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L’Appennino Sannita

    L’Appennino Sannita

    La dorsale spartiacque dell’Appennino Campano si riattacca a sud ai Picentini e a nord al Matese e si smembra sui due versanti in minori ondulazioni o in allineamenti di colline, che degradano verso le conche interne di Avellino e di Benevento e costituiscono sul versante adriatico il Subappennino Pugliese. Essa è compresa in buona parte nelle province Irpina e Sannita e merita a buon diritto il nome di Appennino Sannita, in quanto costituisce un’unità fisica e si differenzia dal punto di vista umano ed economico rispetto ai rilievi vicini. Nè si giustifica, d’altra parte, la limitazione dei Monti del Sannio al gruppo dei rilievi tra il Biferno, il Tàmmaro e il Fortore.

    In poche groppe supera i 900 m. e raramente si avvicina ai 1000, ma più di frequente nel Subappennino Pugliese, dove gli strati pendono non raramente verso ovest, quasi che le faglie tuttora attive dell’Appennino, come provano i frequenti

    violenti fenomeni sismici che lo colpiscono, abbiano favorito il rialzamento dei bordi orientali e l’affossamento della zona centrale.

    L’Appennino Sannita è una successione di colline argillose, eoceniche ed oligoceniche, interrotte di tanto in tanto da coltri di arenarie e di conglomerati pliocenici e da lembi di terreni miocenici; qua e là, nella zona settentrionale, affiorano dorsali o scogli calcarei. E tra codesti lembi di materiali più resistenti si espandono molasse, argille scagliose, marne e scisti argillosi, instabili, franosi e intaccati da calanchi.

    L’erosione ha esercitato una grande azione selettiva nel modellamento delle forme superficiali di questa parte dell’Appennino, isolando alcune groppe o monti, intaccando con solchi profondi i diaframmi che fungevano da collegamento tra loro, svasando le valli nelle formazioni più tenere e originando estese frane o smottamenti, abbassando lo spartiacque e minacciando continuamente le opere umane. Le precipitazioni, pur non molto abbondanti, sono spesso intense e ingrossano i corsi

     

     

    d’acqua, dilavando i pendii e originando torrenti di fango, specie nelle contrade a lame. Le valli principali sono state aperte dall’Ofita, dal Fiumarella, suo affluente, dal Miscano e dal Tàmmaro sul versante tirrenico, dal Fortore, dal Cervaro e dal-l’Òfanto su quello adriatico. Esse sono svasate, ma hanno per lo più stretti fondi e versanti instabili e risultano repulsive per gli insediamenti, che sono richiamati verso la sommità delle dorsali e preferiscono le groppe ed i poggi. Le strade stesse corrono sui crinali per la maggiore loro stabilità, oltre che per servire le case che ad esse si avvicinano e i centri di sommità. Anche l’agricoltura ha maggiore importanza nelle zone, dove l’erosione è minore e gli smottamenti meno estesi; ma vaste sono le aree pascolative e incolte, mentre il bosco riveste quasi soltanto la cima di alcuni monti. Gli alberi, radi sui terreni argillosi, sono più numerosi intorno ai centri principali, dove possono costituire anche colture specializzate (vite, olivo), mentre assai diffusi sono i cereali.

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    C’è quindi tra natura dei terreni, distribuzione degli insediamenti e forme di utilizzazione del suolo uno stretto rapporto, che si riflette sulla struttura del paesaggio e sui suoi aspetti, condiziona gli interventi dell’Uomo sull’ambiente e ne limita le possibilità di successo.

    I centri sono numerosi, ma di piccole dimensioni, arroccati su cocuzzoli intorno a castelli o palazzi feudali, allungati su crinali ai lati delle strade, di origine antichissima e rinnovatisi nel corso dei secoli dopo cataclismi naturali o distruzioni belliche, oppure di formazione medioevale. Pochissimi gli agglomerati sorti nei tempi moderni, durante i quali è risultato sempre considerevole il richiamo dei vecchi borghi.

