Vai al contenuto

Case e centri abitati del veneto

    Case e centri abitati del veneto

    Come vivono i Veneti.

    Malgrado l’esistenza d’un gran numero di città e di centri abitati, il Veneto possiede una percentuale elevata di popolazione che vive sparsa nelle campagne. Il numero rilevante di case coloniche è strettamente in rapporto con la vocazione d’una buona parte degli abitanti per l’attività agricola e con la cura con cui viene praticato il lavoro dei campi, specie nelle zone collinose, nelle pianure asciutte, nelle zone di bonifica. Ma la situazione è andata mutando nel corso degli ultimi decenni e occorre farne cenno. Nel 1911 poco meno della metà della popolazione (47%) viveva sparsa nelle campagne e il resto era agglomerata in centri (53%), per cui il Veneto condivideva con l’Emilia, le Marche e l’Umbria la prerogativa di avere gran numero di abitanti dediti ad attività agricole, i quali vivevano a diretto contatto coi campi da loro coltivati. Per di più rispetto al censimento precedente (1881) la popolazione sparsa risultava in aumento, specialmente nelle regioni collinose dove l’irrigazione ha permesso in qualche caso di estendere e di intensificare ancor più le colture. Erano specialmente i comuni di media grandezza, con popolazione compresa tra 3000 e 15.000 ab., che presentavano valori superiori alla media, mentre restavano al di sotto i comuni con grossi centri oppure quelli poco abitati, più numerosi in montagna che in pianura. Poi nel 1921 la popolazione delle case sparse è diminuita alquanto (41%) e un trentennio dopo (1951) era scesa ad appena un terzo della popolazione totale (33,5%), ma forse il confronto coi dati dei censimenti precedenti non è agevole, essendo stata tenuta distinta, nell’ultimo censimento, la popolazione dei nuclei, nei quali vive circa mezzo milione di abitanti, pari a un ottavo della popolazione complessiva. E soprattutto nelle province di Padova e di Treviso che troviamo i valori più alti di popolazione sparsa, pari al 48 e al 44% della popolazione totale, cui sarebbe da aggiungere la popolazione dei nuclei, che in entrambe le province assomma al 9% degli abitanti. Una percentuale di popolazione sparsa che si aggira sulla media di tutto il Veneto troviamo nel Polesine (35%) e nella provincia di Venezia (31%), mentre restano un po’ al di sotto le province di Vicenza (27%) e di Verona ( 22°/o), nelle quali invece 1 nuclei assumono notevole importanza, tanto da accogliere circa un quinto degli abitanti e ciò è da mettere in rapporto con la presenza in esse di regioni di montagna, nelle quali la popolazione rifugge dal vivere isolata e dove l’estensione delle aziende è minore, tanto da non permettere alla famiglia del contadino di trarre la risorsa per vivere unicamente del lavoro dei campi. Una sicura riprova l’abbiamo esaminando i dati della provincia di Belluno, nella quale la percentuale della popolazione che vive nei centri sale ad oltre i due terzi (68%) del totale, valore più elevato che in qualsiasi altra provincia del Veneto, mentre la popolazione delle case sparse (16%) risulta inferiore (ed è anche questo l’unico caso che si presenti nel Veneto) non solo alla popolazione dei centri ma anche alla popolazione che vive nei nuclei.

    Percentuale di popolazione sparsa nelle zone di pianura e di collina.

    Ma i dati che abbiamo finora riportati, per quanto abbastanza significativi, poiché si riferiscono ad unità amministrative non ben individuate dal punto di vista geografico (salvo il Polesine e il Bellunese), non permettono di vedere chiaramente la distribuzione del fenomeno ed è perciò meglio prendere in esame la regione nel suo insieme. In questo caso le percentuali più alte di popolazione sparsa sulla totale (pari a oltre tre quarti) li troviamo in primo luogo nella zona pianeggiante della provincia di Vicenza, compreso anche il rilievo collinoso dei Bérici; numero elevato di case sparse ha pure l’ampia area nordorientale della stessa provincia, percorsa dal Brenta e dal Musone, poi, nel vicino territorio padovano, l’area compresa tra il Bacchiglione e le pendici settentrionali dei Colli Euganei e quella che è compresa tra Arzignano e Bovo-lenta. Anche nella Marca Trevisana, attorno a San Biagio di Callalta, a destra ed a sinistra del Piave, le case sparse risultano più numerose di quanto comporterebbe la media della provincia. Se ci riferiamo alle abitazioni possiamo determinare che più d’un centinaio di case per chilometro quadrato si trovano nella regione del basso Brenta e del basso Piave, nella pianura veronese, nella Marca Trevisana, che aumentano ancora nel Medio e Alto Polesine e nel Basso Padovano, nei Bérici e negli Euganei o nella collina e pianura vicentina, sino a superare le 200 case nella maggior parte del Padovano. Percentuali più basse di popolazione sparsa (con valori inferiori al 10% rispetto a quella totale), oltre che in gran parte della provincia di Belluno, ad esclusione della Val Belluna, si osservano nelle zone prealpine delle province di Verona e di Vicenza. Secondo le ricerche del Candida, che si è occupato di recente di questo argomento nella premessa da lui stesa per il volume rivolto alla descrizione della casa rurale nella pianura e nella collina veneta, si può dire che la densità della popolazione sparsa (che generalmente coincide con la popolazione agricola) va crescendo a mano a mano che si procede da occidente verso oriente, escludendo però tutta la regione alpina e prealpina e gli estremi lembi orientali della bassa pianura.

    Un centro del Comélico: Pàdola.

    Se si traccia una linea che congiunga Thiene, Vicenza e Legnago si vede che in tutto il territorio a oriente di tale linea la popolazione sparsa presenta densità e valori che vanno rapidamente crescendo, mentre in tutto il territorio a occidente non solo le densità si mantengono in generale inferiori a 100 ab. per kmq., ma si avverte una certa più uniforme distribuzione spaziale della popolazione sparsa. Come si possono spiegare queste differenze? La diversa distribuzione si accorda in generale col maggiore o minore frazionamento della proprietà terriera, in quanto i valori di densità di popolazione sparsa più elevata si trovano in quelle aree ove la proprietà raggiunge un grado così elevato di frazionamento che causa la polverizzazione della proprietà. Fa eccezione tuttavia per le particolari condizioni locali, caratterizzate da un ambiente anfibio, la zona di Sottomarina e di Chioggia, dove la popolazione vive invece agglomerata, per quanto prevalgano colture intensive, orticole e frutticole.

    Insediamento sparso a Valrovina (Bassano del Grappa)

    Insediamento agglomerato nello Zoldano: Brusadaz.

