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Le acque della Puglia

    Le acque

    « Siticulosa Apulia »

    La nota povertà di acque superficiali e l’insufficienza della piovosità, esaltate da una temperatura canicolare durante la stagione estiva, hanno definito sin dall’antichità classica la nostra regione come assetata. « Siticulosa Apulia » scriveva Orazio, che nel suo viaggio da Roma a Brindisi, ricorda il suo ingresso nella Puglia lamentando la scarsezza dell’acqua potabile. Proprio lui, meridionale romanizzato, non poteva tralasciare un’osservazione del genere, scaturita dal contrasto dell’enorme quantità d’acqua convogliata a Roma con grandiosi acquedotti; ma la sua insistenza sulla scarsezza e sulla cattiva qualità dell’acqua potabile, ancora a proposito di Canosa, ha forse uno scopo che trascende dalla semplice nota di viaggio.

    « Ci ann a sicché li mmen a chi scett li prete n d la piscine e uast l’acqua » (Si secchino le mani a chi getta le pietre nella piscina e guasta l’acqua), leggo sul parapetto di una riserva d’acqua presso la chiesetta solitaria della Madonna degli Angeli non molto lontano da Monte Sant’Angelo. Questa biblica spietata maledizione, può dirci quanto valga l’acqua in Puglia, ove solo l’epiteto di « preziosa », che si legge nel Cantico delle Creature, è sufficiente a definirla.

    In Puglia l’acqua è scarsa non tanto per insufficienza di afflusso meteorico, ma per la quasi totale mancanza di sorgenti e di un reticolo idrografico permanentemente attivo. Questo infatti è limitato alla Puglia settentrionale escluso il Gargano, ed è compreso tra l’Appennino di Capitanata, il Fortore, il Candelaro e l’Ofanto.

    Nelle Murge e nel Salento o il reticolo è fossile e insufficiente a causa dell’intenso sviluppo del carsismo, o è attivo solo durante qualche giorno dell’anno, quando la piena rombante, con inaudita violenza si dirige al mare tutto devastando con le sue acque selvagge e limacciose.

    Non esistono fiumi di una certa entità che siano interamente pugliesi. Il Fortore ha origine in provincia di Benevento nel Monte Altieri, l’Ofanto nasce nell’Irpinia in provincia di Avellino, e il Bràdano — come è stato detto — è solo per esigui e saltuari tratti un fiume pugliese. Tutti gli altri corsi d’acqua, per il loro regime, sono classificati torrenti, e solo questi rientrano interamente nell’ambito della Puglia.

    Ruderi dell’acquedotto romano presso la città di Taranto.

    L’uomo ha cercato di reagire alle avverse condizioni naturali, che determinavano, nei periodi di maggiore siccità, le famose « scene della sete ».

    La realizzazione dell’acquedotto pugliese costituisce una svolta nella storia della Puglia. Il fiume d’acqua che la natura ha negato alla Puglia, giunge ora con 2600 km. di lunghezza fra diramazioni primarie e secondarie, nelle campagne, nei paesi e nelle città della Puglia. Un fiume che sfociava nel Tirreno sfocia ora nell’Adriatico e nello Ionio; anzi la foce del Sele, la meravigliosa foce artificiale ove ha termine il lungo percorso delle acque non utilizzate, è proprio nel Capo Santa Viaria di Leuca, all’ombra del Santuario della Madonna de finibus Terrae.

    Gli abitati serviti sono più di 400, con una popolazione di oltre 3.500.000 ab., approvvigionata con un volume d’acqua pari a cento milioni di metri cubi. Il sempre maggiore consumo d’acqua ha indotto all’utilizzazione di altre sorgenti oltre quella di Caposele; saranno utilizzate le sorgenti Destra Sele e del fiume Calore (Cassano Irpino), la falda subalvea del Fortore, ecc.

    Ruderi dell’acquedotto romano di Brindisi

    Farei torto alla gente eli Puglia se non ricordassi, almeno col solo nome di Matteo Renato Imbriani, di quanta tenace e disinteressata lotta di uomini per il bene della collettività sia intessuta la storia dell’acquedotto pugliese dalla fase iniziale sino alla sua realizzazione. A viva gratitudine sono improntati oggi i commossi sentimenti delle popolazioni pugliesi, per le quali, almeno per l’acqua potabile, la frase oraziana siticulosa Apulia ha un valore storicamente ormai lontano ed esprime una letteratura di incubi, tramontata per sempre.

    Ma prima di proseguire dobbiamo intenderci con la nomenclatura locale, che è atta a chiarire e ad individuare particolarità che potrebbero diversamente rimanere ignorate e che può consentire l’uso del vernacolo nel suo esatto significato tecnico.

    Acquedotto pugliese.

    « Fiume » è un corso d’acqua permanente qualunque sia la lunghezza e la portata. A sud del fiume Ofanto, sempre nel versante adriatico, il termine fiume compare presso Torre Canne, in territorio di Ostuni, ov’è il Fiume Grande, lungo circa 200 m. escluso il canale artificiale di 50 m., che consente lo sfocio delle sue acque al mare. Basta questo esempio per la chiarificazione relativa, tenendo presente la promiscuità invalsa nell’uso pugliese del termine rispetto al senso geografico consueto.

    Nel Tavoliere è diffuso il termine di marana — vivo tuttora nel Lazio — per designare i corsi d’acqua minori, in genere permanenti. La marana può avere il suo piccolo bacino idrografico areico o endoreico. In quest’ultimo caso la marana sfocia in aree palustri dette « cutino ».

    Questa colonna romana nel Capo di Santa Maria di Leuca indica il termine dell’acquedotto pugliese.

    Nelle Murge i corsi d’acqua sono temporanei e diconsi lama nel versante adriatico e gravine nel versante occidentale e sudoccidentale. V’è da notare che l’uno e l’altro termine qualificano pure il solco che durante le piogge ospita le acque. Nel versante ionico ritroviamo il termine lama = corso d’acqua, e osserviamo che a monte la qualificazione stessa è sostituita da gravina. Così la Gravina di Laterza che taglia le pendici meridionali delle Murge, diventa la Lama nella pianura costiera. Qui il termine fiume è di introduzione recente (Lama di Lenne = Fiume Lenne), meno che per l’accezione dialettale alla quale ho dianzi accennato (Fiume Tara; Fiume Lato). Soprattutto nel Salento si riscontra come idronimo generico il termine canale.

