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Le origini

    Le origini

    La storia politica e sociale della Campania è molto complessa, sia che si consideri la regione intorno al Golfo Partenopeo, più aperta alle influenze esterne, in cui Napoli ha conservato una funzione di primaria importanza, prima come città greca, poi come capoluogo di ducato, e successivamente come capitale del principale Regno d’Italia, sia che si volga lo sguardo alla parte interna, abitata dai Sanniti, uno dei più bellicosi e irriducibili popoli dell’antichità, e occupata dal vasto principato longobardo nel Medio Evo. Perciò non è possibile allontanarsi troppo da una semplice elencazione dei principali avvenimenti che hanno interessato la regione, in quanto l’esame approfondito anche solo di alcuni di essi ci porterebbe lontano dal nostro campo di studio e altererebbe lo scopo precipuo di questo capitolo, che è quello di consentire, attraverso un rapido sguardo retrospettivo, una migliore interpretazione di molti fatti geografici, legati più o meno strettamente alle vicende politiche, economiche e sociali della regione.

    L’Uomo ha lasciato cospicue tracce della sua presenza e della sua attività in Campania sin dai tempi più remoti e converrà a questi risalire per una più chiara comprensione della ripartizione politica della regione agli albori della storia.

    I ritrovamenti archeologici più notevoli si sono avuti nella fascia costiera, intorno al Matese e in parecchie valli interne e vanno dal lontano Paleolitico alle età più recenti. La Sella di Conza e la valle del Sele erano importanti vie di passaggio dal versante adriatico al litorale salernitano e sono state discese da varie ondate di popolazioni nel VII e nel VI secolo a. C. (Piceni, Lucani), mentre il Vallo di Diano e il Cilento hanno risentito gli influssi delle genti della Lucania e del litorale ionico attraverso agevoli valichi. La pianura campana ha accolto influssi culturali appenninici e della valle del Liri: aperta verso il mare e verso nordovest, non poteva sottrarsi alla penetrazione politica, commerciale e culturale di popolazioni venute dal nord (Etruschi) o veleggianti lungo le sue coste ospitali.

    Siano stati per primi i Fenici a risalirle, doppiando i suoi promontori e appoggiandosi alle sue insenature più protette, per rifornirsi e per commerciare, o piuttosto i marinai di Creta, di Micene e di Corinto, come proverebbero i resti della ceramica micenea e protocorinzia, o anche gli Etruschi, a noi non è dato di saperlo con sufficiente chiarezza. Un fatto, però, si può considerare indubbio, soltanto che si tengano presenti i caratteri del litorale tirrenico, ed è che la nostra regione era l’unica ad offrire, specie nel Golfo di Napoli, rifugi sicuri ed abbondanza di rifornimenti e di merci ai naviganti del Mar Tirreno. La sua importanza non poteva sfuggire nè agli Etruschi, nè ai Greci, durante la loro espansione territoriale e commerciale.

    L’occupazione della Campania da parte degli Etruschi, voluta dalla tradizione classica che attribuisce ad essi la creazione di dodici città — non tutte individuate ancora — nella pianura dal Volturno al Sele (la Dodecapoli Etrusca), è stata messa fortemente in dubbio nel secolo scorso, ma la larga diffusione della ceramica etrusca nella fascia costiera e nell’interno, specie dei secoli VII e VI a. C., si potrebbe appunto mettere in relazione con tale conquista della Campania, la quale avrebbe ostacolato i rapporti tra gli empori greci e la regione appenninica. Gli influssi della cultura etrusca sull’arte campana, sull’architettura e sulla toponomastica sarebbero ulteriori prove della presenza degli Etruschi per lunghi periodi nella nostra regione e confermerebbero la tradizione. Solo un dominio effettivo può lasciare tracce così durature. Anche il gruppo consonantico m, che ricorre in vari toponimi (Volturno, Sarno, Imo, Titerno, Salerno, Taburno, Alburno, ecc.), sarebbe derivato dalla loro lingua o, comunque, dalle lingue prelatine della nostra Penisola, delle quali l’etrusco fa parte.

    La storia ci offre una testimonianza della lotta tra Etruschi e Greci per il predominio sul Tirreno attraverso il ricordo della battaglia navale vinta da Cuma con l’aiuto della flotta siracusana nel 474 a. C., che costrinse definitivamente gli Etruschi a ritirarsi dai nostri mari — e forse dalle nostre terre —, lasciando libero il campo ai Sanniti, che si affacciavano minacciosi alla pianura.

    Nel V secolo, infatti, comincia la storia vera per la nostra regione, nella quale troviamo insediati i Greci lungo le coste, gli Osci nella pianura, gli Aurunci o Ausoni nella valle del Garigliano, i Sanniti nelle valli dell’Appennino, i Lucani nella valle del Sele e nel Cilento.

    Colonizzazione greca, penetrazione sannitica e conquista romana.

    Se i Fenici e gli Etruschi non hanno lasciato tracce molto notevoli dei loro insediamenti e del loro dominio sulle coste e nella pianura campana, i Greci, invece, hanno impresso orme assai profonde e durature in parecchi tratti del nostro litorale: la loro cultura superiore esercitava un grande fascino sulle popolazioni della pianura e dell’interno. Essi, sulle rotte già seguite dai loro antenati, forse già dal secolo XI a. C., tentarono la via dell’espansione commerciale e della colonizzazione verso occidente e crearono il primo loro insediamento proprio nella nostra regione, a Monte Vico nell’isola di Ischia (Pithecusae), probabilmente qualche decennio prima della metà del secolo VIII avanti Cristo. Dall’isola al continente il passaggio era agevole, tanto più che si ergeva presso la spiaggia un piccolo colle, adatto alla difesa per la forma e alla costruzione di cunicoli e magazzini sotterranei per la natura prevalentemente tufacea della roccia.