    Come abbiamo già avuto occasione di far cenno circa l’ottava parte della popolazione del Veneto vive in nuclei, cioè in « aggregati di case con almeno cinque famiglie, privi del luogo di raccolta che caratterizza il centro abitato ». Di questi nuclei ne sono stati contati nel Veneto nel 1951, in occasione del censimento, ben 7603, per cui ognuno di essi ha in media una popolazione di 66 abitanti. Un numero più elevato di popolazione residente in nuclei, pari a circa la quinta parte del totale, troviamo nelle province di Venezia e di Vicenza, una percentuale un poco più bassa del 10% m quelle di Padova, Treviso e Venezia, prevalentemente pianeggianti e con rilievi di poca entità, mentre circa un sesto degli abitanti risiede in nuclei sia nella provincia montuosa di Belluno, sia nel Polesine.

    L’ultimo censimento ha potuto determinare che 2 milioni di Veneti, pari a oltre metà della popolazione (53,7%) vive attualmente nei centri, che sono in tutto 2364 di numero, con una popolazione media di 890 abitanti. I valori delle diverse province non si discostano gran che dalla media, salvo per Venezia, dato il peso che ha la città capoluogo rispetto alla popolazione totale, e Belluno, regione montana dove la popolazione preferisce vivere agglomerata. Padova, Treviso e Rovigo presentano valori un po’ al di sotto della media, Verona (dove fa sentire la sua influenza la regione montagnosa dei Lessini e dei Tredici Comuni) al di sopra, mentre Vicenza ha un valore equivalente alla media della regione. Circa la terza parte dei centri conta meno di 200 ab., poco più d’un terzo ha una popolazione compresa tra 200 e 500 ab., mentre 705 centri superano i 500 ab., ma tra questi prevale di gran lunga la classe tra 500 e 1000 ab., in numero di 400. Il Veneto conta pur sempre circa 300 località con oltre 1000 ab., mentre quelle al di sopra di 10.000 sono 19 e 7 quelle oltre 20.000. Spesso nel Cadore i villaggi sono costituiti da più borgate che si succedono l’una all’altra lungo la strada o il corso d’un fiume; tale è il caso di Auronzo, Lorenzago e Sappada, dove prevalgono case di grandi dimensioni che servono spesso a più famiglie. Molte regioni di montagna sono rimaste a lungo disabitate e soltanto a partire dal Medio Evo si è iniziato il loro popolamento. Così il Livinallongo, che corrisponde all’alto bacino del Cordévole, come hanno provato luminosamente Carlo Battisti e la sua scuola, non ha avuto popolazione stabile prima del XII secolo. Lo stesso si può dire del bacino medio del Cordévole e della valle del Biois.

    Insediamento agglomerato: Laggio di Cadore (m. 944).

    Il censimento della popolazione del 1951 ha potuto rilevare che esistevano nel Veneto a quella data 752.000 abitazioni (29.000 delle quali non risultavano abitate), dotate di 3.190.000 stanze. Esse sono poi aumentate d’un settimo nel 1957 con un incremento complesso, tra i maggiori che si siano verificati in Italia. Il numero medio di stanze per abitazione risulta di 4,2, con valori massimi nella provincia di Treviso (4,7) e minimo (3,9) nel Polesine; il Veneto, a questo riguardo, ha dimore più ampie di quelle del Piemonte e della Lombardia. Il numero di persone per stanza adibita ad abitazione risultava di 1,3 (passato ora a 1,1), valore corrispondente a quello medio dell’Italia. Se le abitazioni risultano in media tra le più ampie del Paese, sono anche tra le più affollate. Buon numero di abitazioni malsane si sono riscontrate a Venezia e nel Polesine.

    Le case rurali

    Nel Veneto vario è il tipo delle case agricole, dai casoni dal tetto alto e inclinato di paglia (atti a difendere bene il contadino povero sia dai calori dell’estate che dal freddo dell’inverno), diffusi un tempo da Padova a Montebelluna e da Venezia a Bassano, sostituiti ormai quasi ovunque da case in muratura, alle vaste boarie dell’Alto Polesine; alle grandi fattorie fornite di adiacenze per accogliere attrezzi e contadini nelle zone dove prevale il latifondo, alle corti delle zone di bonifica, spesso allineate lungo strade o argini, ai casotti litoranei degli orti del litorale. Le case col tetto di paglia dei Sette Comuni, che nel passato dovevano essere frequenti anche in altre regioni del Veneto, quelle col tetto di lastre dell’Alpago e di altri territori bellunesi, quelle di legno dell’Agordino e del Cadore vanno perdendo sempre più terreno rispetto alle costruzioni moderne.

    Centro del Feltrino: Arson.

    Un centro dell’Agordino: Caviola.

    Le ricerche sulle forme delle dimore rurali nel Veneto, intraprese per iniziativa del Comitato per la geografia del Consiglio Nazionale delle ricerche, di cui riassumiamo le conclusioni, hanno permesso di identificare nella regione pianeggiante, fin quasi alla linea delle risultive, un tipo di abitazione, a pianta rettangolare, con rustico affiancato alla casa del contadino, tipo che è stato chiamato « veneziano » per il fatto che ha per elemento peculiare il portico, che da Venezia si è esteso alle dimore rurali della terraferma. E noto che nella città sorta nella laguna « il sottosuolo poco solido e cedevole ha imposto di spostare verso l’alto il peso delle masse murarie, di alleggerire la costruzione bilanciando i vuoti con i pieni. Nel palazzo o nella casa veneziana la fronte di questi edifici è traforata da due zone continue e sovrapposte di arcature, l’una corrispondente al porticato terreno, che si sviluppa in una serie di arcate a pieno centro, l’altra corrispondente al loggiato del primo piano. Il porticato aveva una funzione ben definita: era il luogo di arrivo e di deposito delle merci, chè la casa del patrizio veneziano era al tempo stesso abitazione e fondaco per merci » (Candida).

    Il portico delle dimore rurali del Veneto centrale costituisce una specie di loggiato o porticato, composto da più archi a pieno sesto, che si sviluppa in una serie di arcate lungo la facciata dell’abitazione esposta a mezzogiorno e sotto di esso si aprono gli ingressi ai locali d’abitazione e ai rustici. Il pòrtego ora risulta esteso lungo tutta la facciata, ora antistante alla sola abitazione, ora antistante alla sola stalla e meglio sembra conservarsi nei comuni a monte della rotabile che congiunge Padova a Mestre, ove compaiono gli esemplari più arcaici. Invece dove manca il portico (per es., a sinistra della zona del Dese e sino al Tagliamento), compare una tettoia che forma corpo a sè stante. Un altro distintivo è lo sfondro, piccola costruzione quadrangolare, determinata dal notevole sviluppo esterno del focolare-camino, col caratteristico fumaiolo « la base della cui gola, fatta come mezza tramoggia rovesciata e la gola stessa sporgono fuori del muro » (Lorenzi).

    Un centro dell’Alpago: Spert.