    Le sorgenti

    Specialmente in una regione arida come la Puglia, la presenza di una sorgente tende a dare al paesaggio una caratterizzazione che non possiamo paragonare all’oasi — perchè sarebbe un’evidente esagerazione — ma che è atta ad individuare una microregione. Le sorgenti pugliesi che hanno una portata di magra non inferiore a i 1/sec. sono 175.

    Una gravina con il centro omonimo (Gravina di Puglia).

    E’ però necessario tenere presente che, il più delle volte, nella regione pugliese una manifestazione sorgentizia è costituita da numerose polle emergenti in un unico specchio d’acqua, come avviene — ad esempio — nei fontanili della Lombardia, o da più complessi di polle ubicati tra loro a poca distanza sì da costituire un drenaggio comune. Ciascuno di questi gruppi è considerato come un’unica sorgente, perchè le misurazioni di portata sono effettuate nel collettore finale.

    Una caratteristica generale riguarda la distribuzione delle sorgenti, che si presentano quasi sempre raggruppate in aree nettamente circoscritte lungo le sponde lagunari o marittime. Ciò significa che esistono aree specifiche ove convergono non soltanto normali falde freatiche, ma pure reti di scolo ipogeo in relazione al notevole grado di carsicità dei bacini assorbenti. La maggior parte delle sorgenti pugliesi è presso la costa a quote che raramente superano i m. 10 s. m. ; si tratta per lo più di sorgenti di affioramento dotate di spinta verticale.

    Le aree sorgentifere del Gargano si dispongono tutte perifericamente rispetto al maestoso promontorio, che nel suo dosso è privo di scaturigini. Vi si riconoscono cinque raggruppamenti, che possiamo denominare:

    1. del lago di Lésina,
    2. del lago di Varano,
    3. di Rodi,
    4. di Vieste,
    5. di Siponto,

    Desumendo il vocabolo dalla relativa localizzazione. Si noterà che esse ci riconducono sistematicamente lungo il settore costiero.

    « Si secchino le mani a chi getta le pietre nella piscina e guasta l’acqua ». Iscrizione sul parapetto di una cisterna. Madonna degli Angeli a Monte Sant’Angelo.

    Esistono anche talune poche sorgenti, come nel comune di Vico che superano i m. 200 s. m., ma sono di scarsa portata, mentre le più copiose sono distribuite al di sotto dei m. 25 s. m. o addirittura si manifestano al livello del mare, come avviene nel gruppo del Lago di Varano, alla sorgente Bagno e alla sorgente Irchio. Sono inoltre da segnalare polle che emergono tra le acque marine presso la costa, come avviene a sud di Vieste in prossimità della sorgente Lago Porto Nuovo, ove si riconoscono — dal ribollire delle acque e delle sabbie — una ventina di polle voluminose.

    Le sorgenti di maggiore portata sono quelle circumlacustri e quelle costiere di Vieste, che evidentemente scolano bacini più profondi e quindi più ampi. La portata massima è segnalata per la sorgente di San Nazario, in comune di San Nicandro (provincia di Foggia), ove il 21 ottobre 1951 si è riscontrato un deflusso di 1/sec. 750. Questa sorgente è localizzata presso l’azienda agricola di Mùscolo; un’altra omonima sorgente è poco più a monte, presso la cappella di San Nazario, e le acque defluiscono alla base di un costone calcareo. Il 21 ottobre 1951 la portata era pari a 220 1/sec., mentre il 19 gennaio 1927 si è misurato il valore massimo conosciuto pari a 1/sec. 312. Ho ricordato questa sorgente perchè in tutte le stagioni dell’anno le acque vi hanno una temperatura abbastanza elevata, che in un giorno del gennaio 1927 era di 2Ó°8; del giugno del 1952, di 220; dell’agosto 1951, di 2Ó°5; dell’ottobre 1927, di 27°i, e di 2Ó°5 nello stesso mese, ma del 1951.

    La sorgente Bagno presso il Lago di Varano, con getto quotato a m. 0,15 s. m., è contornata da polle risalenti tra le circostanti acque del lago. Opportuni lavori di captazione utilizzano attualmente le acque per l’irrigazione. L’area sorgentifera di Rodi si differenzia dalle altre per il maggior numero di sorgenti, per il loro tipo che è quasi sempre di « contatto », per l’ampiezza delle superfici interessate — circa 50 kmq. — ed infine per la distribuzione altimetrica che raggiunge m. 380 s. m. (Fontana pubblica di Vico). Si tratta di ventitré minuscole sorgenti delle quali due hanno portata massima misurata pari a 1 1/sec, sette pari a 2 1/sec., dieci non superano 5 1/sec. e solo la più importante, quella di Canneto in comune di Vico, ha portata massima eli 1/sec. 34. Si noti che in linea d’aria questa sorgente dista poco più di un chilometro dalla costa e dà luogo ad un breve e modesto torrente.

    Sorgente presso la costa (agro di Ostuni).

    La pluralità delle manifestazioni sorgentifere, anche se l’entità — come ho detto — sia molto modesta, in un’area relativamente ampia, ha consentito l’irrigazione ed ha reso questa parte del Gargano tra le più intensamente coltivate e le più densamente abitate. La produzione degli agrumi in queste zone è consentita soprattutto dalla presenza di sorgenti, essendo quasi del tutto avverse le condizione meteorologiche.

    Del tutto o in gran parte inutilizzate defluiscono al mare le acque dell’area sorgentifera di Vieste, perchè gli sgorghi avvengono a poca distanza dalle coste, ove per giunta non si verifichi il fenomeno al quale ho dianzi accennato, di polle salienti tra le stesse acque del mare. I dati ufficiali di portata per questo gruppo di sorgenti vanno accolti con riserva, perchè le misurazioni sono state effettuate lungo i corsi d’acqua originatisi dalla confluenza di più contributi (ad es. la sorgente Salata), talvolta anche dopo perdite dovute ad irrigazione (sorgente Caruso). In realtà si tratta di numerose sorgenti carsiche distribuite non solo presso il mare, ma quasi al livello del mare, che scaturiscono ai piedi di un rupestre fonte abrupto calcareo, che le sorgenti stesse tendono a demolire con erosione regressiva, della quale si hanno esempi molto significativi.

    Interno del fonte pliniano a Manduria (sorgente in grotta)

    Piccole sorgenti dell’Appennino di Capitanata (Deliceto).

    Cisterna nel Gargano.

    La regressione determina morfologicamente un irregolare emiciclo, alla base del quale si manifestano numerose piccole scaturigini, il cui contributo è stato valutato globalmente. In mancanza di dati più precisi ricordiamo che la portata massima è attribuita al complesso di sorgenti detto « sorgente Caruso » e che è pari a 420 1/sec. (22 novembre 1948). La sorgente Salata a nord di Vieste, è in confronto modesta perchè ha portata massima di 98 1/sec., ma è la più pittoresca di tutte, perchè le sue acque scaturiscono da un oscuro e orrido antro, arcanamente suggestivo.