    Sorse così, nella seconda metà del secolo Vili a. C., Cuma, che era destinata ad esercitare una importante funzione politica e commerciale nella zona circostante. Furono forse Greci di Eubea i primi colonizzatori della Campania, che peraltro si considerano anche i più antichi coloni greci in Italia; essi fondarono, dunque, Cuma, estesero gradualmente il loro dominio su tutto il litorale flegreo ed occuparono i luoghi su cui poi sorgeranno Napoli e Dicearchìa (Pozzuoli) ; essi, lungo le coste del Cilento, a Capri e in altre isole, e forse anche sul litorale laziale e toscano, frequentavano le insenature più riparate, creando fattorie commerciali. E sulla loro scia altri gruppi di Greci vennero verso occidente e diedero origine a colonie dalla vita più o meno lunga.

    Nel Cilento famosa fu Elea (Velia), fondata ai margini della pianura dell’Alento verso la metà del VI secolo a. C. dai coloni focesi, che lasciarono la loro patria al tempo dell’invasione persiana. Essi cinsero la città di mura, che resistettero agli attacchi dei Posidoniati e dei Lucani, e vissero una vita politicamente appartata, ma culturalmente molto evoluta, per l’impulso che la scuola eleatica diede agli studi filosofici e matematici.

    Tra i centri greci intorno al Golfo di Napoli meritano di essere ricordati Dicearchìa e Neapolis. La fondazione di Dicearchìa (Pozzuoli) si fa risalire al 528 a. C. per opera dei Sami, i quali furono accolti nel territorio di Cuma. La città, il cui nome significa governo della giustizia e testimonia la suprema aspirazione dei coloni sfuggiti alla tirannia di Policrate, coadiuvò attivamente con Cuma nella lotta contro Etruschi e Sanniti per circa un secolo ed ebbe florida vita. Napoli ha origini incerte: fu forse fondazione cumana e accolse in seguito gruppi di coloni da Càlcide e da Atene.

    Questi centri greci, che in origine preferirono promontori o poggi atti alla difesa, presso piccoli golfi, assunsero presto una importante funzione politica, commerciale e culturale, dati la notevole levatura mentale e lo spirito di iniziativa dei loro abitanti, i quali appartenevano alla classe più colta e ricca nella patria, che avevano lasciata per insofferenza politica o per ragioni belliche. I due centri commerciali di Pozzuoli e di Napoli furono in più diretta comunicazione l’uno con la sezione occidentale del Piano Campano, l’altro con quella orientale e con il Sannio e vennero a trovarsi in antagonismo tra loro. Napoli acquistò presto una floridezza considerevole, fu cinta di robuste mura e si distinse per i suoi commerci e per le molteplici manifestazioni culturali.

    La vita delle città greche continuò abbastanza tranquilla fino alla metà del

    IV secolo, anche se fu turbata talvolta da scontri con gli Etruschi, culminati con la vittoria navale del 474 a. C., la quale accadde forse in un periodo in cui alcuni popoli italici cominciarono ad espandersi e a premere ai confini dell’Etruria, della Campania e alle porte delle città greche.

    Tra i popoli appenninici, che avvertirono l’esigenza di allargare il loro dominio o furono costretti a migrare — subendo probabilmente l’iniziativa di altre popolazioni — bisogna annoverare i Lucani ed i Sanniti. Questi ultimi si affacciarono alla pianura campana forse già nella prima metà del V secolo e vi discesero presto, approfittando dell’indebolimento delle posizioni etrusche, della limitata forza militare degli Osci e dello scarso interesse delle colonie greche per la pianura. Al 445 a. C. risale la conquista di Capua da parte dei Sanniti, i quali estesero nella seconda metà del secolo V il loro dominio a tutta la Campania, occupando Cuma intorno al 421 a. C., assorbendo poi Pozzuoli ed estendendo la loro sfera di influenza a Napoli, in cui l’elemento osco-sannita si associò a quello greco. Da quel momento Capua nell’interno e Napoli sul mare assursero a grande splendore, conservando la loro autonomia; ma anche altre città (Teano, Nola, Nocera) si svilupparono notevolmente, godendo di un lungo periodo di pace. Quando i Sanniti tentarono di riaffermare la loro autorità a Capua, cominciarono le guerre che portarono all’intervento romano in Campania.

    Quasi contemporaneamente ai Sanniti iniziarono la loro espansione anche i Lucani verso le sponde ioniche e verso il litorale del Cilento e investirono presto le colonie greche, che occuparono verso la fine del V secolo e resero lucane per lingua, usi e costumi, assorbendo l’elemento greco residuo. Anche Posidonia fu travolta da tale invasione, che dilagò dalla Sella di Conza e dal Vallo di Diano nella Piana del Sele. Solo Elea resistette agli attacchi, conservando la sua indipendenza e salvò il patrimonio culturale, come fece anche Napoli, che tenne legate a sè le isole di Capri, Ischia e Pròcida.