    La diffusione di questo tipo di casa è limitata alla bassa pianura e prevale sulle altre forme di abitazione di una vasta regione di forma triangolare, caratterizzata da notevole umidità e da lunga durata delle nebbie invernali, che ha per vertici a occidente Thiene, a oriente Oderzo e a sudest la foce dell’Adige, quindi il lembo sudorientale della provincia di Vicenza, la parte centro-settentrionale del Padovano, quasi tutta la provincia di Venezia (salvo le zone di bonifica recente) e la parte centrale della provincia di Treviso. Il rustico, che comprende al piano terreno la stalla e il fienile sovrastante, e l’abitazione, affiancati l’uno all’altro, hanno generalmente la stessa lunghezza. L’abitazione comprende al piano terreno la cucina e alcune camere (da pranzo, da lavoro, da deposito) e ai piani superiori le camere da letto e il granaio. Talvolta la casa padronale presenta una sua individualità per la sua maggiore altezza, il tetto a quattro pioventi, qualche finestra ornata. Generalmente i tipi delle case sono connessi con gli indirizzi produttivi e con i sistemi di conduzione agricola. Naturalmente dove vi è prevalenza dell’allevamento bovino aumenta la proporzione del rustico e sia la stalla che il fienile sono più vasti; invece dove l’indirizzo produttivo è viticolo è la cantina che assume maggiore sviluppo. Anche dove il numero dei bovini occorrente al lavoro dei campi è maggiore la stalla assume maggiori dimensioni. Per far sì che in questi casi il rustico abbia maggiore estensione senza far assumere alla dimora un’eccessiva asimmetria tra le due parti, si è aggiunta spesso un’ala, disposta ad angolo retto; tale forma di abitazione è molto frequente nelle terre che sono state bonificate in epoca recente, e in modo particolare nella parte occidentale della provincia di Venezia e nell’Alto Polesine tra Ficarolo e Occhiobello, presso le rive del Po.

    Vedi Anche:  Le città del Veneto

    La villa Bertoldi a Megrar in Valpolicella. Il più pittoresco esempio di costruzione con portico e loggia.

    Ma nelle terre che sono state redente da più breve tempo, come nel Basso Polesine, nella parte litoranea della provincia di Venezia dal Piave al Tagliamento — dove trovano condizioni favorevoli alcune colture industriali, come la barbabietola da zucchero e il tabacco, e prevale la media e la grande proprietà data in affitto a chi la coltiva — la casa rurale si presenta a elementi separati, l’abitazione da un lato, la stalla col fienile dall’altro. E poiché il suolo è generalmente umido è stato necessario munire queste abitazioni d’un’aia lastricata, che ha lo scopo di stendere a seccare alcuni prodotti e soprattutto il mais. L’aia ha grandi dimensioni ed ora si trova davanti alla stalla, ora davanti all’abitazione.

    L’influenza del tipo veneziano, caratterizzato dall’esistenza del pòrtego e da un ordine multiplo di archi, man mano si attenua verso l’alta pianura, nelle zone che essendo state bonificate da epoca remota devono considerarsi d’antico insediamento, come pure nelle regioni collinose dotate di migliori condizioni climatiche, quali l’estremo lembo orientale della provincia di Treviso e la zona contigua della provincia di Venezia. Ivi la casa ha la facciata rivolta a mezzogiorno, senza essere interrotta da aperture, per cui risulta più chiusa. Anche qui la cucina presenta spesso la gola del camino sporgente dalla parete esterna.

    Ponso nella pianura padovana Casa abitata da varie famiglie di braccianti

    Un po’ diversa è la casa nella regione dei Bérici e degli Euganei, dove in genere le superfici coltivate hanno minore estensione. Ivi la casa presenta per lo più pianta quadrata e mentre il rustico occupa il pianterreno, l’abitazione, alla quale si accede mediante una scala interna di legno, è al primo piano e comprende la cucina e la camera da letto.

    Là dove invece, come nelle terre di nuova bonifica della sezione occidentale del Veronese, del Basso Polesine e del Padovano, la proprietà risulta molto estesa e sono necessari molti bovini per il lavoro dei campi, compare la boaria, che è un insieme di edifici disposti attorno a un vasto cortile (cortivo), in parte occupato dall’aia (detta sélese), per lo più in mattoni, che d’inverno vengono coperti per ripararli dal gelo. La boaria può essere recinta con siepi o con muri, ma più spesso risulta chiusa dagli edifici stessi, la casa d’abitazione, la stalla ampia e spaziosa, il fienile, le tettoie, l’essiccatoio per il tabacco, i silos per il fieno e per il grano e poi la barchessa, che consiste in una tettoia di muratura, aperta su un lato, nella quale si conservano legna, cartocci di mais, strame, reste, ecc., e serve da riparo ai carri e alle macchine agricole. Queste corti di bonifica, che non presentano l’ermetica chiusura, d’origine medievale, delle corti lombarde, possono ospitare fino a cento e anche duecento persone, in parte braccianti e operai agricoli che lavorano in compartecipazione o a giornata. Forme complesse a corte si ritrovano anche al confine con la media pianura friulana, dove le corti sono raggruppate in centri, specie attorno a Teglio Veneto; ivi le corti sono disposte intorno a un cortivo, cioè a uno spazio di terra battuta. Ma nel Basso Polesine, specie dove prevale il latifondo, la casa non si riunisce attorno a una corte, ma presenta più spesso, come abbiamo già fatto cenno, elementi separati e la stalla può trovarsi a notevole distanza dalla casa. Basterà dire che nelle terre di bonifica del Basso Polesine si rimane fedeli alla grande azienda (di oltre 100 ha.), con colture uniformi su vaste superfici. L’appoderamento procede a rilento; vi sono ancora latifondi di oltre iooo ha., i quali sono incorsi nella legge stralcio per la riforma fondiaria (ottobre 1950). Ben 128 sono nel Basso Polesine le aziende con estensioni comprese tra i 100 e i 1000 ha. e 9 quelle di oltre 1000 ettari. E qui che si ergono, quasi a fortilizio del latifondismo, le grandi corti a sistema accentrato. I terreni appartengono a grandi proprietari o a società. Caratteristiche salienti sono: l’accentramento tecnico-agrario, la scarsezza di manodopera fissa, la vasta immigrazione di operai per le operazioni di coltura.

    Casa rurale fra Vicenza e Thiene.

    Borgata rurale della azienda Marchiana (Ariano Polesine) realizzata dalla riforma.

    Interno della corte di una grande boaria a Monticello di Fara (Lonigo).

