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Le città del Veneto

    Le città del Veneto

    Aspetti geografici di Venezia

    Venezia è sorta in mezzo a una grande laguna, separata dal mare da estesi litorali sabbiosi, in quel golfo dell’Adriatico che protendendosi ben addentro nella Pianura padana verso l’Europa centrale, rende agevoli i rapporti tra Levante e Ponente, Mezzogiorno e Settentrione. Erede di Spina, di Adria e di Aquileia, essa trasse origine da alcuni agglomerati di profughi delle vecchie città venete alla calata degli Unni (452), ma poco si sa come dalle misere capanne originarie si sia passati dal V al IX secolo alla graduale formazione d’una città, che attraverso un processo di lenta urbanizzazione è riuscita a prevalere sulle altre ed a sottrarsi al dominio dei Bizantini. Nel capitolo secondo abbiamo tracciato le linee essenziali di queste complesse vicende storiche. Nel 638 il vescovo di Aitino aveva dapprima trasferito la sua sede a Torcello, recando seco i corpi santi e le reliquie; e Torcello, anche quando il centro politico si trasferì altrove, continuò ad esistere fin quasi al tramonto della repubblica, finché dovette esser abbandonato per il progressivo impaludamento. Ma la sua cattedrale, che nel suo aspetto generale risale al XI secolo, è uno dei più vetusti monumenti che si siano conservati nelle lagune. Da Torcello il potere politico si trasferì a Malamocco, che non è l’attuale (sorto tardivamente in località più occidentale), ma un centro ora scomparso, distrutto dallo spaventoso maremoto del 1106-07, fece danni tremendi nella laguna, inghiottendo alcune isole e facendo scomparire diversi centri lagunari. Vantaggiosa è apparsa la posizione di Venezia, a 4 km. dalla terraferma e a 2 dal mare aperto, su un centinaio di isolette entrolagunari, divise tra loro da 160 canali (il cui reticolato è stato in parte regolato dall’uomo), meno esposte agli attacchi del mare e dei nemici per cui non ha avuto bisogno di mura, di torri, di difese. Anche il clima tiene della terra e del mare e il cielo presenta, specchiandosi sull’onda, una tavolozza di colori ricchissima. La temperatura media è di i4°,4 (con 3°,8 in gennaio e 22°,9 in luglio) con frequenti scarti, forte umidità, una quarantina di giorni nebbiosi e piogge di poco superiori ai 700 mm., più abbondanti d’autunno e d’estate che nelle altre stagioni.

    Venezia nella seconda metà del sec. XVI.

    Venezia: veduta della Riva degli Schiavoni e dei Sette Martiri.

    Venezia. Il Rio Sant’Aponal (Sant’Apollinare) e fondamenta del Banco Salviati a San Polo.

    Pianta di Venezia.

    I documenti, per quanto esista in proposito difformità di vedute, attribuiscono alle famiglie degli Orio e dei Gradenigo il merito di aver eretto le prime case di Rivus Altus, dove a poco a poco si è sviluppato il centro della vita economica veneziana, come San Marco lo sarà di quella politica. Si ebbe così un vivo contrasto tra il monotono paesaggio originario, che si estende ancora su buona parte della laguna, e la formazione artificiale d’un centro di vita umana dove nulla si prestava a farlo sorgere. Diventata nell’8io sede del Doge, la città trasse vantaggi dalle Crociate e arricchitasi e ingranditasi, nel secolo XIII sostituì il nome di Rialto con quello di Venezia, che compendiava in sè gran parte della vita di tutta la regione. L’assestamento è avvenuto lentamente, consolidando le sponde dei corsi d’acqua, tracciando piccole strade che solo più tardi vennero selciate, alzando su palafitte le prime costruzioni (che tendono ad abbassarsi in media di 15 cm. ogni secolo). Essa crebbe così lungo l’esse rovescia, a forme di serpe gigantesco, del suo maggior canale (Canal Grande) che la divide in due parti, collegando le isole con ponti di legno, sostituiti dal i486 in avanti, con lo scomparire dalla città dei cavalli, con ponti di pietra viva (in tutto 400) e slanciando più tardi (1592) anche attraverso il Canal Grande l’artistico ponte di Rialto d’una severa compostezza conforme all’ambiente, con l’imponente arco e la doppia corsia di botteghe sopra i due fianchi della scalea, seguito in tempi a noi più vicini dal Ponte dell’Accademia e da quello degli Scalzi. I canali ed i campi costituiscono gli elementi strutturali più caratteristici di Venezia, dove la viabilità per acqua (con gondole, barche, vaporetti, motoscafi, peate, che sono grossi barconi da trasporto) ha (e più aveva nel passato) grande importanza. I canali (rii), molti dei quali sono stati in epoca posteriore interrati, corrispondono alle vie e su essi prospettano le case e i palazzi (che hanno tuttavia anche un ingresso secondario sui campi o sulle calli, ora più frequentato dell’altro). I campi, in origine sagrati erbosi, spesso muniti d’un pozzo d’acqua, sono le piazze adiacenti alle chiese. Il sistema di circolazione terrestre è secondario rispetto a quello acqueo e all’infuori di poche vie principali (dette rughe o salizzade, perchè selciate per prime) è costituito dalle calli, viuzze private piuttosto che d’uso pubblico, che si sviluppano tra canali e rii da un lato, campi, campielli (luoghi di passaggio), corti (spazi appartati) e vie principali dall’altro, cui si aggiunsero più tardi le fondamenta, cioè le vie di sponda ai canali, limitate per lo più da una ringhiera.

    Dal secolo VIII in avanti cominciò a sorgere e ad abbellirsi il centro di San Marco, che doveva diventare nei secoli successivi la sede mirabile della Basilica, del Palazzo Ducale, della Zecca, delle Procuratie e di altri prodigi di pietra, di marmo e di mosaico. La Basilica di San Marco compendia nella sua architettura e nella sua ornamentazione gli elementi artistici delle varie epoche e dei vari paesi sui quali si estese il dominio della Serenissima, poiché la jeratica e gemmata magnificenza della sua ossatura bizantina si accoppia al severo marmoreo slancio gotico, pervaso da un sorriso di grazia, e alle movenze orientali del languido moresco. L’adattamento all’ambiente è del resto palese, come in altri monumenti in cui l’arco a tutto sesto del Rinascimento si presenta ingentilito per eleganza di fregi e di rivestimenti marmorei, mentre appaiono affinati e alleggeriti anche i monumenti della decadenza barocca. « La Piazza di San Marco coi meravigliosi edifici che la fiancheggiano formanti quasi un edificio solo, col giro dei portici, colla vita caratteristica che vi si svolge di giorno e di notte, dà l’idea più d’un ricco ed elegante salotto che del centro d’una grande città. Il carattere di intimità trova quasi simbolo nella gondola, l’imbarcazione caratteristica della laguna. Siffatto ambiente — oltre il fatto che Venezia è stata l’unica città dell’Italia settentrionale che non abbia subito dominio barbarico e ove si è avuta continuità ininterrotta della civiltà romana, sia pure nella forma bizantina — contribuì in qualche misura a educare il popolo a modi di urbanità, di grazia e di gentilezza, di rispettosa familiarità, che accoppiati al dialetto dolce e armonioso lo rendono a tutti simpatico » (Marinelli).

    Venezia: veduta del Canal Grande.

    Venezia: veduta aerea del Canal Grande.

    Venezia: il ponte di Rialto sul Canal Grande.

    Alla fine del Duecento e nel secolo seguente Venezia era il primo porto del Mediterraneo e la città, fiorente per traffici, poteva gareggiare con i maggiori centri europei. Poi, dopo aver conosciuto una grande prosperità, la scoperta dell’America e l’avvicinarsi dei Turchi causarono un declino, che avvenne lentamente, data l’importanza dell’attività industriale che alimentava vaste correnti di traffico (specie filati di seta e di lana, cotonate, canapa, conterie e vetri, fiammiferi), le ingenti ricchezze accumulate, la progressiva valorizzazione della terraferma. Via ben presto dovette difendersi dalla concorrenza di altri porti adriatici (specie Trieste e Ancona) e la perdita dei domini coloniali (specie Cipro, Creta, la Morea) causò un colpo grave, non definitivo tuttavia, ma con alternative di prosperità e di regresso, che andarono accentuandosi negli ultimi decenni della sua indipendenza. Poi, caduta la repubblica e venuta a far parte dell’Impero asburgico s’inizia un lungo periodo di crisi e di decadenza, dal quale riesce a sollevarsi soltanto dopo l’unione all’Italia. Con la costruzione del ponte ferroviario sulla laguna (1841-46), lungo 3601 m., cessato il suo superbo isolamento e diventata città di mare e insieme di terra, essa ottenne un collegamento diretto col retroterra, dove fu possibile impiantare nuove industrie e allacciare nuove relazioni, facilitate dall’estendersi della rete ferroviaria. In questo periodo si provvide a sistemare alcuni canali e a dar assetto ad alcune vie centrali, aprendo la via Vittorio Emanuele (1867), il bacino Orseolo (1869), la via XXII Marzo (1880) e allargando la via 2 Aprile (1884). Quando poi i trasporti automobilistici crebbero d’importanza, è stato necessario costruire un ponte stradale (aperto nell’aprile 1933, lungo 4070 m.), il quale per un lungo tratto è parallelo a quello ferroviario, dal quale a un certo punto devia per mettere capo presso Santa Chiara a un vasto piazzale sul Rio Novo, arteria che ha ridotto la distanza tra la stazione di arrivo e il bacino di San Marco.

    Venezia: veduta aerea di Piazza San Marco,

    Se si confronta la Venezia quale viene rappresentata nella ormai preziosa pubblicazione edita dall’Ongania alla fine del secolo scorso (Calli e canali di Venezia, 1890-1896) ci si accorge subito che l’aspetto è molto mutato. Scrive in proposito un urbanista, il Trincanato: «Tracciando un rapido quadro di queste grandi trasformazioni urbanistiche, così possiamo chiamarle, si vede che esse furono provocate in prevalenza dal bisogno di rinnovare la viabilità cittadina. Per realizzare infatti una comunicazione più diretta fra la stazione ferroviaria e la piazza San Marco fu creata la così detta ” strada nova cioè un asse stradale che facendo fulcro sulla zona estrema di Cannaregio determinò un vero e proprio sovvertimento del tessuto preesistente. E da osservare d’altra parte che questa nuova arteria venne a sostituire nelle sue funzioni quelle del traffico acqueo già decaduto con l’adozione dei ” bateaux mouches simili a quelli in uso sulla Senna e ora sul Canal Grande.

    Venezia: la basilica di San Marco.

    Accanto a questa nuova arteria sono da ricordare i due ponti in ferro sul Canal Grande che provocarono la formazione di altre due direttrici del traffico pedonale. Esse insieme alla precedente, hanno mutato la fisionomia della viabilità pedonale veneziana, imprimendo alla traiettoria del commercio al minuto una nuova dimensione, molto più ampia, diffusa e fluida, che portò alla moltiplicazione dei negozi e alla graduale variazione delle loro caratteristiche in rapporto alla vendita dei generi e alla configurazione formale di mostre e di interni. Così, lentamente, al senso di muro e di chiuso che avevano le parti basse degli edifici veneziani si venne gradatamente sostituendo un senso di vuoto e di vetrina che ne ha trasformato completamente l’aspetto tradizionale. A questa serie di trasformazioni, dovute alla viabilità, è da aggiungere l’altra, provocata dall’interrimento dei canali soppressi nel secolo scorso per sostituire al mezzo acqueo, ritenuto inutile, una viabilità pedonale più vasta ubbidendo alla spinta commerciale sempre più forte in alcune zone, specialmente intorno al centro di San Marco. Questo, a sua volta, veniva trasformandosi in maniera radicale in moltissimi dei suoi edifici per dar luogo, come unico tributo alla civiltà del nuovo capitalismo, a sedi bancarie, a uffici di società immobiliari, di navigazione, di assicurazione, ad aziende di commercio connesse ai nuovi bisogni ».

    Mancando lo spazio andò formandosi un sistema poleografico complesso e mentre Venezia rimase la dimora dei commercianti, degli amministratori e del popolo minuto, nelle isole vicine e più tardi anche sulla terraferma vennero trasferite le altre attività, relative alla pesca (Chioggia, Burano, Malamocco), all’industria vetraria (Murano), alla difesa e alla vita balneare (Lido), alla produzione di ortaggi (Sottomarina), ai commerci con la terraferma (Mestre) e alle industrie (Marghera). Le isolette minori occuparono il cimitero (San Michele, col convento dei Camaldolesi dove visse Fra Mauro, autore d’un mappamondo che compendia le conoscenze del suo tempo), ospedali e conventi, come quelli di San Francesco del Deserto e di San Lazzaro. Quest’isola era stata un asilo di lebbrosi, ma poiché questi vennero trasferiti altrove, risultava disabitata, quando nel 1717 venne assegnata a un nobile armeno di Sebaste, Pietro da Manzig (1675-1749), il prete-monaco, detto Mechitar, cioè il consolatore. Egli era fuggito da Modone, invasa dai Turchi, dove aveva fondato un monastero benedettino nel quale erano accolti gli Armeni e potè così riprendere l’opera interrotta; San Lazzaro divenne così un centro della civiltà armena, con una ricca biblioteca e una tipografia poliglotta. Altre isole invece (Costanziaca, Ammiana), già sede di conventi, sono state abbandonate al principio dell’Ottocento per il lento abbassarsi del suolo. Anche in città si osserva che il piano di fondazione dei palazzi più antichi è ora a un livello diverso da quello originario, tanto che la parte inferiore viene sommersa tutte le volte che si verifica l’alta marea. Perfino la piazza San Marco, con la chiesa e le strade vicine, trovandosi ora in uno dei punti più bassi di Venezia, viene periodicamente invasa dalle acque, specie quando queste sono spinte dallo scirocco e non possono riversarsi regolarmente nel mare aperto. Ma l’aspetto della città attuale, come grandezza e struttura, nelle linee generali rimase quello che ci rappresenta la celebre pianta prospettica del 1500 di Jacopo de’ Barbari che una vecchia tradizione, messa da parte solo verso il 1855, aveva attribuito al Durer.

