Vai al contenuto

Montagne e pianure

    Il rilievo: motagne e pianture

    Uno sguardo alle vicende geologiche

    Guardando una carta orografica dell’Italia settentrionale si nota che la pianura padana, dopo essersi ristretta alquanto tra il Garda e l’Appennino parmense, si allarga di nuovo a ventaglio verso l’Adriatico, mentre le Alpi che avevano raggiunto latitudini assai meridionali, tendono ad assumere un andamento sudovest-nordest, lasciando posto alla pianura veneto-friulana che, limitata a sudest dal mare, termina ai piedi del Carso e delle Alpi Giulie.

    La pianura veneta costituisce la parte vitale della regione, la quale presenta una grande varietà di caratteri morfologici, sia perchè dalla pianura, che costituisce il suo nucleo più importante, il Veneto si spinge gradualmente al paesaggio della media e dell’alta montagna (che assume aspetti diversi a seconda delle rocce, delle vicende geologiche e dei processi erosivi fluviali e glaciali), sia perchè affacciandosi sull’Adriatico essa dà luogo a paesaggi di transizione tra il mare e la terraferma.

    Dal punto di vista geologico le montagne del Veneto appartengono alle Dinaridi, che costituiscono la zona calcarea meridionale del sistema alpino. Si tratta di un’ampia fascia nella quale si ha una successione regolare di terreni dal Paleozoico antico al Neogene, formata da pieghe in prevalenza rovesciate verso sud, la quale non pare abbia dato origine a coltri: pieghe con l’asse orientato da ovest-sudovest a est-nordest dal Veronese medio al Friuli centrale, mentre deviano verso sudovest e sudovest nella regione del Baldo, lunga groppa quasi rettilinea che si affaccia ripida sulla valle dell’Adige e sul Garda.

    Il dirupato percorso della valle del Mis, affluente del Cordévole.

    Le Alpi Bellunesi e la valle del Mis.

    Piattaforma di base della lunga e complessa serie stratigrafica è una potente massa di rocce scistose, nella quale non sono rari i minerali, che viene alla luce nell’Agordino e nel Comélico, con filladi, rocce diabasiche, scisti argillosi che danno luogo a superfici molli e arrotondate, ricche d’acqua e ricoperte di pascoli e di boschi; anche in quella parte delle Alpi Carniche che rientrano nel Veneto predomina il paesaggio delle montagne scistose, con grande sviluppo di terreni antichi, ricchi di fossili. All’ultimo periodo del Paleozoico appartengono invece le formazioni permiane che compaiono sotto forma di porfidi quarziferi di tinta scura nel Comélico, nell’Agordino, nella valle del Mis e in quella di San Pellegrino, dando luogo a un terreno aspro, dirupato, di difficile percorso. Ma una grande varietà d’aspetti, in rapporto coi ritiri e le avanzate del mare e a causa delle manifestazioni vulcaniche, assumono nel Veneto soprattutto le formazioni triassiche, ora calcari con profili scoscesi e ripidi, ora marne (di San Cassiano) facili a sfaldarsi (per cui nell’Agordino causano frequenti frane), ora dolomie che dànno origine al paesaggio delle Dolomiti; la sovrapposizione di formazioni calcaree su formazioni scistose crea un vivo contrasto tra rocce nude e dirupate e i sottostanti dolci pendii, ricoperti da ricca vegetazione. Il successivo periodo giurese appare invece piuttosto monotono; ivi prevalgono i calcari formatisi in un mare profondo e tranquillo, che essendo molto resistenti costituiscono lungo il profilo dei monti un gradino simile a una cengia, mentre i calcari delle formazioni cretacee essendo poco resistenti (biancone) danno luogo a vasti accumuli o a calcari di color rosso (scaglia). Nelle formazioni terziarie compare il flysch sotto forma eli marne (friabili) o arenarie (dure), che si alternano e dànno luogo a forme movimentate, data la diversa erodibilità.

    Le Prealpi differiscono dalle Alpi non solo per età delle rocce, ma anche per condizioni stratigrafiche e tettoniche. Per lo più la zona prealpina presenta una frangia di terreni che avvolgono delle cupole cretacee e risulta formata da altipiani (Tredici Comuni, Sette Comuni, Cansiglio) o da sommità monotone, ampie e poco inclinate (Grappa, Col Visentin).

    La gola del Vajont col ponte Colomber

    La zona subalpina, tra il Mincio e il Tagliamento, risulta formata da una serie di colline diverse, per costituzione geologica (ora terziarie, ora moreniche, ora alluvionali) e per aspetto, dalle montagne vicine. Tra Adige e Brenta sono molto diffuse le rocce eruttive, varie per età e per caratteri litologici, che non formano apparati vulcanici indipendenti, ma sono intercalate a formazioni sedimentarie; della zona subalpina vulcanica fanno pure parte sia i Monti Bérici, sorti dall’antico golfo adriatico prima degli Euganei, sia, per quanto isolati nella pianura, i Colli Euganei. Nelle colline trevigiane mancano i terreni eruttivi e prevalgono invece formazioni terziarie recenti, le quali sono disposte in modo che l’alternarsi di strati di consistenza diversa ha dato spesso luogo alla formazione di lunghi dossi rettilinei paralleli (« corde »), tra i quali s’intercalano depositi morenici e antiche alluvioni cementate e terrazzate.

    Lo stile tettonico delle Alpi Venete è dato da una serie di pieghe (anticlinali e sinclinali) a grandi linee parallele tra loro, orientate nordest-sudovest, non molto regolari, ma più spesso rovesciate verso sud e asimmetriche, disposte ad arco con la concavità verso il bacino adriatico, dal quale venne la spinta per il corrugamento orogenetico. In esse la falda meridionale è raddrizzata e quasi rovesciata in conseguenza di spinte e controspinte. Ma tale ripiegamento non sempre risulta evidente. Nelle Dolomiti la serie sedimentaria poggia talora sulla piattaforma porfìrica, compaiono di frequente masse vulcaniche, si sono avute fratture con salti di centinaia di metri e movimenti di assestamento dai quali è risultata una struttura embriciata, a guisa delle tegole di un tetto. Verso la pianura il carattere dominante è dato da una serie di pieghe le quali sono così stirate che le falde mediane vennero tanto assottigliate da scomparire in tutto o in parte (pieghe-faglie), in modo da portare a contatto formazioni di età molto diversa. Importante è soprattutto la linea Valsugana-Comélico, che dallo Zoldano passa al Cadore attraverso la sella di Cibiana, percorre gran parte della valle del Piave e sfuma nella piattaforma scistosa del Comélico. I geologi tedeschi (col Suess) ritenevano che le montagne del Veneto fossero attraversate da una serie di faglie parallele all’andamento delle catene principali; lungo queste faglie la massa montuosa che si trovava a sud si sarebbe, rispetto a quella del lato nord, lentamente abbassata a gradinata per avvenuti scorrimenti lungo superfici di frattura e si sarebbe originata la conca adriatica. Invece (secondo le ricerche dei geologi italiani e in modo particolare di Giorgio Dal Piaz) la regione corrisponde a una serie di pieghe, spesso rovesciate a sud, che si rincorrono ad embrice, accompagnate, talvolta, da piccoli scorrimenti. In qualche caso può sorgere il dubbio che questa interpretazione sia quella giusta, ma là dove sono stati eseguiti rilievi di dettaglio (come hanno fatto il Castiglioni nella valle del Biois e il Leonardi nella valle del Cordévole) è apparso che le varianti del motivo fondamentale dipendono da fattori locali, e derivano non già da faglie, ma da pieghe nelle quali il forte stiramento ha portato alla rottura d’un fianco. Per cui, come disse Torquato Taramelli (1845-1927), noto geologo che ha molto contribuito allo studio delle nostre montagne, le Alpi Venete nel complesso rispondono a una grande morbidezza di linee, propria delle regioni che presentano una struttura a pieghe. Il corrugamento delle catene, iniziato probabilmente già nel Terziario inferiore, non deve essere avvenuto in una sola fase, ma con diversità di tempo e di propagazione, in modo che quando una parte era già emersa, l’altra era ancora sotto il mare.

    Aspetti morfologici: forme glaciali

    Il movimento di dislocazione orogenetica è proseguito anche in tempi successivi al Pliocene e forse dura tuttora, come è documentato da alcuni aspetti morfologici e idrografici. Specie le masse calcaree prealpine hanno conservato molte tracce delle antiche superficie di spianamento e delle fasi dell’approfondimento delle valli in correlazione con le fasi del sollevamento, durante le quali i fiumi incisero le strette valli trasversali che separano i singoli altipiani. La regione prealpina presenta ardite creste dove le pieghe sono più complesse, pianori e cupole dove le spinte furono meno intense.