    Le tenute sono di solito divise in quartieri e a ogni quartiere è preposto un fattore, che col personale dipendente abita in un nucleo compatto di vari fabbricati, cui viene dato il nome di corte. L’abitazione padronale si trova al centro e prende il nome di palazzo; essa comprende anche la cantina, vasti granai e magazzini. Vi è poi l’abitazione del fattore, il granaio con i magazzini, la cantina, l’aia, i pagliai, la stalla, i porcili, i silos, il forno, i portici per il ricovero degli attrezzi, le case dei salariati, riunite in un unico edificio a due piani, le quali comprendono un vano a pianterreno e uno al piano superiore per ogni famiglia. Generalmente le stalle sono due, una per i vitelli svezzati, l’altra per le mucche lattifere. Anche nel territorio veneziano del Cavarzerano prevale un paesaggio di bonifica e le aziende hanno estensione cospicua; ma alcune di esse sono state di recente scorporate; nel comune di Cavàrzere sono stati costituiti 84 piccoli poderi di circa 4,5 ha. ciascuno e a ogni podere compete una nuova casetta. Gli abitati più antichi sono sorti su strette strisce lungo i rami del delta. La bonifica delle terre basse del Polesine fu infatti iniziata da alcune famiglie nobili della Serenissima. Sulle pingui terre prosciugate essi costruirono nuclei complessi di più fabbricati rurali. I nomi più illustri dell’aristocrazia veneziana restano a designare parecchie di queste corti di bonifica, alcune delle quali si sono sviluppate fino a costituire dei centri abitati, come Ca’ Cappello, Ca’ Venier, Ca’ Vendramin. Poi il latifondo si è rotto in boarie, più o meno grandi.

    Nell’Alto Polesine, ove domina invece la piccola proprietà, con aziende che in genere non superano i dieci ettari, e dove copioso è il numero dei contadini compartecipanti, compaiono dimore di piccole dimensioni, che presentano la casa di abitazione e la stalla-fienile accostate, in modo da assumere la pianta d’un rettangolo piuttosto allungato, per lo più a due piani e col tetto a due spioventi. A granaio è destinata per lo più una stanza del primo piano e in essa si conservano pure le patate e le mele per l’inverno. Spesso l’accesso al rustico, specie lungo il corso del Po tra Occhiobello e Polesella, si apre di fianco all’abitazione e lo spiovente anteriore ripara la barchessa. Le case assumono spesso caratteri simili a quelli del vicino Ferrarese.

    Un tipo particolare di dimora, che in passato doveva avere grande estensione, mentre ora tende ad essere sostituita con costruzioni in mattoni, è il casone, dimora primitiva abitata dai contadini più poveri, per lo più fittavoli di piccoli poderi, diffusi in una vasta zona, compresa tra Padova e Montebelluna e tra Venezia e Bassano. Il casone tipico aveva pianta rettangolare ed era formato da 4 o 5 locali terreni (cucina, camera da letto, stalla), aventi il pavimento per lo più di terra pesta, disposti attorno a un portico, posto al centro della facciata, nel quale durante il giorno si esplica l’attività delle donne di casa. Il portico ha nel mezzo un palo a sostegno del soffitto e da esso si accede, mediante una scala a pioli, attraverso una botola praticata nel soffitto o un largo abbaino, nell’ampio sottetto, dove si conserva il frumento, la paglia, la frutta. Il tetto molto inclinato, è ricoperto di paglia e di cannucce, che preservano bene dai calori estivi e dai freddi invernali e favoriscono nel granaio il rinnovo dell’aria. Un altro tratto caratteristico è l’ampio comignolo sporgente, che corrisponde al focolare della cucina. Ma la forma primitiva è ormai quasi del tutto scomparsa; dapprima la parte culminante del tetto è stata munita d’una fila di tegole a canale, assicurate con malta, poi c’è stato un connubio con abitazioni moderne in muratura (nelle quali non manca un portico ad arcate) ed infine queste hanno finito col prevalere, adattandosi alle diverse condizioni locali per quanto riguarda l’estensione della proprietà, le colture prevalenti, il tipo di conduzione, che nel Padovano è per lo più l’affittanza. Sorti probabilmente nella zona lagunare, dove l’inconsistenza del terreno e la povertà di risorse richiedevano dimore dalla struttura leggera, i casoni si diffusero poi nell’interno, soprattutto in zone soggette ad essere inondate, dove era possibile agli abitanti più poveri esercitare il diritto di vagantivo, cioè vagare per il territorio paludoso, esercitando la caccia e la pesca e raccogliendo le canne e altri prodotti palustri. Caratteristica dei casoni è soprattutto quell’apertura, a forma di naso che si trova sullo spiovente del tetto, attraverso la quale viene introdotto il fieno nella soffitta.

    « Casone » padovano presso Piove di Sacco.

    Altro tipo di « casone » padovano presso Piove di Sacco.

    I casoni, che possono essere abitati da contadini o da pescatori, erano molto frequenti, fino a qualche decennio fa, nella parte più orientale della pianura, e cioè nel delta del Po a oriente di Porto Tolle e nei lidi costieri attorno a Chioggia e poi attorno a Piove di Sacco, nell’area tra Dolo e Mira e nel litorale tra Piave e Livenza, spesso dislocati in fila lungo i corsi d’acqua e i canali e nelle strisce all’asciutto delle paludi. La presenza della stalla permette di riconoscere la prevalenza dell’attività agricola sulla pesca. Ancora numerosissimi verso il 1880 nel Padovano, vengono descritti come « una gabbia di legname a quattro pareti piane, collocate sopra muriccioli a secco, rifoderati spesso da canne di sorgoturco, dentro e fuori spalmati di creta; superiormente una intelaiatura di legno a forma di piramide, con le facce esterne intessute e coperte di strame o paglia…; pavimento in nuda terra». Meglio li descrive il Lorenzi: «tristi tuguri… che rappresentano certamente un tipo primitivo antico di abitazioni interamente elevate su nuda terra con pali e canne di palude su una pianta rettangolare divisa in vari scompartimenti: uno di questi, il centrale, è aperto verso l’esterno (pòrtego), nel soffitto di esso vi è un’apertura che mette con una scala a mano sotto la piramide formata dai quattro pioventi del tetto, dove è il fienile (teza), gli altri scompartimenti del pianterreno servono per cucina, cantina, stalla, stanza da letto ». Ora però questi casoni vanno scomparendo, tanto più che provvedimenti locali (come quello della prefettura di Venezia del febbraio 1930) prescrissero la loro soppressione. Sino a poco tempo fa nel territorio padovano esistevano ancora 2000 casoni, ridotti ora a 360 e in essi vivono circa 400 famiglie con 2350 persone; il numero maggiore di casoni si trova nel comune di Piove di Sacco (85). Nel giugno 1959 il Consiglio provinciale di Venezia ha deciso di eliminare altri 21 casoni, stanziando la somma necessaria alla costruzione di nuovi alloggi. Qua e là per aumentare lo spazio si è aggiunto al casone originario qualche ambiente con muro in mattoni e tetto di tegole attaccato a quello di paglia e negli ambienti aggiunti, che finiscono col dare ai casoni un aspetto di estrema povertà, si è sistemata la cucina, fornendola del camino.

    In ambienti particolari si possono trovare delle dimore, che rispecchiano ancora le condizioni del passato. Così ad Almisano presso Lonigo compaiono casette di creta, ultimi residui, a quanto pare, dell’abitazione paleoveneta. Esse sono costruite con muri di argilla sola o commista a paglia, su scheletro di tronchi di legno. Il piano superiore serve da ripostiglio. L’aspetto di queste casupole, dai muri giallicci e screpolati, dalle minuscole finestre disposte disordinatamente, dal tetto di coppi piuttosto sporgente e sconnesso, è davvero miserando, tanto che per lo più sono degradate a rustici. Più frequenti sono i rustici d’argilla, col tetto di paglia.