    Venezia. La chiesa della Salute, la punta della Dogana e l’imbocco del Canal Grande. In fondo l’isola di Giudecca con la Chiesa del Redentore.

    Venezia: gondole all’approdo sulla Riva degli Schiavoni.

    Venezia: la piazzetta San Marco.

    Si tratta d’una xilografia gigantesca di quattro metri quadrati d’una grandiosità monumentale, eseguita per incarico del mercante norimberghese Antonio Kolb che aveva il magazzino al Fondaco dei Tedeschi e che è servita di modello a tutte le numerose piante prospettiche di Venezia dei secoli successivi. Vista da Mezzogiorno, Venezia rivela la sua pianta complicata, distribuita sui due fianchi del Canal Grande. solcata da rivi e da calli, con le facciate o i fianchi di mille case, dominate dalla Basilica e dal Palazzo dei Dogi, da chiese e da campanili, con la massa innumerevole e varia dei camini e dei tetti muniti di terrazze (altane), salvo un maggiore sviluppo di case lungo il margine settentrionale, dal lato delle Fondamenta Nuove e a fianco di queste, lungo la serie di lunghi rii paralleli. Mostra l’arsenale difeso dalla cinta turrita, i fondaci, gli squeri, gli stormi delle galere e delle altre navi da trasporto in sosta agli approdi e poi gondole e barche di pescatori. E chi è pratico del suo sviluppo vi intrawede i segni delle tre città che la costituiscono, la bizantina, dominata dalla Basilica, la gotica col Palazzo del Doge, le cattedrali dei Frari e di San Zan e Polo e le case dove fiorisce l’ogiva, come a Ca’ Foscari e alla Ca’ d’Oro, e la città del Rinascimento con la Scuola di San Marco, la Loggetta dell’Orologio, la Porta romana dell’Arsenale. « Così nell’arte come in ogni altro aspetto della sua vita Venezia nasce bizantina e tale si mantiene per secoli. Questo vincolo profondo pervade l’anima di Venezia e fa della città e della sua gente il più tipico ambiente orientale in terra latina, vero scalo gettato tra l’Occidente europeo e l’Oriente asiatico » (Lorenzetti). La chiesa di San Marco è il monumento che meglio di ogni altro riassume sia nell’organismo costruttivo a pianta cruciforme, sia nell’aspetto nel quale risaltano le sue cinque cupole, l’arte bizantina, anche se vi compaiono altri stili architettonici, come il lombardo, il gotico, il rinascimento; marmi rari e mosaici ricchi d’oro e di colore contribuiscono a creare una visione prodigiosa, mirabile per la sua armonia. Meno pura è la linea del Palazzo Ducale, che è stato soggetto più volte ad ampliamenti ed a restauri, che tuttavia lasciano intravvedere nelle parti più antiche (come, per es., la Porta della Carta), quello stile ogivale, che è fiorito nel periodo più fulgente della vita di Venezia e vi hanno assunto un carattere speciale ancora più che nell’architettura religiosa (massimi esempi la chiesa francescana di Santa Maria Gloriosa dei Frari e quella domenicana di San Giovanni e Paolo) nell’architettura civile, come, ad esempio, la casa fastosa del ricco patrizio Marin Contarini, la celebre Ca’ d’Oro, compiuta negli anni 1424-30, quando già prevaleva il Rinascimento; non c’è infatti quartiere di Venezia dove l’arte ogivale non abbia lasciato qualche costruzione, che si fa notare per l’eleganza e varietà dei motivi decorativi e per la ricerca di effetti di luce e di colore. Basterà ricordare i palazzi Foscari, Franchetti e Loredan e molti altri, ai quali Venezia deve tanta parte della sua bellezza.

    In origine la casa patrizia veneziana riuniva in un solo edificio l’abitazione e il magazzino (o fondaco) ed anche in seguito ha continuato ad essere costruita secondo l’antico schema. E mentre la parte inferiore era riservata a deposito delle merci, disposte in buon ordine in un portico allungato, al di sopra di questo vi era una grande sala che si estendeva per tutta la lunghezza della casa, terminando con una facciata ornata da marmi e spesso coronata da una merlatura marmorea, nella quale si apre una serie di finestre, generalmente in numero di sei, divise da colonnette, mentre nelle due ali laterali si trovano gli ambienti minori. Perciò questi saloni centrali oltre che a luogo di convegno e di conversazione, servono al disimpegno dei locali, a somiglianza dell’atrio delle case romane.

    Venezia: la Torre dell’Orologio in Piazza San Marco.

    Anche il Rinascimento assume a Venezia caratteri peculiari, e soprattutto una grande magnificenza nell’ornamentazione, e dà luogo a costruzioni incomparabili, come è il caso della chiesa di Santa Maria dei Miracoli, gioiello di eleganza, nella quale non si sa se ammirare di più l’armonia delle proporzioni o lo splendore delle decorazioni. Fu soprattutto un toscano che era stato costretto a fuggire da Roma a causa del Sacco (1527), Jacopo Tatti, detto il Sansovino, che adattando la sua arte all’ambiente e sposando spesso la scultura all’architettura, lasciò l’impronta della sua arte a numerosi edifici, come la Libreria, perfetta per ritmo di proporzioni, di linee e di ricchezza decorativa, la Zecca (sede ora della Biblioteca Marciana), solida ed elegante, la Loggetta del Campanile, piena di grazia ornamentale, il Palazzo Corner.

    Pure il Barocco ha trovato posto a Venezia per creare edifici stupendi, come la chiesa della Salute, opera del Longhena, costruzione a pianta centrale in cui ogni elemento architettonico e decorativo ha lo scopo di dar slancio alla grande cupola, e i palazzi Pesaro e Rezzonico, che sono l’espressione del fasto di due tra le più potenti famiglie veneziane. In un primo tempo i costruttori di Venezia, mancando la pietra, trassero copiosi materiali dalle città distrutte e specialmente Aitino divenne una cava di mattoni e di marmi. Poi vennero impiegati largamente i laterizi, ma quando poi la città estese il suo dominio sulla terraferma gran parte delle costruzioni monumentali hanno impiegato, soprattutto nella parte decorativa, la pietra d’Istria, un calcare che resiste assai bene all’insidia della salsedine, che veniva trasportato dall’opposta sponda (e soprattutto da Rovigno) per mezzo di grossi barconi.

    Maggiore era in passato a Venezia lo spazio riservato a giardini; nel 1500 Francesco Sansovino ci fa sapere che se ne contavano nella città più di 500, ora contigui ai palazzi e al centro della città, ora al margine dell’abitato. Il caseggiato era meno esteso, ma andò infittendosi a spese di canali e di specchi d’acqua interrati, con case spesso umide e malsane, che spingono nei quartieri popolari gli abitanti a passar gran parte della giornata all’aperto. Ne risultò così la Venezia attuale, lunga 4260 m., larga da nord a sud 2790, con un perimetro di circa 14 km., un’area di poco superiore a 7 kmq., cosparsa di isole grandi e piccole, tra cui, nel bacino di San Marco, San Giorgio Maggiore, e dirimpetto alla Riva della Salute, l’aggruppamento delle otto isolette della Giudecca, l’antica Spinalunga, divisa dal resto della città da un canale (lungo 1680 m., largo 300 e abbastanza profondo), che non è da escludere possa esser l’alveo abbandonato dell’antico Medoacus (il Brenta di oggi); l’isola è costituita essenzialmente da una fondamenta che la percorre da un capo all’altro, divisa da calli e da rii, mentre il versante opposto è costituito da orti e giardini, in parte scomparsi per far posto a nuove case, a opifici, a cantieri e a un grande mulino, colossale costruzione di tipo nordico. Procedendo verso l’arsenale si trovano i Giardini, fatti costruire da Napoleone (1807) e subito al di là l’isoletta di Sant’Elena, tutta ville e campi sportivi, e infine, quasi come una muraglia naturale che preserva la città e l’estuario dagli insulti del mare, la lunga isola di Malamocco (12 km.), larga da 300 a 1000 m., la cui estremità settentrionale, fu trasformata in città balneare Lido). Dal lato opposto, cioè al di là di Santa Chiara, si è sviluppato dopo il 1920 il quartiere urbano di Marghera. Così ampliata la città conta oggi 175.000 ab. nella sua vecchia area, cifra un po’ inferiore a quella del secolo XV, quando era nel massimo splendore. Lento è stato il suo accrescimento, anzi fino al 1871 si è avuto un notevole regresso (129.000 ab.) e solo all’inizio del secolo XX è aumentata a 150.000 ab., saliti a 165.000 nel 1921, 171.000 nel 1936 e 175.000 nel 1951, con un incremento più notevole nei sestieri poveri e operai (dove sono frequenti le abitazioni con solo pianoterra, nelle quali vive la decima parte della popolazione), in confronto a quelli abitati da persone agiate. In media la densità è di 350 ab. per ha. (Milano 250) con valori più alti nel sestiere di Castello (460) e più bassi alla Giudecca (140). Il limitato incremento demografico è rispecchiato dal fatto che Venezia ha potuto conservare i suoi usi e il suo dialetto e che quasi due terzi degli abitanti sono veneziani di nascita. Per l’espansione futura si indicano le barene adiacenti a Sant’Elena, la Giudecca, Murano, che posta su nove isole e occupata in parte da orti e giardini ci si presenta come una Venezia in stato di sviluppo ancora arretrato, dove tuttavia pulsa l’attività industriale, dopo che da un secolo a questa parte sono state riattivate le fornaci per la lavorazione del vetro. Un cenno a parte merita il Lido, sobborgo balneare di Venezia, sviluppatosi nel cordone litoraneo che separa la laguna dal mare aperto. Per lungo tempo il Lido era rimasto una duna sabbiosa, deserta e selvaggia, sottoposta a servitù militari, e il centro più importante, abitato in prevalenza da pescatori e da ortolani, era quello di San Nicoletto, sviluppatosi attorno all’antico convento dei Benedettini, presso l’imboccatura del porto. Verso la fine dell’Ottocento cominciò a sorgere il centro balneare, favorito dalla vicinanza d’una grande città, e in breve il Lido divenne il ritrovo estivo d’una colonia cosmopolita, in cerca di cura e di svago. Ebbe così sviluppo tra la chiesa di Santa Maria Elisabetta, dove ora è lo sbarco dei vaporetti, e la località eletta Quattro Fontane, il nucleo principale dell’abitato, che si può considerare un sobborgo di Venezia e che ha l’aspetto d’una città giardino con pensioni e alberghi, principali tra tutti e centro della vita mondana l’Excelsior, ben riconoscibile per la costruzione pseudo-moresca. Ma Venezia si estende col suo comune, che è il più vasto del Veneto (455,2 kmq.), oltre che sulle isole vicine (Mala-mocco con Pellestrina, aggregato nel 1883; Burano e Murano, annesse nel 1923) anche sulla terraferma (Mestre e zone vicine, dal 1926), anzi negli ultimi tempi l’accrescimento elei sobborghi esterni è risultato assai più rapido che nel nucleo urbano, tanto da raggiungere 317.000 abitanti. Tra questi specialmente Mestre, punto di passaggio obbligato per i viaggiatori che dalla terraferma si recano a Venezia, è andata assumendo un’importanza sempre maggiore (73.500 ab. nel 1951, eli contro a 31.000 nel 1931 e 6530 nel 1901). Nella sua pianta è agevole riconoscere le tappe del suo sviluppo; il vecchio castello, di forma grossolanamente quadrangolare, a guardia elei confini primitivi di Venezia, il nucleo urbano sorto attorno a questo con le vecchie case e poi la successiva espansione verso il canale navigabile che la collega al mare e attorno alla stazione, divenuta sobborgo e nodo ferroviario di Venezia in terraferma. Essa inoltre si è avvantaggiata per lo spostamento del porto di Venezia verso Marghera. Non sono mancati di recente progetti per il futuro sviluppo topografico di Venezia, come quello di creare un centro da San Basilio al Piazzale Roma per le sedi direttive delle industrie oppure eli prolungare la strada litoranea fino a Punta Sabbioni, creanelo inevitabilmente dei blocchi di cemento attorno alla città; ma è meglio che l’espansione di Venezia «città nobilissima et singulare » avvenga in direzione della terraferma, dove lo spazio non manca. Recentemente Pierre Gavotte ha detto in proposito: «Sarebbe deplorevole che Venezia venisse abbandonata alle automobili. La questione della modernizzazione della città e delle comodità dei suoi abitanti deve essere regolata dall’interno: si migliorino gli alloggi, si allarghino, si risanino ma senza mutare il carattere della città ».

    Veduta del Lido di Venezia.

    Veduta di Burano.

    La Laguna veneta a Pellestrina.