    Il lago di Garda e il suo anfiteatro morenico (da Trevisan).

    Che il movimento sia stato diverso da zona a zona è documentato anche dal fatto che nella regione benacense i terreni pliocenici sono sollevati ad alcune centinaia di metri, mentre in quella plavense sono molto depressi. Al modellamento della regione alpina e prealpina hanno concorso in larga misura anche i ghiacciai e gli accumuli di detriti. Il modellamento glaciale risulta evidente soprattutto nelle regioni alpine dove tutto il paesaggio è improntato a tipica e fresca morfologia glaciale, derivata da un succedersi continuo di circhi, rocce levigate, canaloni a sezione arrotondata, cordoni morenici, mentre l’impronta glaciale è minore nella fascia calcarea prealpina, meno aspra e meno elevata. Più in basso i ghiacciai, che giungevano con la loro fronte al margine della pianura, hanno formato una serie di apparati morenici di cui i principali sono quelli dell’Adige e del Piave. L’antico ghiacciaio dell’Adige defluiva, senza tener conto di rami minori, tanto verso la valle del Sarca e la bassura del Garda, quanto verso la Valsugana. Quello di Rivoli, che rappresenta lo sbocco glaciale di gran parte del grande bacino atesino, è un esempio di tipico anfiteatro morenico quasi integro e completo, di forma regolarmente arcuata (per 100 km. da Salò a Costermano) con collinette che raggiungono un’altezza di 366 m. disposte in molteplici cordoni e archi paralleli, che corrispondono alle varie fasi di avanzamento e ritiro del ghiacciaio. Esse hanno ricoperto irregolarmente, lasciando posto a depressioni occupate da torbiere e da piccoli stagni, i terreni più antichi (cretacei, eocenici, miocenici), che affiorano in più punti. Le colline moreniche sono state poi in parte spianate ed erose, dando luogo alla formazione di terre rosse (ferretto) oppure alla deposizione di detriti grossolani che hanno formato delle vaste conoidi; nè mancano dune continentali. Il Piave ebbe pure il suo ghiacciaio che ingrossato da molti rami alimentava delle lingue alla cui fronte si accumulò il materiale di trasporto morenico; così seguendo l’attuale corso del Piave un ramo scendeva fino a Quero, mentre un secondo ramo, forse maggiore, s’incanalava lungo la valle di Fadalto e biforcandosi a monte di Serravalle, mandava un braccio verso Revine, mentre l’altro braccio toccava la pianura tra Céneda e Conegliano (anfiteatro di Colle Umberto e San Fior). Il detrito glaciale abbonda anche nelle vallette che non potevano alimentare un proprio ghiacciaio e sul fondo dei bacini (Val Belluna, Alpago).

    Val d’Adige vista da Spiazzi di Monte Baldo.

    Le frane

    Di frane, alcune di grandiose, se ne sono verificate nei periodi interglaciali e all’inizio del periodo postglaciale, testimoniate da colossali accumuli di massi, come quelle di Masarè di Fadalto (tra il lago di Santa Croce e il Lago Morto), di Laghi nella valle della Zara (confluente del Pòsina) e di Vedana (« le masiere »), che consistono in un enorme petreto tra Mis e Cordévole, crollato dal Monte Perón (m. 1482), che ricopre sia il fondo roccioso della valle che terreni morenici; si tratta in questo caso d’un fenomeno misto, di franamento e di distribuzione glaciale; i materiali franati (circa 100 milioni di me.) dagli strati calcarei mesozoici, fortemente sollevati, del fianco sud-occidentale del monte, sono stati trasportati dal ghiacciaio del Cordévole per qualche chilometro a valle e poi abbandonati su vasto spazio (3 milioni di mq.), per cui ora manca la continuità tra le rovine e le falde del monte da cui sono franate. La valle del Cordévole era qui sbarrata da banchi arenacei del Miocene, per cui l’antico ghiacciaio del Cordévole non ha potuto costituirsi un anfiteatro morenico, ma ha dovuto dividersi in due rami e mentre quello destro è stato rimaneggiato dalla corrente alluvionale del torrente Mis, quello sinistro si è spinto per 4 km. sino a Poiàn, depositando una quindicina di archi e di cordoni morenici e grossi massi. Anche nelle masiere si possono distinguere due parti: quella di sinistra (o di Mas), lunga circa 4 km., e quella di destra (o di Mis), un po’ più corta e meno ricca di materiale, essendo più discosta dalla regione di franamento. Il caratteristico paesaggio delle masiere, formato da un caotico accumulo di massi angolosi, spesso colossali, come quello attorno al quale sorse il paese di Perón, presenta qualche rassomiglianza con gli slavini di Marco e con le marocche di Dro nel Trentino. Il materiale franato raggiunge la maggior altezza sopra la Brustolada a m. 491, dove abbondano massi di 10-20 m. di diametro, mentre presso il piano vallivo, che si trova a 370 m. i massi hanno dimensioni minori e sono tra loro alquanto più distanziati. Tra di essi dovevano esistere nel passato dei laghetti, di cui sono la testimonianza alcuni piani torbosi; l’unico che si sia conservato è quello di Vedana, tipico esempio di lago di sbarramento morenico, profondo al massimo 4 m. e che occupa una superfìcie di soli 50.000 metri quadrati. Altre frane sono avvenute in epoca storica e tra queste una delle più notevoli è quella che nel 1771 è precipitata dalla sommità del Monte Piz fino al fondo della valle del Cordévole, causando la formazione del lago di Alleghe. Anche lAntelao, data la disposizione degli strati, ha dato luogo più volte a grandiose frane, tra cui quella del 21 aprile 1814 che ha seppellito centinaia di persone (Borea). Vasti smottamenti di cumuli di sfasciume si verificano in più luoghi, ma specialmente attorno a Cortina e nell’alto Veronese. Frane di alluvione, sotto forma di boe o colate di fango frammisto a massi, sono comuni, nel Cadore e nell’Alpago; anche altrove le acque penetrano in copia sotto gli strati superficiali del terreno, determinando smottamenti e scivolamenti di masse. Così la frana di Costa (a un km. da Vittorio) che il 14 maggio 1937 ha causato otto vittime, era predisposta dalla natura dei terreni a piano inclinato, ma è stata causata da un periodo di intense piogge nei giorni precedenti e da movimenti sismici avvenuti qualche mese prima.

    Le «masiere» di Vedana.

    Le « masiere » di Vedana viste dalla stazione di Mas.

    Grotte, voragini, doline si riscontrano numerose in tutte le Prealpi Venete. Specie i Lessini, i Sette Comuni e il Cansiglio presentano molte delle condizioni idrografiche del Carso. Le grotte sono frequenti anche nel Bellunese e non soltanto nei terreni calcarei, ma anche nei gessi (attorno a Falcade, nei dintorni di Pieve di Cadore, nel Comélico). Di alcuni di questi fenomeni avremo occasione di parlare ancora in seguito, ma non possiamo passar sotto silenzio l’esistenza di alcuni abissi profondissimi, come la Spluga della Preta, che nei Lessini scende a 637 m. sotto il piano di campagna, e il Bus de la Lum nell’altipiano del Cansiglio, pozzo carsico profondo 225 metri.

    L’attività sismica

    Il Veneto è regione che ha sofferto talvolta a causa dei terremoti, i quali più volte hanno causato danni in quelle zone dove s’incontrano importanti linee tettoniche o sono vicine a rilievi vulcanici. Invece nelle Alpi Dolomitiche la sismicità ha basso valore, come pure nelle zone di pianura, per quanto le cronache non manchino di ricordare terremoti a Padova (specialmente nel biennio 1260-61) ed a Venezia (da ultimo nel 1688, in connessione con un terremoto romagnolo).

    Zone colpite da terremoti si trovano invece frequenti nelle prealpi e nelle zone subalpine. Una di queste è la Val d’Illasi, con centri a Tregnago e a Badia Ca-lavena, da dove le scosse si propagano fino a Verona, che è stata colpita più volte da violenti terremoti (come quello del 25 aprile 1907), e si fanno sentire fino a Sanguinetto (epicentro d’una serie di scosse avvertite nel 1841). Colpita è stata più volte anche Vicenza, ma poiché le date non coincidono coi sismi di Verona deve trattarsi probabilmente di sismi locali. Anche il Feltrino e la parte collinosa della Marca Trevigiana (soprattutto Asolo) hanno subito scosse, ma è soprattutto la zona di Belluno che è stata più volte danneggiata; basterà ricordare il disastroso terremoto del 29 giugno 1873, che ha dato luogo a ricerche approfondite da parte del Taramelli e del Pirona; anche l’Alpago ha subito in quell’occasione gravi danni, tanto che i campanili dei suoi paesi erano fino a pochi anni fa costruiti ancora in legno, non avendo le scarse risorse locali permesso di ricostruirli.