    Vedi Anche:  Le regioni del veneto

    Nell’altopiano dei Sette Comuni esistevano in passato delle abitazioni primitive, dette dai Tedeschi Hutten, e delle case in muratura e a due piani che, sotto lo stesso tetto ospitava la dimora e il rustico, aventi tetto acuminato e smussato, di paglia e scandole. Il fumo non aveva altro esito che per la porta, non essendovi nè camino, nè altro foro. Rinnovate dopo la guerra, le abitazioni della conca d’Asiago sono a più piani con tetto molto inclinato di eternit o lamiera ondulata. La costruzione comprende il rustico, che è situato sotto lo stesso tetto, nella parte posteriore, ed occupa vasto spazio. Al fienile del primo piano (chiamato dilla), sovrapposto alla stalla, si accede dal lato posteriore con una rampa.

    Nel Veronese la maggior parte delle case hanno abitazione e rustico allo stesso piano, con cucina a pianterreno e ciò sia in montagna che in pianura, dove la casa assume maggiore ampiezza ed ha il tetto meno pendente e finestre più ampie e più numerose. Ivi le case sono disperse per la campagna, in rapporto col fatto che la falda acquifera è poco profonda. Ma nelle costruzioni recenti, sorte soprattutto in pianura, è più frequente il tipo in cui l’abitazione è separata dal rustico. Molto meno frequente è il caso di abitazioni a uno o a più piani situate sopra il rustico, come quelle che si trovano nella zona del Monte Baldo e nell’altopiano dei Lessini, munite d’una scala esterna scoperta, o di abitazioni raggruppate e disposte nelle « corti », che s’incontrano abbastanza di frequente nella pianura veronese e sulle colline moreniche del Garda, caratterizzate da diverse abitazioni raggruppate intorno alla casa padronale e a uno spiazzo centrale, occupato dall’aia; esse rappresentano il nucleo di molte aziende di notevole estensione, lavorate da famiglie di braccianti sotto la direzione d’un proprietario o d’un fattore. Accanto all’abitazione padronale vi è la casa del boaro con vicino il portico-fienile con la stalla dei bovini e le case dei braccianti. Nelle corti l’uso delle macchine agricole è più agevole e la vita dell’azienda ha modo di svolgersi organicamente in tutte le sue manifestazioni. Anche nel Vicentino alla media e grossa azienda corrispondono le corti-boarie, per lo più isolate sui fondi, talora, per esempio, a Noventa, Agugliaro, Montorso, di grandi dimensioni, mentre ai piccoli lembi in conduzione diretta familiare (dette cesure) fanno riscontro le casette più modeste, ora raggruppate in contrade, spesso disposte in lunghe file lungo le strade tracciate in epoca precedente al popolamento, ora sparpagliate per la campagna. Nella Marca Trevisana si nota che nella bassa pianura il rustico ha il predominio sull’abitazione, data la maggiore ampiezza dell’unità poderale che richiede maggior copia di bestiame per il lavoro, mentre poi è più diffuso l’allevamento del bestiame da carne e da latte. Conta anche a diversificare un tipo dall’altro la scala; nella bassa pianura prevale la scala interna, che dal piano terreno porta ai piani superiori dell’abitazione, mentre nel tipo dell’alta pianura appare con maggior frequenza la scala semiesterna che si sviluppa sotto il portico (detto tesòn), spazio coperto che serve da deposito ai carri e agli attrezzi agricoli, che collega l’abitazione al rustico. Nella laguna veneta, nei centri che vanno da Chioggia a Grado, prevalgono case con gli alti comignoli, con la sagoma del focolare emergente dalla parete a tramontana, tinte di rosso, di ocra o di azzurro, come le vele dei pescatori, con le finestre inquadrate di bianco, che guardano ora i campielli e le calli ora le rive.

    Casa di creta ad Almisano (Lonigo)

    Tipica casa della laguna veneta a Mazzorbo.

    Casa rurale bellunese a Tibolla

    Nelle regioni collinose del Veneto, dove il clima è più umido e piovoso, le case dei contadini presentano per lo più il rustico affiancato all’abitazione. Il tetto è a due pioventi, piuttosto inclinati, con gronda alquanto sporgente. Si nota però qualche particolare che le distingue da quelle del piano, dato che sono generalmente munite d’una scala esterna di legno, che permette di accedere al piano o ai piani superiori, senza dover occupare lo spazio interno della casa, o d’un ballatoio, esso pure di legno, che si sviluppa lungo la facciata principale, esposta a mezzogiorno. Tale ballatoio serve per disimpegnare le stanze e soprattutto per seccare i prodotti agricoli (fagioli, ecc.) e in modo particolare le pannocchie di mais. Questo tipo di casa con scala esterna e ballatoio compare nei Lessini occidentali, nell’altopiano dei Sette Comuni e poi in provincia di Treviso da Conegliano al Cansiglio, mentre altrove, per esempio, intorno a Recoaro e a nord di Bassano la scala è quasi sempre interna. Nella cucina, di considerevole ampiezza, si trova il focolaio (foghèr), che prende a volte uno sviluppo notevole, tanto da portare alla costruzione, sporgente dal muro perimetrale della casa, di una specie di appendice, ossia un aggetto absidale coperto da una cappa, la quale termina nel camino. Ora però quasi dappertutto la cucina economica ha messo da parte il focolaio.

    Casa presso Àlleghe (Borgo Casaril).

    Per completare il quadro delle dimore rurali del Veneto occorre far cenno di quelle della provincia di Belluno, le quali presentano particolari adattamenti all’ambiente montano. Come abbiamo avuto già occasione di dire i contadini preferiscono vivere in villaggi, sia pure esigui, piuttosto che in dimore isolate. Scarsa è la popolazione che si spinge ad altezze un po’ considerevoli e soltanto l’uno per mille vive al eli sopra di mille metri. I centri più elevati, siti sul fondo delle valli o sui fondi terrazzati di queste (Coi nello Zoldano, Fernazza nell’Agordino, Arabba nel Livi-nallongo) superano di poco 1500 metri. Anche in montagna compaiono tipi diversi di abitazione, con largo impiego di legname, specie nell’Agordino e nel Cadore. E poiché esistono molti fabbricati che servono al deposito del fieno (detti tabià o stale) e spesso la stalla è separata dalla casa, si ha l’impressione che i villaggi abbiano un’importanza demografica maggiore di quanto non abbiano, anche prescindendo dal fatto che molti abitanti emigrano temporaneamente in altre regioni e solo di rado sono presenti nel villaggio. Salvo poche eccezioni locali, la densità diminuisce regolarmente con l’altezza, in rapporto col graduale impoverirsi dell’agricoltura. Allo sfruttamento dei piani altimetrici più elevati provvedono le dimore temporanee, come gli stavoli e le casere.