    Vedi Anche:  Forme di attivita economica, utilizzazione delle risorse del suolo

    Intanto dalle rive del Tevere cominciava l’espansione di Roma a danno dei Latini (inizi del V secolo), degli Equi, dei Volsci e degli Etruschi (seconda metà del

    tranquillità, stringendo relazioni commerciali con i Cartaginesi (348 a. C.), assicurandosi rapporti di buon vicinato con i Sanniti (345 a. C.). Furono forse questa prosperità interna e l’aumento dei bisogni che attirarono l’attenzione dei Romani sulla fertile pianura campana e sui suoi porti, ai quali si dovevano per necessità appoggiare le navi sulle rotte per la Sicilia e per l’Africa. La causa occasionale del loro intervento in Campania si ebbe nel 343 a. C., quando le città di Capua e di Teano, abituate a vivere indipendenti, mal tollerando il dominio dei Sanniti, che essi consideravano quasi barbari, si ribellarono e, essendo state sconfìtte, chiesero aiuto ai Romani. Seguì la prima guerra sannitica (343-41 a. C.), la quale registrò vittorie e sconfitte per entrambi i contendenti e si concluse con un compromesso, che portò alla cessione di Teano ai Sanniti. Le rivolte scoppiate nel Lazio distrassero i Romani per alcuni anni dalla Campania, dove Capua, tradita, passò dalla parte dei Latini. Ne scaturì il secondo intervento dei Romani nella nostra regione, con la conseguente occupazione del Piano Campano e di Cales, Acerra e Pozzuoli.

    Alla reazione dei Sanniti scoppiò la seconda guerra sannitica (327-04 a. C.), la quale registrò nel 321 a. C. la grave sconfitta dei Romani presso la sella di Caudium (Forche Caudine), che mette in comunicazione la pianura nolana con la conca di Montesarchio e con Benevento. I Romani, però, si ripresero presto, riconobbero a Capua la civitas sine suffragio e a Napoli la sua integrità territoriale e la piena autonomia (326 a. C.), ma non l’indipendenza completa. Occuparono quindi il territorio

    dei Sidicini e la media valle del Volturno, iniziarono la colonizzazione dell’Agro Falerno nel 318, investirono Satìcula (Sant’Agata dei Goti) nel 315 e combatterono l’ultima battaglia nel cuore del Sannio, presso Boiano. In quegli anni, durante la censura di Appio Claudio Cieco, si costruì per scopi militari e commerciali il primo tratto della via Appia, da Roma a Capua (314-12 a. C.), che sarà destinata a raggiungere poi Benevento (268 a. C.), Venosa (190 a. C.) e infine Brindisi e a diventare una delle principali arterie dell’Impero Romano. Cospicui gruppi di coloni venivano intanto trasferiti nei territori campani, pugliesi e sanniti.

    La pace con i Sanniti non poteva essere duratura e fu interrotta dopo pochi anni con la loro entrata nella coalizione di Galli, Etruschi, Umbri e Sabini contro Roma, la quale seppe resistere ai vigorosi assalti e concludere vittoriosamente la lunga guerra (298-90 a. C.), lasciando pressoché intatto il territorio sannita, che andava dal Golfo di Salerno alla valle del Sangro.

    La venuta di Pirro in Italia per appoggiare Taranto (280 a. C.) chiamò di nuovo alla guerra i Romani, i quali, approfittando della spedizione del re macedone in Sicilia, conquistarono il territorio dei Lucani e parte della Calabria; ma la battaglia presso Maleventum (275 a. C.), che da quel momento sarà chiamata Beneventum, segnò per i Romani una vittoria che tuttavia non risolse la guerra. Però, essendo

     

    stato il re costretto a rientrare in Macedonia, Roma potè completare l’occupazione dell’Italia e dedurre molte altre colonie latine nel Sannio, in Puglia, in Calabria, a Paestum e in Campania.

    Nel 268 a. C. una parte della popolazione del Piceno fu trasferita nella piana di Salerno e nel territorio di Eboli, dove già in epoca preistorica erano forse immigrati gruppi di loro progenitori, diffondendovi la propria cultura, come testimoniano le recenti scoperte archeologiche a Oliveto Citra e altrove. Con la presenza dei coloni piceni è da collegare il sorgere dell’importante centro di Picentia, di cui rimangono le tracce presso Pontecagnano, sulle rive del Picentino. Nei tempi moderni dai dotti si è indicata come regione dei Picentini la parte della provincia di Salerno alla destra del Sele; ed è quasi dei nostri giorni l’applicazione del nome di Monti Picentini al complesso gruppo montuoso tra la Sella di Conza e Salerno.

    Compiuta la conquista della Penisola, cominciarono gli attriti con Cartagine, che la prima guerra punica non eliminò. Ne derivò perciò la seconda guerra punica (218-02 a. C.), che trovò in Annibale uno dei più valenti condottieri dell’antichità

    e fu combattuta in Italia, e parte in Campania. Annibale fu accolto a Capua nel 216 e conquistò Nocera nello stesso anno, ma non riuscì ad espugnare nè Nola, nè Napoli. La riconquista romana avvenne a gradi e si completò nel 211 con la resa di Capua, che perdette per sempre l’indipendenza e vide trasformate le sue terre in agro pubblico. La pace ritornava finalmente in Campania e nel Sannio, dove i vuoti lasciati nella popolazione dalle continue guerre e rivolte furono colmati con il trasferimento di un cospicuo numero di coloni. La centuriazione che ne seguì ha lasciato tracce nella toponomastica e segni evidenti nel paesaggio della pianura.

    e della Campania e di diventare una delle città più popolose e fiorenti del mondo antico.