    L’ultimo gruppo sorgentifero del Gargano localizzato verso Siponto, ha il suo maggiore esponente nelle Volle di Centrane, con portata massima di 157 1/sec. (6 giugno 1949). Ritengo che questo gruppo di sorgenti abbia fornito l’approvvigionamento idrico all’antica città e al porto di Siponto, di cui ancora oggi si osservano ruderi sufficientemente espressivi nelle vicinanze delle sorgenti.

    Le sorgenti dell’Appennino di Capitanata si distinguono in due gruppi: il più settentrionale può denominarsi di Alberona e quello più meridionale di Bovino. Il primo ha soltanto sei sorgenti di cui cinque da 1 1/sec. di portata massima ed una da 4 1/sec. La maggior parte sono utilizzate per l’approvvigionamento idrico di Alberona, che è ridente e fresca di vegetazione, anche quando nell’assolato Tavoliere ogni stelo superstite è ingiallito dall’aridità. Più numerose — in tutto 17 — sono le sorgenti del gruppo meridionale di Bovino, Orsara e Accadìa.

    Anche in questo caso le portate sono esigue e le utilizzazioni molto limitate. Per l’alimentazione idrica di Panni si utilizza la sorgente San Marco, che ha portata media di poco superiore al litro nell’unità di tempo, mentre per il centro di Bovino sono captate le acque delle sorgenti di Salecchia e di Nocellate, anch’esse modeste. Identica utilizzazione si effettua per l’abitato di Sant’Agata di Puglia con la sorgente di Acquatorta, che ha però portate massime primaverili di 4 1/sec.

    Sorgente costiera di acqua minerale (Santa Cesàrea Terme).

    Queste sorgenti legano a sè piccoli centri montani, vicini in linea d’aria, ma divisi da vallate profonde ed aspre, tagliate soprattutto dalle acque meteoriche nelle formazioni a flysch, sterili ed infide perchè franose.

    Tre aree sorgentifere, tutte periferiche o costiere ben circoscritte, ricadono nell’ambito delle Murge: quella settentrionale si allinea lungo il litorale da Barletta a Trani, e quella più meridionale è sviluppata e distribuita nella zona compresa tra la costa ionica e il Bràdano e da una linea teorica congiungente Ginosa, Laterza, Castellaneta, Palagiano. La terza area risulta allineata lungo la costa adriatica in prossimità di Torre Canne.

    L’area sorgentifera settentrionale ricade interamente nel comune di Trani. In una zona costiera già denominata le Paludi, ed ora detta la Bonifica di Trani, le acque affioranti da più sorgenti sono state opportunamente incanalate. Nel complesso si hanno portate massime che superano i 700 1/sec., che rimangono però inutilizzate a causa della vicinanza della costa. Due sorgenti, la « Vasca di Trani » e la « Carratoio » scaturiscono con numerose polle da piccole depressioni di un centinaio di metri quadrati, e le acque defluiscono al mare mediante canali emissari mantenuti attivi. Sebbene le portate della vasca oscillino da un minimo di 88 1/sec. (22 ottobre 1951) a 327 1/sec. (17 ottobre 1927) e quelle di Carratoio da 37 1/sec. (19 febbraio 1935) a 211 1/sec. (24 marzo 1934), le acque non sono suscettibili di utilizzazione che presenti convenienza economica.

    Acque sorgive presso Torre Canne.

    Il laghetto di Torre Canne.

    Fiume Grande, Fiume Piccolo, Fiume Morello, sono le denominazioni di tre gruppi sorgentiferi a nord e a sud di Torre Canne; risorgive di notevole entità dal momento che sono state misurate portate massime rispettivamente di 1132 1/sec., 488 e 608.1 valori minimi sono di 284 1/sec., 158 e 168. Nel laghetto di Torre di Canne si raccolgono le acque della maggior parte di queste sorgenti. Pendule tamerici si specchiano tremule sulle acque percorse dal brivido di una brezza carezzevole; un silenzio meridiano caratterizza un paesaggio così insolito in terra di Puglia.

    L’area sorgentifera sudoccidentale presenta le sue maggiori manifestazioni in prossimità della costa: si ricordano le polle del Tara nel comune di Taranto, del Pate-misco nel comune di Massafra e la sorgente di Chiaradonne nel comune di Ginosa. Le portate massime dei singoli complessi sono rispettivamente di 4180 1/sec., 250 e 102. Le polle del Tara, che per la loro portata costituiscono un primato pugliese, originano il Fiume Tara lungo km. 3,5. Attualmente esse vengono utilizzate per l’irrigazione.

    La sorgente Patemisco dà luogo al Fiume Patemisco lungo circa 4 km., nel quale confluiscono le acque del Canale Maestro alimentate dalle piccole sorgenti di Incannatala, Pecozza e Cidro. La sorgente Chiaradonna insieme col gruppo delle sorgenti Stornara, alimentano il torrente Galaso che ha una lunghezza di circa km. 16.

    Anche i cidri famosi del Mar Piccolo e del Mar Grande (si ricordi l’Anello di San Cataldo), sono sorgenti, ma sottomarine, che fanno defluire senza utilizzazione quell’acqua che sarebbe tanto preziosa per le necessità regionali.

    Il Salento ha scarso numero di sorgenti e anch’esse generalmente costiere. Lungo l’Adriatico, da nord a sud, ricordiamo le sorgenti di Cervarolo, di Pozzella e di Lapani o Àpani. Quest’ultima, nel comune di Brindisi, ha più scaturigini, con portate massime di 240 1/sec. Per le solite condizioni di ubicazione topografica, anche queste acque non sono utilizzabili.

    Particolare di piscina presso Polignano a Mare.

    Identico aspetto offrono gli altri gruppi sorgentiferi del Salento, come quello denominato Siedi, poco a sud di Brindisi, costituito dalle Polle Cerano, dalle Polle Siedi e dalla sorgente Siedi. I gruppi distano tra loro da 500 a 1000 m., e la portata massima complessiva è stata misurata pari a 1/sec. 470. Lungo lo stesso litorale, in comune di Lecce, va ricordato il complesso della sorgente Idume con omonimo laghetto di circa 3000 mq., che ha una portata massima di 2246 1/sec. e minima di 744.