    Vedi Anche:  origine del nome ed estensione del Veneto

    Non sono mancate dunque nel Veneto forti manifestazioni d’attività sismica, sia nel passato che nelle epoche a noi più vicine, ma si tratta di centri sismici poco estesi, che causano danni solo localmente in occasione dei parossismi.

    Le regioni fisiche del Veneto. La regione alpina

    In base alle condizioni morfologiche (e secondariamente anche idrografiche, climatiche e biologiche) si possono distinguere nel Veneto varie zone naturali: ia la regione alpina; 2a la zona prealpina; 3a la zona subalpina; 4a l’alta pianura; 5a la bassa pianura; 6a la zona lagunare e quella polesana.

    La regione alpina, che corrisponde ai bacini superiori del Piave e del Cordévole, comprende la zona con le cime più elevate (2500-3200 m.), le quali si innalzano per lo più da un basamento d’un migliaio di metri e assumono, specie nelle Dolomiti, delle quali appartengono al Veneto alcuni gruppi dei più noti, aspetti d’alta montagna; ivi tutti i limiti altimetrici (delle nevi perpetue, del bosco, delle abitazioni permanenti e temporanee) risultano molto elevati.

    Regioni naturali del Veneto.

    La guglia De Amicis nelle Dolomiti (Misurina).

    Veduta dell’Antelao da Pocòl.

    I rilievi dolomitici, costituiti in prevalenza da rocce mesozoiche, sono formati dalla dolomia principale, la quale si differenzia da quella più antica dei gruppi occidentali per essere più distintamente suddivisa in strati regolari di notevole spessore, tabulari e poco inclinati, ben visibili nelle gole incise in essi dai corsi d’acqua, per esempio, dal Mis e dal Cordévole. L’aspetto è quindi quello d’un altopiano sormontato da massicci montuosi, piuttosto che d’un sistema di catene. Carattere tipico del paesaggio dolomitico è appunto quello di grandi mole isolate, nude — con pareti verticali, con cime e creste acute, guglie, torrioni, generate dal modo particolare di sfaldarsi della dolomia sotto l’influsso degli agenti esterni — le quali contrastano col basamento di forme morbide e arrotondate. Ognuno dei massicci ha un’individualità sua propria, inconfondibile, come le Tre Cime di Lavaredo, enormi blocchi rocciosi con innumerevoli cenge e camini poggianti su formazioni raibliane, di cui vaste masse di ghiaie, dovute al rapido disfacimento della parte dolomitica, nascondono lo zoccolo; le Marmarole, che si presentano come sfondo al quadro in cui si prospetta Pieve; l’Antelao, gigantesca piramide che troneggia sull’intero Cadore; la Tofana, costituita da un pila, leggermente inclinata verso nord, di banchi dolomitici, che si eleva a piramide sopra la strada di Falzàrego; il Pelmo, che domina isolato tra le valli del Cordévole e del Boite e, in uno stadio meno avanzato di erosione delle Cime di Lavaredo, si compone di due enormi blocchi compatti, il maggiore dei quali è modellato a forma di enorme sedia a braccioli; la Croda da Lago nel gruppo del Formm, dall’architettura ardita e leggera, che si alza dritta verso il cielo da un piedestallo di abeti; la Marmolada, più compatta e poco frastagliata, data la presenza d’un calcare meno magnesiaco e più solubile, nella quale vivo è il contrasto tra il versante settentrionale mediocremente ripido, così da poter ospitare un esteso ghiacciaio che scende verso il Passo di Fedaia, e l’erta parete rivolta a sud; il Civetta, che ha come l’Antelao struttura a leggio e riassume in sè i vari aspetti del paesaggio dolomitico e che visto da Zoldo assomiglia alla testa dell’uccello di cui porta il nome, mentre scende con una enorme parete verticale sulla valle del Cordévole, specchiandosi nel laghetto di Alleghe.

    Veduta delle Tofane da un’altura presso Cortina.

    Monte Pelmo (m. 3168)

    « È l’erosione — dice Felix Germain, l’alpinista francese autore di un bel libro sulle Dolomiti — la paziente erosione dell’acqua che ha denudato le cime, isolato torri e campanili, scolpito le pareti, aperto nella pietra scheggiata e polita gli alti camini e accumulato ai piedi delle muraglie, in fluide frane, i blocchi di pietra dagli spigoli vivi. Tale è il fascino incomparabile delle Dolomiti, ugualmente accessibile al semplice camminatore e al virtuoso della scalata. Per l’uno vi sono le strade accuratamente mantenute, che allacciano con la loro rete i gruppi di cime, superando i più alti passi; i sentieri, ben tracciati, fino al piede stesso dei ghiaioni e delle pareti, che conducono senza pericolo e senza fatica dai lussuosi alberghi ai più confortevoli rifugi, aprendo la possibilità di emozionanti giri nel cuore di paesaggi fantastici. Per l’altro le cime innumerevoli a due passi dalla strada, le torri aeree, le creste dentate, frastagliate, frantumate, l’immensa parete solitaria, meraviglia di proporzione, di slancio, di luminoso silenzio. Dovunque questa pietra rugosa simile ad una spugna pietrificata, questa verticalità senza confronti, ossessionante, lancinante, che fa di questo paese verticale il paradiso della scalata pura, della scalata in sè ».

    Fa da transizione tra la regione alpina e la zona prealpina la media valle del Piave, la quale occupa una sinclinale che si interpone tra le Alpi e le Prealpi Bellunesi.

    Il ghiacciaio della Marmolada.

    Una tipica guglia delle Dolomiti: il campanile della val Montanaia.

    Le Alpi Bellunesi, costituite dal Dolada al Cóppolo da un’anticlinale che s’incurva verso sud per far passaggio alla sinclinale, hanno un’orografìa assai frastagliata, s’alzano sulla valle con pareti ripide e meno evidente appare, salvo nelle Vette Feltrine colle loro cime regolari a forma di piramide (Monte Pavione), l’andamento a catena, dato che sono separate in tre gruppi dai canali scavati dal Mis e dal Cordévole, gruppi che culminano rispettivamente nel Sass di Mur (m. 2550), nel Pizzón (m. 2238) e nello Schiara (m. 2563). Nell’alta montagna l’assenza di vegetazione arborea e la limitata estensione del mantello prativo fa sì che prevalga nei terreni calcarei lo squallido paesaggio carsico.

    La Val Belluna e il basso Cismón

    Le Prealpi Bellunesi, aventi andamento quasi parallelo a quello del Piave, costituiscono una dorsale abbastanza regolare, con linea di vetta sensibilmente costante (Col Visentin, m. 1765), dalla quale si staccano alcuni contrafforti verso la Val Belluna, con inclinazione limitata e d’aspetto collinoso. Dal letto del Piave presso lo sbocco del torrente Cicogna alla cima del Col Visentin corre una distanza di n km. e la pendenza è del 13%, ma il declivio non è uniforme data l’esistenza d’una zona quasi pianeggiante all’altezza di 1000 metri. I soli passaggi verso la pianura veneta che abbiano importanza sono quelli di San Boldo (m. 706) e di Praderàdego (m. 914), ma l’andamento dissimmetrico del rilievo fa sì che il versante trevisano cada ripido sul solco longitudinale di vai Mareno. I torrenti hanno inciso profondamente il pendio trascinando in basso gran quantità di detriti, che per più mesi assorbono le loro acque. In alto invece sono frequenti i fenomeni carsici; nella zona del Visentin il fenomeno più noto è la cosiddetta « sperlonga », enorme imbuto che si addentra nelle viscere del monte; due sperlonghe simili si trovano alle falde settentrionali del Monte Faverghera.

    La Gusela del Vescovà nel gruppo della Schiara.

    Veduta invernale del Col Visentin visto da Belluno.