    L’influenza di Venezia si estende anche sui vicini centri della terraferma verso il Padovano, tra i quali i principali sono Dolo e Mira, posti sul Naviglio di Brenta, via d’acqua che ha esercitato una forte attrazione sui patrizi veneziani come luogo di villeggiatura, tanto che vi vennero costruite numerose ville e case di campagna con parchi e giardini, tra le quali emerge la settecentesca villa Pisani di Stra. Lungo le rive del Brenta, che traversa una pianura ben coltivata e campi vitati, i paesi, collegati dalla ferrovia elettrica che ha per capolinea Fusine, sono disposti a catena. Le buone comunicazioni con Venezia e con le altre città del Veneto hanno fatto sviluppare qualche industria moderna, come quella dei saponi e delle candele (Mira). Più a nord Mirano, sorto nel secolo XIII come castello di confine tra Padovani e Veneziani, è invece piuttosto un vivace mercato agricolo, noto per la notevole produzione di pesche.

    Vedi Anche:  Corsi d'acqua e laghi

    La villa Pisani e il suo parco a Stra.

    Il porto di Venezia, situato entro una laguna mantenuta viva dalle alterne correnti di marea, assomiglia per molti riguardi ai porti d’estuario dell’Europa atlantica e può classificarsi come porto di canale lagunare, ben collegato da vie fluviali al retroterra. Dal mare aperto si accede ad esso dai due canali di Lido e di Malamocco (e di preferenza da quest’ultimo), ma la sua posizione è mutata rispetto al passato, dato che si è andato spostando sempre più verso la terraferma. Secondo indagini recenti (del Marzemin, contestate però dal Brusin) un porto-arsenale sarebbe già esistito in epoca romana sul luogo dove è poi sorta Venezia. Ma prescindendo da questo incerto ritrovamento, il primo e più antico porto della città era verso il mare, costituito dagli approdi e banchine di Olivolo, dall’attuale Riva degli Schiavoni, dal bacino di San Marco (42 ha.), dalle rive della Salute e della Giudecca (65 ha.). Le navi scaricavano le merci direttamente nei fondaci oppure sui burchi (barconi piatti), che potevano proseguire per gli scali interni. Necessario complemento di questo porto naturale, quando i mezzi di navigazione si evolsero e vennero aperte le linee ferroviarie, è stato il collegamento di esso con la terraferma mediante la costruzione degli approdi e delle darsene della cosiddetta stazione marittima di Santa Lucia, aperta al traffico nel 1880, in prosecuzione del canale della Giudecca, dotata di 3 km. di banchine e capace di poter soddisfare a un traffico di 3 milioni di tonnellate. Dalla stazione marittima un fascio di binari converge su Mestre, stazione di smistamento dove vengono formati i treni per le varie destinazioni. Ma poiché lo spazio non era più sufficiente ai traffici sempre in aumento, è stato creato il nuovo porto di Marghera, costruito a partire dal 1919 scavando una serie di bacini e di canali interni verso la terraferma quasi completamente nell’ambito della laguna morta, in terreni bassi e fangosi (Bottenighi), dove è stato agevole ricavare degli specchi d’acqua. I bacini sono in comunicazione da un lato con vie ferroviarie (stazione di Mestre) e fluviali interne (canale Salso, che mette in rapporto Marghera con una rete navigabile di 1200 km., convergente sulla laguna), dall’altro col canale navigabile anche per grandi piroscafi, profondo fino a 10,5 m. sotto la comune alta marea, aperto nel fondo della laguna viva dalla Giudecca a Malamocco. Situato a breve distanza da Venezia, il grandioso porto di Marghera, che si estende su 11 kmq. ed è formato di 5 km. di banchine e di impianti moderni che riducono le spese di sbarco e imbarco da natante a carro ferroviario, può sopportare un traffico di 9-10 milioni di tonnellate. In breve tempo, dopo l’apertura del nuovo porto, Marghera ha visto sorgere un importante distretto industriale, con un’ottantina di stabilimenti, del quale abbiamo già avuto occasione di far cenno (cap. XI).

    Tra i centri intralagunari, se si prescinde da Venezia, emerge sugli altri Chioggia, che si differenzia dagli altri per una economia più variata, traendo i suoi abitanti le principali risorse non solo dalla pesca (che occupa circa un quarto della popolazione), ma anche dal traffico marittimo (come porto di rilascio, che esporta inoltre laterizi dal Polesine ed importa carbone), dai piccoli cantieri e dalle colture orticole. Un tempo isola lagunare, Chioggia è ora congiunta alla terraferma. Nella sua pianta a spina di pesce, con un’arteria principale dalla quale si dipartono numerose strade laterali e tre canali paralleli, si è voluto ravvisare il solito schema delle città romane, ma è assai più probabile che la sua pianta risalga al Medio Evo. L’aspetto delle case è modesto e spesso le vie accompagnano dai lati i canali servendo in pari tempo da banchine, alle quali si accostano le barche. La pubblica via, dove si svolge gran parte della vita (evitando le basse casupole fumose) è spesso ambiente di pettegolezzi e di superstizioni e il Chioggiotto tende a conservare nell’esercizio della pesca, che lo rivela osservatore profondo del movimento del vento e delle acque, nella vita familiare, nel modo di pensare le tradizioni del passato. E quindi ancora possibile assistere a usi tradizionali, sia presso il mercato del pesce, sia nelle calli, dove gruppi di donne, presso le vecchie case, arse dalla salsedine e dorate dal sole, lavorano al tombolo esprimendo i loro pensieri con un inconfondibile cicaleccio. Le condizioni economiche di Chioggia non sono nel complesso troppo buone, perchè la pesca, di cui si è già fatto cenno, è ora in declino ed essa risulta come abitanti quasi stazionaria (20.000 nel 1871 e 27.000 nel 1951). Ma il Chioggiotto non è soltanto pescatore, ma anche orticoltore. Tale attività viene esercitata a Sottomarina (11.850 ab.) che si è sviluppata su un’isoletta, collegata alla terraferma mediante un ponte lungo 800 m., ed è formata da casette alte e strette disposte lungo la spiaggia che si estende per 6 km. dalla diga meridionale del porto di Chioggia alla foce del Brenta; essa è in pari tempo un centro balneare, che si può considerare il lido di Padova, originato dalle alluvioni dell’Adige, del cui delta il lido di Sottomarina rappresenta l’estrema ala destra. In epoca recente dalla parte opposta di Chioggia, Venezia ha visto sorgere e svilupparsi nelle sue vicinanze la spiaggia di Jésolo, che è la più vasta e la più frequentata del Veneto. Fra la foce del Piave e Cortellazzo e il porto di Piave Vecchia si estende per 14 km. un vasto arenile, oltre il quale si trova il Litorale di Cavallino, altrettanto lungo, che continua verso Venezia fino a Punta Sabbioni. La bonifica dei terreni paludosi situati in vicinanza del mare ha redento anche la fascia costiera e dove fino a pochi anni fa regnava ancora la malaria sono sorti alberghi e pensioni con quasi 10.000 letti. Anche più a oriente di Jésolo sono sorte altre spiagge, come quelle di Càorle, centro di pescatori presso la foce del Livenza, che fu probabilmente il porto di Concordia Sagittaria ed è dominato tuttora dal campanile cilindrico della sua cattedrale romanica (XI secolo); la vita balneare si è sviluppata sia a occidente che a oriente dell’antico centro ai lati dell’argine che termina con una punta, sulla quale sta la chiesa della Madonna del Mare. Presso la foce del Tagliamento, all’estremità della provincia di Venezia, centro balneare in formazione è Bibbione.

    Veduta di Chioggia e della sua laguna.

    Il centro di Càorle e la sua spiaggia.

    Sito e sviluppo di Padova

    Padova è città di origine assai antica, che ha tratto vantaggi per l’ampiezza e fertilità del suo contado agricolo, di cui si trova al centro, per la sua posizione rispetto alla rete stradale, al Brenta e al Bacchiglione (per cui è stata attivo porto fluviale), per la vicinanza a Venezia (e un tempo ad Este e ad Aitino), per l’abbondanza di acque, non escluse quelle termali. Strabone ci fa sapere che i Patavini mandavano in Roma gran quantità di merci e di vestiti e che la città emergeva di gran lunga sulle altre (« Patavium omnium eius regionis urbium praestantissima »), mentre Pomponio Mela la chiama « opulentissima ». La sua importanza è documentata anche dalla raggera di vie secondarie che solcavano il suo territorio e dal rilevante numero di iscrizioni antiche che vi sono state ritrovate. In epoca imperiale romana Patavium, la città più ricca dell’Impero dopo Roma, era formata da due parti distinte, divise dal Medoacus (Bacchiglione), l’occidentale, completamente cinta dal fiume, con tracciato stradale regolare ed edifici orientati in rapporto alle vie (come è dato ancora vedere nel mercato di Padova), l’orientale, di più antica origine, traversata da una via preromana e con strade aventi direzione una indipendente dall’altra. Dato che anche la tradizione medievale considera questa la parte più antica, è qui che deve esser sorta la prima città veneta, nata dalla fusione di alcuni pagi. Il castrum romano era circoscritto a occidente ed a settentrione dal Medoacus, a mezzogiorno e ad oriente da un braccio minore dello stesso fiume, il Naviglio interno, che si stacca dal Bacchiglione quando esso si dirige verso nord e al Bacchiglione ritorna dopo un percorso di circa 2 chilometri. Entro il rettangolo irregolare compreso tra questi corsi d’acqua, è facile individuare tuttora l’arteria longitudinale del cardo maximus con la Stramaggiore (ora via Dante) e le vie Monte di Pietà, Vandelli e Gregorio Barbarigo che la continuano. Il decumanus maior è rintracciabile nell’attuale via Tadi verso occidente e nella via Manin verso oriente. All’incrocio, sul luogo del Foro, è ora piazza del Duomo. Al Naviglio di Padova giungevano dal mare attraverso Malamocco, ove era la foce del Medoacus, le navi cariche di merci, fin quando nel 1842 venne inaugurato il tronco ferroviario Marghera-Padova, che in breve fece metter da parte la navigazione dei burchielli. Ora lungo la via romana corre l’arteria principale della città moderna che dalla stazione ferroviaria per il corso del Popolo (creato nel 1905) raggiunge il Prato della Valle. Ma non solo in epoca romana, ma anche nel periodo feudale, dopo la parentesi del regresso causato dalla invasione che ha disalveato i corsi d’acqua, Padova risulta una delle maggiori città del Veneto (nel XII secolo aveva 15.000 ab.). Una cerchia di mura (che comprendeva un’area di circa un kmq.) ne racchiudeva l’abitato (1195-1210). Potente comune, vide sorgere, accanto ai suoi antichi monumenti, la famosa Università (fondata nel 1222), il Palazzo della Ragione, luogo ad un tempo di riunione del popolo e dei mercanti, che ci dà un’idea del benessere di questi tempi, e la Basilica di Sant’Antonio, per antonomasia chiamata il Santo, iniziata nel 1232, l’anno successivo alla morte del Santo, simbolo della vita religiosa, edificio grandioso, con elementi gotici frammisti a romanici cui le molte cupole conferiscono un aspetto bizantineggiante. E l’arca che racchiude il corpo del Santo continua ad esser meta d’un pellegrinaggio ininterrotto di fedeli, mentre l’Università seguita ad attirare studenti anche da paesi lontani.

    Pianta della città di Padova. Da un’incisione di J. Hondius (1627).

    Veduta aerea di Padova.

    Padova passò poi dalla solita topografia delle città romane a una figura irregolare, imposta dai vecchi alvei abbandonati dal Brenta e dai canali di comunicazione e di drenaggio, e si aggiunsero alle costruzioni sorte lungo il tracciato ortogonale edifìci medievali e fuori delle mura chiese, conventi, ospedali. Presto si impose la necessità di allargare la cinta e nel secolo XIII crescendo d’abitanti, i sobborghi sviluppatisi sulle vie dirette a Venezia, Cittadella, Este, furono inglobati nel perimetro triangolare delle mura del secolo XIII (che compresero 3,5 kmq., in parte orti e campi non ancora oggi coperti da caseggiato): lo sviluppo demografico notevolissimo di quest’epoca è rispecchiato dai 41.000 ab. che essa contava nel 1320; la prosperità era in rapporto sia con l’estendersi del dominio politico, sia con la vivace attività industriale, specie nell’arte della lana, notevole per qualità e varietà e organizzata in modo da fronteggiare ogni esigenza in tutti gli stadi del processo produttivo. Segue un periodo di decadenza, specie all’inizio del dominio di Venezia (1405), quindi una ripresa seguita da stasi. Durante la lega di Cambrai, quando Venezia (1509) scioglie dal giuramento di fedeltà le città di terraferma, è contro Padova che si appunta l’impeto dell’esercito nemico, ma l’assedio e gli assalti non riescono a trionfare dell’indomita costanza dei cittadini ; talché alla fine Massimiliano imperatore deve esausto ripassare le Alpi. Dopo tanto esempio di fedeltà e di valore, Padova scompare per sempre dalla storia politica. Vive d’una vita placida e prosperosa, dedita alle industrie, ai traffici, agli studi, alle arti. Ma l’arte della lana, che le aveva dato ricchezza, nel Settecento si esaurisce a causa della concorrenza straniera. Negli ultimi anni del Governo della Serenissima Andrea Memmo, procuratore della Repubblica di San Marco, si preoccupa di rimodernare la città, e di renderla adatta alle esigenze economiche e sociali del tempo. Propone di estendere la costruzione dei portici, «onde la città sembri quasi nuova come Bologna»: quei portici che, a parte l’efficace funzione decorativa, risolvono il problema del traffico distinto tra pedoni e veicoli. Al Memmo si deve anche la sistemazione del Prato della Valle, dove sul terreno acquitrinoso, in cui si svolgeva periodicamente il mercato del bestiame, venne creata una magnifica piazza, con un’isola al centro, circondata da un canale ellittico bordato di un doppio ordine di statue, destinata ad accogliere, entro apposite strutture commerciali, la « Fiera del Santo », dichiarata da allora franca, e trasformata in un importante elemento di vita cittadina e di attrazione per i forestieri. Solo nel secolo XIX Padova riacquista gli abitanti di un tempo (45.000 nel 1871), di poco cresciuti anche nei decenni successivi (52.000 nel 1911), mentre il comune è passato da 66.000 nel 1871 a 167.000 nel 1961.