    Nel versante ionico la sorgente Chidro nel comune di Manduria, con 3103 1/sec. di portata massima e 208 di portata minima costituisce una delle più importanti masse d’acqua che scaturisce dal suolo pugliese, e che, completamente inutilizzata, scola al mare con l’aspetto di un fiume, lungo però solamente un chilometro!

    Nel Mar Piccolo confluiscono le acque delle sorgenti Riso (portata massima 121 1/sec.), Battentiri (272 1/sec.), Galese (634 1/sec.) ecc. solo in parte utilizzate data la scarsa altezza della loro ubicazione e l’esigua distanza dal mare.

    Fiumi e torrenti

    Il fiume Fortore, lungo 86 km., interessa effettivamente la Puglia per circa 25 km., cioè dalla confluenza del torrente Tona sino alla foce. La foce del Fortore ha subito variazioni di notevole entità: ora il fiume termina con la Bocca nuova; anteriormente

    con la foce di Acquarotta, era spostato verso oriente e comunicava con il Lago di Lésina. Chiari elementi morfologici e toponomastici (Fiumemorto) sussistono tuttora per ricostruire la foce antica presso la Torre del Fortore. Per molto tempo, e soprattutto durante le piene, la foce del Fortore era provvista di diramazioni deltizie ancora sufficientemente riconoscibili.

    Il Fiume Galese presso Taranto.

    Le molteplici variazioni eli foce sono dovute alla grande ricchezza di torbide e di detriti di questo fiume, che ha dato un contributo determinante per la formazione del cordone litoraneo del Lago di Lésina e, in minore, ma pur sempre in rilevante misura, di quello del Lago di Varano. Nella pianura l’acqua scorre tortuosa e divagante in un ampio letto colmo di bianco ciottolame, definito da sponde alte, oltre le quali, al sicuro dalle pericolose alluvioni sono i centri abitati di Chièuti, di Ser-racapriola e di San Paolo di Civitate. Ripalta è il centro abitato più vicino al corso d’acqua e deriva il suo nome dall’ubicazione topografica.

    Presso il ponte di Civitate confluisce nel Fortore il torrente Staina, lungo circa 25 km., con origine nei Monti della Daunia (Casalnuovo Monterotaro, Castelnuovo della Daunia). Più che per quantità di deflusso, questo torrente come altri minori, quale il torrente Sente, sono importanti per volume di torbide e di detriti, che tributano al Fortore.

    L’altro fiume che interessa la regione pugliese è l’Ofanto: il maggior fiume adriatico a sud del Reno, perchè è lungo 165 km., ed ha il più grande bacino idrografico, pari a kmq. 2764.

    L’Ofanto, fluendo dal cuore alpestre dell’Irpinia, aggira ad occidente l’ostacolo del vulcanico Vùlture, assumendo poi una direzione perfettamente meridiana. Poco prima dell’ansa che il fiume effettua per assumere un deflusso diretto verso la costa, si incontrano i confini della Campania, della Basilicata e della Puglia. Qui, e di preciso a ponte San Venere, inizia il corso di pianura dell’Ofanto con ampi e variabili meandri in un letto sassoso con ciottolame scuro di natura vulcanica, con isole fluviali e meandri morti ancora ben riconoscibili anche nelle carte topografiche, perchè si identificano con la linea del confine meridionale della provincia di Foggia.

    Il Fortore tra i monti della Daunia.

    Un modesto canale, il Contro Òfanto, costruito per convogliare le acque di piena verso il settore meridionale dell’ex-lago di Salpi in gran parte bonificato, si distacca dalla sponda sinistra in territorio di San Ferdinando di Puglia. Nei pressi della foce, rÒfanto assume direzione meridiana evidentemente determinata dalla traversia e da correnti litoranee. L’apporto dovuto alla deiezione ha fatto arretrare le acque marine ed è cronologicamente documentabile per la presenza di costruzioni ora interne, ma che una volta erano costiere.

    Tra Fortore ed Òfanto sono compresi i torrenti del Tavoliere, che scaturiscono dalla cornice orografica Dauna e che perseguono la direzione solita dei fiumi adriatici verso nordest, come se il Gargano non esistesse. Ma il Gargano ha determinato presso la sua base un collettore di drenaggio, il torrente Candelaro, al quale il torrente Triolo, il torrente Sàlsola e il torrente Celone portano il tributo delle loro acque.

    Si tratta di un caratteristico bacino idrografico dimezzato in corrispondenza dell’asta principale, che potrebbe paragonarsi a quello del Po senza gli affluenti di destra o quelli di sinistra. Questo bacino, a prescindere dal fatto che raccoglie acque che ricadono tutte entro i confini amministrativi della Puglia, è il più ampio di tutta la regione misurando circa 2000 kmq.

    L’Òfanto presso Canosa.

    Il Candelaro lungo circa 70 km., nasce nelle ondulazioni collinari di San Paolo di Civitate, che costituiscono una cimosa che orla a settentrione il Tavoliere. Il suo corso iniziale si sviluppa da ovest verso est, secondo il consueto orientamento dei fiumi adriatici, finché, giunto alle falde garganiche devia bruscamente verso sudest, per sfociare nel golfo di Manfredonia, dopo aver decantate le sue acque nelle vasche di colmata dell’ex-lago Salso.

    I suoi principali affluenti sono tutti di destra, come è stato detto, ed il più settentrionale è il Canale Radiosa, che ha origine dalle colline di San Paolo di Civitate. Il Torrente Triolo — lungo circa 60 km. — è un altro affluente e ha origine nei Monti della Daunia (Monte Stillo, presso Pietramontecorvino) ; esso riceve come affluenti il Torrente Potesano, il Canale Santa Maria e il Canale Ferrante. Il Triolo immette le sue acque nel Candelaro presso le falde della montagna di Rignano Garganico.

    Altro discreto affluente del Candelaro è il torrente Sàlsola, anch’esso lungo circa 60 km., che trae origine dalle numerose sorgenti di Alberona. Tra gli affluenti e subaffluenti di sinistra ricordiamo la Fiumara di Volturino e la Fiumara della Motta Montecorvino ; tra quelli di destra il torrente Acquamorta e il torrente Vulgano. I nomi sono molti, ma la quantità di acqua — tranne che durante i periodi di intenso afflusso meteorico — è scarsa. In talune stagioni estive, e neppure tra le più siccitose, questi torrenti si possono attraversare ovunque a piede asciutto.

    Il torrente Sàlsola.