    Nel 180 a. C. un cospicuo numero di Liguri, detti Baebiani e Corneliani dai consoli Marco Bebio e Cornelio Cetego, ai quali si erano arresi, furono trasferiti nella parte settentrionale dell’Appennino Sannita (Colle), mentre altri gruppi di coloni agli inizi del II secolo fondavano Salerno, Literno e altri agglomerati, complicando il quadro etnico-culturale della regione.

    Da allora la Campania attraversò un lungo periodo di tranquillità, finché non divenne teatro di un’altra sanguinosa guerra (90 a. C.), questa volta interna, che segnò l’inizio della riscossa della plebe e della sua lotta per la partecipazione alla vita dello Stato e per un equo riconoscimento dei suoi diritti. Fu una guerra sociale, che riaccese in Campania e nel Sannio i rancori contro Roma, non ancora sopiti, e trovò concordi tutti gli Italici nella lotta per il riconoscimento del diritto di cittadinanza. Sanniti e Marsi sotto la guida del valoroso M. Ponzio Telesino minacciarono Roma e solo dopo aspra e sanguinosa lotta furono respinti dal Lazio.

    Siila condusse la guerra di repressione che risparmiò poche città; egli investì in particolare Stabia, Pompei, Ercolano, Nola e altri centri del Sannio (Isernia, Boiano) e ne decimò la popolazione (89 a. C.). La guerra sociale continuò in quella civile (83-82 a. C.) tra Mario e Siila con episodi di grande atrocità. La stessa Roma corse gravissimi pericoli quando M. Ponzio Telesino si avvicinò alle sue mura e fu liberata dopo immane carneficina da Siila, che riuscì a diventare arbitro della situazione. Egli mosse indi verso le città campane e sannitiche ribelli, alle quali toccò una sorte miseranda. Occupò anche Napoli e vi fece una terribile strage (82 a. C.) e, per colmare i vuoti demografici, spaventosi, aperti dalle guerre, richiamò in Campania e nel Sannio molte migliaia di veterani. La romanizzazione avvenne a ritmo accelerato e la lingua latina diventò di uso sempre più generale.

    Napoli perdette il possesso di Ischia, che aveva conservato per secoli, e Pozzuoli prese decisamente il sopravvento come porto commerciale. Cominciava allora la valorizzazione della costa sud-occidentale dei Campi Flegrei, dove sarà attrezzato a Miseno il porto militare del Tirreno, sorgerà a Baia la più grande città balneare e termale del mondo antico e saranno costruite numerose ville per l’aristocrazia romana, date anche le buone comunicazioni con le varie città della Campania e con la stessa Roma.

    Capua era il principale nodo stradale della regione, dato che sorgeva sulla Via Appia ed era collegata con Sinuessa, Teano, Telese, Benevento, Nola, Napoli e Pozzuoli per mezzo di arterie stradali di grande importanza commerciale. Tra queste si distinguevano la Via Consolare Campana e l’Atellana che portavano rispettivamente a Pozzuoli e a Napoli, città ben collegate tra loro e con Sinuessa (Domitiana). Ai lati di tali strade sorgevano numerosi monumenti funerari, di cui si conservano imponenti resti.

    La pace e la floridezza continuarono nella nostra regione per alcuni secoli, nei quali in modo particolare le terre intorno al Golfo di Napoli si popolarono di ville

    e Capri fu preferita sede di soggiorno dell’imperatore Tiberio. Nel I secolo d. C. si verificò anche uno dei più gravi cataclismi che la regione ricordi, con l’eruzione del Vesuvio nel 79, la quale seppellì Pompei ed Ercolano e modificò l’aspetto del vulcano e i lineamenti della pianura del Sarno. E intanto cominciava la diffusione del Cristianesimo, che conta parecchi noti martiri proprio nelle località del Golfo Partenopeo e nella pianura campana, dove erano praticati culti per i più diversi dèi e sorgevano templi per divinità greche e romane, egizie e siriane. La penetrazione della nuova fede avvenne attraverso molte difficoltà, specie a Napoli, dove le catacombe sono una testimonianza duratura del culto cristiano praticato da una parte della popolazione, ma dove il paganesimo conservò a lungo salde radici, dato che, per antica tradizione, si sogliono accogliere nella nostra metropoli le idee nuove per associarle più che per sostituirle alle vecchie.

    Il crollo della potenza di Roma e il nuovo assetto politico della Campania.

    La crisi dell’Impero portò i barbari anche nella nostra regione, la quale subì la prima invasione nel 410 con i Visigoti di Alarico, che arrecarono morte e rovine a tutta Italia. L’onda dei Visigoti, per quanto violenta, durò poco e la pace ritornò ancora per lunghi decenni: fu la calma foriera di più violente tempeste, che cominciarono ad investire l’Italia e la Campania poco dopo che Odoacre ebbe relegato nella villa di Lucullo (Castel dell’Ovo) Romolo Augustolo, che vi morì nel 476.