    I terreni più antichi e più compatti si trovano nelle Alpi Bellunesi, i più recenti e recentissimi riempiono tutta la parte bassa, mentre la catena prealpina è costituita da terreni di media antichità e media resistenza. Poiché si è avuto un ringiovanimento dell’erosione, la Val Belluna risulta una valle di riescavazione, il cui antico fondo è segnato da due lembi alluvionali a guisa di terrazzo, che ne seguono i fianchi a 220-250 m. sul livello attuale del fiume (550-450 m.). Durante il secondo ciclo erosivo la rete idrografica andò assestandosi e le linee ridivennero contrastate, ma poi nella zona sotto 1200 m. l’espansione glaciale ha portato un certo agguaglia-mento, mentre l’attuale ciclo normale ha approfondito i solchi d’erosione, come risulta dai terrazzi postglaciali. Ampi depositi di materiale morenico hanno in parte colmato le valli; essi si mescolano spesso a un deposito argilloso dovuto al dilavamento delle pendici calcaree. Ma soprattutto copiose sono le alluvioni postglaciali, il cui materiale è stato fornito per la massima parte dai depositi morenici; nella Val Belluna esse hanno la massima larghezza in corrispondenza di Santa Giustina.

    Il versante settentrionale delle Prealpi Bellunesi e la strada che conduce al Passo di San Boldo.

    Le Alpi Agordine col Monte Tàmer.

    Lungo il fondo della sinclinale affiorano, senza allineamento costante, a guisa di dossi che di rado superano i 500 m., i terreni più recenti, spesso coperti dalle alluvioni fluvio-glaciali, specie morene di fondo, che hanno dato luogo a terreni di scarsa consistenza, marnoso-arenacei, tra i quali sono mescolati massi di terreni estranei al bacino (basalti, graniti), convogliati dagli antichi ghiacciai. Il Piave non scorre proprio nella parte mediana della valle, ma è stato respinto verso l’anticlinale minore dagli affluenti di destra, che hanno maggior portata. Poiché la sinclinale bellunese s’incontra verso oriente con quella dell’Alpago e ad occidente (dove si divide in due rami, il principale dei quali devia verso sudovest secondo l’asse della vai di Seren) con quella della Valsugana e dei Sette Comuni, la Val Belluna non risulta completamente chiusa tra le Alpi e le Prealpi, ma, oltre che per mezzo dei solchi tracciati dal Piave e dai suoi affluenti, comunica con le regioni vicine attraverso la Sella di Fadalto (m. 489) e la Sella di Artèn (m. 322), di cui la prima percorsa anche da una linea ferroviaria permette il passaggio alla pianura veneta, la seconda al bacino del Brenta. In coincidenza alla conca di Quero esiste una sinclinale minore, tagliata normalmente dal corso del Piave, limitata dall’anticlinale Tomàtico-Monfenera, la quale sale dolcemente e si fonde col massiccio del Grappa; anche questo corrisponde a un’anticlinale, che essendo asimmetrica spiega il contrasto tra il dolce pendio settentrionale rivolto a Seren e il ripido e scosceso versante trevisano. Anche la conca di Alano-Segusino è dovuta a una sinclinale minore.

    Fin verso la fine del Terziario il Piave seguiva la valle di Fadalto, che si era esso stesso scavata, ma poi, in seguito all’accumulo morenico e alle frane verificatesi presso la Sella di Fadalto, il fiume non potè più riprendere il suo corso e dovette deviare nella Val Belluna e passare per la stretta di Quero scavando il suo letto negli strati cretacei. Si ricollega alla Val Belluna, a occidente della Sella d’Artèn, la valle inferiore del Cismón e i rilievi circostanti. Dal punto di vista tettonico si tratta d’una regione alquanto tormentata che s’innalza nella catena Còppolo-Pavione, presenta una piega a ginocchio in corrispondenza a Lamon-Sovramonte (600-800 m.) s’inarca di nuovo nell’anticlinale Cima di Lan-Monte Avena, per abbassarsi a gradino verso la pianura nella conca di Arsiè. Tra le rocce prevalgono quelle calcaree, stratificate quasi orizzontalmente, che darebbero luogo a un paesaggio monotono, se gli agenti morfologici, acque correnti e ghiacciai, non avessero provveduto a plasmare il rilievo. 11 Cismón (e in minor misura il suo affluente Senàiga) ha scavato una gola profonda, pressoché spopolata, che solo in epoca recente è risalita da una buona strada di grande importanza turistica, che collega la conca di Primiero a quella di Fonzaso. Più in alto, in corrispondenza alla sinclinale di Lamon-Sovramonte, esiste una potente coltre di depositi fluvio-glaciali, livellati in modo tale da formare nel cuore della montagna un vasto ripiano con estese zone pianeggianti, coltivate a mais ed a fagioli, a noci ed a frutteti. La loro origine è con ogni probabilità da metter in rapporto con l’esistenza d’un lago, formatosi quando il ghiacciaio del Piave e le sue morene sbarravano la strada al Cismón, e nel lago il fiume ha deposto i materiali più minuti. Ora il Cismón non percorre la depressione tettonica Arsiè-Fastro, dove sono ancora fresche le tracce lasciate dell’azione glaciale quaternaria, ma incide il rilievo con una gola che lo porta a confluire nel Brenta tra Primolano e Cismón.

    La Sella di Fadalto plasmata dal ghiacciaio plavense. In fondo il lago di Santa Croce.

    La catena del Duranno. In primo piano Valle di Cadore.

    La zona prealpina

    La zona prealpina comprende quella serie di rilievi, alti tra 700 e 2200 m., aventi caratteri morfologici simili tra loro, che si estendono dal Garda alla destra del Piave, separati tra loro da canali stretti e profondi, attraverso i quali i fiumi alpini si aprono la strada della pianura; vi prevalgono forme orografiche meno aspre o assai attenuate, sia perchè le superficie topografiche sono state profondamente intaccate in un passato ciclo erosivo fino a raggiungere forme quasi senili, sia perchè l’erosione attuale è molto attenuata in superficie per lo sviluppo del fenomeno carsico; ivi il rilievo si presenta spesso spianato in altopiani o dolcemente ondulato in ampi dossoni; carattere distintivo di questa zona è pure l’abbassamento dei limiti altimetrici dei fenomeni fisici e biologici, l’assenza o limitata importanza del glacialismo quaternario, la mancanza di rocce di età molto antica.

    Partendo da oriente spetta al Veneto la regione impervia e ancora poco studiata, sita a sinistra del corso del Piave, che costituisce una parte delle Prealpi Gamiche, suddivise nei gruppi delle Prealpi Clautane e dell’Alpago. Le Prealpi Clautane rientrano solo in parte nel Veneto; ad esse appartiene quell’aspra giogaia, in prevalenza dolomitica, diretta da nord a sud, scarsa di passi, in genere molto elevati, che separa le acque che vanno al Piave da quelle rivolte al Tagliamento e al Livenza (attraverso il Cellina), con cime di notevole altitudine, come la Crìdola (m. 2580, a sud-ovest del Passo della Màuria), Cima Duranno (m. 2668) e Cima dei Preti (m. 2703). La linea divisoria tra le province di Belluno e di Udine si sposta dallo spartiacque per lasciare al Friuli buona parte della valle del Vajónt fino al Passo di Sant’Osvaldo (m. 827). Seguono le Prealpi dell’Alpago, che culminano nel Col Nudo (m. 2472). Esse dapprima costituiscono un’elevata muraglia tra Piave e Cellina con poche intaccature percorse solo da pastori e da alpinisti, mentre a sudest la catena limita col Monte Cavallo (m. 2250), che rivolge alla pianura cime rocciose, l’altopiano del Cansiglio, il quale dal punto di vista tettonico assomiglia all’altopiano dei Sette Comuni, dato che risulta una inflessione secondaria che interrompe l’andamento d’una falda anticlinale. Esso si affaccia ripido sia a occidente sulla depressione dei laghi lapisini, sia verso sud dove si estendono ai suoi piedi le propaggini delle colline moreniche di Vittorio. La regione (avente un perimetro di 37 km. e una superficie di 66 kmq.) ha l’aspetto d’un gigantesco cratere con l’orlo esterno intorno a 1300 m. (più alto a levante che a ponente e più a tramontana che a mezzogiorno), dal quale il pendio discende dolcemente verso la parte centrale, costituita da tre piani distinti (del Cansiglio, di Cornésega e di Valmenera), che hanno i loro punti più bassi a m. 941, 882 e 915, a notevole altezza rispetto alle valli esterne. Si tratta di una vasta conca tettonica, col fondo costituito da uno spesso strato di calcari cretacei e giurassici, nella quale hanno avuto grande sviluppo i fenomeni d’erosione carsica. Il Cansiglio presenta un carsismo assai sviluppato; molto limitata risulta l’idrografìa superficiale e le acque vengono assorbite da inghiottitoi naturali sparsi nei piani e sulle falde interne dei rilievi circostanti, di cui alcuni profondissimi (Bus de la Lum, esplorato nel 1924, m. 225); attraverso doline e voragini le acque vengono alla luce ai piedi del rilievo, formando le sorgenti del Livenza e alimentando i laghi Morto e di Santa Croce. Pianeggianti se visti dall’alto, i piani non sono altro che un insieme di doline di varia grandezza, separate da dossi rocciosi o erbosi, in modo da costituire una serie di uvala; se ne contano 64 tra grandi e piccole, dette localmente buse, sperlonghe, piale, lame’, dopo lunghi periodi di pioggia, se gli inghiottitoi non funzionano, esse possono formare dei piccoli stagni. L’altopiano è occupato nella parte mediana da pascoli (9 kmq.), che servono d’estate ai bovini transumanti (come appare dal fatto che vi viene esercitata l’attività casearia), ma di gran lunga più importante è l’attività forestale (bosco demaniale di 54,3 kmq.). Il faggio, che qui predomina (70%), si trova per inversione al di sopra della zona climatica del Picetum; segue per importanza l’abete rosso (20%) e l’abete bianco (10%), che hanno la prevalenza nella parte orientale.