    Padova: il Palazzo della Ragione e Piazza della Frutta.

    Padova non conserva del passato, quand’era la città più cospicua dell’Italia settentrionale, che pochi resti (qualche muro dell’arena), essendo stata ridotta a un cumulo di rovine in seguito alla distruzione operata dai Longobardi (602). Si è poi nel Medio Evo sviluppata a segmenti, intorno a Santa Giustina e a Sant’Eufemia nel periodo paleocristiano, attorno a Santa Sofia nel periodo carolingio, e poi attorno alla Cattedrale, entro le mura antiche, e intorno al tempio di Sant’Antonio, al di fuori di esse. Tutto questo ci spiega la ragione per la quale Padova ha conservato « meglio di qualsiasi altra il tipo della città antica, dalle vie tortuose e generalmente anguste, fiancheggiate da portici irregolari e dissimmetrici, dai palazzi sovente merlati e sormontati da torri (più simili a castelli che ad abitazioni private), costruiti con mattoni anneriti dal tempo e dalle muffe, favorite nella loro azione dal clima umido e nebbioso. Per giunta nell’interno stesso della città, vasti spazi erano occupati da orti e da campi, per cui vi dominano sovrani il silenzio e la quiete e quasi il carattere di città decaduta e abbandonata » (G. Marinelli). Padova è ricca di monumenti, la maggior parte dei quali sono opera di artisti che essa ha chiamato di fuori. Basterà qui ricordare Giotto, che ha decorato per invito di Enrico Scrovegni la famosa cappella presso l’antica Arena, poi Paolo Uccello, Fra Filippo Lippi e Andrea Mantegna (originario quest’ultimo del territorio padovano) e tra gli scultori Donatello che vi ha lasciato la statua equestre del Gattamelata e l’altare di Sant’Antonio. In seguito fu Venezia che fornì a Padova gli architetti per i suoi palazzi e le sue chiese.

    La Basilica di Sant’Antonio a Padova.

    Padova. Prato della Valle. Al centro è un isolotto alberato, cinto da un canale, ai lati del quale si trovano varie statue di cittadini illustri. In fondo è la chiesa di Santa Giustina, sormontata da cupole. Il Prato della Valle è stato creato nel 1775.

    In questi ultimi decenni Padova si è andata rapidamente rimodernando. Ha subito in tutti i suoi quartieri radicali trasformazioni edilizie ed igieniche, sono stati operati opportuni sfondamenti, ha visto sorgere nuove vie, come quella che collega il Santo al Prato della Valle, e nuovi comodi palazzi, ha sistemato i suoi canali, derivati dal Bacchiglione (principali: Maestro e Naviglio) lungo i quali permangono tipiche « riviere », cioè viali lungo i corsi d’acqua, su cui prospettano serie di case, ha eretto nuove chiese e nuovi edifici universitari, e si è andata allargando anche fuori delle sue sette porte e della cinta medievale e rinascimentale di mura, in parte abbattute e sostituite con pubblici passeggi. Varie industrie moderne hanno sostituito in pari tempo le attività artigianali. Dal 1919 è poi risorta ed ha assunto il carattere di manifestazione commerciale moderna l’antica fiera annuale del Santo (13 giugno), la cui origine risale al 1257 e che si svolgeva attorno al Pra della Valle attirando gran folla da ogni parte del Veneto. Essa ha ora sede lungo il Pióvego, porto fluviale in raccordo con quello di Venezia. E le scuole all’aperto, sorte prime in Italia, il grandioso foro boario, le nuove vie, i quartieri-giardino ridenti di verde e di fiori, i nuovi edifici del macello, sono espressioni della rigogliosa vitalità di Padova moderna. Si spiega perciò come la popolazione sia andata aumentando ed essa conta, entro alla vecchia cerchia cittadina, 90.325 ab., pur dando impressione di ricchezza di spazio con vaste piazze, come quelle delle Erbe e dei Frutti, adiacenti al Palazzo della Ragione, e la piazza dei Signori, che ricorda il dominio di Venezia. Ma più spesso il traffico ha invaso le strette vie del centro ed ha costretto ad allargarle, ha fatto colmare canali, ha spinto a creare strade del tutto nuove. In una zona periferica, entro le mura, è sorta una città-giardino e sono state operate ulteriori azioni di demolizione nel centro storico della città, creando una vasta piazza nel quartiere di via Santa Lucia. Verso nord, attraverso il cavalcavia della stazione (costruita nel 1903) con il nuovo quartiere dell’Arcella la città spinge i suoi tentacoli verso Vigo-dàrzere. Un nuovo quartiere è sorto fuori dalle mura al Bassanello, mentre a sudest, oltre la Porta Pontecorvo (Liviana) sta già saldandosi con la borgata di Volta Barozzo e ad ovest lungo il rettifilo di Porta San Giovanni (ora Porta Euganea) straripa verso la Brentella e gli Euganei. In questi quartieri periferici (specie in quelli settentrionali) Padova ha visto sorgere stabilimenti meccanici e metallurgici, fabbriche di prodotti chimici (tra cui raion), distillerie e altre officine, favorite dalla opportuna posizione rispetto alla rete ferroviaria piuttosto che ai canali navigabili, senza tuttavia dar luogo a un distretto industriale ben localizzato.

    Padova: piazza delle Erbe

    Tale non può dirsi nemmeno quello sorto a Piazzola (a 18 km.). Un canale derivato dal Brenta, la Roggia Conta-rina, irriga le campagne e fornisce energia ai vari stabilimenti industriali (filatura e tessitura di juta, filande di seta, concimi chimici, ecc.), sorti per iniziativa del duca Paolo Camerini, accanto a una splendida villa palladiana.

    I centri del Padovano

    Se mancano nel Padovano limiti fisici alla regione verso Verona, Vicenza, Treviso e Venezia, ha pensato l’uomo a indicarli con la costruzione di una serie di castelli e di centri fortificati, di cui alcuni tuttora esistenti. Non esistono invece nelle vicinanze di Padova centri un po’ notevoli e questi sorgono invece alla periferia o presso gli Euganei. L’importanza che avevano, specie nel periodo dei Comuni e delle Signorie, i confini politici, là dove mancano ostacoli naturali, ci spiega l’esistenza di questi centri che corrispondono malamente alle condizioni geografiche odierne, ma la cui posizione è eredità del passato. Ad essi si è poi adattata la rete stradale e idrografica, che in altre regioni ha invece determinato il sorgere di nuovi centri (si può ad ogni modo menzionare Anguillara, lungo l’argine dell’Adige) e lo stesso si può dire della rete ferroviaria, che si è giovata di nodi già esistenti, come è il caso di Castelfranco e di Cittadella. Alcuni di questi centri fortificati già esistevano dall’antichità, altri sono stati invece creati ex-novo, come è il caso di Castelbaldo, verso la frontiera tra Verona e Ferrara, che è ora un centro agricolo in disparte dalle grandi vie di traffico, ma nel quale è dato tuttora riconoscere la pianta regolare e qualche resto delle antiche mura.

    Di questi centri fortificati del Padovano quello che conserva meglio la sua cinta è Montagnana, la Carcassonne del Veneto, « opera stupenda singolarissima, unica per la sua conservazione » (Boito). Le mura di mattoni, erette nel secolo XVI, che ricalcano in parte un circuito precedente, hanno 1925 m. di circuito, con lati maggiori di 650-850 m. e minori di 300-350, 24 torri esagone e 2 maestosi castelli (la rocca o castello di San Zeno, fatto costruire da Ezzelino da Romano presso l’odierna Porta Padova, e il castello degli Alberi eretto da Francesco da Carrara nella seconda metà del secolo XIV presso porta Legnago). A queste due porte antiche due altre se ne sono aggiunte più tardi, una cinquecentesca sulla via di Vicenza, l’altra moderna verso la stazione. La strada principale conduce dall’uno all’altro castello e per ragioni difensive è leggermente tortuosa. Si affiancano ad essa, in direzione est-ovest, due strade parallele, intersecate da vie secondarie. La cortina, di forma rettangolare, è solidissima e a sorreggerla provvede un sistema di archi e pilastri, sul quale gira un cammino di ronda. Attorno esiste un fossato d’acqua verdastra, che nel passato doveva esser molto più largo. Sorta probabilmente come punto strategico a difesa dell’Adige (che un tempo passava nelle vicinanze), in un luogo che si eleva di 3-4 m. al di sopra della pianura circostante (ni. 13-17 s. m.), Montagnana si è estesa in epoca recente anche fuori dalle mura (dato che queste racchiudono una superfìcie di appena un quarto di chilometro quadrato), in rapporto con le buone condizioni agricole, per quanto la coltura della canapa sia ora assai scaduta.

    Veduta di Monselice nei Colli Euganei.

    Un altro centro importante del Padovano è Cittadella, posta sulla linea delle risulti ve, in modo da servire da tramite tra l’alta e la bassa pianura. Essa s’incunea nella provincia di Vicenza, nel luogo dove s’incrociano la strada che unisce Padova a Bassano con quella che da Vicenza raggiunge Treviso. Costruita nel 1220-21 per servire come fortezza dei Padovani a fronteggiare Vicentini e Trevisani, caratteristica è la sua pianta, disegnata dal giro quasi circolare delle mura turrite, dalle fosse e dalle quattro vie che s’incrociano al centro. La costruzione della rete ferroviaria, che ne ha fatto un nodo importante, ha recato notevoli vantaggi tanto che sulla prosecuzione esterna di ognuna delle porte si allunga ora un sobborgo; mantiene così la sua funzione di notevole mercato (specie per bestiame e bozzoli) ed è sede di opifici tessili. A metà strada tra Cittadella e Castelfranco è San Martino di Lupari che è stato per secoli diviso in due parti (una appartenente a Treviso, l’altra a Padova), riunite nel 1810. In provincia di Padova un altro nodo ferroviario, a non grande distanza da quelli di Cittadella e Castelfranco, è Camposampiero, cittadina che trae origine pur essa da un luogo fortificato; è infatti agevole riconoscere nella sua pianta un nucleo centrale, quadrato, che corrisponde a un castello che diede il nome ad una delle maggiori famiglie feudali della Marca Trevisana, e un sobborgo (di San Marco) che si è sviluppato lungo la via che conduce a Padova. Il nodo ferroviario ha giovato alla cittadina, ma essa è vicina ad altri centri più importanti per poter trarne gran giovamento. A sudest, verso Borgoricco e Villanova, le campagne presentano un reticolato di strade ortogonali, che per larghezza di maglie e per altri caratteri ricorda la centuriazione romana, ma che risulta così ben conservato da far ritenere ad alcuni che la sua origine sia piuttosto medievale. Anche Piove di Sacco, sito nella bassa pianura, in territorio fertile, coltivato soprattutto a frumento, ha avuto in passato funzioni di fortezza verso i confini con Venezia, come appare dalle sue vecchie mura e dalla pianta rettangolare. Sors d’una colonia romana nel I secolo a. C., corte del demanio, venne a dipendere verso la fine del secolo X dai vescovi di Padova, sotto i quali fu eretta in pieve, per passare poi al comune, che provvide a fortificarla. Tradizionale del contado è la lavorazione di piante vallive per la confezione di ceste e sporte, che provvide a fortificarla. Tradizionale del contado è la lavorazione di piante vallive per la confezione di ceste e sporte.

    I giardini e il castello di Este nei Colli Euganei.

    I centri principali dei Colli Euganei, siti in prossimità di zone ben coltivate a vigneti e oliveti (120 ha. sono infatti riservati a questa pianta delicata, che trova condizioni favorevoli nei luoghi più riparati), in un paesaggio ameno e ridente pieno di malinconica grazia, che piacque al Petrarca, si trovano all’estremità meridionale del rilievo e sono Monselice ed Este, troppo vicine tra loro per assurgere a maggior importanza. Monselice è in parte tuttora cinta dalle vecchie mura, alle quali si affiancano spaziosi sobborghi. Essa è al centro d’un contado agricolo ben coltivato (con molti frutteti e specialmente peschi), si trova favorita da buone comunicazioni (sull’importante linea Bologna-Padova, dove si stacca un tronco per Mantova) e possiede importanti cave di masegna, pietra trachitica che serve alla pavimentazione. Este ha avuto nell’antichità un’importanza assai maggiore dell’attuale, ma piuttosto che per la sua posizione rispetto alle vie terrestri ed ai canali navigabili, per la funzione militare, che essa ha esplicato anche in epoca romana (resti di mura), mentre Monselice ha avuto tale funzione nel Medio Evo, favorita dalla rocca. Ora Este, capoluogo essa pure d’un fertile contado (frumento, frutteti) ha anche qualche piccola industria agricola ed è in buone condizioni commerciali. I Colli Euganei caratterizzati da una morfologia variata per esser formati da dossi isolati che si presentano sotto forma di enormi cupole, sono anche rinomati per la ricchezza delle sorgenti termo-minerali che sgorgano ai loro piedi. Le acque termali, che si ricollegano evidentemente come origine alla natura vulcanica dei colli, sgorgano presso le pendici orientali di essi e traggono probabilmente la loro genesi da fumarole che si formano presso focolai eruttivi non ancora del tutto raffreddati e che si aprono la via attraverso la coltre alluvionale, termalizzando le falde acquifere che incontrano, abbondanti nella pianura circostante ad Àbano, Montegrotto, Battaglia. Soprattutto Abano, che veniva già visitata in epoca romana per la cura di malattie reumatiche ed artritiche, dopo un periodo di abbandono che è durato fino al secolo XIII, ha raggiunto un grande sviluppo per attrezzatura alberghiera e modernità degli impianti di cura e vede affluire ogni anno da 18.000 a 20.000 ospiti.