    Strana sorte quella di Napoli nei secoli! Entra quasi sempre per ultima a far parte degli organismi politici che si formano in Campania o la assorbono; ma, dopo aver accolto le nuove istituzioni, cerca di conservarle il più a lungo possibile. I Napole-

    Vedi Anche:  Il Volturno

    tani hanno appreso purtroppo a proprie spese dalla loro lunga storia la validità del noto proverbio, che consiglia di non lasciare la via vecchia per la nuova, perchè si sa cosa si lascia e non cosa si trova. Questa cautela per le novità politiche può trovare anche una qualche giustificazione storica; ma, se applicata alle altre iniziative cittadine da una classe dirigente, preoccupata solo di conservare una privilegiata posizione, sfruttando la facile rassegnazione delle masse popolari, non può non essere biasimata da tutta la nazione e attribuita a incapacità di inquadrare i gravi problemi sociali, economici ed urbanistici del momento e di dar loro una soluzione adeguata.

    La discesa degli Ostrogoti portò all’instaurazione del Regno di Teodorico in Italia (493); ma, dopo la sua morte, l’uccisione di Amalasunta diede a Giustiniano il pretesto per intervenire nelle cose d’Italia. Cominciava la guerra tra Goti e

     

     

    Bizantini, che fu iniziata con l’assedio e con la conquista di Napoli da parte di Belisario (536) e fu chiusa in Campania con la sconfitta di Teia tra i Lattari e il Vesuvio (553). Napoli, che si era arresa per fame a Totila (543), il quale aveva fatto abbattere le mura, ritornò sotto il controllo bizantino e incominciò ad avere una propria storia.

    fu notevole verso le valli del Volturno e del Garigliano, con la conquista di Venafro, Sora, Arpino, Arce e Aquino, nella pianura campana, con l’occupazione di Capua, Atella, Acerra, Nola e Nocera, e verso Salerno, che fu conquistata nel 646.

    In tal modo il vasto dominio bizantino in Campania si ridusse ad un’esile fascia costiera tra Salerno e Cuma con le isole prospicienti, oltre ad Agròpoli e a Gaeta. Napoli era la residenza del giudice prima e del duca più tardi, l’uno e l’altro nominati dall’imperatore d’Oriente o dall’Esarca di Ravenna. Anche Cuma cadde per breve tempo nelle mani dei Longobardi, ma fu ripresa nel 717 dai Napoletani con notevole sforzo e con gravi distruzioni per quell’antica città, ormai avviata decisamente alla decadenza.

    La Campania attraversò tuttavia lunghi periodi di relativa tranquillità, se si escludono le lotte interne, e potè riparare i danni subiti dalle invasioni. In questi secoli si ebbe l’espansione del Cristianesimo con la conversione dei Longobardi, con l’affermazione delle regole di San Basilio, di San Benedetto e di altri Ordini, che fondarono in Campania numerosi monasteri, tra i quali famosissimo quello di Montecassino, e col diffondersi del culto di San Gennaro, e si svilupparono, d’altra parte, le attività commerciali e culturali.

    Napoli, però, manifesterà presto i sintomi di insofferenza per la dipendenza dall’Esarca di Ravenna e otterrà nel 661 la nomina del duca Basilio dall’imperatore Costante II. Aveva inizio allora la storia del Ducato di Napoli, che si staccherà sempre più da Bisanzio fino ad acquistare la completa emancipazione sotto il duca Stefano II (755-800), il quale, a conclusione di un periodo di incertezze, causate dall’editto di Leone III Isaurico contro le immagini religiose (726), riconobbe l’autorità del Pontefice (763) e diventò vescovo, associando la dignità ducale a quella episcopale.

    La vita del ducato fu resa difficile dai Longobardi, che tra l’8i6 e l’83Ó posero a Napoli sei assedi, e cominciò ad essere insidiata dai Saraceni, i quali fecero la prima apparizione nel Golfo nell’813 e saccheggiarono anche le isole di Ponza e di Ischia. Tuttavia i rapporti tra Napoli e i Saraceni divennero talvolta amichevoli, tanto che furono essi a soccorrere la città nell’836 durante una fortunata campagna di Sicardo, che aveva conquistato quasi tutta la terraferma del ducato napoletano.

    La chiamata dei Saraceni costrinse alla pace i Longobardi e contribuì all’indebolimento della loro potenza, che fu accentuata dalla divisione del ducato beneventano; ma accrebbe nello stesso tempo l’audacia dei Musulmani, tanto che la stessa Napoli, sotto Sergio (840-64), dovette condurre contro di essi una serie di imprese, associando la propria flotta a quelle di Amalfi, Sorrento e Gaeta, che avevano acquistato nella prima metà del secolo IX l’indipendenza.

    Già gli Amalfitani ebbero nell’8i2Ì primi scontri con i corsari saraceni insediati a Punta Licosa, ma le flotte riunite li sconfissero nell’846 e li sloggiarono dal Cilento. Essi, però, ritornarono con una spedizione punitiva, minacciarono Sorrento, devastarono Ischia, attaccarono Miseno e scorrazzarono per la pianura campana, finché non furono affrontati e sconfitti dalle forze associate di Napoli e Sorrento.

    Si diressero allora verso nord, fino a saccheggiare Roma, e poi Fondi e Formia, e non furono arrestati dalla vittoria riportata su di essi dai Napoletani nelle acque di Gaeta (846). Risultò invece decisiva la battaglia di Ostia (849), vinta dalle flotte del pontefice Leone IV e della Lega Campana (Napoli, Amalfi e Gaeta) agli ordini del duca di Napoli, Cesario.