    Le case si sono affollate su spazi ristretti, togliendosi a vicenda luce ed aria, e i centri in genere presentano vicoli angusti e in pendio, lunghe gradinate e difficili strade di accesso. Le distruzioni periodiche hanno demolito le più fragili costruzioni, ma raramente hanno portato ad un sensibile rinnovamento edilizio.

    Gli interventi dello Stato, attraverso le leggi della montagna e quelle in favore dell’agricoltura, dell’edilizia scolastica e così via, insieme con l’afflusso di cospicui capitali dall’estero e dall’interno, hanno portato alla costruzione di numerose case in campagna e di nuovi edifìci alla periferia dei vecchi borghi. D’altronde la sistemazione dei vari bacini, la costruzione di laghetti collinari e il miglioramento della

     

     

     

     

     

     

    rete delle strade hanno senza dubbio ridotto il disagio della popolazione, ma non hanno limitato la fuga degli abitanti da queste regioni dall’economia povera, in cui la vita è disagiata ed occorre grande fatica per lavorare nei campi in pendio e spesso lontani dai centri.

    Il reddito è aumentato poco, per cui le differenze con le regioni vicine e lontane si sono accentuate. Se ne deduce che l’equilibrio potrà essere raggiunto con un ulteriore massiccio esodo della popolazione e con una conversione colturale che dia posto all’uso di macchine sulle terre migliori, alla diffusione degli alberi, alla coltivazione delle foraggere e al miglioramento dell’allevamento. E soprattutto negli agglomerati più compatti che le condizioni sono peggiori, perchè nelle pur numerose case sparse — le tipiche masserie con colombaia — la vita è più facile, perchè le proprietà sono più estese e meglio ubicate e l’allevamento del bestiame è più curato.

    Tra i centri, disseminati sulle dorsali dell’Appennino Sannita, non ne mancano di origine molto remota come Aquilonia, Lacedonia, Gesualdo, Trèvico, Savignano di Puglia, Mirabella Eclano, Calitri, Ariano Irpino, nei cui pressi sono venuti alla luce resti archeologici, ma la maggiore parte di essi è di fondazione longobarda, come ricordano anche alcuni toponimi (Sant’Angelo dei Lombardi, San Bartolomeo in Galdo).

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    Tra tutti meritano di essere ricordati per le vicende storiche, per la posizione e per l’importanza, Sant’Angelo dei Lombardi (6461 ab.), nei cui pressi è la nota Abbazia di San Guglielmo al Goleto del secolo XII, Calitri (8501 ab.), alla destra dell’Òfanto, centro cospicuo con fabbriche di laterizi, Bisaccia (7645 ab.), appoggiata ad un banco di conglomerati, sede vescovile fino all’età moderna, Mirabella Eclano (8808 ab.), nota per l’interessante necropoli eneolitica e per altri scavi, Ariano Irpino (26.035 ab.), dall’aspetto di cittadina, sull’importante strada per la Puglia, che vanta una lunga storia ed è stata più volte danneggiata dai terremoti, San Giorgio La Mo-lara (4895 ab.), su un colle isolato rivestito di olivi, San Marco dei Cavoti (4423 ab.), sul versante meridionale di un ciglione calcareo presso lo spartiacque tra il Tàmmaro e il Fortore, Grottaminarda (7740 ab.), di notevole importanza agricola e commerciale nella valle dell’Ufita.

    Le conche di Avellino e di Benevento.

    Tra i Picentini, il Partenio, il Taburno e i primi contrafforti del Matese si susseguono dolci ondulazioni collinari degradanti verso la valle del Sàbato, che costituisce l’asse meridiano delle conche interne dell’Appennino Campano. Poiché la pendenza di questo fiume è, su lunghi tratti, assai limitata, il suo fondovalle si apre di tanto in tanto in conche e si ramifica in direzione delle valli laterali. Ripiani di una certa estensione penetrano tra i maggiori dossi calcarei e si raccordano alle loro ripide falde con spesse coltri di materiali piroclastici e alluvionali.