    Il più meridionale degli affluenti del Candelaro è il Celone, lungo anch’esso circa 60 km., che trae origine dalle pendici del Monte Cornacchia. Il Celone scorre a nord di Foggia, e, secondo alcuni antichi storici locali, è attribuita alle sue alluvioni la distruzione di Arpi, antichissima città del Tavoliere. Anche il Celone è un’esile linfa vagante nella canicola del Tavoliere, ed è riconoscibile .solo per la sua sempre verde vegetazione di giunchi che ne invade l’alveo.

    Il Torrente Cervaro, il Cerbalus dell’antichità classica, lungo circa 80 km., è il più noto tra i corsi d’acqua minori della provincia di Foggia, perchè è mediante la sua valle che dall’Irpinia scendono verso il Tavoliere la ferrovia transappenninica Napoli-Foggia e la strada statale n. 90, detta « delle Puglie ».

    Le sorgenti del Cervaro nel Monte Pietrara, ricadono entro i confini amministrativi della Puglia, ma una larga ansa, pari a circa 20 km., porta le acque in territorio Irpino, comunque già storicamente considerato pugliese nella stessa toponomastica, come ho avuto modo di scrivere nel primo capitolo della presente monografia. La lunghezza del Cervaro « pugliese » è di circa 70 km. di percorso quasi sempre tortuoso con evidenti meandri, con letto sassoso, che durante la stagione estiva nasconde per lunghi tratti la linfa pressoché inaridita.

    Il torrente Salsola in piena

    È però notevole il fatto che, durante l’estate, il basso Cervaro presenta in alcuni tratti portate superiori a quelle del più umido e fresco alto Cervaro. Naturalmente è stato supposto un contributo sorgentizio subalveo non ancora identificato nè valutato, ma che dà motivo di fiducia per un’eventuale maggiore utilizzazione delle acque di questo torrente, da Ponte Albanito, che segna il suo ingresso nel Tavoliere, sino al mare (40 km.), o meglio alle vasche di colmata del lago Salso in cui è stato indotto.

    Le acque del Cervaro in prossimità della costa, ostacolate da un cordone litoraneo di dune formavano insieme al Candelaro il fetido e tuttora miasmatico lago Salso (Pantano Salso e Lago Verzentino), ove sfociava pure un emissario del lago della Contessa, attualmente prosciugato. L’ultimo tratto del Cervaro è stato rettificato e le acque sono convogliate quasi tutte direttamente al mare, assicurando un drenaggio sempre efficiente.

    Il torrente Carapelle trae origine da un ventaglio di affluenti del cosiddetto Appennino Napoletano, in provincia di Benevento. L’asta principale è il torrente Calaggio, lungo circa 20 km., che scorre molto incassato tra le fragili argille di questo settore montuoso, e che assume allo sbocco in pianura la denominazione che lo accompagnerà sino al mare per circa 65 km. In complesso quindi il corso d’acqua è lungo km. 85. E l’unico dei fiumi del Tavoliere che riusciva a portare sino al mare, con foce naturale, le proprie acque. Le deviazioni del Carapellotto Vecchio e del Carapellotto Nuovo per la colmata della zona depressa Alma Dannata, hanno alterato le condizioni idrauliche del settore terminale, ed hanno reso necessario l’inal-veamento del Carapelle nel suo ultimo tratto con foce a nord di Torre Rivoli, presso la quale sta sorgendo il lido di Cerignola.

    Nel Tavoliere — come ho accennato — l’idrografia capillare è costituita da ristagni e ruscelli, in genere temporanei, detti « marane ». La marana è stata definita « in magra, un affioramento freatico, ossia d’acqua del sottosuolo; in piena, un collettore d’acque superficiali alimentato lateralmente e, più ancora, da monte. Chiamasi altresì marana il torrentello appena inciso nel terreno, che fa capo a quell’affioramento ; e pure l’esiguo cavetto di scarico a valle, sia naturale che artificiale ». Torrentelli denominati marane, sono frequenti nell’area a larghe ondulazioni e a dossi collinari compresa fra il Carapelle a nord e l’Òfanto a sud e delimitata ad oriente dall’agro di Cerignola e ad occidente dall’Appennino di Capitanata. La Marana di Santo Spirito defluisce verso Orta Nova; la Marana la Pidocchiosa scorre presso Stornara e Stornarella. Sono affluenti di sinistra dell’Òfanto la Marana di Fontana Cerasa, la Marana Capacciotti, la Marana di Fontanafigura. Ho potuto notare sul luogo che questo idronimo generico va cadendo in disuso.

    Compiuto lo sguardo ai corsi d’acqua che riguardano il Tavoliere possiamo già dire di aver concluso i nostri cenni su tutta l’idrografia della Puglia, se non rimanesse ancora da considerare quel territorio costiero pianeggiante compreso tra il Bra-dano a ovest e il Mar Piccolo ad est, la dirupata linea delle Murge a nord e lo Ionio a sud. In questo settore le incisioni vallive di pianura (lame) si raccordano a monte (gravine), sì che esiste sempre dall’inizio alla foce, un alveo ben definito nella sua classica ripartizione di alto corso, con caratteri morfologici montani, e di basso corso, con tipici aspetti di deiezione.

    A questa uniformità di concordanza morfologica, non corrisponde affatto un unico corso d’acqua o con regime fluviale o con regime torrentizio, perchè l’alto corso esiste temporaneamente in funzione degli apporti meteorici e il basso corso esiste perennemente in funzione di afflussi, anche cospicui, sorgentiferi. Il raccordo morfologico, pertanto, tra monte e piano, è dovuto a un reticolo idrografico fossile ravvivato e reso funzionale anche attualmente da un complesso di catture spontanee, nelle quali l’opera dell’uomo si è ora attivamente inserita per migliorare i drenaggi e creare una canalizzazione artificiale a vantaggio di nuove colture.

    La stessa duplice denominazione locale del corso d’acqua, di « gravina » a monte e di « lama » a valle, riflette la duplice caratteristica offerta dai corsi d’acqua di questa zona, che possono persino terminare il loro tragitto con l’appellativo di fiume. Ad ovest di Statte nelle Murge sudoccidentali, è la Gravina Gennarini, che poi assume il nome di Lama Stornara, e finalmente di Fiume Tara. Altri esempi sono offerti dalla Gravina di Palagianello, poi Lama di Lene e fiume di Lene; dalla Gravina di Castellaneta, poi Lama di Castellaneta ed infine Fiume Lato.

    Lavori di sistemazione idraulica nel Tavoliere.