    Vedi Anche:  Agricoltura, allevamento, pesca e caccia

    Malghe, pascoli e il bosco dell’altopiano del Cansiglio.

    A sinistra del Piave il versante meridionale delle Prealpi Bellunesi, rivolto al Trevisano, alquanto ripido, prende il nome, in uso soprattutto nel passato, di Endi-mione. Esso si estende fino al solco occupato dai laghi lapisini e al Passo di Fadalto. Le Prealpi Bellunesi, di cui abbiamo già fatto cenno, presentano la maggior elevazione alla loro estremità (Monte Cesèn, m. 1569, e Col Visentin, m. 1764), mentre nella parte mediana i passi di Praderàdego e di San Boldo permettono agevoli rapporti tra la valle di Soligo e la Val Belluna. La catena è formata da due rilievi distinti, separati dal vallone di vai Mareno.

    Un particolare pittoresco del bosco del Cansiglio.

    S’incontra dapprima il Quartier di Piave (o pianura di Sernaglia), vasto lembo dell’alta pianura terrazzata, declinante uniformemente verso sudest, compreso tra il Montello e le formazioni cenozoiche prealpine. La popolazione vive in grossi centri, tra i quali emerge Pieve di Soligo, allo sbocco della maggiore valle prealpina, quella del Soligo. La popolazione è attirata dalle conoidi torrentizie, in posizione intermedia tra la collina e il piano, dove la falda freatica è poco profonda. L’alta valle del Soligo costituisce una depressione, in parte occupata da laghi (di Lago e di Revine), che prende il nome di vai Mareno. Il rilievo collinoso, che ripete l’andamento delle catene prealpine, assume una disposizione a creste parallele (che hanno localmente i nomi di « corde » o di « coste »), le quali dal Piave si prolungano fino a Vittorio, frazionate in piccoli gruppi. Le colline sono formate da terreni terziari (in prevalenza miocenici), nei quali si alternano rocce di diversa resistenza (calcari e conglomerati calcarei, con arenarie e argille), rialzate fino ad assumere una posizione quasi verticale, indizio che il sollevamento si è prolungato a lungo. L’alternanza dei costoni, coperti per lo più da vegetazione arborea, e delle depressioni coltivate è in rapporto col fatto che i banchi calcarei più resistenti sono intercalati a terreni marnosi di più facile disgregazione, nei quali sono state incise valli trasversali « susseguenti ». Tra il Soligo e il Meschio s’innalzano le colline di Collalto e di Feletto, formate di marne e d’argille, le quali degradano verso la pianura con forme dolci. Tra Meschio e Piave si stende un’altra serie di colline (mioceniche) che dai poggi del Mondragón (m. 437) e del Piei (m. 541) scendono fino alle alture di Conegliano; frequenti appaiono nella zona le tracce di azione glaciale, dovuta all’antico ghiacciaio del Piave.

    La zona del Grappa dalla malga Val delle Foglie.

    La sommità del Monte Grappa.

    A occidente delle Prealpi Bellunesi, l’andamento a catena risulta meno evidente e prevalgono dei rilievi isolati, separati da profondi solchi vallivi: massiccio del Grappa, altopiano di Asiago, Prealpi Schiote, Monti Lessini.

    Il Grappa è un massiccio, ampio circa 400 kmq., che chiude a settentrione la pianura veneta, limitato dalle valli molto incassate del Brenta e del Cismón (a ovest), del Piave (a est) e dal solco Arsiè-Feltre (a nord), al quale si avvicina con uno sprone costituito dal Monte Tomàtico. Nel massiccio troviamo dal basso in alto una serie di terreni a stratificazione quasi concordante che va dalla dolomia del Trias superiore ai calcari e alle arenarie del Pliocene, la quale è stata sollevata e incurvata, in modo da formare un’anticlinale che si raccorda a nord con la sinclinale di Valsu-gana e dei dintorni di Feltre e presenta verso sud una curva a ginocchio. A sud ed a ovest il massiccio si presenta scosceso fin verso iooo m., aspro e accidentato, formato più in alto da un altopiano ondulato con dossi tondeggianti d’aspetto appenninico, mentre verso nord, dove il manto forestale è meglio conservato, e in minor misura verso est, discende più dolce. Dalla cima (m. 1776), aspramente contesa durante i combattimenti del 1917-18 e coronata da un ossario monumentale, si dipartono vari contrafforti e sproni; le valli che vi si interpongono nel tratto superiore hanno pendenza limitata, mentre pervenute presso l’orlo dell’ondulato altopiano si affondano rapidamente nella massa rocciosa (valle Cesilla, di Santa Felicita, del Boccaòr e quelle confluenti nel bacino di Alano). La progressiva erosione è documentata dai terrazzi orografici. Come le altre montagne che si innalzano immediatamente sulla pianura e son battute dai venti umidi meridionali, il Grappa è molto esposto alle nebbie. Scarse le acque superficiali, data la prevalenza di terreni calcarei; esistono infatti molti inghiottitoi (« speloncie » o « caneve »), i quali alimentano copiose sorgenti che vengono alla luce ai piedi del massiccio (fonti di San Nazzario in val di Brenta, del Corlo o Fontanazzi di Cismón, dove ha inizio l’acquedotto di Bassano, fonte di San Liberale in vai Boccaor, che alimenta l’acquedotto di Possagno, ecc.). La parte alta, spesso brulla e sassosa, dove non è coperta dal bosco (che è stato molto danneggiato dalle azioni di guerra), viene utilizzata per il pascolo, che prevale sopra i 1200-1300 metri. All’acqua si provvede per gli animali con pozze, per gli uomini con cisterne, che raccolgono mediante condotti l’acqua piovana caduta sul tetto delle casere.

    Il Montello. A sinistra il corso del Piave.

    Altopiano dei Sette Comuni.

    Nella sezione in primo piano sono figurati i tre grandi complessi rocciosi che formano l’ossatura dell’altopiano: dal basso in alto: dolomia del Trias superiore; calcari bianchi, grigi, rosa e rossi del Giurese; calcari lastriformi, talora con liste di selce e interstrati argillosi (biancone) del Cretaceo inferiore.

    Il Grappa presenta una ripida fronte verso la pianura, alla quale è anteposta una specie di orlatura, varia d’aspetto e di estensione, costituita dalle colline prealpine. Una strada pedemontana, la quale segue una ghirlanda di colline terziarie verdi e amenissime, unisce Bassano a Pederobba, cioè il Brenta al Piave. Gli abitati, protetti dai venti settentrionali dal baluardo montano, si snodano lungo questa « riviera » a breve distanza tra loro: Borso, centro della caratteristica industria delle pipe in legno di ciliegio, Crespano, che conta alcuni opifici tessili, Paderno, sede di frequentati istituti d’istruzione, Castelcucco, Possagno, patria del Canova, Cavaso, nome collettivo che comprende vari centri nei quali l’allevamento bovino dà vita ad alcuni caseifici. A sudest, verso il Piave, la regione collinosa è più estesa e più mossa e il rilievo raggiunge quasi i 500 m. nei Colli Asolani (Collalto, m. 498), vari di sagoma e di mole, formati da poggi, sproni, vallecole, che dànno loro un’impronta ad un tempo ridente e severa. Essi son costituiti da due catene leggermente concorrenti di terreno pliocenico con andamento da ovest a est, più alta l’esterna dell’interna, con prevalenza di puddinghe, arenarie, ciottoli e sabbie.