    Dalla conca di Serino si passa in quella di Avellino, che si dirama verso Contrada e Forino, verso Monteforte Irpino e Ospedaletto, da un lato, verso Atripalda e Salza Irpina, dall’altro, oltre che verso le due opposte direzioni della valle del Sàbato, ora con più ampi, ora con più ristretti corridoi.

    Una serie di rilievi collinari di poche centinaia di metri (Toppa Santa Croce, 441 m. ; Monte Gloria, 790 m.), con larghi affioramenti pliocenici, incisi dal Sàbato, segnano il limite tra la conca di Avellino e quella di Benevento, la quale comprende la bassa valle del Sàbato e quella media del Calore. Le colline si abbassano gradatamente verso il solco di questo fiume e presentano estesi ripiani adatti agli insediamenti e alle colture. Tra gli altri corsi d’acqua il più notevole è il torrente Corvo, la cui valle porta nella vasta e fertile conca tra Montesarchio e Airola, nota come Valle Caudina.

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    Verso nord il pendio si accentua e la conca di Benevento trapassa presto nell’Appennino Sannita, che assume caratteri differenziali sia per la natura e per la forma del terreno, sia per i tipi di insediamento e per le forme di utilizzazione del suolo.

    Le conche interne si appoggiano ai monti alla sinistra del Calore, si raccordano ai Picentini e scendono relativamente ripidi verso oriente, mentre degradano piut-

    tosto dolcemente verso la valle del Sàbato. Esse si segnalano per la loro forma, per la presenza di estesi banchi di materiali vulcanici, assai fertili, che consentono svariate colture erbacee e legnose, specializzate e promiscue, quasi ovunque piuttosto intensive. Copiose sorgenti perenni alla base dei monti calcarei e ricche falde freatiche sono utilizzate per scopi irrigui e permettono colture erbacee estive, sebbene abbiano il predominio gli alberi da frutta (nocciolo, noce, ciliegio, susino), la vite e l’olivo.

    La densità della popolazione è considerevole per la presenza di una miriade di piccoli centri, di nuclei e di case sparse, ben serviti dalla rete delle strade, che si irradiano da Benevento e da Avellino. Non molto cospicue le risorse del sottosuolo, se si escludono le cave di tufo, sparse qua e là, quelle di argilla, che alimentano alcune importanti fabbriche di laterizi tra Benevento e Montesarchio e le miniere di zolfo di Altavilla e di Tufo.

    L’Uomo ha cambiato il volto di tali conche, nelle quali si è insediato da tempi remoti, ma pochi sono i centri di un certo rilievo, oltre ai capoluoghi di provincia, di cui si farà un cenno adeguato più avanti, sebbene parecchi abbiano storia lunga e non ingloriosa. Si possono ricordare in particolare Atripalda (8158 ab.) e Merco-gliano (4119 ab.), che sono quasi dei sobborghi di Avellino, l’uno sul fondovalle presso il nucleo irpino e romano di questa città, l’altro alla base di Montevergine, donde partono la strada e la funicolare per il noto Santuario, Monteforte (4357 ab.) sulla strada per Napoli, che controlla l’accesso dalla pianura attraverso la conca di Baiano, Altavilla Irpina (6668 ab.), sita nella media valle del Sàbato e nota per le miniere di zolfo, Montefusco (2040 ab.), di origine longobarda, sorto su un più antico agglomerato, già capoluogo della provincia di Principato Ulteriore, Montemi-letto (5565 ab.), in posizione elevata, da dove si domina la valle del Calore, e Prata (2922 ab.), che possiede una chiesa paleocristiana considerata la più antica del-l’Irpinia.