    Come ho già detto, il Bràdano non è più presso il confine lineare tra Puglia e Basilicata; a quest’ultima regione ormai appartengono quasi per intero i circa 120 km. di percorso del fiume e il suo bacino idrografico di circa kmq. 2755. Tuttavia la presenza di cospicuo materiale clastico presso la foce è una testimonianza che può indurre a considerare il Bràdano come un fiume ancora pugliese. Infatti al di là del Bràdano, i fiumi della Basilicata presentano un letto di sabbie e di materiale clastico molto minuto, che denunzia una litologia del bacino idrografico molto diversa da quella sassosa, propria delle pietraie carsiche delle Murge emunta dal reticolo delle lame e delle gravine.

    Le lame delle Murge declinanti all’Adriatico non hanno mai acqua se non durante le piene dette « mene », che avvengono di tanto in tanto, a periodi irregolarmente dilazionati nel corso degli anni. Queste lunghe tregue inducono i contadini a occupare i letti delle lame con colture orticole, a terrazzarle e a impiantarvi persino colture legnose come vigneto, oliveto, mandorleto e alberi di fico. Col tempo le colture riducono la recettività dell’alveo e quindi la sua capacità di rapido smaltimento delle piene provocando esondazioni spesso gravissime. Così è avvenuto per Bari nel 1905 e nel 1926 a causa della sua lama ‘u Pecone, che già in precedenza era stata causa di disastri e di lutti.

    Foce di « lama » a Polignano a Mare.

    La gravina di Castellaneta.

    Le portate medie annue dei fiumi con foce nel litorale pugliese non sono affatto cospicue; la maggiore è quella dell’Ofanto, pari a 15,20 mc/sec., misurati nella stazione idrografica di San Samuele di Cafiero (anni 1935-42 e 1949-50, anche per le altre stazioni considerate in seguito). Forse è opportuno ricordare che nello stesso periodo di tempo il Po a Meirano faceva registrare una portata media annua di 80,80 mc/sec.; a San Mauro Torinese di 162; a Casale Monferrato di 251; a Becca di 663; a Piacenza di 994; a Casalmaggiore di 1310, ecc. Una portata media di 14,30 mc/sec. ha il Fortore a San Paolo di Civitate (ponte); di 7 mc/sec. ha il Bràdano a Tavole Palatine. Esigue sono le portate medie registrate per i torrenti del Tavoliere: 3,49 mc/sec. per il Carapelle, 2,66 per il Cervaro, 0,83 per il Celone.

    Le alternanze delle portate medie mensili definiscono un evidente regime torrentizio per tutti i corsi d’acqua di una certa importanza. L’Ofanto che registra nel febbraio un massimo di 38,70 mc/sec., si riduce nell’agosto a 1,94 mc/sec.; il Fortore che nel gennaio raggiunge la media di 40,00 mc/sec., nell’agosto si riduce a mc/sec. 0,63! Quasi eguale volume di acqua (0,61) convoglia il Bràdano nello stesso mese, mentre il Carapelle (0,38), il Cervaro (0,16) e il Celone (0,09) diventano rigagnoli spesso insignificanti.

    Mentre il minimo di portata media mensile si riscontra per tutti i corsi d’acqua nel mese d’agosto, il massimo corrispondente oscilla da gennaio a febbraio. Fiumi e torrenti manifestano una diretta dipendenza con gli afflussi meteorici, dimostrando la natura di semplici canali superficiali di scolo.

    In questa funzione passiva di superficiale smaltimento di acque meteoriche (manca un adeguato manto nevoso in montagna; manca un assorbimento graduale ed una analoga restituzione in collina), si inquadra e si spiega il regime torrentizio dei fiumi pugliesi. Regime esasperato dalla siccità, ma soprattutto dalle piene, che si trasformano in esondazioni e in rotte che interessano ogni anno una superficie di circa 15.000 ha. nel solo Tavoliere. Le esondazioni del Fortore si riversano nell’area compresa tra Ripalta e il Lago di Lésina, per un’estensione di un migliaio di ettari. L’Òfanto ha pure frequenti esondazioni a circa 10 km. dalla foce; l’area sommersa risulta di 500 ettari. Queste così disastrose esondazioni oltre che per i noti motivi, si spiegano nella fattispecie per la concomitanza di almeno due cause determinanti: il volume d’acqua e l’insabbiamento della foce, alle quali si uniscono fattori naturali e antropici di minor peso e spesso occasionali, ma anch’essi non trascurabili.

    Però i danni maggiori si riscontrano con i torrenti intermedi, che alle esondazioni collegano rotte tremende. L’area di esondazione può essere prevista e può essere neutralizzata con una difesa passiva, limitando il rischio di impiego di lavoro e di capitale. Il punto di rotta e l’area che ne dipende non possono essere previsti, per cui i danni che ne derivano sono tali da distruggere interamente le realizzazioni di anni ed anni di sacrificio e di intensa operosità.

    Nel venticinquennio 1926-50 oltre alle normali esondazioni si segnalano due rotte per il Candelaro (a Pescorosso e Cioccacorta), una per il Triolo (a Mezzanagrande), una per il Sàlsola (a Sàlsola), una per il Celone (a Torre Lamis), cinque per il Cervaro (a Canali, a Galiani, a Beccarini, a Roncone, a Salnitri), quattro per il Carapelle (a Bonassisi, a Borgognone, all’Innacquata, a Ponte Sipari e Vitone). Mentre le esondazioni sommergono un’area di 5000 ha., a causa delle rotte si sommerge un’area che raggiunge persino i 10.000 ettari.

    Questo naturale disordine idrico richiede interventi particolarmente impegnativi, grandiosi e simultanei, che solo dopo molto tempo potranno regolarizzare a vantaggio dell’umanità forze avverse così poderose. Non bisogna infatti dimenticare che una piena altera improvvisamente il precedente profilo di equilibrio dinamico del corso d’acqua, preparando e predisponendo variazioni sensibili per le piene successive.

    V’è ancora da osservare che la maggior parte di questi torrenti non ha sfocio diretto al mare se non durante le piene. I lavori di bonifica hanno attivato diverse foci, e numerose opere di protezione sono state costruite, ma la dispendiosa manutenzione determina spesso una sorveglianza meno rigorosa, con la conseguenza di rinnovati gravi insabbiamenti.

    Carpino e il lago di Varano.

    La « mena », denominazione usata nelle Murge per indicare la piena che romba improvvisa nelle gravine e nelle lame, può arrecare notevoli danni anche ai centri abitati. La stessa Bari è stata esposta più volte a inondazioni di acqua e fango, che hanno causato oltre che rovine, persino dei lutti. Le inondazioni del 1905, del 1915 e del 1926 — come ho detto — causate dalla mena del Picone — una lama delle Murge tristemente famosa — sono ricordate da epigrafi in marmo in talune strade di Bari, ove più alto il livello e maggiore fu la furia delle acque. Strano e quasi incredibile a dirsi, in una regione che ha avuto tanta sete e che ne ha ancora per i suoi uomini, per le sue campagne, per le sue industrie!