    Dimora bellunese di tipo più antico

    Casa del Feltrino

    Nella Val Belluna le case rurali sono formate da un edificio unico, che comprende in sé anche la stalla. Dal pianterreno, occupato dalla cucina, da una stanza che serve da ripostiglio per gli attrezzi rurali e dalla stalla, si sale al primo piano per mezzo d’una scala per lo più esterna, che dà su un ballatoio di legno (pio!) munito d’una ringhiera di assi verticali, che serve per disseccare frutta e legumi e per dare passaggio alle stanze da letto. Il fienile si trova sopra la stalla. La copertura è per lo più di tegole, salvo dove è diffusa la scaglia calcarea. Le case si riuniscono spesso in gruppi di 3-5, formando dei corrivi. Nel Cadore, nello Zoldano e nell’Agordino le case erano un tempo in prevalenza di legno, ma tendono sempre più a essere sostituite con costruzioni in muratura, onde evitare il pericolo di incendi, dei quali gli storici documentano una lunga serie. Cosi Fonzaso fu distrutta quasi completamente dal fuoco il i° febbraio 1704, Laggio è stato distrutto una prima volta l’8 agosto 1540 e una seconda, per buona parte, il 21 agosto 1705. Ospitale venne incendiato nel 1711. Villagrande di Lorenzago è stata quasi interamente distrutta nel 1855 e nello stesso anno anche Calalzo ha molto sofferto. «Un orribile incendio, era il 12 giugno del 1669, divorò la villa di Candide: niente lasciò di quanto v’era; non case, non masserizie » (Ciani). Pàdola venne distrutta da un incendio il 22 ottobre 1845. Particolarmente colpito è stato Lozzo: gli incendi vi scoppiarono nel 1612, 1830, 1847 e 1867, «quest’ultimo, sviluppatosi alle dieci e mezzo della sera del 15 settembre fu di tutti il più terribile, perchè distrusse la chiesa e 160 case, facendo tre vittime e lasciando 900 persone senza tetto ». La parte centrale di Domegge è stata distrutta il 12 settembre 1871 da un incendio che distrusse 98 case. E l’elenco potrebbe agevolmente continuare, ma basterà far cenno a Garés, Fedér, Fregona e Caviola, bruciati per rappresaglia dai Tedeschi nel 1945.

    Caratteristica comune delle case bellunesi è la scala esterna, che viene tuttavia sempre più sostituita con scale interne, e la presenza di due o tre ordini di ballatoi sulla facciata ed ai lati, riparati dall’ampia sporgenza del tetto coperto da scandole; i ballatoi, oltre a servire per asciugare i prodotti dei campi, servono di disimpegno ai locali superiori, adibiti a stanze da letto e a deposito dei prodotti. Al pianterreno sono sistemate la cucina, la cantina e un tinello (stua) foderato di legno con una stufa monumentale. Ma in molti casi la stalla col fienile assume grandi dimensioni ed è allora separata dalla abitazione. Il rustico tabià serve anche da deposito per gli attrezzi rurali, per asciugare i prodotti dei campi, per battere il grano in un locale apposito. Ma vi sono poi localmente aspetti particolari. Nell’Agordino è ancora abbastanza frequente l’ampio focolare (larìn), che sporge dalla cucina; in alcuni paesi più elevati non è raro il caso di abitazioni poste sopra il rustico. Nella zona di Sap-pada le case, spesso annerite dal tempo e dal fumo, parte costruite in muratura, parte con travi congegnate agli angoli, sono spaziose, con camere rivestite di legno, riscaldate da grandi stufe, con piccole finestre, ornate di fiori, con ballatoi e il tetto a due pioventi, coperto di scandole. Capaci tabià e grandi rastrelliere provvedono a disseccare il raccolto (fieno, fave, lino) quando la stagione è troppo piovosa.

    Maser. Villa Barbaro del Palladio

    Castelgomberto. Villa Porto da Schio già Piovene (1666). Il Veneto possiede alcune centinaia di ville simili a questa, costruite dalle famiglie ricche allo scopo di poter passare alcuni mesi dell’anno in campagna.

    Villa Pigafetta a Montruglio (Padova).

    Un cenno a parte meritano le residenze di campagna, cioè le ville, che secondo un catalogo recente (1953) sono nel Veneto circa 2000. In un diario di Gerolamo Priuli, si legge che « li nobili et cittadini veneti inrichiti volevano triunfare et vivre at atender a darse piacere et dilectatione et verdure in la terraferma et facevano palazzi et spandevano denari assai ». E ad ogni palazzo di Venezia corrispondevano una o più ville di campagna. Il movimento verso la campagna andò manifestandosi fin dal Trecento e si affermò nel secolo successivo. Poi nel Cinquecento, estesosi il dominio veneto alla Terraferma, il gusto del vivere in campagna si diffuse a tal punto che sorsero nella pianura grandiosi edifici che simboleggiavano con la loro presenza il possesso sulla terra ridotta a coltura. Famosi architetti fecero sorgere grandiosi edifici sui fianchi delle colline, sulle rive dei fiumi, in mezzo alle campagne. E nel completarsi perfetto della natura con l’opera dell’uomo, ci dice Giuseppe Maz-zotti, è la suprema armonia del paesaggio veneto. Per tre secoli le famiglie nobili, spinte dall’emulazione, continuarono a costruire sempre nuove e più ricche dimore, testimonianza di epoche felici e armoniose per il gusto, per la coltura e per l’arte, espressione d’una forma di vita altamente raffinata.

    Villa Capra detta « La Rotonda del Palladio » sulle pendici del Monte Bérico (Vicenza).

    Le dimore temporanee.

    Al di sopra delle dimore permanenti, che nella zona prealpina si arrestano intorno ai 700-800 m., mentre in quella alpina si spingono fino a 1500-1600 m., s’incontrano nel Veneto, come del resto nelle altre regioni montuose alpine, delle abitazioni temporanee, che vengono utilizzate soltanto durante la stagione estiva. Si distinguono al riguardo gli stavoli dalle casere.

    Gli stavoli, che sono chiamati localmente in vario modo — masi nel Vicentino, marniere nel Feltrino, qua e là stalle oppure casère — sono abitazioni di media montagna, situate tra 900 e 1400 m., che vengono di solito utilizzate in due periodi dell’anno, nella tarda primavera e al principio dell’autunno. Esse sono formate per lo più da due edifici, uno di più grandi dimensioni riservato alla stalla e al fienile, mentre l’altro più piccolo serve da cucina e da dormitoio. A differenza che nelle casere non si esercita negli stavoli l’industria casearia; il bestiame bovino pascola liberamente per qualche tempo, ma nei terreni migliori il foraggio viene falciato e seccato per integrare il fabbisogno invernale. Ci sono del resto molte varietà di stavoli e nel complesso esiguo è nel Veneto il tipo che serve di tappa intermedia per raggiungere le casere più alte; salvo nel Cadore, dove li troviamo frequenti tra 1300 e 1400 m., ora isolati ora a gruppi, questi ultimi nel Comélico.

