori riportati da fonti diverse. Anche la lunghezza varia — come si è visto — a seconda che si misuri dalle sorgenti del ramo principale o dalle origini di qualche suo affluente meno noto, sebbene più lungo.

    Dopo la confluenza con il Calore, il Volturno si dirige verso la pianura, aprendosi un varco in corrispondenza di una linea di frattura del Subappennino, e diventa un fiume di considerevoli dimensioni. Il Calore è il suo principale affluente, ha una lunghezza di poco superiore (km. 108), un bacino idrografico molto più ampio (3058 kmq.) e una portata più cospicua, e riceve numerosi affluenti da destra e da sinistra, cioè dall’Appennino Sannita e dalle montagne calcaree.

    Questo fiume si origina sul Monte Accèllica al Colle Finestra, come il Sàbato, suo affluente, che scende dal versante opposto della medesima montagna, e scorre in una valle molto incisa fino a Montella, dove riceve il tributo di altri affluenti montani, tra i quali bisogna segnalare quello che smaltisce per via sotterranea parte delle acque del Piano di Laceno, detto Rio Caliendo. Il fiume percorre una lunga valle aperta quasi tutta in terreni argillosi e in arenarie plioceniche, che si presenta a tratti più svasata, a tratti più stretta (Paternòpoli), finché presso Àpice si amplia notevolmente e diventa più pianeggiante.

    Il fiume riceve l’apporto di ricche sorgenti e di numerosi piccoli corsi d’acqua a carattere torrentizio, che producono continui smottamenti e frane. Tra questi si distingue per lunghezza il Frèdane (km. 20), cui fanno da spartiacque le colline che si interpongono tra la sua valle e quelle del Calore, dell’Òfanto e deH’TJfita. Esso ha una sensibile pendenza e perciò scorre con irruenza al tempo delle piogge e trasporta una grande quantità di materiali solidi, strappati alle tenere colline o scivolati nell’alveo proprio e dei suoi tributari minori.

    A valle di Apice il Calore riceve uno dei principali affluenti, l’Ùfita, che lo raggiunge pochi chilometri dopo di aver ricevuto il Miscano. Il torrente scorre in una valle molto svasata, parallela a quella del Calore, aperta per la maggior parte in teneri terreni argillosi, la quale si restringe, presentando pareti più ripide dove affiora qualche lembo di arenarie, come avviene in corrispondenza di Melito Irpino e di Bonito. L’Ufita rimane quasi completamente asciutto nei mesi estivi e si ingrossa durante i periodi piovosi, quando le sue acque fangose esercitano una grande azione erosiva sulle sponde con conseguenti franamenti. Negli altri mesi dell’anno nel suo largo letto si snoda in ampi meandri solo un piccolo rivo lucente.

    Nella conca di Benevento il Calore riceve da destra il Tàmmaro, un lungo (68 km.) ed irregolare corso d’acqua che scende dal Matese in una valle molto incassata, nella quale affiorano dal mantello di flysch le ultime appendici calcaree del Matese e raggiungono considerevole potenza i banchi di arenarie. Il fiume ha origine fuori della Campania, presso il passo di Vinchiaturo, e riceve da sinistra il suo principale tributario, il Tammarecchia, che proviene dai monti del Sannio.

    A Benevento avviene la confluenza del Calore col Sàbato, il quale nasce dal-l’Accèllica ed ha una lunghezza di 49 chilometri. Ha una valle parallela a quella del fiume recipiente, aperta, nel tratto superiore, tra i gruppi occidentali del massiccio dei Picentini, in quello medio, nella Conca di Serino, dove riceve le acque di ricche sorgenti, nei banchi di tufo vulcanico della conca di Avellino e nelle pile di conglomerati pliocenici a valle di Altavilla Irpina. Il Sàbato e il Calore delimitano una collina dal lieve pendio, su cui è sorto il nucleo originario della città di Benevento, alla quale i due fiumi hanno offerto una non trascurabile difesa naturale.

    Vedi Anche:  I laghi

    Per raggiungere il Volturno, il fiume deve compiere un grande arco intorno al Taburno e percorrere il solco che separa questa montagna dal Matese. Esso riceve da sinistra il Corvo e da destra il Lenta e il ricco tributo delle sorgenti di Telese, oltre a cospicui apporti subalvei.

    Presso la confluenza col Volturno, il Calore ha una portata media annua di 51 mc/sec., che è di un quarto superiore a quella del suo recipiente, ma presenta maggiori oscillazioni, a causa della notevole estensione dei terreni impermeabili (50%) nel suo bacino. La portata media mensile più alta si ha in febbraio con 116 mc/sec. (secondo i dati del periodo 1936-42), quella più bassa in agosto con 20,2 mc/sec. La massima assoluta, al colmo della piena, fu registrata nel novembre del 1938 con 1520 mc/sec.; la minima assoluta è oscillata spesso intorno a 6 mc/sec. in agosto.