    Vedi Anche:  Le regioni del veneto

    La Piazza Maggiore di Este.

    La sorgente di Abano Terme.

    Le città del Polesine

    I principali centri sono Rovigo nel Medio Polesine, Badia e Lendinara nell’Alto Polesine, Adria e Loreo nel Basso Polesine.

    Rovigo si è sviluppata in epoca tarda in una zona bassa (m. 7 s. m.) al centro del Polesine, tra il Po e l’Adige, ma più vicina a quest’ultimo, in una plaga agricola che è tra le più fertili d’Italia. Lontana dai monti e dal mare, il clima è d’inverno nebbioso e umido, d’estate afoso. La mancanza di sorgenti ha resa necessaria la costruzione d’un impianto idrico che depura le acque, estratte da pozzi infissi in un’ampia golena dell’Adige (presso Boara), le quali vengono poi condotte a Rovigo con un acquedotto (4 km.). Nella zona non mancano testimonianze dell’epoca romana, come epigrafi, urne cinerarie, monete e nelle vicinanze è stata anche riconosciuta l’esistenza d’una fabbrica di anfore. Ma il nome appare per la prima volta soltanto nell’838, in un placito (sentenza arbitrale) emesso da un tribunale che doveva definire una questione di possesso su alcune terre polesane; vien chiamata villa Rodigo, mentre nel secolo seguente è ricordata col nome di curtis, centro più ampio e fortificato. Il vescovo Paolo, con l’aiuto del marchese Almerigo, vi aveva fatto costruire un ben munito castello, con l’altissima torre che ancor oggi vigila la città. Cinta da mura fin dal XII secolo, ha pianta esagonale e si sviluppa per due terzi a sinistra dell’Adigetto (che è stato deviato per ragioni igieniche dal centro ed è navigabile per barche), per un terzo sulla destra. Nel suo itinerario per la terra ferma veneziana (1483), Marin Sanudo ricorda le «mura altissime et grosse, de novo riconzade », gli « arzeri et spalti fortissimi », le case « belle, grande et spese », la piazza « molto grande, larga et longa », i palazzi che dichiara « ben compositi », il forte castello « con spalti et torre ». Delle sei antiche porte restano conservate soltanto quella di San Bartolomeo (San Bortolo) della fine del secolo XV e la porta di Sant’Agostino. Le fosse e gli spalti sono stati trasformati in passeggi pubblici o sono stati incorporati nelle case e là dove correva fino a qualche decennio fa l’Adigetto è stato ricavato un bel viale, sul quale si affacciano alcuni palazzi pieni di decoro, del Genio Civile, delle Poste, del Catasto, dell’Istituto delle Assicurazioni. Il centro della città è rappresentato dalla piazza Vittorio Emanuele, circondata da tre lati da portici. L’antico ghetto, eretto al principio del secolo XVII, con le caratteristiche case a più piani, è stato abbattuto nel 1930, dando così respiro alla parte centrale (piazza Roma). Essa conserva ad ogni modo l’aspetto di città veneta, cui le torri, i campanili delle chiese, le due piazze centrali, alcune vecchie case dànno un carattere particolare. Rovigo che, dopo aver avuto un periodo di sviluppo nel Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento, di poco emergeva sugli altri borghi del Polesine, si è poi di molto avvantaggiata rispetto ad Adria in seguito alla costruzione della rete ferroviaria (la linea Padova-Rovigo è stata aperta nel 1866), che l’ha fatta diventare il più importante nodo del Veneto meridionale. Quartieri nuovi sono sorti soprattutto verso la stazione ferroviaria e verso sud ; anche lungo le strade principali si sono sviluppati lunghi sobborghi, a immediato contatto con i campi. Rovigo è importante mercato granario, come pure sede d’una stazione sperimentale di bieticoltura (dal 1910) e pollicoltura (dal 1922). Ma il suo sviluppo, che l’ha fatta passare da 7000 ab. nel 1911 (un po’ meno di Adria) a 17.500 nel 1951, non le ha tolto il carattere di soggiorno tranquillo e l’aspetto di grosso centro agricolo, riconoscibile nel tipo rurale di molte abitazioni e nella elevata percentuale di persone che traggono le loro risorse dall’agricoltura (tra cui proprietari di grosse tenute e persone benestanti).

    Pianta della città di Rovigo (sec. XVIII).

    Veduta aerea di Rovigo. Nella parte centrale è la Piazza Vittorio Emanuele II e a sinistra il Corso del Popolo, ricavato interrando l’Adigetto.

    Rovigo: Piazza XX Settembre e Chiesa della Beata Vergine del Soccorso.

    Nell’Alto Polesine i centri di più antica origine sono Badia e Lendinara. Badia, posta vicino all’Adige, dove esce da questo l’Adigetto, è sorta nel X secolo accanto a una famosa abbazia. Un marchese Almerigo di Mantova sul principio del 900 fece erigere nel luogo detto il Pinzone, dove esistevano alcune case coloniche, una chiesa dedicata alla Vergine, che assunse poi il nome di Santa Maria della Vangadizza e diede origine a Badia. Ora del grande edificio restano soltanto la cappella della Madonna e un chiostro. Nel Medio Evo la Badia della Vangadizza ha avuto giurisdizione su un ampio territorio anche fuori del Polesine ma, passata a far parte del vescovato di Adria (1792), venne poi chiusa al culto nell’aprile 1810 dal governo francese. Posta al confine tra Ferrara, Padova e Venezia, Badia ebbe anche importanza militare (e dagli Estensi fu munita di tre torri, costruite lungo l’Adige a sua difesa, demolite da Venezia) e fiscale (pedaggio obbligato sull’Adige) ma poi sia nel sistema stradale moderno che in quello ferroviario è restata un po’ in disparte ed anche se ha visto sorgere qualche industria (alcuni mulini, calzaturificio, zuccherificio), ed è sede d’una Stazione fototecnica (sorta nel 1937 per il miglioramento del seme di frumento), è rimasta essenzialmente una grossa borgata rurale, notevole mercato e centro d’un importante distretto agricolo, dove viene praticato su larga scala, ma più assai nel passato che non ora, l’allevamento del baco da seta. Condizioni per molti riguardi analoghe presenta Lendinara, la quale si affaccia sull’Adigetto con ridenti riviere ben sistemate, parallele alle quali sono disposte come a Badia, le vie principali. Essa ha pianta regolare (quadrangolare) ed era un tempo racchiusa entro mura, che comprendevano le due parti sorte sulle opposte sponde dell’Adigetto. Narra l’Epitome Cattaneo, che l’anno 870 Umberto Aleardi Cattaneo trasferì la propria dimora da Verona a Lendinara e il figlio ottenne nel 901 da Berengario un diploma di conferma dei beni e della giurisdizione paterna. La storia di questa antica famiglia veronese dei Cattaneo si svolse per oltre 400 anni parallela a quella del paese, di cui aveva ottenuto la signoria, ma poi si ebbe un periodo di lotte e dal 1482 Lendinara venne a dipendere da Venezia. Resti del Castello, costruito nel 1390 da Alberto di Este, sono la torre dell’orologio e un’altra alta 25 m., mentre il teatro è stato ricavato dal cosiddetto granarone, antico deposito di vettovaglie, eretto dagli Estensi. Di recente essa ha avuto un certo sviluppo industriale (canapificio, jutificio, zuccherificio, fabbriche di conserva e di concimi), senza tuttavia dar luogo a un incremento demografico che non sia normale.

    A oriente, in seguito al graduale spostamento della zona di intensa colonizzazione, hanno progredito in questi ultimi tempi Adria e Loreo. Adria aveva avuto già in epoca antica grande importanza, come appare dal fatto che ha dato nome all’Adriatico, di cui allora accentrava una parte del traffico. La sua situazione topografica, per quanto manchino i documenti per una ricostruzione precisa, doveva essere analoga a quella di Venezia, ma non le fu possibile conservarla a lungo, a causa degli interrimenti del Po e dell’Adige. Già in decadenza all’epoca di Strabone, nel tardo Medio Evo (secolo XIV) era ridotta a una borgata di pescatori. Con l’estendersi del dominio di Venezia e con l’inizio dei lavori per la regolazione delle acque cominciò un nuovo periodo, che la fece passare da 1600 ab. nel 1548 a 5700 nel 1766, aumentati a 12.700 nel 1911; essi si mantennero del resto fino al 1927 superiori a quelli del capoluogo del Polesine. Adria è attraversata ora dal Canalbianco e le case e le strade si allungano con una speciale disposizione, parallele tra loro, e perpendicolari al canale, il quale biforcandosi forma nella parte centrale dell’abitato un’isola e accoglie barconi carichi di materiali da costruzione e di prodotti agricoli. Essa ha visto sorgere anche qualche industria (essiccatoi di tabacco, cordifici, ecc.). Loreo è già nella zona deltizia, dove la popolazione vive di preferenza in case isolate. Essa è l’unico centro di rilievo della zona e si è molto avvantaggiata per i lavori di bonifica. Sorta forse sul cordone litorale della laguna di Adria e ricordata fin dal Medio Evo, allinea le sue case sulle due rive del canale navigabile che congiunge Venezia ai Po.

    Adria. Le case si allungano lungo il Canalbianco che attraversa la città.

    Treviso e i centri della Marca Trevisana

    Treviso « che di chiare fontane tutta ride » (Fazio degli Uberti) è sorta in pianura (m. 15 s. m.), in zona ricca d’acque, dato che numerose polle di risorgiva (« fontanazzi ») dànno luogo alla formazione di ruscelli e di canali che bagnano la pianura attorno alla città, e penetrano in essa o la circondano, determinando la sua topografia e ricalcando i fossati che accompagnano le mura. Il Sile, il quale inizia il suo corso, dapprima tortuoso e indeciso, tra bassi canneti, entra in città da occidente e riceve le acque del Botteniga che si divide in vari rami: la Roggia (o Siletto), canale dei Buranelli, Cagnan (di dantesca memoria) e canale delle Convertite, che corrono spesso paralleli alle strade, lambiscono le mura delle case, scompaiono e ricompaiono. « La vaghezza delle riviere trevisane è data dalla verzura, che, alternata agli edifizi, le allieta. Presso le bianche case, che tuffano i piedi nell’acqua, ed hanno in fronte qualche sobrio vezzo, sorgono qua cespi di calle acquatiche dalle larghe foglie a picca, là esili ciuffi di oleandri. Poi ancora ippocastani e tigli, che a giugno esalan nell’aria tepidi balsami. Nelle acque limpidissime si riflettono le foglie degli alberi e l’azzurro terso del cielo. Questo ridere d’acque è la letizia e il vanto di Treviso » (Coletti). Un tempo grossi barconi potevano giungere fino a Treviso dalla laguna, ma la costruzione d’una centrale elettrica e d’una chiusa (le « Porte Grandi » che regolano il passaggio delle acque secondo il diverso livello del mare), vieta ora di servirsi delle più economiche vie d’acqua per il trasporto delle merci pesanti. L’abitato di Treviso, che sorge quasi tutto sulla sinistra del corso tortuoso del fiume, ha forma quasi rettangolare, con vie strette e curvilinee. Molte case, fornite di portici e di barbacani, recano tracce di affreschi, ma le incursioni aeree del 1944-45 (specie quella del 7 aprile 1944 che causò la morte di oltre 2000 persone) hanno recato gravi danni mutandone in parte la fisionomia. D’origine romana, venne cinta una prima volta di mura nel Medio Evo. La prima forma dell’abitato di Treviso corrisponde ad un triangolo, che aveva per lati la sinistra del Sile, il Cagnano e la diramazione di quest’ultimo (la Roggia o Siletto); la sua arx era a Sant’Andrea, ma in seguito andò assumendo quella figura poligonale che ebbe poi per sempre. Ma essendosi sviluppati fuori delle mura alcuni sobborghi, al tempo della Lega di Cambrai venne costruita una cerchia assai più ampia, comprendente anche orti, giardini e spazi non fabbricati. Essa ha dato alla città per secoli un aspetto di fortilizio non sminuito per il sorgere in corrispondenza delle porte principali di nuovi sobborghi. La città è tuttora circondata dalle mura cinquecentesche, alte da 8 a 10 m., lunghe 4800 m. con 13 bastioni, sorgenti su fossati e canali ridotti in parte a giardini, dopo la prima guerra mondiale, interrotte o sottopassate da strade e da porte.

    Pianta della città di Treviso (Raccolta di stampe Achille Bertarelli. Milano, Castello Sforzesco).