    Vedi Anche:  storia di ieri e di oggi della popolazione veneta

    I fienili, a differenza degli stavoli, sono costruzioni destinate a semplice deposito provvisorio di fieno e sono abitati unicamente durante la falciatura (che avviene nel mese di agosto); il fieno si trasporta poi in basso durante l’autunno o l’inverno, a spalla o sulle slitte. Così li descrive il Marinelli : « i fienili sono nelle Alpi venete in genere costruiti completamente in legno col tetto di scandole o di cortecce d’albero, talora sollevati o isolati dal suolo, per mezzo di colonne di legno o muriccioli a secco, e senza finestre, con le pareti intramezzate da vani in modo da lasciare adito all’aria. Ciò si ottiene nella maggior parte dei casi costruendo le pareti con travi, più o meno completamente squadrate e disposte orizzontalmente una sull’altra, in modo che si incrocino verso ogni spigolo e perciò lascino interstizi aperti ».

    Maiolera presso la Croce d’Aune.

    Importanza assai maggiore hanno le casere, sia perchè in esse si esercita per alcuni mesi l’industria casearia, sia perchè determinano spostamenti pendolari di bovini e di pastori d’una certa entità. Si tratta di un’attività esercitata fin dalle epoche più antiche allo scopo di utilizzare nel modo migliore i prati di montagna e alleggerire così il consumo di foraggio nelle stalle delle sedi permanenti. Vi sono molto spesso in montagna delle zone che sarebbe troppo dispendioso falciare, sia per la difficoltà che il foraggio possa venire disseccato per la considerevole umidità, sia perchè trattandosi di erbe piuttosto basse (da metter in rapporto col breve ciclo vegetativo) e sparse su grandi estensioni di terreno, meglio si prestano ad essere strappate dall’animale stesso. S’allarga in tal modo lo spazio sfruttato, utilizzando risorse che altrimenti non potrebbero venire trasportate a distanza.

    Ricovero per falciatori nelle Alpi venete.

    Dei limiti sono però posti dalla necessità di avere a disposizione acqua abbondante e di aver spazio sufficiente per costruire i ricoveri; occorre inoltre che i terreni non siano disposti lungo pendii troppo erti. Gli spazi occupati dalle malghe hanno per lo più carattere d’oasi, essendo circondate da ogni parte da terreni impervi. Per lo più il bestiame dalle dimore permanenti raggiunge direttamente i pascoli d’alta montagna, ma qualche volta dove sono stati i bovini fino ai primi di settembre vengono poi le pecore, specie quelle dei pastori di Lamón che praticano ancora in qualche caso il grande nomadismo, oppure può darsi che alcuni animali non legati alla produzione del foraggio e del burro (vitelli, ecc.) vengono mandati più in alto, in qualche casera meno ben attrezzata.

    Casa di mezza montagna nelle Prealpi Bellunesi.

    E in queste casere più alte che l’utilizzazione del latte si compie in modo organico e completo. Tutto lo spazio di terreno che serve di pascolo al bestiame viene detto malga. Con questo termine si può definire quello spazio di terreno posto in alta montagna che durante la stagione favorevole offre nutrimento col pascolo al bestiame ivi portato dal basso, permettendo nello stesso tempo l’esercizio dell’arte casearia. Ogni malga è solitamente fornita di tre edifici distinti: la casera, i ricoveri per gli animali e il casello del latte, che può essere unito o separato alla casera. La casera è l’edificio dove si esercita l’industria casearia. Esso consta d’una cucina e da un locale per conservare il burro e il formaggio; da un lato il latte viene posto sui soliti recipienti cilindrici per l’affioramento della panna, dall’altro vi è la caldaia di grande dimensione dove si lavora il latte. Gli addetti alla malga dormono per lo più sopra la cucina, nel sottetto e salgono in questo mediante una scala a piuoli interna e si accontentano per lo più d’un giaciglio composto d’un mucchio di fieno. I bovini trovano invece ricovero o sotto alcune tettoie che di solito hanno un solo piovente e sono dette pendane oppure in grandi stalle (dette nelle Prealpi bellunesi casoni). Le pendane si addossano talvolta al pendio per avere maggior riparo. Il latte viene conservato (col burro) in un locale apposito, dato che occorrono temperature molto basse. Il casello del latte è formato da un’intelaiatura di legno o (nel caso non infrequente che faccia un unico corpo con la cucina) da una stanza fornita da molte finestre allo scopo di assicurare una buona ventilazione, mantenendo una temperatura piuttosto bassa; il formaggio e il burro hanno invece bisogno d’un locale meno aerato. Molto importante è la presenza di sorgenti. Nei massicci calcarei queste spesso fanno difetto oppure inaridiscono e allora il pascolo viene abbandonato prima che tutta l’erba sia stata pascolata. Per ovviare a questo inconveniente si sono spesso costruite delle vasche di raccolta (che formano dei laghetti temporanei) o delle cisterne dove si fa defluire l’acqua piovana scorrente sopra i tetti per mezzo di grondaie primitive. Per quanto riguarda i materiali usati, nelle casere più antiche la maggior parte delle costruzioni è fatta di sassi riuniti tra loro con poca calce e meno spesso di tronchi d’albero riuniti a blockbau. Il tetto, che in passato era di scandole o di lastre, nei tipi più recenti è di lamiera zincata scanalata. Per lo più le malghe appartengono a comuni e ad enti, che le danno in affìtto ad un imprenditore che le gestiscono secondo norme consuetudinarie accettate di buon grado da coloro che gli affidano i bovini. E questo continuo turno delle affittanze è una delle cause per cui gli edifici sono tenuti con poca cura e le malghe perdono di fertilità. In questi ultimi anni la convenienza di avere nei centri permanenti maggiori quantità di letame e l’aumento del prezzo del latte hanno spinto molti piccoli proprietari a tenere il bestiame tutto l’anno nelle stalle, cedendo il latte alle latterie cooperative. La distanza tra abitazioni permanenti e malghe s’aggira sui 10-30 km., che, a meno si utilizzino i pascoli intermedi, vengono percorsi tutti di seguito e in genere sono più lunghi e con maggiori dislivelli nella zona prealpina che in quella alpina. Nelle Prealpi le malghe si trovano sempre sotto il limite biologico del bosco, mentre nelle Alpi possono essere anche sopra il limite della vegetazione arborea. Una certa attrazione esercitano i circhi glaciali, dato che in essi è più facile vi siano delle sorgenti, mentre poi albergano degli ottimi pascoli. Altre volte le casere si dispongono su costoni, su dorsali o lungo il pendio. Il numero delle malghe del Veneto non è noto con precisione, ma s’aggira sul migliaio. Sui monti che limitano la Val Belluna esistono 150 malghe, quelle del Vicentino sono 270, di cui 155 nei Sette Comuni. La distribuzione delle casere permette di farci un’idea dell’importanza dei pascoli d’alta montagna. Nel Veneto occidentale le casere sono più frequenti tra 1400 e 1500 m., nel Cadore tra 1700 e 1800. Quelle più basse le troviamo nelle Prealpi bellunesi, dove si scende talvolta fino a 800-900 m., le più alte raramente si spingono oltre i 2000 m. ; una delle più elevate è quella di Zinghen presso il Passo Vallès (m. 2120). Naturalmente i pascoli possono essere più alti di qualche centinaio di metri.

