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Il Matese

    Il Matese

    La più grande montagna della Campania è il Matese, che si erge al confine col Molise ed ha una figura ellittica, con l’asse maggiore orientato quasi da ovest ad est. Questa vertebra calcarea dell’Appennino risulta, quindi, spostata rispetto alla direzione generale della catena appenninica e non ha raggiunto ancora un equilibrio stabile, come provano i violenti terremoti, frequentemente avvertiti dai centri che si distribuiscono sui suoi fianchi o si allineano nelle valli periferiche, corrispondenti a importanti linee di frattura.

    Si profila sùbito maestoso sulla media valle del Volturno, con una parete che si innalza ripida fin oltre iooo m. e risulta squarciata qua e là da selvagge gole, alcune delle quali penetrano ben addentro nella montagna. L’idrografia superficiale è attualmente poco sviluppata, rispetto all’abbondanza delle precipitazioni che si condensano sul versante meridionale del massiccio, perchè questo è costituito da potenti pile di calcare ed accoglie entro le sue dorsali di sommità tutta una serie di conche chiuse o semichiuse, più o meno grandi, di cui si è fatto già cenno per sottolinearne l’importanza morfologica, idrologica ed antropica. Le acque, assorbite nella zona alta, sono smaltite in quella basale attraverso sorgenti temporanee e abbondanti polle perenni, che sono largamente utilizzate per scopi idroelettrici, irrigui e domestici.

    Il Matese si caratterizza per le groppe, ora nude, ora ricoperte di un bianco mantello di neve, e per le spalle rivestite parzialmente di folti boschi (faggio, quercia) o di pascoli, per le vaste conche allineate nel solco longitudinale della montagna, per le pareti scabre e precipiti, incise da gole selvagge, per una zona basale, costituita essenzialmente da terreni alluvionali, tufo e detrito di falda nella valle del Volturno e assai larga nella sezione sud-orientale della montagna, tanto da ricoprirne anche i fianchi per la considerevole potenza dei terreni terziari, dalla quale affiorano dorsali e spuntoni calcarei.

    Date le sensibili differenze di altitudine e di esposizione, la vegetazione spontanea e coltivata assume composizione e floridezza assai differenti da una parte all’altra del massiccio. Le colture si spingono oltre i iooo m. di altitudine con notevoli opere di terrazzamento intorno a Gallo, a Letino, a Pietraroia ed altrove, ma i loro limiti altimetrici tendono ad abbassarsi in questi ultimi decenni, come provano i campi abbandonati là dove la terra è più avara nel ricompensare le fatiche del contadino e dove le distanze eccessive dai centri fanno crescere troppo i costi di produzione e rendono poco conveniente la loro coltivazione.

    Le colture più diffuse nelle zone alte sono quasi esclusivamente erbacee (grano, mais ed altri cereali, patate), mentre in quelle più basse sono promiscue, pur prevalendo talvolta l’olivo o la vite. La promiscuità avviene tra piante erbacee e legnose, specie sui terreni arenacei ed argillosi, dove la vite compare talvolta in coltura specializzata. L’olivo, invece, pur essendo diffuso in tutta la sezione sud-orientale del Matese, ad arborare il seminativo piuttosto che a costituire coltura esclusiva, afferma il suo predominio sulla fascia permeabile pedemontana alla periferia della valle del Volturno, grazie alla buona esposizione e alla natura del suolo e risale le pendici meno acclivi, incuneandosi nella zona boschiva.