    I successori di Sergio ristabilirono l’amicizia con i Saraceni, i quali controllavano il Mediterraneo occidentale e avevano relazioni commerciali con le città marinare campane. Alcuni gruppi di essi si insediarono alle porte di Napoli, ma respinti, si rifugiarono prima ad Agròpoli (882) e poi si stanziarono alla foce del Garigliano, da dove furono scacciati solo nel 915 dalle truppe collegate del Papa, di Spoleto, di Napoli, di Capua, di Gaeta e dell’imperatore d’Oriente.

    Non v’è dubbio che i successi dei Saraceni e le conseguenti scorrerie sofferte dalla Campania e dalle regioni limitrofe nel secolo IX sono da mettere in parte in relazione con la crisi interna, da cui furono travagliati in quel secolo il dominio di

    Napoli e quello di Benevento, e col loro smembramento in organismi politici minori. Da una parte Amalfi, Gaeta e Sorrento cominciarono a fare vita autonoma e a pensare da sè alla propria difesa, quando Napoli si trovò in difficoltà, e conservarono l’indipendenza fino alla conquista normanna; dall’altra Salerno diventò principato indipendente e a sua volta non riuscì a contrastare l’autonomia di Capua.

    Cessata la minaccia saracena, Napoli corse altri pericoli da parte dei prìncipi longobardi e fu temporaneamente conquistata da Pandolfo IV di Capua nel 1027. Liberata con l’intervento dei Normanni, di cui i primi gruppi si erano già insediati in Campania, dovrà ad essi definitivamente cedere nel 1139 e sarà l’ultima città ad entrare a far parte del grande Stato meridionale, del quale sarà destinata successivamente a divenire capitale.

    Il Ducato longobardo di Benevento, alla morte di Arechi (641), dovette respingere le orde degli Schiavoni che, provenienti dalla Dalmazia, erano sbarcati in Puglia e risalivano le valli dei fiumi adriatici. Di essi qualche piccolo gruppo si rifugiò anche ad occidente dello spartiacque, come prova ancora il toponimo di Ginestra degli Schiavoni nel bacino del Miscano.

    Il successore di Arechi, Grimoaldo (647-62), fu un duca energico e mosse alla conquista dei territori greci, ponendo l’assedio anche a Sorrento. Passato poi egli sul trono di Pavia, il figlio Romoaldo dovette sostenere a Benevento l’assedio dell’imperatore Costante II, venuto in Italia per sollevare le sorti dei domini Bizantini (663), e alla fine ne respinse le truppe. E di quei tempi la conversione dei Longobardi al Cattolicesimo per opera di San Barbato, preludio allo sviluppo del monachesimo, che portò alla fondazione della badìa di San Vincenzo presso le sorgenti del Volturno intorno al 683 e alla ricostruzione di quella di Montecassino che era stata distrutta: entrambe le badìe attraversarono un periodo di grande splendore nel secolo VIII. La conversione accelerò, inoltre, la fusione dei Longobardi con l’elemento locale e ne mescolò maggiormente le lingue. Sorse allora la celebre Chiesa di S. Sofia iniziata da Gisulfo II e completata da Arechi II nel 762. Il Chiostro è uno dei più insigni monumenti medioevali (sec. XII) della Campania.

    Sotto Romoaldo il dominio longobardo di Benevento si estese notevolmente in Puglia con la conquista di Bari, Taranto e Brindisi e sotto i successori si riaccesero le mire espansionistiche ai danni del ducato romano e di quello napoletano. Ai primi dell’VIII secolo raggiunse la massima espansione e fu diviso in 32 distretti

    0 gastaldati; ma col tempo aumentarono di numero le contee e si moltiplicarono

    1 conti, tanto che in Campania se ne contavano una quindicina: Teano, Carinola, Calvi, Caiazzo, Alife, Telese, Valva, Capua, Cemeterio, Sarno, Rota, Salerno, Conza, Montella, Avellino, oltre a quelli del Cilento (Capaccio, Cornuti, Cilento).

    culturale e commerciale; ma questo primato non durerà a lungo, perchè altre città reclameranno presto una parte della sua potenza.

    Sicone (817-32) ritentò la conquista dei ducati costieri indipendenti, ma senza successo, mentre maggiore fortuna ebbe suo figlio, Sicardo (832-39), il quale riuscì ad occupare Amalfi (838) e assediò ripetutamente Napoli (835), che però fu soccorsa — come si è detto — dai Musulmani. Sotto il suo governo si acuirono i contrasti tra l’autorità centrale e i conti e, dopo la sua morte violenta, scoppiò la guerra civile che presto portò alla formazione di due principati (847), uno con capitale Benevento, retto da Radelchi, l’altro con capitale Salerno sotto il principe Siconolfo. Ne approfittò Amalfi per riconquistare l’indipendenza perduta l’anno prima.

    Nella guerra i contendenti si avvalsero anche dei Saraceni, i quali si insediarono nell’842 a Bari ed a Messina, come avevano tentato di fare a Napoli e come fecero effettivamente nel Cilento e nella valle del Garigliano. Il controllo dello Stretto di

    Messina li rese più audaci, perchè consentì loro di vietare il congiungimento della flotta dell’imperatore d’Oriente con quelle delle città marinare tirreniche: dalle opposte sponde essi penetrarono varie volte nell’interno per il valico di Conza, per la conca di Benevento, per Isernia e Boiano, e vi portarono distruzioni e stragi.