    Tali valori, confrontati con quelli del Volturno, ci consentono di porre meglio in risalto i caratteri idrologici dei due fiumi, che si ripercuotono su quelli del corso inferiore del Volturno. Questo riceve l’afflusso di poche altre sorgenti e del-l’Isclero, che incide la sua valle tra il Taburno e i Tifata, poi entra nella pianura che attraversa pigramente con ampi meandri, entro i quali si sono formati alcuni centri, quali Capua ed Anione. A valle di Capua il fiume non riceve alcun altro tributo superficiale e all’idrometro di Cancello Arnone, a 18 km. dalla foce, la sua portata media risulta di 98 mc/sec. (nel periodo 1931-42), con oscillazioni piuttosto sensibili tra quella del mese di febbraio (188 mc/sec.) e quella del mese di agosto (37,7 mc/sec.). La portata massima è stata misurata il 2 ottobre 1949 con 1800 mc/sec., quella minima assoluta il 25 luglio 1933 con 25,9 me. al secondo.

    Il Volturno è il più importante fiume dell’Italia meridionale, non solo per l’ampiezza del bacino di alimentazione e per la portata, ma anche per le notevoli possibilità irrigue ed idroelettriche, a causa soprattutto delle sensibili differenze di altitudine che si riscontrano tra le varie parti del suo bacino e tra questo e i bacini idrografici vicini. Infatti il fiume è potuto entrare a far parte di una complessa rete

     

     

    di condotte forzate, che sfruttano le differenze di livello esistenti lungo le falde del Matese e delle Mainarde e tra i bacini del Sangro, del Volturno e del Garigliano. I caratteri idrologici dei fiumi interessati sono risultati sensibilmente modificati in seguito all’immagazzinamento di grandi quantità di acqua in laghi artificiali, che fungono da regolatori del deflusso, e al loro travaso da un bacino all’altro.

    Le acque del Rio Torto, affluente del Sangro, sono riversate nel Volturno, il quale nella Piana di Venafro cede a sua volta parte delle proprie al Garigliano. La rete non è ancora completa, perchè stanno per essere realizzate la deviazione del Lete

    e elei Sava e la derivazione delle acque dal Biferno attraverso il Matese, per scopi idroelettrici e domestici. Le opere più recenti prevedono quasi sempre una duplice utilizzazione delle acque del fiume, idroelettrica e irrigua o idroelettrica e domestica e rispondono meglio ai più razionali criteri economici moderni.

    Il Sele.

    Il secondo fiume della nostra regione, come di tutta l’Italia meridionale, è il Sele, che ha un ramo sorgentifero lungo appena 73,5 km. (ma 65 km. dalle sorgenti di Caposele) ed un bacino idrografico di 3240 kmq. Anche il Sele, come il Volturno, nasce da copiose sorgenti carsiche, scorre in direzione meridiana nel corso superiore e riceve da sinistra gli affluenti più notevoli per portata e bacino.

    Il fiume nasce a m. 438 sul mare da numerose polle che scaturiscono dal contrafforte nord-orientale del Cervialto (Monti Picentini), dal quale scende il torrente

    Vallone delle Brecce che trova la continuazione nella valle del Sele, scavata in potenti banchi di argille e di arenarie. Riceve da destra il Calabritto e da sinistra il Tèmete, entra poi in una valle più ampia e pianeggiante aperta in argille, arenarie e conglomerati, finché incide la soglia calcarea di Contursi. Cospicuo è l’apporto da destra delle sorgenti, che affiorano lungo la linea di contatto del mantello impermeabile col calcare. Il bacino idrografico del ramo sorgentifero del Sele è di soli kmq. 336.

    Poco a valle di Contursi il Sele riceve il Tànagro, che ne è il principale affluente. La sua portata media annua poco prima della confluenza è di 15,4 mc/sec., mentre quella del mese più ricco di acque, che è febbraio, risulta di 26 mc/sec. e quella del mese più povero, che è agosto, di 6,4 me. al secondo.

    Il Tànagro è più lungo (92 km.) del Sele ed ha un’ampiezza di bacino di 1863 kmq. Ha origine col nome di Calore sui monti settentrionali del gruppo del Sirino e solca il Vallo di Diano per tutta la sua lunghezza con un corso canalizzato su notevoli tratti e ne fuoriesce a Polla per un varco, approfondito artificialmente sin dalla fine