    Altopiano di Asiago. Veduta su Canove.

    Prosecuzione verso est dei Colli Asolani, separato da questi dalla stretta di Bia-dene, è il Montello, rilievo di modesta altitudine, ampio 60 kmq., che si estende a forma di testuggine allo sbocco del Piave in pianura, completando l’arco di colline che con la convessità rivolta a sud s’adagiano ai piedi del Grappa e delle Prealpi Bellunesi. Esso si eleva quasi isolato sulla pianura trevisana (Collesel Val dell’Acqua, m. 368), a guisa di largo e spianato terrazzo. Fino a pochi anni fa esso era ritenuto la parte residua d’un enorme cono di deiezione, deposto dal Piave alla fine del Terziario, ma recentemente G. Dal Piaz (1943) ha mostrato essere invece il resto d’una anticlinale costituita da conglomerato calcareo del Politico (Miocene superiore). Originariamente la massa petrosa, giallastra e permeabile, la quale consta di brecce di mediocre grandezza e origine, era coperta da un mantello di argille plioceniche e di alluvioni antiche del Quaternario e venne denudata quando ebbe luogo il corrugamento a debole anticlinale, che ha determinato la forma a testuggine. Ora è abbondante in superficie un mantello terroso rossastro, residuo della dissoluzione dei calcari. L’erosione carsica è stata infatti molto attiva (grotte e doline, alcune delle quali terrazzate artificialmente). Per molti secoli il Montello fu coperto da un fitto bosco di roveri, che forniva legname alle flotte veneziane, ma esso fu spogliato del suo ammanto per la devastazione delle popolazioni vicine, per cui lo Stato italiano vistosi impotente a proteggerlo l’ha in parte venduto, in parte diviso (1892) in appezzamenti di circa 2,5 ha. tra coloro che avevano diritto agli usi civici (1224 famiglie) con l’obbligo della messa a coltura. Venne costruita dallo Stato una rete di strade, che appare regolare, per quanto le vie non si siano potute tracciare parallele e rettilinee a causa del suolo accidentato.

    A occidente del Brenta s’innalza imponente l’altopiano di Asiago, che si presenta come un vasto pianoro ondulato, col margine settentrionale formato da montagne disposte ad arco di cerchio, che scendono impervie sulla valle del Brenta e su quella dell’Astico, che lo limita a occidente. Se si prescinde dalle incisioni vallive, il rilievo consta di due immensi gradini, che a grandi linee corrispondono alla struttura tettonica. Il gradino inferiore è conformato a debole sinclinale, nel fondo della quale affiorano i calcari del Cretaceo inferiore (biancone), nei quali il carsismo è poco sviluppato e quindi le sorgenti non mancano, specie dove affiorano le argille, come nei dintorni di Asiago. Il fenomeno carsico è assai più sviluppato nel gradino più alto dell’altopiano, specie al margine settentrionale, dove il fenomeno è più diffuso che nei Lessini e nel Grappa, tanto da dar luogo a un vasto bacino interno (500 kmq.), dove compaiono anche imbuti (pirie, pirioni, lore), buche, pozzi carsici col fondo ripieno di neve o di ghiaccio, valli senza emissario entro le quali l’acqua viene assorbita per ricomparire alla base sotto forma di copiose sorgenti (tra le quali le più note son quelle di Oliero nella vai di Brenta con temperature di 8-io0 e portate non inferiori a 5-7 mc./sec.); l’approfondirsi dei solchi carsici nei calcari liassici ha formato pure dei rilievi col fianco a gradinata e con le sommità piatte (simili alle ambe africane). Delle depressioni soltanto tre costituiscono delle vallate e tra queste la principale è la vai d’Assa, che forma nei calcari un canale ora rettilineo, ora contorto, a sponde ripide, che s’incassa per centinaia di metri al suo sbocco nel-l’Àstico; le altre sono la vai Gàdena e la vai Frénzela, che scendono sul Brenta. Nella parte occidentale dell’altopiano l’acqua assorbita penetra pure in profondità e imbeve il piedestallo dolomitico che viene a costituire un serbatoio idrico naturale, che ha per sfioratore le sorgenti di Camisino.

    Il Monte Pasubio e il rifugio « Papa ».

    Valle e torrente Àstico col Cimone e il Cengio.

    Tra i Lessini e l’altopiano di Asiago s’interpone un rilievo, che presenta caratteri diversi, più arditi, smembrato in gruppi distinti da profondi solchi vallivi, dei quali il più rilevante per altezza è quello del Pasubio (m. 2236), il quale manda verso oriente tra le valli del Pósina, dell’Àstico e del Léogra un lungo contrafforte degradante in altezza, il cui ultimo dosso è quello del Summano (m. 1299) che guarda la pianura tra Schio e Thiene. Il rilievo prende il nome di Prealpi Schiote o anche di Piccole Dolomiti di Schio (denominazione questa che è stata proposta dall’alpinista Antonio Berti) e comprende i bacini del Léogra e dell’Agno con i monti circostanti, compresi quelli di Arsiero, foggiati in parte ad altopiano, mentre nei primi prevale una morfologia a conca.

    Nelle Piccole Dolomiti, il paesaggio risulta diverso soprattutto per ragioni tettoniche (elissoide o anticlinale di Recoaro); infatti il maggior sollevamento associato a precipitazioni più abbondanti ha favorito l’erosione, mettendo a nudo il substrato cristallino, rappresentato dalle filladi quarzifere. Data la presenza di rocce facilmente erodibili (come i tufi di Wengen) le masse dolomitiche hanno assunto forme più marcate, con guglie e torrioni, dando così ai luoghi un aspetto tipico, come, per esempio, nel Sengio Alto (col Baffelàn) e nel gruppo della Carega. Ma in uno stadio morfologico iniziale, quando nel Terziario superiore il territorio emerse dalle acque marine, aveva l’aspetto d’una grande spianata, di cui permangono qua e là delle tracce, raccordabili tra loro. L’approfondimento dei solchi vallivi, data la frequenza di rocce calcaree, portò infatti alla morte di alcune valli a causa dei fenomeni carsici, per cui estese zone poterono conservare, sia qui che nei Lessini, la primitiva morfologia ad altopiano.

    Catena del Baffelàn nelle Piccole Dolomiti.

    L’approfondimento delle valli procedette a sbalzi, per cui si osservano varie superficie, descritte da Fabiani nel Pasubio e da Klebelsberg nei Lessini, una più alta che s’aggira sui 1800-2000 m., non molto diversa dalla superficie tettonica d’emersione; un’altra serie di ampie spianate compare nella zona di Recoaro e del Pasubio in corrispondenza all’orizzonte di Wengen, in terreni eruttivi facilmente erodibili (1000-1400 m.); un terzo ordine di terrazzi compare tra 400 e 800 metri. Diversa dalle zone vicine, e specialmente dall’altopiano di Asiago dove prevale un’idrografia carsica e mancano in superficie le acque correnti, è anche la rete dei corsi d’acqua e la disposizione delle sorgenti. Mentre infatti la dolomia assorbe le acque, i terreni più antichi, come, ad esempio, gli strati di Wengen, sono impermeabili, per cui sono frequenti le sorgenti. Verso il basso l’impermeabilità delle fìlladi quarzifere favorisce la presenza d’una rete idrografica e quindi d’una vegetazione rigogliosa. Nondimeno le acque dei corsi d’acqua principali (Léogra e Timónchio) allo sbocco in pianura scompaiono per l’esistenza di materiali alluvionali grossolani e permeabili, ma poi affiorano di nuovo più in basso, a contatto di alluvioni più minute, sotto forma di grosse sorgenti.

    Veduta dei Monti Lessini da Lughezzano.

    Veduta dei Monti Lessini da Bosco Chiesanuova.

    Ci resta da dire dell’ampia regione collinosa che comprende l’altopiano dei Tredici Comuni, noto anche col nome di altopiano dei Lessini. Questi costituiscono un rilievo, limitato a ovest dell’Adige, mentre a est il confine è meno netto; fissandolo al Chiampo si ha il vantaggio di far rientrare quasi tutto il gruppo nel Veronese. L’orografia ci si presenta radiale, a forma di ventaglio, con la cerniera presso Rovereto e le stecche rappresentate da una decina di dorsali, divise da vallate, alquanto strette, chiamate progni o vaioni (anche vai), di cui i principali sono il Progno di Fumane, con la Valpolicella, la vai Pantena, la vai di Squaranto, il Progno d’Illasi, le valli dell’Alpone. Nella parte inferiore le valli sono terrazzate e i larghi contrafforti tra valle e valle sono superiormente spianati a un’altezza di 900-1200 metri.