    Al centro è la piazza dei Signori, nella quale si incrociano le arterie principali. La parte murata, nella quale sono stati aperti (1905-10) alcuni varchi, comprende 130 ettari. Treviso conta (1951) circa 53.000 ab., più che triplicati rispetto al 1881 (quando erano 15.500). Si può dire che fino a pochi decenni or sono — quando le comunicazioni più celeri e l’impianto di nuove industrie (officine meccaniche, mulini, fabbriche di concimi, ecc.) alle quali il Sile fornisce forza motrice le hanno allargato la sua economia e ne hanno fatto un importante centro commerciale d’un contado ben coltivato — essa sia rimasta stazionaria, tenuto conto che aveva già 15.000 ab. al principio del Trecento e che ne contava 14.000 nel 1563.

    Veduta aerea di Treviso.

    Nei dintorni, a somiglianza di quanto si è osservato per Padova, mancano luoghi notevoli o sono centri agricoli che si sono sviluppati in epoca recente, avvantaggiati dalle derivazioni d’acqua dal Piave che ha alimentato qualche industria, come è il caso di Spresiano e di Villorba. Anche nel Trevisano i centri più importanti si trovano alla periferia e non mancano quelli che hanno avuto origine e sviluppo per ragioni militari, come è il caso di Castelfranco, situato a sinistra del Musone (affluente del Brenta), cresciuto attorno a un castello eretto dai Trevisani nel 1199 per fronteggiare Vicentini e Padovani. Le mura turrite e le fosse dànno alla città la forma d’un quadrato quasi perfetto, male riempito dalle case, traboccate invece nei sobborghi, specialmente verso nord e verso est. Ma la cittadina, posta subito a nord della zona delle risultive, onde gode nello stesso tempo dei vantaggi dell’alta e bassa pianura, è anche un importante mercato (specie per bestiame e per bozzoli) che nel passato è stato favorito del beneficio di franchigie fiscali, donde ricavò il suo nome. Un altro castello posto verso i confini con Venezia era Casale sul Sile, che non ha avuto la possibilità di ulteriore sviluppo. Origine militare ebbe pure Motta di Livenza, castello di confine variamente conteso, in buone condizioni commerciali per la possibilità di servirsi del fiume su cui sorge e per essere un buon nodo ferroviario. Tra gli altri centri di pianura emerge Oderzo (la latina Opitergium), sorta tra Piave e Livenza, in posizione favorevole agli scambi per essere all’incrocio delle principali vie e in prossimità di corsi d’acqua navigabili. Un ripiano quadrangolare indica il luogo dove sorgeva anticamente. Devastata più volte durante il periodo delle invasioni, ebbe essa pure durante il Medio Evo importanza militare. Ora presenta l’aspetto delle vecchie città venete di terraferma, con case a portici, spesso con facciate affrescate; l’abitato attuale, mercato agricolo d’un vasto territorio, ricco di biade e foraggi, si prolunga per quasi un chilometro verso sudovest in una duplice fila di case lungo la strada proveniente da Ponte di Piave.

    Una tipica casa di Treviso sul fiume Sile.

    Veduta di Àsolo

    Il Palazzo Casoni a Vittorio Veneto.

    Mano a mano che ci si approssima alle Prealpi, il paesaggio si fa più mosso e più ridente. Il bosco (costituito in prevalenza da querce e da ontani, che la repubblica veneta aveva conservato con leggi protettive) ricopriva un tempo le colline, mentre ora prevalgono i frutteti, i castagneti, i filari di viti. In quest’ambiente agreste Asolo, ricordato più volte come fiorente colonia romana e forte castello nel Medio Evo, con le sue case d’impronta signorile e col ricordo delle grandi figure del passato che vi ebbero dimora, costituisce una plaga privilegiata e una testimonianza dell’amore per la natura ed i paesaggi agresti dei Veneziani, riconfermato pure dalla vicina, splendida villa Bàrbaro di Masèr, adorna dei dipinti di Paolo Veronese. Carducci definì Asolo « la città dei cento orizzonti », rare vi sono le nebbie e il paesaggio presenta soprattutto d’autunno una grande varietà di tinte. La sua piazza poi, adorna di edifici costruiti per la massima parte al tempo della regina Cornaro, ci riporta a quel tempo passato. Del resto tutta questa zona pedemontana tra Brenta e Piave con i suoi castelli diroccati (tra cui quello di Romano, culla di Ezzelino), con le chiese adorne di opere d’arte (come il Tempio di Possagno), con l’amenità del paesaggio, la comodità di vita, la mitezza del clima è un soggiorno gradevolissimo. Alla periferia della pianura trevisana, nella quale non mancano centri veri e propri e la popolazione vive di preferenza in case sparse, si è sviluppata Montebelluna, che ha visto sorgere alcune industrie, avvantaggiata della sua posizione allo sbocco in pianura della via del Piave, anche se un po’ in disparte dal suo corso (che tocca invece Ner-vesa). Essa ha pure importanza come mercato e come nodo ferroviario. Più a oriente, ai piedi delle Prealpi Bellunesi, nella valle del Soligo si sono sviluppati numerosi centri agricoli, mentre il principale, Follina, ha avuto anche importanza industriale. Qui infatti si era trasferita dal Lodigiano, a metà del secolo XII, una colonia di monaci cistercensi, che valendosi delle acque del torrente Soligo, il quale metteva in azione numerosi folli, fece sviluppare l’industria dei pannilani, onde ben presto la località, che prima si chiamava Serravalle, mutò il nome in quello di Follina. Ma i due centri maggiori delle colline del Trevisano sono Vittorio e Conegliano, i quali si trovano in condizioni più favorevoli rispetto alla pianura e alle grandi vie del traffico. Vittorio Veneto giace là dove il Meschio, superata una stretta, si apre la via del piano. La città, disposta in lieve pendio, si divide in tre parti, non ancora ben saldate tra loro, ma in corso di fusione, riunite solo nel 1866, quando il territorio, entrato a far parte del regno d’Italia, venne riunito in un’unica amministrazione. A nord si trova Serravalle, che ha come via principale un tratto dell’antica strada d’Alemagna, via naturale di penetrazione dal piano, attraverso la depressione dei laghi lapisini e il passo di Fadalto, all’alto bacino del Piave, ricalcata da pochi anni da una ferrovia; essa si allunga nella stretta, da cui prese nome e che essa sbarrava col suo castello; la parte centrale (m. 144 s. m.), d’origine recente, è costituita dalla piazza Vittorio Emanuele con il palazzo municipale, la stazione ferroviaria e altri edifici pubblici, mentre a sud, alquanto più basso e in piano, si trova Céneda, che è stata a capo d’un esteso ducato nel periodo longobardo, ed è ora notevole centro industriale e commerciale. In passato Serravalle, che fu a lungo castello dei Caminesi in rapporti non amichevoli con Céneda, era nota per le sue fabbriche d’armi; ora Vittorio è sede di cementifìci, di opifici tessili e di industrie agricole. Conegliano, posto più in basso (62 m.), sulle ultime pendici delle Prealpi Bellunesi, che lo riparano dai venti di nord (onde è nota per il suo clima mite e come centro produttore di vini pregiati), si trova allo sbocco in pianura della via alpina di Fadalto, dove questa incontra la via pedemontana Montebelluna-Sacile e prosegue verso Treviso. Cittadina disposta parte in piano, parte sul pendio d’una collina presso i resti del castello che costituì probabilmente il nucleo primitivo del paese, conserva in parte le antiche mura, al di là delle quali si sono sviluppati dei sobborghi. La parte centrale ha vie con portici e case affrescate. Negli ultimi decenni ha avuto un aumento considerevole (3800 ab. nel 1871 e 11.000 nel 1951) per la sua attività commerciale e industriale. E anche sede d’una rinomata Stazione sperimentale per la viticoltura e l’enologia.

    Palazzi rinascimentali lungo via XX Settembre a Conegliano.

    Le città del Bacino Plavense

    I due maggiori centri, Feltre e Belluno, il secondo dei quali ha dato il nome alla regione (nel modo stesso che la Valsugana ha preso nome da Ausugum-Borgo) si sono sviluppati all’estremità della Val Belluna, a contatto con un contado abbastanza ampio e allo sbocco di importanti valli, Feltre dove il Piave si apre la strada verso la pianura e dove una soglia depressa permette un agevole passaggio alle valli del Cismón e del Brenta, Belluno non lontana dalla via che con duce al Cadore attraverso la bassa insellatura di Fadalto, entrambe presso un torrente (Sonna e Ardo) che ha fornito a buon prezzo energia per le industrie locali. Ma più che per questi elementi, il sito topografico è stato prescelto per le buone condizioni di difesa: Belluno potè giovarsi d’un elevato terrazzo di confluenza tra Ardo e Piave, Feltre d’un rilievo isolato. Il nucleo originario di Belluno (il cui nome sarebbe d’origine celtica e deriverebbe da un personale Belo, mentre dunum indicherebbe un’altura) si è infatti sviluppato su una penisoletta cuneiforme che sporge sul Piave a guisa di aereo terrazzo. Centro notevole sotto i Romani, sede d’uno sculdascio al tempo dei Longobardi, poi a lungo sotto il dominio dei Vescovi, nel 1404 si dette a Venezia, dalla quale dipese fino alla caduta della repubblica. Ben difesa dal ripido pendio del Piave e dell’Ardo, dalla parte di settentrione, lungo la base maggiore del trapezio, venne cinta con mura. L’asse del centro era costituito dalla via Mezzaterra tra le porte Dogliona e Rugo. Fuori del cuneo già in epoca antica erano sorti due borghi, uno sul Piave, l’altro presso il ponte dell’Ardo; un terzo, assai più importante, si estese a nord fuori delle mura, dove è sorta una grande piazza (Campitello) cinta da un lato da portici, che costituisce ora il centro della città. Questa nuova parte si è allungata nella direzione est-ovest, in modo che la pianta è venuta ad assumere la forma d’una L rovescia, della quale la gamba diretta da nord a sud comprende la città vecchia, l’asta traversa la parte recente. Altre case si sono allungate poi sulle strade per Feltre, il Cadore e l’Agordino, altre sono sorte accanto alla stazione ferroviaria, numerose ville hanno occupato la terrazza di Cavarzano (dove sono stati trovati copiosi resti di tombe del V secolo, m. 415 s. m.), con un dislivello di circa 100 m. rispetto al corso del Piave, e la città, che supera ora i 10.000 ab. (1871: 5570), rispecchia nella sua pianta gli ingrandimenti successivi.

    Veduta panoramica di Feltre con gli stabilimenti del Gruppo Montecatini.

    Veduta di Belluno. In primo piano il ponte della Vittoria.

    La casa del Tiziano a Pieve di Cadore.

    Nella pianta e nello sviluppo di Feltre si riscontra per molti riguardi un parallelismo con Belluno. La parte più alta della città, attorno al castello (325 m.) sorge su uno sprone di scaglia rossa, corroso e arrotondato da antica erosione glaciale. Anche Feltre è città preromana e fu poi soggetta, più ancora di Belluno, data la maggior vicinanza al Trevisano, alle contese locali, finché venne a far parte della repubblica veneta, la quale nella seconda metà del secolo XV, provvide a fortificarla. Ricostruita dopo i gravi danni subiti al tempo della Lega di Cambrai (1510), la parte interna alle mura conserva ancora il suo aspetto caratteristico, con case affrescate che nella parte posteriore dànno su dei giardini pensili, dai tetti assai sporgenti. Il suo asse, tra Porta Oria e Porta Castaldi, è formato dalla via Mezzaterra. Ma già dal secolo XV, come del resto in epoca romana, Feltre cominciò a estendersi anche fuori dalle mura e il centro, che un tempo era presso la cima del colle, a poco a poco andò spostandosi più in basso ai suoi piedi (Campogiorgio), in posizione centrale sia rispetto alla città alta che ai borghi, tra i quali ha avuto sviluppo specie quello posto al di là dei torrenti Colmeda e Uniera (Borgo Tezze). Anche verso la stazione ferroviaria (258 m.) si è avuto un certo incremento. Ora è prevista la costruzione alla periferia di tre grandi arterie di transito che dovrebbero racchiuderla in un anello. Dopo aver avuto quasi 6000 ab. verso il 1600 (quando vi fioriva l’attività tessile ed era più popolata di Belluno), Feltre ha potuto raggiungere di nuovo questa cifra tra il 1911 e il 1921, restando tuttavia molto al di sotto del capoluogo di provincia, che è centro d’un distretto rurale più esteso. Nelle vicinanze di Feltre (3 km.), sulla strada che conduce alla Croce d’Aune (valico che mette in comunicazione il Feltrino con Sovramonte nel bacino del Cismón e che si può raggiungere pure con una seggiovia) si trova Pedavena, che è nota per una grande fabbrica di birra, tra le maggiori d’Italia.

    Sotto la repubblica veneta, il cui dominio è perdurato ininterrotto per quattro secoli, predisponendo quelle condizioni di sicurezza che hanno spinto all’insediamento in piccoli centri e in case sparse, una vivace attività industriale sia nel campo tessile (panni di lana), sia nella lavorazione del ferro, stimolata dalle favorevoli comunicazioni (il Piave era allora navigabile) dava ricchezza a Feltre e a Belluno, ma in seguito queste industrie sono decadute e l’attività agricola ha assunto importanza preminente, per quanto ostacolata non poco dalla limitata fertilità dei terreni.

    Capoluogo del Cadore è Pieve, che nella parte centrale ha l’aspetto di cittadina, col bel monumento al suo Tiziano Vecellio. Ma per quanto abbia tratto vantaggi dall’industria turistica, non ha potuto esser raggiunta dalla ferrovia principale che risale il corso del Piave e s’arresta a Calalzo, dato che si trova a 200 m. dal fondovalle, plasmato dall’antico ghiacciaio plavense e occupato in parte dal grande lago di sbarramento della «Sade». In condizioni più favorevoli sia rispetto alla rete stradale, sia ai monti circostanti, che la chiudono da ogni parte, si trova la conca di Cortina, della quale abbiamo già fatto cenno nel capitolo precedente.