    Vedi Anche:  Campania

    del secolo XVIII, per favorire il deflusso delle acque del Vallo di Diano nell’incisione valliva tra l’Alburno e le ultime propaggini della Catena della Maddalena. Il fiume, nel corso superiore, attraversa terreni semipermeabili, poi entra sugli spessi depositi argillosi, formatisi sul fondo dell’antico lago del Vallo, sui quali corre per una decina di chilometri e prende il nome di Tànagro. Avvicinandosi al termine del Vallo ritorna sui terreni permeabili, dove nel passato veniva quasi tutto assorbito da varie voragini presso Sant’Arsènio e Polla (foce di Sant’Arsènio, Molino Curcio, Clive o Crive), in alcune delle quali l’acqua azionava dei molini prima di sprofondare in caverne. Il fiume quindi solo eccezionalmente superava l’orlo calcareo per riversarsi nel fosso di Maltempo e si perdeva normalmente nelle voragini ricordate, ma formava anche un lago di dimensioni variabili al centro del Vallo. Le opere di bonifica, iniziate già alla fine del ‘700 e continuate specialmente nella seconda metà del secolo scorso, mirarono all’abbassamento dell’alveo e all’incisione della soglia calcarea per im-

    mettere le acque nel Fossato Maltempo, onde prosciugare l’area pantanosa. Di conseguenza gli inghiottitoi naturali hanno perduto la funzione di smaltire le acque tracimanti dal bacino impermeabile e sono stati in parte ostruiti e l’idrologia del Vallo di Diano ha subito sensibili modificazioni.

    Il Tànagro ha a Polla una discreta quantità d’acqua (portata media annua io,8 mc/sec.), che scende raramente sotto i 3 mc/sec., grazie al contributo di numerose sorgenti carsiche che scaturiscono ai margini della conca, ed è stato utilizzato per scopi idroelettrici, sfruttando un salto di oltre 250 m. tra il Vallo di Diano e il fondo vallivo a Pertosa. Qui il fiume riceve il grosso deflusso perenne (2 mc/sec.) della Grotta dell’Angelo e si abbassa a circa 200 m. sul livello del mare. Si avvia quindi verso il Sele, che raggiunge presso Contursi, dopo aver ricevuto il non trascurabile tributo del fiume Bianco, il quale si forma con la confluenza di due impetuosi torrenti, il Plàtano e il Melandro. Questi scolano le conche di Muro Lucano-Picerno e di Brienza-Vietri di Potenza, alle spalle delle montagne calcaree, attraverso le quali si aprono la via verso il Tirreno per due dirupate e profonde gole.

    Presso Contursi il Tànagro ha una portata media annua di 39,9 mc/sec., più che doppia rispetto a quella del suo recipiente, ma un regime più irregolare (77 mc/sec. in febbraio; 17,4 in agosto).

    Dopo la confluenza col Tànagro il Sele ha un alveo piuttosto largo, che si restringe un poco al Ponte Sele dove sono state create le opere di presa per l’irrigazione della pianura, nella quale il fiume si snoda con vari meandri e riceve, a 8,5 km. dalla foce, il Calore Lucano, che gli porta, d’inverno, una notevole quantità di acqua.

    Questo scorre nel tratto settentrionale del grande solco longitudinale, che con andamento parallelo al Vallo di Diano attraversa il Cilento dal Golfo di Policastro alla media valle del Sele. Si forma presso Laurino con la confluenza di vari torrenti che scendono dai monti circostanti, dei quali il fiume Bianco con un suo piccolo affluente si considera il ramo sorgentifero. La sorgente del Calore è a 1130 m. di altitudine sul Monte Cervati e le acque che da essa scaturiscono raggiungono, dopo un paio di chilometri, il fiume Bianco, il quale incide una profonda gola nelle pile calcaree ad est di Piaggine e scorre in una angusta, dirupata e tortuosa valle fino oltre Laurino, dove passa dai terreni calcarci a quelli argillosi.

    Respinto dagli strati calcarei subverticali della dorsale su cui sorge Magliano, si avvicina all’Alburno e riceve il tributo del Rìpiti-Fasanella, che provengono dal Mòtola e dall’Alburno, il primo da un vallone angustissimo, il secondo da una grotta, e si avvia verso la pianura compiendo un grande arco intorno ai monti su cui sorge Altavilla Silentina. Alla confluenza ed Scie ha una lunghezza di 63 km., un’ampiezza di bacino di 780 kmq. e una portata media annua di 32,1 mc/sec., con forti riduzioni da febbraio (70,2 mc/sec.) ad agosto (3,84 mc/sec.).

    Il Calore Lucano è il più irregolare degli affluenti del Sele, a causa della grande estensione dei terreni impermeabili nel suo bacino (76%) e della concentrazione delle precipitazioni nei mesi invernali. Ha portate massime che si avvicinano e superano i 1000 mc/sec. e punte minime fin sotto i 2 mc/sec., influendo sensibilmente sui caratteri idrologici del corso inferiore del suo recipiente.

    Il Sele riceve trascurabili apporti dalla pianura e a Ponte Barizzo, pochi chilometri a valle della confluenza col Calore, ha una portata media annua, secondo i dati più recenti, di 70 mc/sec., con valori massimi mensili in febbraio (127 mc/sec.) e minimi in agosto (26,7 mc/sec.). Esso ha portate massime assolute fino oltre 1500 mc/sec. e minime assolute di circa 7 metri cubi.

    Le acque del Sele, dei suoi tributari e delle sue sorgenti hanno trovato in tempi recenti larga utilizzazione e provvedono a dissetare la popolazione della Puglia, ad irrigare vaste zone pianeggianti e ad alimentare alcuni impianti idroelettrici.