    I laghi

    I laghi pugliesi sono due: il Lago di Varano, ampio 60,50 kmq. e il Lago di Lésina ampio kmq. 51,36. Per la superficie il lago di Varano è al settimo posto in Italia, mentre quello di Lesina è al nono, immediatamente dopo il lago di Bracciano. La lunghezza del perimetro del Lago di Lésina è di 50 km. e supera quello scarsamente frastagliato del Lago di Varano che è di km. 33.

    Caratteri morfologici distintivi delle nostre conche lacustri rispetto a tutte le altre sono la scarsa profondità e l’altitudine del pelo d’acqua. Infatti la profondità massima nel lago di Varano è di 6 metri (come nel Trasimeno), e nel lago di Lésina è di 2 metri — la più bassa dei laghi italiani — inferiore persino a quella del lago Mas-saciuccoli ove è di 3 metri. A rigore, infine, non si può parlare di altitudine, perchè il pelo d’acqua è al livello del mare.

    Premesse queste indicazioni, è necessario osservare che il termine di « lago » attribuito ufficialmente ai due specchi d’acqua suddetti non è del tutto proprio, in quanto i laghi stessi comunicano con il mare mediante canali, detti foci, mantenuti artificialmente attivi ed il livello delle acque ripete le oscillazioni di marea. Tale aspetto ha dato luogo ad incertezze di classificazione ed autorevoli geografi scrivono promiscuamente lago e laguna.

    Ricordiamo qui — diciamo con G. Checchia Rispoli — che durante l’Olocene avvenne la formazione della laguna di Lésina che precedette quella di Varano, la quale si formò in tempi storici vicino a noi. Le lagune di Lésina e di Varano erano due insenature dell’Adriatico, separate dal promontorio del Monte Devio conseguenti alla morfologia locale del massiccio. I materiali trascinati dai fiumi che scendono nell’Adriatico, tra Vasto e Lésina, e specialmente quelli delle forti piene del Fortore, trasportati dalla corrente marina verso levante, incontrando il piede della Punta della Pietre Nere, che prima doveva indubbiamente essere un promontorio molto spinto dentro mare, vi si depositavano proiettando una barra che man mano procedeva verso est. Questa barra, dapprima lasciò una comunicazione tra il mare e il seno, formando un vero porto, ma procedendo l’azione della corrente, e poiché a non molta distanza dalla Punta delle Pietre Nere, ve n’era un’altra, cioè quella del Monte Devio, essa fini coli’attaccarsi a questa, formando una vera diga e rinchiudendo un lago, là dove prima v’era un seno di mare internato dentro i monti. Che i materiali detritici che hanno formato la barra provengano dall’ovest, ce lo prova il fatto che la diga si assottiglia e diventa più bassa verso est.

    A completare l’azione vi concorse anche quella del vento, che operando sui materiali mobili della barra li trasformò in dune, separando definitivamente dal mare una parte della spiaggia, che dapprima doveva, almeno ad alta marea, appartenere al dominio del mare. Formata la barra del lago di Lésina, i materiali detritici hanno cominciato ad invadere il promontorio del Monte Devio e di là spingendosi sempre ad est formavano una nuova barra, che giungendo ad attaccarsi al promontorio di Rodi Garganico, ha nello stesso modo formato il lago di Varano, chiudendo l’antico « seno uriano » di Plinio.

    Passiamo ora ad esaminare un altro tipo di fenomeni. La concomitanza di un cordone di dune, che sbarra lo sfocio a mare di un corso d’acqua privo di impeto per mancanza di pendenza, costringendolo a spagliare a ridosso del medesimo, crea le condizioni fondamentali per la formazione di un lago costiero, o meglio di una palude costiera. V’è da notare che lo stadio di palude è già cronologicamente successivo a quello di laguna propriamente detta, con acque salate.

    Il lago di Varano.

    Una pozza d’acqua nell’Appennino di Capitanata.

    La costa orientale del Tavoliere, prima delle radicali trasformazioni apportate dall’uomo, presentava due lagune malsane: il lago Salso e il lago di Salpi. Il primo è oggi in fase di colmata ed è pertanto in fase di estinzione ad opera delle torbide del Candelaro e del Cervaro, che sono già state proficuamente utilizzate per il riempimento solido dell’area periferica detta comunemente delle Paludi Sipontine. Il Lago di Salpi è stato completamente bonificato e costituisce in gran parte le saline di Margherita di Savoia. Ricordo del passato e merito di una ormai quasi secolare bonifica sono i territori a coltura degli ex laghi di Verzentino e della Contessa.

    Altri laghi costieri già di notevole entità sono scomparsi o sono stati ridotti mediante opere di bonifica; l’area più importante rientra nella Bonifica di San Cataldo sviluppata lungo tutto il litorale ad est della città di Lecce. Ma più notevoli sono i laghi Alimini e Fontanelle, immediatamente a nord di Otranto, che hanno richiesto un’alacre opera di bonifica non ancora ultimata. Alimini grande — tale l’autentica denominazione del lago più settentrionale, ricordando che alimini deriva dal greco e significa lago — ha la forma tipicamente allungata delle lagune costiere ed è in comunicazione col mare mediante il Canale Lìmini.

    Il lago è lungo circa km. 2,5 e largo, in media, m. 500. Ha come immissario il Canale Stritto, lungo m. 1375 che proviene dal lago Fontanelle. Anche questo, sebbene disti dalla costa circa un chilometro e mezzo in linea d’aria, presenta una tipica forma allungata parallela alla costa: è lungo — infatti — poco meno di 2 km. e largo circa 300 m., dopo la bonifica delle gronde. Le acque provengono dagli affioramenti della falda carsica di base, e vengono già impiegate per l’irrigazione di 500 ha. di campagne circostanti, mediante due impianti di sollevamento ormai in piena funzione.

    Le acque freatiche

    La circolazione superficiale, ove esiste, è insufficiente ai bisogni dell’agricoltura sia per quantità sia per regime. Piove inoltre quando il bisogno dell’acqua è minore per il ciclo vegetativo delle piante, mentre l’aridità più acuta coincide con il lungo periodo caldo. Esiste, spinta alle estreme conseguenze, quell’irrazionale periodicità di stagione asciutta e piovosa che contraddistingue la varietà climatica mediterranea meridionale.