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    Il Matese è scarsamente abitato. Salvo i pochi centri che hanno trovato posto nelle conche interne a considerevole altitudine (Gallo, Letino, Valle Agrìcola, Cusano Mutri, Pietraroia), gli altri sorgono alla periferia della montagna, su terrazze (San Gregorio Matese, Castello d’Alife) e su contrafforti calcarei (Sassinoro, Morcone, Ponte-landolfo, San Lupo, Guardia Sanframondi, Fontegreca). Alcuni di questi hanno una considerevole importanza, come Morcone e Guardia Sanframondi, dei quali il primo è un fiorente ed interessante centro di pendio (8983 ab.), rivolto alla valle del Tàmmaro, e vanta origini antichissime e una ricca storia politica e religiosa medioevale, il secondo (6542 ab.) domina la valle del Calore da un alto balcone naturale, controllando la strada per il Molise, ed ha attraversato lunghi periodi di floridezza nel Medio Evo e nell’età moderna.

    Poco lontano sorge Cerreto Sannita (5362 ab.), bella cittadina a figura rettangolare, molto allungata, con interessante architettura della fine del Seicento e degli inizi del Settecento, ricostruita sul ripiano attuale dopo che il terremoto del 1688 distrusse

    il vecchio centro. Fu sede vescovile per vari secoli e fiorente per alcune industrie (ceramica, tessile), ora decadute.

    Le falde sud-orientali del Matese sono abitate dai tempi remoti, come provano i resti paleolitici, e conobbero un grande risveglio demografico, politico ed economico nel Medio Evo e nei primi secoli dell’età moderna, ma frequenti incursioni e rovinosi terremoti ne hanno ripetutamente colpito gli abitati, che quasi sempre si sono ripresi grazie alla loro favorevole posizione su un’importante arteria stradale e alla notevole floridezza delle colture, dei boschi e dei pascoli.

    La montagna contiene filoni di manganese, un affioramento di bauxite sul Monte Mutria, da dove il minerale è trasportato a valle per mezzo di un’apposita teleferica, un deposito di lignite torbosa nell’alta valle del Tammaro, per lo sfruttamento del quale sono stati fatti vari progetti, e abbastanza estesi giacimenti di caolino nella valle di Pratella e intorno ad Ailano.

    Essa ha acquistato importanza da quando è cominciata l’utilizzazione idroelettrica delle sue acque (Lete, 19io; Lago Matese, 1923) e sono state costruite alcune strade di accesso alla zona alta, dove si sono conservati costumi e abitudini tradizionali fino ai nostri giorni.

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    Varie strade ne risalgono i fianchi, collegando centri situati su opposti versanti; altre sono in costruzione per attraversare longitudinalmente il massiccio che pertanto si avvia ad una prossima valorizzazione turistica. Questa, invero, è già iniziata a San Gregorio Matese e a Castello d’Alife, ma la possibilità di accedere a boschi magnifici e a campi innevati d’inverno e rivestiti di floridi prati d’estate, e di osservare da vicino le forme aspre dei monti, i profondi valloni e le forre esercita un forte richiamo su persone e capitali, destinati a rinnovare il volto della montagna, a sottrarla al secolare isolamento e a frenarne lo spopolamento.

    La media valle del Volturno.

    Tra il Matese e il Monte Maggiore si inserisce un’ampia valle, strozzata a nordovest dalle appendici delle Mainarde e del Matese, chiusa a sudest dal Taburno, percorsa dal Volturno e delimitata ora da dolci colline terziarie e quaternarie, ora da pareti calcaree strapiombanti, che si raccordano al fondovalle con depositi alluvionali, con banchi di tufo e con detriti.

    La valle si può dividere in tre sezioni, una più a monte solcata dal Lete e da minori torrenti provenienti dal Roccamonfina, una centrale che si amplia intorno ad Alife e la terza delimitata da un lato dal Calore. La prima si innalza dolcemente verso le falde del Roccamonfina e manda cunei verso Migliano, Caianello e Prata, trapassando nei bacini dei limitrofi corsi d’acqua per soglie poco rilevate e abbastanza larghe. La seconda ha forma triangolare e si incunea fino a Piedimonte d’Alife, ma presenta un fondo ampio e pianeggiante, che si raccorda su due lati alle pareti calcaree delle montagne periferiche e verso sudest alle colline che fanno da ponte tra il Monte Maggiore e il Matese da Caiazzo a San Potito Sannitico e sono incise dal Volturno con notevoli meandri. La sezione più bassa della valle si raccorda alle falde del Matese con estesi ripiani tufacei e alluvionali, incisi da vari corsi d’acqua, tra i quali si distingue il Titerno, che isola il conico Monte Acero con una profonda gola presso Faicchio. Si può far rientrare nella media valle del Volturno l’Agro Telesino, dai fertili e ben coltivati ripiani, circondati da dorsali e da monti calcarei.