    Vedi Anche:  Case e centri abitati del veneto

    Vicenza e i centri della sua provincia

    Vicenza, cinta da verdi e armoniosi colli, è sorta e si è sviluppata allo sbocco del corridoio alluvionale interposto tra Bérici e Lessini (che si insinua nella valle dell’Agno e in quella del Chiampo) e alla confluenza del Retrone nel Bacchiglione, a m. 39 sul mare. E d’origine preromana e fin dalle epoche più remote si valse del suo maggior fiume per collegarsi con Padova e la laguna di Venezia, e delle vie dell’Àstico e del Léogra per scambiare i suoi prodotti con la Val d’Adige (Rovereto) e la Val-sugana (Caldonazzo). La sua ubicazione geografica, a guardia del corridoio per cui passa la via naturale tra la Lombardia e il Veneto, oltre che l’attività dei suoi abitanti, le hanno concesso di avere attraverso i tempi una crescente importanza economica, attestata dallo sviluppo dei suoi mercati, delle sue fiere e delle sue banche.

    Pianta della città di Vicenza.

    Poche tracce son rimaste della città romana, mentre non è arduo riconoscere l’ubicazione della città nei primi secoli del Medio Evo, avente pianta rotondeggiante, formata da una parte ovoidale, compresa nella lingua di confluenza tra Bacchiglione e Retrone e d’un’aggiunta semilunare a destra di quest’ultimo. Ben presto, già nei secoli XII e XIII, quando cominciò ad acquistar importanza l’arte della lana, si svilupparono dei sobborghi, più o meno ampi, per cui quando gli Scaligeri costruirono una nuova cerchia, completata e rafforzata poi da Venezia, il contorno risultò irregolare e molti spazi tra borgo e borgo non costruiti. Pur tuttavia, lungo le vie di maggior traffico, fuori delle mura, crebbero nuovi sobborghi. Nella seconda metà del secolo XVI raggiunse 30.000 ab., mentre nel 1951 ne furono contati 61.200, compresi i dintorni immediati. Il tipo di costruzione prevalente è quello delle altre città venete, ma più ridente e armonico che nelle città di pianura, in virtù pure all’attività d’un architetto vicentino illustre, Andrea Palladio, « fondatore della moderna architettura » che nella Piazza dei Signori accoppiò la tipica venezianità alla magnificente romanità e l’arte antica ai bisogni della vita moderna. Ivi si aderge a 82 m. leggiadra e snella una torre che domina la città e quasi ne rappresenta il simbolo. La Basilica e la Loggia del Capitanio che le sorge di fronte completano la piazza, nella quale pulsa il cuore della città.

    Veduta aerea di Vicenza.

    Vicenza: la Basilica Palladiana.

    Una veduta di Vicenza.

    Marostica: la piazza del Castello ed il Castello Superiore.

    Schio: un angolo della piazza Alessandro Rossi.

    Piazza Chilesotti a Thiene.

    Anche nel corridoio tra Lessini e Bérici e nelle valli che lo continuano sono sorti al tempo dei Comuni e delle Signorie numerosi centri aventi funzioni difensive, di cui alcuni sono decaduti della loro importanza militare, come Montecchio Maggiore, mentre altri (Arzignano, Valdagno) hanno acquistato importanza industriale. Anche verso il Veronese, di fronte ai castelli di San Bonifacio, Soave, Monteforte dAlpone, i Vicentini eressero a guardia del corridoio Montebello e Lonigo, che ebbero poi sviluppo per la loro buona posizione commerciale, il primo allo sbocco in pianura del Chiampo, il secondo, che è un importante mercato di cavalli, dove il Guà raggiunge il piano dopo aver costeggiato i Bérici. Al margine della pianura si trovano pure Marostica e Bassano, l’uno tra Astico e Brenta e l’altro allo sbocco del Canale di Brenta. Marostica è stata nel passato importante pel suo munito castello, iniziato da Can Grande della Scala nel 1312; la pianta ha forma quadrangolare in piano e triangolare verso la Rocca e la via principale va dalla porta bassanese alla porta breganzina (verso Thiene); poi vi ha avuto grande diffusione l’industria dei cappelli di paglia, introdottavi verso la metà del secolo XVII e assai fiorente nel secolo scorso; la materia prima era data un tempo dai culmi d’una varietà di frumento che si coltivava nei dintorni, ma poi si è fatto uso di trucioli anziché di paglia. In posizione più favorevole si trova Bassano, sorta dove due vie naturali, la valle del Brenta e la strada pedemontana che segue le falde delle Prealpi, s’incrociano al valico del fiume. La posizione è notevole sia dal punto di vista militare che commerciale, ma la via del Brenta era poco frequentata nell’antichità. La Valsugana trova infatti uno sbocco verso la pianura più agevole attraverso Arsiè, Fonzaso, Feltre e Quero, itinerario percorso a grandi linee in epoca romana anche dalla via Claudia Augusta. Solo nel Medio Evo si cominciò a preferire la via del Canal di Brenta. Ciò spiega perchè Bassano ha cominciato ad aver importanza soltanto tardi, sotto la signoria degli Ezze-lini (XI-XII secolo), dapprima politica, poi sotto Venezia anche commerciale, industriale (lana, seta, concia pelli, stampa, segheria) e anche agricola (colture orticole dei dintorni). Il nucleo centrale dell’abitato (con i vecchi portici, il ponte coperto ricostruito nel 1948, le vie irregolari con case dalle facciate dipinte), seguendo la curva delle mura scomparse, sale sino alla pieve di Santa Maria, che domina la sinistra del Brenta e le case si protendono per circa 2 km. nel Borgo Leon; a sera, oltre il fiume, vi è il borgo Angaran, che si spinge fino a Santa Trinità. Alle industrie più antiche se ne sono aggiunte in epoca recente delle nuove che fabbricano penne stilografiche, radiatori, cucine, pentole, scarpe. In direzione di Nove si sono andate disponendo le « botteghe » dei ceramisti e ogni casa è anche una piccola fabbrica soprattutto di stoviglie, che rappresentano per lo più scene di vita agreste, la vendemmia, la caccia, la mietitura.

    Anche Thiene e Schio si trovano in posizione simile a Bassano, ma in esse e nella vicina Valdagno, posta più addentro nella zona prealpina, per quanto allo sbocco di valli meno importanti, ha trovato condizioni più favorevoli di sviluppo l’industria, specialmente tessile. Centri industriali minori sono pure Arsiero, sul Pósina affluente dell’Àstico, nota per le sue cartiere, e Arzignano, in un’insenatura secondaria, allo sbocco in piano del Chiampo. La localizzazione di queste industrie, e specialmente di quelle tessili, è in rapporto sia con l’abbondanza di acque correnti, sia con l’allevamento ovino fiorente negli altopiani. Ma è stato pure determinato dal desiderio di molte famiglie veneziane di trasferire nella terraferma la loro attività dopo la perdita di Creta e dall’iniziativa di alcuni grandi capitani d’industria e specialmente i Rossi di Schio ed i Marzotto di Valdagno. Schio, che è uno dei maggiori centri lanieri italiani, è sorta sulla sinistra del Léogra dove questo sbocca in piano dopo aver scavato nel gruppo del Pasubio una valle profonda. E facile distinguere la parte più antica, presso un colle ove era un tempo il castello, e la parte nuova, che a partire dal 1872 si è andata avvicinando al Léogra, con case moderne, giardini, viali alberati. Un sobborgo di Schio si può ormai considerare Torrebelvicino, 3 km. a monte della valle del Léogra. La strada della Vallarsa, che unisce Schio a Rovereto attraverso il Pian della Fugazza (ii57m.), è stata compiuta nel 1818, nel 1876 Schio è stata collegata per mezzo di ferrovia a Vicenza, nel 1885 è stata aperta la linea dell’Àstico che congiunge Schio a Thiene, donde si dirama il tronco che raggiunge Arsiero. L’arte della lana era a Schio assai antica, ma fino al 1701 le fabbriche avevano il permesso di poter mettere in commercio soltanto panni bassi, di mediocre qualità. Ottenuto il privilegio di fabbricare panni migliori, le lane di Schio acquistarono fama europea, tanto che alla caduta della repubblica veneta ne venivano prodotte 25.000 pezze ogni anno. Il primo periodo del dominio austriaco corrisponde a un regresso per la forte concorrenza delle fabbriche austriache. La rinascita si deve ad Alessandro Rossi, che nel 1839 assunse la direzione in un moderno lanificio e ne promosse poi, durante un quarantennio, lo sviluppo, creando la nuova Schio e poi nel 1873 la grande società, che porta ancora il suo nome. Nel corso medio dell’Agno si trova Valdagno, dove a partire dal 1836, ma soprattutto nel secolo in corso ha avuto grande sviluppo la lavorazione della lana. L’industria cittadina è attrezzata modernamente (anche per quanto riguarda le istituzioni sociali) ed è in grado di produrre molti milioni di metri di stoffa. Minore è stato lo sviluppo di Thiene, sita nell’alta valle dell’Agno tra lo sbocco in essa del Léogra e dell’Àstico; un tempo notevole città fortificata (come appare tuttora dal suo imponente castello) associa ora l’attività industriale (filande di seta e di lana; fabbriche di cappelli) con quella commerciale (notevole mercato). La maggiore delle vallate vicentine è quella dell’Àstico, che nella zona montagnosa ha il letto fortemente incassato; al suo sbocco è Rocchette, nota essa pure per uno stabilimento tessile (lana). Più a valle l’Astico con le sue alluvioni minacciava in passato Vicenza, ma Cangrande della Scala provvide alla costruzione a Montecchio Precalcino dei Murazzi Scaligeri, i quali costrinsero il fiume a volgere verso Sandrigo per inalvearsi nel Tesina.

    Verona e i centri del Veronese.

    « Chi la vede appoggiata ai colli, coronati ancora dalle mura merlate di Cangrande, là dove l’Adige si spinge a lambirle il piede, vede che il sorgere e il fiorire della città dovette esser determinato da questa posizione tra i colli e il fiume e dalle condizioni di sicurezza e di comodità che ivi si offrivano al commercio. Superata infatti la Chiusa, l’Adige procede verso sudest, nel largo e profondo solco che le oscillazioni del suo letto e le alluvioni hanno scavato attraverso i millenni. In questa sua corsa sinuosa esso si accosta solo in due punti ai colli della sponda sinistra: a Parona ed a Verona. Ricco di grandi possibilità è il secondo punto. Quello sprone infatti che respinge il fiume e lo obbliga a descrivere l’arco entro cui è sorta la città antica, forma il vertice dell’angolo di sudovest, della massa montuosa dei Lessini; e passata quella stretta del fiume e del colle, si apre verso est, sempre più vasta e libera, la pianura veneta tra il piede delle colline e l’Adige. In questo punto, dove la via che proviene dalla Germania si dirama nelle varie direzioni, si dovette stabilire un guado e poi un ponte » (Simeoni). Verona si trova dunque sulle rive dell’Adige, al margine della pianura, e si avvantaggia sulle altre città del Veneto per la sua posizione allo sbocco d’una delle più importanti vie transalpine, quella che mette capo al Brennero, frequentata fin dalle epoche più antiche, percorsa da mercanti e da invasori, là dove essa incontra le strade terrestri che mettono in rapporto la parte occidentale con la parte orientale della Pianura padana. La distanza da grandi centri rivali (Padova, Venezia, Milano) le permisero largo territorio in cui svolgere attività economica e politica senza urtare, agli inizi, pericolose rivalità. Essa conserva tuttora nella parte centrale l’ossatura delle città romane con la pianta quadrilatera e le vie che s’incrociano ad angolo retto. Questo nucleo più antico è sorto su una penisoletta, formata da un meandro dell’Adige ed i Romani provvidero a difenderlo con mura che si univano ad angolo retto presso l’anfiteatro; sulla sinistra del fiume dominava, sul colle che fu poi detto di San Pietro, l’Acropoli (sostituita poi dal Castello medievale). La città, nella parte chiusa entro le mura romane, è divisa ancora in isolati regolari da vie parallele tra loro e alle due vie fondamentali, Cardo e Decumanus, che vanno identificati, il primo con via Leoni-Cappello-Sant’Egidio, il secondo col Corso Porta Borsari sino a Santa Anastasia. Essi si tagliano ad angolo retto sull’ antico Foro, l’attuale piazza delle Erbe, con andamento da nord-ovest a sudest e da nordest a sudovest. Sotto i Romani Verona contava già su un perimetro di 40 ha. 15.000 abitanti. Alla difesa della città provvide in seguito anche Teodorico (che qui accentrò le sue relazioni con la Germania), tagliando la base della penisola con un canale, per cui l’estensione passò da mezzo a un chilometro quadrato. Un altro ampiamente si ebbe sotto gli Scaligeri (1287-1325), quando Verona aveva 40.000 ab., comprendendo anche uno spazio oltre l’Adige. Tale spazio bastò fino a pochi decenni or sono, dato che il ritmo d’aumento è stato in seguito piuttosto lento (52.000 ab. nel 1850 e 134.600 nel 1951) anche perchè intralciato da vincoli militari. Sotto l’Austria la sua posizione strategica era infatti considerevole, essendo la principale città del Quadrilatero, un altro centro del quale era Peschiera i cui forti si vedono tuttora passando con la strada ferrata. Con l’erezione di due cinture di forti Verona venne trasformata in un formidabile campo trincerato. E lo sviluppo edilizio fu assai ostacolato dal mantenimento delle servitù militari e delle vecchie fortificazioni, finché la profonda trasformazione dell’arte militare permisero lo sviluppo dei sobborghi; ma in passato trasse vantaggio dalla naturale difesa offerta al suo territorio dal lago di Garda e continuata a sud dal Mincio, mentre a nord i Lessini, coperti di boschi e intagliati da valli longitudinali, non costituirono mai terreno propizio a invasioni nemiche. Ora l’Adige non è più serrato in città tra le case, con i numerosi mulini galleggianti, collegati alla riva dal sottile e oscillante peagno, come al tempo di Berengario, ma dopo la paurosa inondazione del settembre 1882 vennero costruiti, tra il 1889 e il 1895, dei colossali muraglioni, che diedero in città al corso dell’Adige un andamento completamente nuovo.