    Vedi Anche:  Regioni storiche e amministrative del Veneto

    Vi prevalgono i calcari giurassici, senza forme ardite o troppo mosse (fatta eccezione delle guglie del Fumante nella Cima Posta, m. 2263), che formano un altopiano, ammantato a est da colate basaltiche e porfiriche, con manifestazioni iniziatesi alla fine del Cretaceo e perdurate fino al Terziario inferiore; ivi predomina un paesaggio a linee dolci con vegetazione rigogliosa. L’andamento parallelo delle catene costituisce l’elemento morfologico dominante. Invece la struttura tettonica, pur trattandosi a grandi linee d’una regione a pieghe, è poco mossa, dato che la serie calcarea s’immerge debolmente verso sud con una disposizione grossolanamente conica a grande raggio di curvatura, per cui le valli che decorrono in prevalenza trasversali da nord a sud, secondo tale pendenza sono conseguenti e danno luogo a caratteristiche digitazioni.

    Nei calcari compatti sono diffuse le forme carsiche più comuni (doline, inghiottitoi, campi carreggiati, grotte, ecc.); un esempio di voragine carsica è la Spluga della Preta, che si apre non lontana da Peri, vicino al vertice del Corno d’Aquilio, a m. 1475 s. m., e che coi suoi 637 m. di profondità ha tenuto per un certo tempo il primato tra le cavità carsiche della Terra; essa interessa non soltanto gli strati calcarei cretacei e giuresi, ma continua pure nelle dolomie triassiche sottostanti. Un’altra curiosità naturale dei Lessini è il Ponte di Veja (o Ponte dell’Eva, cioè dell’acqua), che si raggiunge risalendo il vaio della Marchiora, bellissima arcata di roccia giurese, con corda di 52 m., aperta dalle acque nei calcari. Esistono anche località fossilifere, tra le quali è celebre Bolca. Il giacimento, che ha fornito esemplari ai più importanti musei geologici, è ricco soprattutto di Pesci, delle forme più svariate, ma con prevalenza di quelle indo-pacifiche tropicali. Nei calcari a strati sottili i rilievi si presentano sotto forma di dossi arrotondati, coperti di scarsa vegetazione, e le valli sono colme di pietrisco, che tende a franare. Nella parte orientale dei Lessini, tra la valle d’Illasi e quella dell’Agno affiorano dei tufi basaltici e sul terreno di disfacimento la coltura della vite assume notevole importanza.

    Barbarano sui Colli Bérici.

    Arcugnano, nei Colli Bèrici, si trova in posizione pittoresca sopra un’altura, cinta all’intorno da pendii coltivati a vigneti e frutteti. In prossimità si trova il lago di Fimon, tranquillo e solitario.

    I Colli Bérici ripresi dai pressi di Arcugnano.

    La zona subalpina

    La zona prealpina sfuma in quella subalpina, che è formata da rilievi collinari, che da un lato s’insinuano nella zona prealpina, dall’altro mandano delle propaggini nel piano, come è il caso dei Bérici e degli Euganei; tale zona risulta ampia nel Veronese ed invece esigua in corrispondenza del Cansiglio e comprende terreni molto diversi (le lunghe dorsali terminali dei Lessini, i rilievi morenici del Garda e del Meschio, le colline trevisane, il Montello, di cui abbiamo già fatto cenno); essa fa da transizione tra la montagna e la pianura e considerevole è in essa il processo di accumulo da parte dei corsi d’acqua che hanno sepolto sotto le alluvioni i minori rilievi pedemontani o isolato i rilievi maggiori; importanti per la circolazione delle acque sono le conoidi alluvionali, che dànno un’idea della potenza erosiva e di trasporto dei corsi d’acqua. I Bérici si chiamano comunemente monti, ma non sono che colli (Monte Alto, m. 444), disposti da nordest a sudovest, di struttura regolare e un po’ uniforme. Staccati dalle Prealpi, come pure dagli Euganei, da cui distano 8 km., s’alzano nettamente come un’isola orografica sulla monotona pianura, mentre all’interno hanno l’aspetto d’un piano orizzontale inclinato, solcato da valli relativamente larghe e con andamento quasi rettilineo. L’asse maggiore si estende per 24 km. e l’area occupa 250 chilometri quadrati. Data la prevalenza della serie di rocce che vanno dal Cretacico superiore al Miocene nel tufo calcareo corrispondono sviluppati fenomeni carsici. Compaiono pure rocce ornamentali, che hanno dato luogo a Costozza a un’industria estrattiva. I terreni sedimentari alla fine dell’Eocene sono stati traversati da rocce eruttive, che compaiono nei basalti di Bréndola e al santuario del Monte Bérico. Insignificanti sono i brevi corsi d’acqua (Liona); nella parte settentrionale si notano tre laghetti, il Fimon, la Fontega e la Granza. Nei covoli (caverne naturali) e nel lago Fimon (palafitte) sono frequenti le tracce d’insediamento preistorico.

    Nei Colli Euganei bisogna riconoscere un distretto eruttivo autonomo, sia per la prevalenza di rocce trachitiche (anziché basaltiche, come nelle Prealpi vicentine e veronesi), sia perchè l’attività vulcanica è stata probabilmente posteriore. Il fondo originario deve trovarsi molto al di sotto della pianura attuale e mentre ora i Colli sono semisepolti tra le alluvioni, un tempo emergevano come isole dal mare; esisteva infatti un basamento di rocce sedimentarie cretacee, nel quale alla fine dell’Eocene si è avuta un’intrusione di rocce plutoniche. Si sono verificate eruzioni multiple in epoche diverse, come mostra anche il fatto che basalti e trachiti formano potenti filoni nei tufi. Ma il fatto più caratteristico consiste nella presenza di cupole di roccia eruttiva, formanti spesso dei poggi conici o tondeggianti, assai regolari, separati e lontani tra loro, cupole che erano state interpretate come colate d’un grande vulcano (che secondo il Suess avrebbe avuto per centro pressappoco il luogo ove sorge ora il Monte Venda, m. 602), mentre è più agevole spiegarle come intrusioni (laccoliti) avvenute in seno ai sedimenti, che in passato dovevano non solo costituire il basamento, ma anche rivestire gran parte delle masse vulcaniche. Esse sono da ritenersi « grosse digitazioni cupoliformi di un’unica massa lavica profonda, assai densa, di natura trachitica, che ha dato luogo a varie protuberanze, spinte attraverso alla infranta copertura sovrastante » (Dal Piaz). Alle colline manca un allineamento e alcuni coni sono isolati dagli altri (come il Monte Ricco, il gruppo del Ceva, il Cero); l’aspetto è per lo più monotono e uniforme; fa tuttavia eccezione il filone trachitico su cui sorge la rocca di Perdise. La conca del lago di Arquà (ha. 2,6) e quella del lago di Lispida presentano la caratteristica di deprimersi sotto il livello del mare e tale fatto fa ritenere che gli Euganei abbiano avuto un abbassamento, dopo che l’erosione li ha plasmati nelle forme attuali. Interessante è la loro flora, che ricorda a un tempo l’alpina (con citisi, potentille, veroniche, ecc.) e l’appenninica (con lecci, allori, olivi). Migliori condizioni per le colture presentano i terreni calcarei, mentre le trachiti sono coperte di macchia e di castagneti oppure son sfruttate col pascolo. Manifestazioni secondarie di vulcanismo sono le sorgenti termali (fino a 87°) che sgorgano alla periferia e vengono sfruttate ad Abano, Battaglia, Monte-grotto e in altri centri minori.

    I Colli Euganei e la pianura padana da Monte Rua

    La pianura veneta

    La pianura si presenta nel complesso uniforme. Essa risulta, a grandi linee, costituita da un’immensa coltre di materiali che durante l’era quaternaria hanno colmato l’ampio golfo pliocenico adriatico. Ma poiché la deposizione dei sedimenti non dovette esser regolare, in rapporto con movimenti del suolo, con l’assestamento dei materiali e con l’alternarsi dei periodi glaciali, così il terreno risulta dal punto di vista pedologico diverso da parte a parte, con riflessi d’un certo rilievo sulle colture agrarie.