    La Lucania, parte della Puglia e il territorio della Campania a sud dei Picen-tini e ad ovest di Montevergine, dei Tifata e del Monte Maggiore furono assegnati a Salerno; il resto costituì il nuovo Principato di Benevento. La città di Salerno, già munita di un castello sotto Arechi II, cominciò ad assumere la funzione di capitale di uno Stato dalla figura bizzarra, che si allungava dal Golfo di Taranto fino alla valle del Liri attraverso i Picentini, l’Avella e l’Agro Nolano, ed ebbe un notevole sviluppo demografico ed urbano.

    Vedi Anche:  la pianura campana

    luoghi di loro residenza e diedero perciò un’impronta urbanistica di notevole importanza ai principali centri interni.

     

     

    La rete stradale dei tempi antichi risultò sempre più inadeguata per le esigenze del dominio longobardo e dovette essere integrata con nuove strade di collegamento tra i centri principali, che erano Salerno, Benevento e Capua. La valle dell’Imo costituì il solco naturale per un’importante arteria, che si originava a Salerno e si biforcava a Rota (Mercato S. Severino), per raggiungere Benevento, via Avellino, e Capua, via Sarno e Nola.

    Nei secoli IX e X si assistè al lento sfacelo degli stati longobardi, accompagnato da rovine e calamità e dalla penetrazione in essi di elementi stranieri. Solo raramente alcuni conti trovarono un accordo e agirono in comune, conseguendo temporanei successi contro i Saraceni, che furono finalmente scacciati nel 915 dal Garigliano e da Agròpoli, dove si erano insediati nell’882. Il disordine continuò.

    Un fortunato tentativo di riunire i territori dello smembrato principato longobardo fu fatto nel 900 da Atenolfo I, conte di Capua, il quale si impadronì di Benevento e fu il primo dei prìncipi capuani. A questi altri ne seguirono con i successori e furono coronati da successo sotto Pandolfo I, detto Capodiferro (961 -981), il quale nel 977 divenne unico capo dei territori longobardi. Si trattò, però, di un’unione temporanea, perchè alla morte di lui si attuò, per sua volontà, la divisione del dominio ai due figli. Amalfi con Mansone III si impadroniva con un colpo di mano di Salerno, che riuscì a mantenere per un triennio, e iniziava un periodo di grande fioritura commerciale.

    Le lunghe e frequenti lotte interne, sostenute spesso con bande di mercenari, avevano originato l’immigrazione nell’Italia meridionale di gruppi di avventurieri, tra i quali cominciarono presto a distinguersi i Normanni, che si inserirono con energia nel travaglio interno dell’esausto dominio longobardo e favorirono attivamente il processo di rinnovamento col tramonto delle autonomie locali.

    Il fervore religioso, rinnovandosi con i pellegrinaggi e con le spedizioni in Terra Santa, non risparmiò neppure i principi e i signori locali, parecchi dei quali favorirono la fondazione o la ricostruzione di monasteri e di chiese e furono prodighi di donazioni. Tra tutti si distinsero i principi di Salerno, e in modo particolare Guaimario IV, che usò particolare generosità verso i monasteri di S. Barbara a Novi e di S. Michele a Montoro e verso l’eremo di Cava del monaco Liuzio, che si può considerare il nucleo originario della famosa Abbazia della Trinità.

    Il fenomeno interessò tutta la Campania, i grandi come i piccoli centri e molti luoghi isolati, e provocò una notevole fioritura dell’architettura sacra, accanto a quella profana, creando una schiera di tecnici, destinati a moltiplicarsi ed a perfezionare la loro arte muraria, come testimoniano gli insigni monumenti medioevali disseminati nella nostra regione.

    Salerno, Amalfi, Ravello e parecchi altri centri, dove affluirono cospicui capitali dalle campagne o per le attività commerciali, andarono assumendo una fisionomia inconfondibile, soprattutto con l’equilibrato impiego dell’arco e della volta, e si arricchirono di elementi formali e strutturali, che si tramanderanno sino ai nostri giorni, non solo nell’architettura sacra ed aulica, ma anche nelle modeste case dei pescatori e dei contadini.

    I Normanni e Funificazione dell’Italia meridionale.

    con una schiera di parenti e di amici, con i quali fu accolto nel Principato di Capua. Una parte di essi proseguì per Salerno e un’altra parte fu reclutata nel 1017 da Melo di Bari, il quale sosteneva in quegli anni un’aspra lotta per la cacciata dei Bizantini dalla Puglia.

    La discesa degli eserciti di Enrico III, che venne a ristabilire l’autorità imperiale sui signori longobardi d’Italia, come in precedenza avevano fatto vari altri suoi predecessori, indebolì ulteriormente l’autorità dei prìncipi e dei conti. Gli attriti coi signori locali non mancarono, ma i Normanni, inserendosi spesso nella lotta, ne trassero cospicui vantaggi e riuscirono a crearsi una sede ad Aversa (1026) col consenso di Napoli, che l’anno successivo da essi fu difesa contro Capua: Rainulfo divenne conte di Aversa e richiamò altri gruppi di Normanni agli ordini dei figli di Tancredi di Altavilla.

    Gli attacchi di Capua alla badìa di Montecassino determinarono l’intervento dell’imperatore Corrado, che riconobbe Aversa come feudo normanno e concesse il Principato di Capua a Guaimario V (1028-52) di Salerno, il quale con l’assistenza dei Normanni aveva assicurato una grande tranquillità al suo Stato e aveva reso Salerno florida per i commerci e per la cultura. Egli conquistò anche Amalfi e Sorrento nel 1039 e Gaeta l’anno successivo, ma terminò i suoi giorni con una morte violenta, che portò al potere Gisulfo, il quale fu l’ultimo principe longobardo.