    Pianta della città di Verona. Da un’incisione di J. Hondius (1627).

    Pianta di Verona e dintorni. La città entro la cinta murata e l’espansione attuale.

    Veduta aerea di Verona: l’Arena

    Verona: la città vista dal campanile di San Zeno.

    L’aspetto di Verona si presenta suggestivo e attraente mostrando ben distinte le costruzioni antiche, quelle medievali della signoria scaligera e quelle moderne. Concorre a darle decoro e imponenza anche la posizione rispetto al rilievo prealpino dei Lessini, ricco di marmi pregiati (sia tufi leggeri e teneri provenienti dai terreni terziari, sia pietre vive del Secondario, come i marmi bianchi e rossi di Verona), il largo fiume che la bagna, l’ampiezza delle vie e delle piazze, i ricordi architettonici delle diverse età, dall’Arena romana alla chiesa romanica di San Zeno, dallo stile ogivale di Santa Anastasia e delle arche scaligere, in parte dovute a maestri lombardi, capolavoro di armonia e di grazia, al Palazzo del Consiglio in stile rinascimento, dalla piazza dei Signori, che assieme alla piazza delle Erbe (sul luogo dell’antico foro) costituisce la parte più caratteristica della città, resa altresì simpatica per il carattere vivace della popolazione. Maestosi anche i grandiosi palazzi del classicismo, dovuti al Sammicheli, i Lungoadige e i io ponti che li congiungono o meglio che li congiungevano, essendo stati distrutti (25 aprile 1945) dai Germanici in fuga. Dopo esser stata nel passato un centro militare, Verona è ora, riunito il Trentino all’Italia, una notevole piazza di scambi agricoli e commerciali, che ha visto sorgere pure qualche attività industriale, specie nei dintorni (Montorio Veronese e San Giovanni Lupatoto). Importanza notevole hanno il suo mercato granario, la stagione lirica all’aperto nell’anfiteatro romano, la Fiera internazionale dell’agricoltura e della zootecnica.

    Veduta di Verona con l’Adige.

    Minore importanza ha ora la navigazione dell’Adige, possibile solo per piccoli natanti, mentre come nodo ferroviario Verona è al centro d’una vasta rete, che si spinge fino al Brennero. Essa ha visto perciò svilupparsi nelle vicinanze alcune grosse borgate, che si possono considerare suoi sobborghi, come a occidente San Michele Extra e poi un po’ più distanti Quinzano e più a monte sull’Adige Pescantina, Bussolengo a Sant’Ambrogio di Valpolicella, presso lo sbocco in pianura del fiume. Notevole è stato anche in epoca recente l’incremento dovuto all’intensa industrializzazione, per cui il Basso Acquar, la zona attigua al cimitero ed a Porta Vescovo e la zona che va fino a San Michele si andò affollando di stabilimenti e di abitazioni. Anche in direzione di sud e di sudovest, cioè di Porta Nuova, diventata la stazione principale, si andarono sviluppando le case. Poi la guerra produsse danni irreparabili, distruggendo non solo i dieci ponti, ma anche vaste zone del nucleo storico (come il lato orientale della via Stella, il corso Cangrande, la piazza Cittadella, ecc.) e solo in parte, per mezzo d’un organico piano regolatore in corso di attuazione, è stato possibile ridare alla città lo spirito e la bellezza preesistenti.

    Il centro principale del Basso Veronese è Legnago, che ha avuto in epoca recente un discreto sviluppo nel campo delle industrie agricole (zuccherificio, concimi, oleificio per ricino, ecc.), mentre in passato prevalse l’attività commerciale, in rapporto con la sua posizione sull’Adige, che divide l’abitato vero e proprio (sulla sponda destra) dal porto (sulla sinistra), e più ancora la funzione militare, come vertice sudorientale del Quadrilatero. Ciò risulta tuttora dalla pianta stellare e dalle fortificazioni (ora in gran parte abbattute), mentre il porto è ristretto tra i vecchi terrapieni e l’argine del fiume. In epoca romana per di qua passava la via più importante che dall’Italia centrale conduceva al Norico, varcando il Po a Ostiglia e l’Adige a Forum Allieni, che corrisponde a Legnago. Ma poi le condizioni peggiorarono e la località scadette della sua importanza. Ora Legnago è anche nodo ferroviario, dove la linea che unisce Rovigo-Verona s’incrocia con la Mantova-Padova, e accentra l’economia del territorio circostante. Anche gli altri centri della Bassa Veronese hanno visto sorgere nuove industrie: Cerea, fabbrica fosfati e mobili, Nogara ha un canapificio, Sanguinetto, che assieme a Isola della Scala ha avuto una certa importanza nel Medio Evo, uno zuccherificio. Alla Bassa Veronese, ma ormai già al limite di questa, appartiene pure Cologna Veneta, il cui nome ci indica l’origine romana. A quel tempo era forse bagnata dall’Adige, mentre ora è sulle rive del Fràssine. Essa ha avuto dapprima importanza come posto fortificato a confine del Vicentino, ma poi, per iniziativa di Venezia, vi è stata diffusa la coltura della canapa che l’ha fatta prosperare al punto da farla diventare il maggior centro del Veronese dopo il capoluogo. Ora, dopo un periodo di crisi per l’abbandono della coltura che le aveva dato ricchezza, si è riavuta ed è al centro d’un territorio agricolo ben coltivato, noto per la buona qualità del suo frumento. Una pianta che ha avuto un periodo di grande splendore e poi è decaduta è pure il ricino, che introdotto sul finire del 1700, occupava al principio del secolo scorso oltre 100 kmq., mentre ora è quasi scomparso.

    Nota conclusiva

    Il Veneto, di cui abbiamo cercato di delineare i caratteri geografici più salienti, s’inquadra in una regione geografica più vasta, la Venezia (o le Tre Venezie), della quale occupa la parte più vitale. L’unità della Venezia trae la sua origine soprattutto dai caratteri fisici, mentre dal punto di vista storico e umano essa consiste in un aggregato di regioni minori, spesso dai confini non ben determinati, soprattutto sul lato orientale, alcune delle quali alla loro volta ripartite in distretti e in cantoni minori, che in molti casi hanno avuto una vitalità loro propria. Tra queste regioni o subregioni il Veneto, illuminato dal grande faro rappresentato da Venezia, è di gran lunga la più importante, ma essa pure risulta avere limiti imprecisi, soprattutto verso oriente, dove solo da pochi anni il Friuli si è staccato da essa e si è legato invece alla parte residua della Venezia Giulia, dove Trieste costituisce in un certo senso un faro analogo a Venezia. Ciò del resto è giustificato da ragioni idiomatiche, data la prevalenza nel Friuli di parlate ladine. Per cui, come ha bene messo in luce Olinto Marinelli, attorno ad un nucleo propriamente veneto, rappresentato dalle sette province di questa regione, si distende come un’aureola, l’amplissima zona di confine venetizzante, dove il parlare veneto viene a contatto col tedesco e col ladino. In un certo senso queste altre regioni della Venezia costituiscono per il Veneto una fascia di protezione; mentre infatti esso costituiva una regione di frontiera, ora soltanto per breve tratto, e per di più impervio, confina con la Repubblica austriaca. Ma la sua posizione anche prescindendo dalla situazione contingente che si è venuta determinando in seguito all’esistenza della cosiddetta « cortina di ferro », appare meno vantaggiosa in confronto a quella del Piemonte e della Lombardia rispetto all’Europa centrale. Anche se i valichi alpini sono qui più depressi, i rapporti tra i due versanti delle Alpi risultano meno vivaci, per cui il Veneto viene a trovarsi al limite delle grandi correnti di traffico. Anche rispetto alle altre regioni italiane il Veneto ha una posizione più appartata delle consorelle settentrionali.

    Ma rispetto al Piemonte e alla Lombardia, entrambe regioni interne, il Veneto presenta il vantaggio di essere aperto ampiamente sul mare e di poter fruire di tutti i vantaggi, ora maggiori ora minori, che questo comporta. Non gli manca poi quella varietà di paesaggi che costituisce per una regione fonte di proficui scambi, alte montagne, anche se non altissime, di facile accesso, ben popolate, poli di attrazione nei mesi estivi, colline ben coltivate esposte a mezzogiorno, vaste pianure rese fertili dalla natura, dalle acque e dall’uomo. La storia ci dice poi che, malgrado la sua posizione di confine e i danni che in alcune epoche, non escluse quelle recenti, gliene sono derivati, il Veneto ha potuto sottrarsi, se si escludono i pochi decenni di occupazione austriaca, ai lunghissimi periodi di dominazione straniera ai quali sono state sottoposte le altre regioni italiane. In epoca antica i Veneti si sono assoggettati spontaneamente ai Romani, nel Medio Evo è mancato un contrasto vero e proprio tra i Bizantini e i Veneziani, per cui è difficile dire quando abbia inizio lo Stato veneto. E il prestigio di Venezia si fece così grande che, dopo aver fatto da mediatrice tra il Papato e i Comuni, ha accolto nel suo seno le città venete, che si sono sottomesse spontaneamente, desiderose di entrare a far parte dei domini della Serenissima. Alcune di queste regioni (come la Marca Trevigiana, il Cadore, i Sette Comuni, il Polesine) avevano una propria individualità, ma questa si è andata via via attenuando nel crogiolo che ha avuto per artefice Venezia. Tutto questo non ha mancato certo di influire sul carattere degli abitanti, a determinare quella humanitas che li rende affabili ed espansivi, semplici e bonari. D’altra parte la povertà di materie prime e l’alta densità di popolazione, rispecchiata dal numero elevato di case sparse e dalla vicinanza l’una all’altra di numerose città, ognuna contraddistinta da caratteri peculiari, ha fatto sì che il Veneto, la cui popolazione è pari all’ 8% di quella italiana, sia una regione tradizionalmente dedita al lavoro dei campi e la terra, fecondata da più generazioni di contadini, offre una produzione esuberante di cereali, di barbabietole da zucchero, di bozzoli, di frutta e poi anche una larga disponibilità di bestiame. Ma la produzione non ha potuto, soprattutto nelle regioni di montagna, seguire di pari passo l’aumento della popolazione attiva, che risulta più rapido che nelle regioni vicine per l’elevata natalità, per cui il Veneto ha visto, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, sciamare in gran numero i suoi abitanti, sia per brevi periodi, sia per periodi più lunghi, sia in modo definitivo. L’amore per la casa e per il paese natale, che è spiccatissimo nei Veneti, ha però frenato queste correnti, che non hanno mai avuto delle mete fisse, ma sono state determinate dalla presenza di terre da coltivare e di lavori da compiere, ferrovie, strade, dighe, miniere; in ogni parte del mondo i Veneti hanno portato il loro contributo di lavoro, e da contadini si sono trasformati facilmente in operai e in muratori. La presenza di energia elettrica, ricavata in abbondanza dai suoi fiumi, e l’opera di alcuni pionieri coraggiosi e lungimiranti, ha fatto sì che l’industria, che del resto in alcuni settori, come quello tessile, aveva un’antica tradizione, sia andata assumendo di recente in alcuni distretti particolarmente favoriti, un ruolo sempre maggiore, e per quanto a questo riguardo il Veneto si trovi in uno stadio più arretrato delle altre regioni dell’Italia settentrionale, ha visto in questi ultimi anni irrobustirsi la sua struttura industriale, sorgere nuove fabbriche, ora di grandi dimensioni, come quelle di Marghera e di Valdagno, ora di media grandezza, come quelle meccaniche, chimiche, tessili sorte un po’ dovunque nel Veneto, e soprattutto accanto ai centri industriali di antica tradizione. Anche il commercio si è fatto più vivace. Ma non tutta la popolazione ha potuto trovar lavoro in queste nuove imprese e gli abitanti, che avevano avuto fin verso il 1951 un incremento piuttosto considerevole, sono stati costretti a trovare lavoro in altre regioni, e soprattutto nella Lombardia e nel Piemonte, per cui in questi ultimi anni il Veneto, a differenza delle altre regioni italiane, ha visto diminuire la sua popolazione, con un regresso veramente preoccupante nel Polesine orientale e nei comuni della provincia di Venezia che ne condividono le caratteristiche ambientali di zona depressa, danneggiata non solo dalle inondazioni, ma da un considerevole abbassamento del terreno. Ma non è da dubitare che la vivace attività industriale potrà costituire un freno a questo esodo. Un movimento inverso, centripeto, si verifica del resto sempre più intenso in direzione di quelle regioni del Veneto, che dotate di spiagge spaziose, di acque salutari, di conche smeraldine e di città ricche di storia e di monumenti, costituiscono un’attrazione da ogni paese della Terra. Il Veneto può quindi guardare con tranquillità al suo avvenire, fiero del passato e del presente.