     

     

    Una straordinaria ricchezza di acque circolanti a piccola profondità, sotto i banchi di tufo e di conglomerati o affioranti per ricche sorgenti, offre grandi possibilità di irrigazione.

    Il mantello boschivo è abbastanza esteso, mentre floride colture legnose, specializzate o promiscue (olivo, vite), rivestono i pendii meno acclivi, i lembi delle terrazze e i ripiani, e quelle erbacee (cereali, barbabietola da zucchero, legumi, foraggere, tabacco) si avvicendano nel piano.

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    La popolazione si distribuisce in case sparse e in centri non molto grandi, quasi tutti formatisi su terreni permeabili e asciutti. Maggiore richiamo ha esercitato su di essi la zona pedemontana del Matese, per la migliore esposizione, per la presenza di sorgenti e di corsi d’acqua perenni e per la vicinanza di pascoli montani sui quali trasferire il bestiame d’estate.

    Non mancano tracce di insediamenti preistorici nell’Alifano e nell’Agro Telesino, ma già nei tempi antichi assunsero notevole potenza Alife, Telese e Caiazzo. I Sanniti crearono, inoltre, importanti rocche sul Monte Mònaco, presso Gioia Sannitica, e sul Monte Acero, di cui restano avanzi cospicui che valgono a testimoniare l’interesse per questo settore del loro schieramento difensivo.

    Alife (6096 ab.) è centro di origine sannitica, nel mezzo di una fertile piana, ed ha richiesto fin dai tempi antichi la protezione di robuste mura, che, ampliate e rifatte nel Medio Evo, hanno costituito un limite all’espansione della cittadina, la cui pianta rimane quadrangolare. Conserva resti di costruzioni romane e medioevali, dato che ebbe notevole floridezza nel corso dei secoli, accolse una colonia romana, fu a lungo capoluogo di contea e sede vescovile fin dal secolo IV.

    Piedimonte d’Alife (10.101 ab.) è un’industriosa cittadina, formatasi in località abitata in età preistoriche, presso la nota sorgente del Torano, le cui acque hanno alimentato i suoi opifici e richiamato alcune attività industriali. Fondata nel Medio Evo, forse dagli abitanti di Alife sfuggiti alla strage dei Saraceni (876), raggiunse presto una considerevole importanza, che è cresciuta nel secolo scorso con

    la creazione di grandi impianti industriali. Dopo un periodo di decadenza la cittadina si è ripresa con l’utilizzazione idroelettrica delle acque del Lago Matese, con la valorizzazione turistica della montagna, con la trasformazione agraria e fondiaria della pianura e con la costruzione di nuovi stabilimenti.

    Telese fu notevole centro sannitico, patria del valoroso condottiero Ponzio Te-lesino, ma attraversò nel Medio Evo un periodo di decadenza che si concluse con l’estrema rovina nei secoli IX e X, per le gravi distruzioni prodottevi dai Saraceni (847) e dai terremoti. Presso i ruderi dell’antica città (mura, teatro, terme) si formò presto un altro centro, che raggiunse una certa prosperità, ma fu completamente distrutto dal terremoto del 1349. La Telese attuale è una vivace cittadina (3319 ab.) di sviluppo recente, a breve distanza dalle sorgenti minerali e dagli stabilimenti balneari, ed è essenzialmente stazione idrotermale con viali alberati, parchi ed alberghi.