    Anche se morfologicamente uniforme, la pianura presenta poi un paesaggio variato a causa delle acque, che si comportano in modo diverso da parte a parte. Di solito i fiumi depositano i materiali ciottolosi più grossolani e sciolti, a volta fer-rettizzati, all’uscita delle valli prealpine e quelli più minuti (arenarie, sabbie, argille) verso la foce, per cui nella pianura tra il Mincio e il Tagliamento si può distinguere la parte alta a nord della linea delle risorgive, con inclinazione variabile dal 5 al 2 per mille, arida per assorbimento delle acque da parte dei depositi fluvio-glaciali terrazzati e degli elementi grossolani del terreno in prevalenza ghiaiosi; dalla bassa, in genere al di sotto di 50 m., con pendenze inferiori al 2 per mille, con suolo argilloso e poco permeabile, formato da alluvioni minute, sabbiose (ma anche marnose e torbose), dove invece le acque abbondano e hanno pendenza limitata. Le acque affiorano abbondanti lungo la linea delle risorgive, che tuttavia non è continua; infatti il protendersi dei colli di Soave e l’elevarsi dei Bérici separa l’alta pianura veronese da quella vicentina e trevisana. L’alta pianura (Verona 56 m., Thiene 138, Bassano 129) risulta alquanto più elevata della bassa (Legnago 14 m., Padova 12), con inclinazione generale da nord a sud. La pianura è costituita dalla sovrapposizione di strati alluvionali deposti mentre il fondo dell’antico golfo dell’Adriatico andava lentamente emergendo. Un pozzo scavato a Legnago fino a in m. ha trovato sempre alluvioni, torbe, ecc. d’origine fluviale e terrestre; anche i pozzi di Venezia, spinti fino a 172 m., non hanno incontrato depositi marini. La pianura può dirsi conquista quaternaria, per quanto il fondo abbia iniziato l’emersione sullo scorcio del periodo pliocenico.

    Veduta della pianura padana da Monte Bérico.

    I fiumi sboccando in piano hanno deposto sulle alluvioni antiche vasti coni di deiezione, per cui si verifica spesso il caso che un luogo posto in vicinanza del fiume viene a trovarsi più alto di uno situato dove la conoide è più depressa (cosi Bassano è a 129 m. e Marostica a 105; Ponte di Brenta a 16 e Padova a 12; Ponte sul Piave a 70 e Treviso a 55). Allo sbocco dei fiumi in pianura (per es., Brenta e Astico) le conoidi sono spesso terrazzate, in rapporto con variazioni climatiche (intervenute durante le fasi glaciali). Frequenti pure nella zona pedemontana i ripiani diluviali (come quelli di Bussolengo e di Sant’Ambrogio nel Veronese), terrazzamenti aventi caratteristica forma appuntita verso sud, di ampia estensione, sopraelevati di 10-20 m. che degradano verso la pianura con forti pendenze e che sono dovuti ad alternanze di deiezione e di erosione causate dalle variazioni nel regime dei fiumi. Questi hanno inciso il loro alveo a un livello più basso della pianura e colmano coi loro depositi le zone più basse. Il piano generale della pianura durante il periodo diluviale era infatti più alto, ma è stato inciso e terrazzato dai fiumi, che si sono incastrati in esso; le terrazze a lato dei fiumi rappresentano perciò il livello diluviale recente della pianura.

    Il Polesine e la zona lagunare

    Aspetti particolari, che lo differenziano dalla bassa pianura veneta presenta il Polesine, cioè la pianura compresa tra l’Adige e il Po, zona di transizione verso la regione propriamente deltizia. Caratteri e aspetti particolari assume la pianura anche in corrispondenza della zona più prossima al mare, che comprende la cimosa lagunare tra Brenta e Tagliamento. Caratteri comuni della regione polesana e di quella lagunare sono la scarsa altimetria (inferiore a 5 m.), la pendenza limitatissima del terreno, l’abbondanza di acque che si dovettero regolare con argini, canali artificiali e col sistema dei polders (che comporta il sollevamento delle acque con idrovore). Le costruzioni deltizie e la cintura costiera lagunare sono formazioni recentissime che conservano tuttora aspetti anfibi (con presenza di stagni, di paludi, di isole), anche per il fatto che il peso dei materiali fluviali, che tendono a costiparsi e deprimersi, determina un abbassamento della costa, che agisce in senso contrario all’interrimento prodotto dai fiumi, per cui non è raro trovare spazi posti sotto il livello del mare. L’esame delle variazioni dal 1811 in poi, compiuto di recente dal Visentini, ha riconosciuto che le coste subiscono un avanzamento che nel periodo di 125 anni si riassume nella formazione di 82 kmq. di terre emerse. Esso è dovuto al fatto che si tratta di spaggie alluvionali sulle quali sfociano il Po e altri corsi d’acqua. Il compito di distribuzione, sia lungo il litorale che in profondità, è assolto soprattutto dal mare, mentre i fiumi forniscono i materiali che formano la spiaggia. In tutta la loro estensione, che va dalla foce del Tagliamento a quella del Po di Goro, le coste del Veneto si presentano basse e alluvionali, piatte e accompagnate da lagune e disegnano un’ampia curva concava con aggetti sporgenti, che variano di continuo, in corrispondenza al delta del Po.

    Il Po nel Polesine tra Corbola e Taglio di Po.

    Abbassamento del delta padano e centrali metanifere.

    1, linee di egual velocità di abbassamento annuo per il periodo 1951-1957 in centimetri/anno; 2, centrali metanifere.

    In questi ultimi anni e specialmente dopo la disastrosa alluvione del 1951, che invase oltre 100.000 ha. di terreno, il delta padano è stato soggetto a un intenso bradisismo (altri preferisce parlare di fenomeno di subsidenza), tanto da indurre le autorità governative a costituire una grande Commissione di studio, composta di funzionari e di studiosi esperti nei rami dell’idraulica, della geodesia, della geologia i quali hanno preso in esame vari aspetti eseguendo livellazioni geometriche di precisione ripetute di sei mesi in sei mesi, misure gravimetriche di dettaglio, la ricostruzione geologica di diversi orizzonti del Quaternario, il rilevamento topografico del fondo marino in corrispondenza del delta sommerso, l’esame di campioni per riconoscere la composizione dei terreni del Delta, e poi ricerche oceanografiche e studi stratigrafici delle perforazioni eseguite per la ricerca del metano nel basso Polesine. Il delta, che è in continua espansione, è costituito da terreni di recente riporto — e quindi giovani dal punto di vista geologico — i quali avrebbero la tendenza ad abbassarsi. Tale fenomeno è stato messo in luce fin dal 1875, anno in cui l’ingegnere Lanciani confrontò i risultati delle sue livellazioni di precisione con quelle analoghe eseguite trent’anni prima. Il confronto mostrò in maniera indubbia l’esistenza dell’affondamento del delta, che in taluni punti raggiunse allora ben 78 centimetri. L’Istituto Geografico Militare intanto fissò (1884) numerosi caposaldi su chiese, fabbricati insigni, monumenti, manufatti, ecc. determinando le rispettive quote rispetto il livello medio del mare a Genova. Tali misure vennero ripetute nel 1909, nel 1950 e nel 1956. Fra le prime misurazioni e quelle del 1950 si riscontrano abbassamenti di pochi millimetri che arrivano però in talune località a 20 e perfino a 30 cm., con punte anche di mezzo metro a oriente di Adria presso Retinella. I rilievi dell’Istituto Geografico Militare eseguiti dopo l’alluvione del 1951 hanno messo in luce che nel periodo 1950-56 gli affondamenti si sono maggiormente incrementati, raggiungendo valori variabili da pochi millimetri nelle zone più lontane del delta, fino ad una sessantina di centimetri nelle vicinanze dell’asse del Po, e precisamente a Rosolina (65 cm.) ed a Còrbola (74 cm.), cui corrispondono velocità annue di affondamento di circa 12 centimetri. Dalle misurazioni eseguite risulta che il delta può essere paragonato ad una grande conca, la quale affonda tanto più rapidamente quanto più si avvicina all’asse del fiume ed alla linea di spiaggia. Il fenomeno, che naturalmente è molto complesso, dipende da varie cause, tra le quali si sono anche invocate le estrazioni metanifere e l’alluvione del 1951 (che però non raggiunse l’isola di Ariano, dove invece si è verificato l’abbassamento), ma non è agevole dire se il fenomeno dipenda da questa o da quella causa; tanto più che esso va collegato ad un processo geologico di vaste proporzioni che investe tutta la Penisola e più in generale tutta la Terra, e che si manifesta attraverso l’innalzamento del livello del mare in conseguenza della progressiva fusione dei ghiacci delle calotte polari e delle catene montuose.