    Di lui il normanno Roberto il Guiscardo, eletto conte di Puglia nel 1057, sposò la sorella Sichelgaita, acquisendo con il parentado il diritto di prendere parte più attiva negli affari longobardi, specie dopo le fortunate campagne in Puglia, in Calabria e in Sicilia. I rapporti tra il Guiscardo e Gisulfo divennero presto molto tesi e culminarono nella lotta aperta, che si accentuò quando i Normanni presero sotto la loro protezione Amalfi (1073) e si concluse a loro vantaggio con la conquista di Salerno nel 1077.

    Salerno assurse allora a capitale dell’Italia meridionale, che era ormai in gran parte sotto il controllo dei Normanni, e conobbe un periodo di ulteriore splendore per il fasto della corte normanna, per la fama della scuola medica, per l’attivarsi dei commerci e per lo sviluppo dell’artigianato e di alcune attività industriali, sicché la città in piena floridezza e in grande fervore di vita, potè accogliere i nuovi arrivati senza grandi scosse e favorire l’amalgamazione della sua eterogenea popolazione.

    I vari fratelli del Guiscardo ed altre personalità normanne avevano preso possesso delle principali città, assumendone la dignità comitale. Tra di loro si distinsero il conte di Aversa e quello di Puglia, i quali da Enrico ebbero l’investitura ufficiale, e non solo dei territori tolti ai Greci, ma anche di quelli di Benevento, ad eccezione del capoluogo e delle sue vicinanze, che nel 1051 furono concessi al papa Leone IX, di origine tedesca e legato all’imperatore.

    Da allora cominciano i diritti della Chiesa di Roma su Benevento e sulla sua valle e gli attriti con i Normanni, i quali tuttavia furono investiti dallo stesso papa Leone IX, poco prima di morire (1054), della Puglia, della Calabria e delle future conquiste in Sicilia, come feudi dipendenti dalla Chiesa. L’occupazione di Reggio aumentò il prestigio del Guiscardo, il quale dal 1059 assunse il titolo di duca di Puglia e di Calabria, dato che per Calabria si cominciò da allora ad indicare la parte più meridionale dell’Italia e non più la Penisola Salentina.

    Poco dopo anche Capua fu conquistata dai Normanni di Aversa (1062), sicché cadevano in tal modo sotto il loro controllo le varie parti del dominio longobardo, di cui le divisioni e le lotte interne avevano gradatamente affrettato la fine, mentre l’aiuto dei Normanni ne aveva prolungato l’agonia, interrotta di tanto in tanto da temporanee riprese.

    II Guiscardo mosse, quindi, contro la Sicilia e ne conquistò la parte settentrionale, poi riprese la lotta contro i Greci, ponendo l’assedio a Bari, che gli aprì le porte dopo una strenua difesa (1070). Intanto Ruggero, fratello di Roberto, continuava la sua azione in Sicilia, ove venne a dargli man forte anche il Guiscardo per

    l’espugnazione di Palermo (1072), e diventava conte di Sicilia, scacciandone definitivamente gli Arabi. Il Guiscardo intraprendeva, infine, una campagna nell’Oriente; ma gravi avvenimenti interni lo richiamarono presto in patria, dove morì nel 1083.

    Alla sua morte quasi tutta l’Italia meridionale e la Sicilia erano state conquistate: rimanevano la sezione sud-orientale dell’isola, che cadrà per opera di Ruggero nel 1091, e il Ducato di Napoli. Benevento è ormai destinata ad essere riconfermata alla Chiesa ad ogni nomina di duca o incoronazione di re.

    fu incoronato re della Sicilia nel 1130; mosse indi alla conquista dei territori del ducato napoletano e riuscì ad entrare finalmente in Napoli nel 1140.

     

     

    La storia del ducato, che aveva attraversato periodi di grande splendore e aveva tenuto testa ai Longobardi e ai Saraceni, si chiuse con questo dramma finale. La città, entrata a far parte di un grande e forte organismo politico, ebbe una funzione secondaria rispetto a Palermo, che fu la capitale del regno, ma conservò una certa autonomia, ottenne numerosi privilegi e diventò il porto della Campania, sostituendosi alle minori città commerciali.

    Ruggero (1128-54) dovette lottare contro i signori feudali, alcuni dei quali erano molto potenti e contrastavano l’autorità regia, aiutati in ciò dal Papa e da Pisa. Gravi furono, infatti, alcune incursioni pisane nelle città costiere, ma l’autorità del re si affermò e diede unità al vasto dominio conquistato dai Normanni, dopo di aver ottenuto l’investitura del regno da Innocenzo II, al quale riconfermò il possesso di Benevento (1139). La pace fece sviluppare le arti e il commercio e la popolazione aumentò nelle campagne e nelle città, delle quali alcune ritornarono all’antico splendore, altre si arricchirono di monumenti e di castelli.

    Sotto i successori cominciarono gli assalti da parte dei baroni, dell’imperatore d’Oriente, del Papa e del Barbarossa. Essendo anzi questi, malgrado i suoi insuccessi militari, riuscito con un’abile mossa politica a far sposare suo figlio, Enrico, con la unica ereditaria normanna, Costanza (1186), gli Svevi si apprestavano a subentrare ai Normanni nell’Italia meridionale.