    Stalla con fienile nelle Alpi Feltrine.

    Le città venete

    Le città venete hanno tra loro, e più avevano in passato, prima che molte strade venissero allargate e nuovi quartieri aggiunti a quelli più antichi, qualche cosa di comune, come un’aria di famiglia, ma un po’ meno delle altre Verona, circondata da colli e costruita di marmi chiari. E ciò per l’esistenza dei portici, che riparano bene sia dalle nevi invernali, che dalle piogge autunnali e primaverili e dai calori estivi, per i numerosi edifici artistici, palazzi e chiese con alti campanili che ricordano spesso il lungo dominio veneziano, per le strade selciate con rocce vulcaniche (trachite a Padova, basalto a Vicenza), per una tinta grigiastra che deriva dalle nebbie oltre che dal materiale di costruzione e dà ad esse (specie Padova e Treviso) nei mesi invernali un carattere piuttosto triste. Molte risalgono ad epoca anteriore a Roma (Este, Adria, Feltre, Verona, Padova), altre sono romane (Vicenza, Treviso, Oderzo, Asolo), altre ancora risalgono al Medio Evo (Rovigo). I fondatori preistorici di parecchi centri del Veneto non amavano collocare le loro sedi troppo vicine al mare, infestato da pirati fin da tempi lontanissimi. Nella scelta delle sedi primitive influirono invece i fiumi, che servivano alla fluitazione del legname, del quale i villaggi e le città primitive avevano grande bisogno. Con i fiumi s’incrociavano spesso delle vie trasversali e nei punti d’intersezione, che divennero presto importanti centri di traffico, sorsero delle città come Ateste, che prendeva nome dall’Adige ed era il principale centro dei Veneti. In epoca romana i maggiori centri sono stati attirati dalle conoidi dei corsi d’acqua principali, dalle fertili zone moreniche, dai fiumi che sboccavano nelle parti più salubri della cimosa costiera, dai crocicchi di strade, dalle isole della laguna. Un’attrazione sull’insediamento ha esercitato certamente quella serie di reticolati agrimensori che risalgono all’epoca romana. Si soleva infatti allora dividere con strade incrociantisi ad angolo retto il terreno assegnato ai coloni, col vantaggio che si ottenevano linee ben riconoscibili per fissare i confini di proprietà. Uno dei meglio conservati di questi reticolati è quello che si trova attorno a Padova, noto già da epoca antica, mentre recente è l’individuazione di resti di centuriazione romana nella Val Belluna, nel tratto tra Ponte nelle Alpi e Artèn. Nelle campagne di Castelfranco l’orientazione viene data, piuttosto che dai punti cardinali, dalla via Postumia, che metteva capo ad Oderzo. Qualche autore (per es., il Lombardini e in epoca più recente il Lorenzi, che ha espresso l’opinione potersi trattare di strade tracciate in un territorio di boschi che si sono andati abbattendo) ha in qualche caso dubitato sull’antichità del reticolato, per esempio, su quello esistente ai due lati del Brenta, dato che lo scolo delle acque fa piuttosto ritenere trattarsi d’una bonifica eseguita in epoca non troppo remota. Ma poiché i campi hanno un’estensione corrispondente a due jugeri romani e il reticolato si raccorda con le strade dell’epoca romana, è probabile che una bonifica successiva abbia ricalcato e ringiovanito il reticolato antico.

    Belluno, la piazza del mercato

    Verona: panorama dal piazzale di Castel San Pietro.

    Veduta aerea di Mestre

    Verona assisa sull’Adige, cinta da colli, sorse dov’è perchè allo sbocco in pianura della via alpina ed è tuttora la maggiore città del Veneto occidentale; Vicenza ebbe funzioni di mercato e di nodo stradale; Belluno fu attratta da un cuneo facilmente difensibile, costituito dalla confluenza dell’Ardo nel Piave; Padova crebbe come fortilizio e porto degli Euganei; fu al tempo di Augusto una delle maggiori città italiane e le condizioni che la fecero sviluppare nel passato fanno sentire ancora la loro influenza favorevole; Treviso offerse una sede sicura sulle anse e sui dorsi ghiaiosi dei suoi corsi d’acqua. Venezia, specie quando fervevano le lotte tra Longobardi e Bizantini, trasse vantaggio dall’isolamento lagunare, mentre poi ha acquistato la prevalenza sulle altre città del Veneto per la sua attività marittima, che ha avuto parte decisiva nella sua evoluzione storica. Importanza ha avuto pure la linea delle risultive, al margine della quale sono sorti e si sono sviluppati molto centri, che fanno da tramite tra l’alta e la bassa pianura. Limitato è nel Veneto, a differenza che in altre regioni, il sorgere di centri del tutto nuovi. Si può ad ogni modo ricordare Corte di Cadore, creato a partire dal 1955 dall’Ente Nazionale Idrocarburi ai piedi dell’Antelao, in zone lontane dai vecchi centri di Borea e di San Vito. Esso consta di 600 casette isolate di stile moderno unifamiliare, di alberghi, di colonie estive, di servizi e dovrà ospitare circa 6000 abitanti. Le molte villette, staccate l’una dall’altra, passano quasi inosservate tra il bosco e la roccia, senza turbare l’insieme del paesaggio. Questo nuovo centro turistico costituisce quindi un interessante esempio di pianificazione.

    L’industria ha contribuito a far sviluppare i centri già esistenti, come si è verificato di Mestre rispetto a Marghera mentre non si può dire ne abbia fatto sorger di nuovi se si prescinde forse dalle Alte Ceccato presso Noventa Vicentina. Nel basso Veneto i centri abitati sono spesso attirati dagli argini e si dispongono al piede esterno di essi in lunghe serie di caseggiati. Nelle aree di bonifica l’attrazione è esercitata dai canali, lungo i quali si dispongono le case, su una sola o su entrambe le rive, ma non direttamente, ma su una banchina che serve pure da strada; tale è il caso di Loreo, Cavàrzere, Villa Bartolomea e di altri nuclei minori, che prendono il nome di riviera. In essi, come ha messo in luce il Marinelli, di solito le case, che possono estendersi su una riva sola o su tutte due, non si specchiano nel canale, ma ne sono separate da una specie di banchina, che serve anche da strada.

    Una riviera del Polesine: Fratta.