    V’è inoltre da osservare che la Puglia è afflitta molto spesso da gravi siccità, che inaridiscono le stesse falde freatiche scarsamente profonde, come ebbe a notare Carmelo Colamonico dopo le prolungate siccità degli anni 1907, 1908 e 1912. Si tratta di un problema sociale ed igienico, ancor prima che economico, particolarmente preoccupante negli anni che hanno preceduto l’imponente realizzazione dell’acquedotto pugliese.

    Laghetto di dolina con cisterne (Friggiano).

    A queste negative premesse naturali consegue la necessità di reperire le acque che costituiscono la circolazione sotterranea più profonda. Studi e ricerche sono stati effettuati in gran numero; ma la maggior parte della Puglia ha circolazione profonda ancora non determinabile nè catturabile con i mezzi attuali di ricerca: è la Puglia carsica che costituisce, come si è visto, più dei tre quarti del paese, ed in cui le falde accessibili sono di limitata entità.

    La Puglia carsica si identifica soprattutto con il Gargano e le Murge. Il bacino acquifero del Gargano occuperebbe un’area compresa tra il Lago di Lesina e il Golfo di Manfredonia e il pelo d’acqua forse si eleverebbe a 15-20 m. sul livello del mare. Ipotetiche sono pure le opinioni sulla circolazione profonda nelle Murge, ove si suppone una falda stabilizzata a circa m. 80 s. m. in corrispondenza delle Murge Alte.

    In altre zone, e soprattutto nel Tavoliere, la circolazione sotterranea è stata identificata con opportuni sondaggi ed è utilizzata ormai in larga misura per irrigazione di tipo oasistico. Le acque freatiche del Tavoliere sono formate da una falda artesiana profonda che ha per letto le argille plioceniche impermeabili. Un’altra falda più superficiale, non artesiana, ma egualmente utilizzabile, circola tra i 20 e 30 m. di profondità. In complesso la zona interessata è di 150.000 ettari. Le acque freatiche riguardano principalmente i territori prossimi al Fortore, al Cervaro e all’Òfanto, oltre che un’ampia zona tra San Severo e Foggia e tra Foggia e Cerignola. Le acque artesiane si incontrano essenzialmente ad est della congiungente San Severo-Foggia-Cerignola ; le acque artesiane carsiche si riscontrano intorno al lago di Lesina e al lago di Varano e lungo una fascia pedegarganica continua e di varia ampiezza, sviluppata all’incirca dallo sprone montuoso di Rignano Garganico sino a Monte Saraceno (Macchia, in comune di Monte Sant’Angelo). Un’altra ampia zona è compresa tra Cerignola, Trinitàpoli e San Ferdinando di Puglia.

    Una carta geografica delle acque sotterranee del Tavoliere, manifesta condizioni radicalmente opposte a quelle che derivano dalle aride e sregolate condizioni di superficie. Ormai il problema non riguarda più l’acqua, che c’è, abbondante e adatta all’irrigazione: il problema riguarda innanzi tutto le fonti di energia per condurre in superficie i quantitativi idrici necessari senza incidere notevolmente sui costi di produzione.

    Le acque artesiane carsiche hanno portato la nostra attenzione sulla circolazione ipogea a carattere carsico, che è di esigua importanza, perchè in tali terreni, ove l’acqua sia facilmente reperibile è quantitativamente limitata.

    Nel Gargano il pozzo che trovasi al limite occidentale di Pantano — ex lago di Sant’Egidio — può esaurirsi durante le più acute siccità. Si tratta più che di acque sotterranee correnti, di sacche d’acqua sulle quali non è possibile fare molto assegnamento, come avviene a San Marco in Lamis.

    La presenza di placche di terreni terziari e quaternari, giacenti sui calcari carsi-ficati del secondario, determina la formazione di falde, che hanno spesso favorito le sedi umane, come nelle Murge è avvenuto per Acquaviva delle Fonti, Gioia del Colle, Altamura e Corato. Peraltro queste acque appartengono ad un areale circoscritto e ad un bilancio quantitativamente limitato, molto sensibile a variazioni negative o positive, a prescindere da quelle dipendenti dalla quantità di afflusso meteorico.

    Serbatoio dell’acquedotto pugliese presso Altamura.

    Una singolare variazione, la quale consegue al fatto che praticamente manca la circolazione freatica, riguarda l’innalzamento della falda. Esso è denunziato in taluni centri abitati, da quando gran parte dello spontaneo deposito idrico è rimasto inutilizzato, perchè ormai si usufruisce dell’acquedotto pugliese. A Corato, per citare un esempio, l’innalzamento della falda ha determinato l’indebolimento delle fondamenta di gran parte delle costruzioni cittadine, l’allagamento di molti scantinati, ecc.

    Falde freatiche di scarsa profondità — da 5 a 10 m. — si riscontrano lungo il settore costiero. A proposito delle sorgenti, abbiamo già accennato al fenomeno di risorgiva, che è principalmente diffuso lungo il settore costiero delle Murge e specialmente nel versante ionico del Salento. Frequente è la presenza di veli acquiferi utilizzati mediante norie azionate dal cavallo o dall’asino, per la piccola irrigazione. Essi risultano distribuiti principalmente a sud di Bari e costituiscono la base dell’orticoltura di quella fascia litoranea di cui Mola è al centro. Le norie, dette localmente ‘ngegne (congegno), caratterizzano il paesaggio agrario. Le acque presentano una cospicua salinità (8-9 %o), per cui l’utilizzazione risulta indicata soltanto per specie orticole alofile come carciofi, pomodori, melanzane, cavoli, meloni, ecc.

    Il fenomeno delle piccole falde assume una maggiore diffusione nell’area interna del Salento, da Francavilla Fontana a Oria e a Mesagne, da Manduria a Sava, da Guagnano a Sàlice e a Veglie, da Castro a Otranto, da Galatina a Cutrofiano, e in altri settori del Capo. L’utilizzazione di queste falde è antichissima e favorisce colture orticole di buon rendimento. L’indispensabile necessità di utilizzare queste riserve idriche ipogee, ha indotto a stabilire un gran numero di stazioni freatimetriche, complessivamente cinquanta, delle quali diciotto nel Salento e ventisette nell’area del Tavoliere. Mediante queste stazioni lo studio delle acque sotterranee va sempre più precisando i quantitativi disponibili e i costi per un’irrigazione basata sui principi di una sana convenienza economica.

    « Lu ‘ngegne » per attingere l’acqua dal pozzo (Mola di Bari).

    Vedi Anche:  Storia della Puglia