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La popolazione della Campania dopo l’unificazione dell’Italia

    La popolazione della Campania dopo l’unificazione dell’Italia

    L’impresa di Garibaldi fece rientrare nel nuovo Stato italiano sia il Regno delle Due Sicilie, sia i territori pontifici di Benevento e di Pontecorvo. Il riordinamento amministrativo, che seguì in Campania con la creazione della provincia di Benevento, interessò non soltanto il territorio della Terra di Lavoro e del Principato Ulteriore, ma anche il Molise e la Capitanata, che furono costretti a sacrificare parecchi loro comuni per la formazione della nuova provincia.

    La Campania si ampliò a nordest e la sua popolazione si accrebbe per tali annessioni, oltre che per incrementi naturali. Si spiega in parte così la grande differenza tra il numero degli abitanti della regione alle due date del 1816 e del 1861: l’aumento della sua popolazione entro i confini attuali risulta notevolmente minore.

    E agevole seguire le variazioni demografiche della Campania per quest’ultimo secolo attraverso i dati di dieci censimenti, avvenuti ad intervalli abbastanza regolari. La popolazione residente della regione si è raddoppiata nel corso degli ultimi cento anni, passando da 2.385.031 ab. nel 1861 a 4.756.094 nel 1961, ma il ritmo d’incremento ha subito sensibili oscillazioni nelle diverse epoche e per le varie province, come è possibile dedurre dall’apposita tabella. Il fenomeno assume andamento molto diverso tra il primo e il secondo cinquantennio del secolo. Nel primo, infatti, essa è aumentata solo del 30%, a causa del forte movimento emigratorio e dell’alta mortalità; nel secondo l’aumento è stato del 53%, sebbene il flusso emigratorio non sia cessato del tutto, le guerre abbiano fatto molte vittime e si sia registrata una sensibile riduzione della natalità.

    Nella seconda metà del secolo scorso l’economia italiana rimase pressoché stazionaria nel senso che il reddito per abitante subì aumenti modestissimi ed il tasso di sviluppo economico fu quasi uguale a quello demografico. Per le note vicende dell’economia meridionale, di cui si è fatto cenno nel capitolo storico, la nostra regione attraversò una fase involutiva e registrò un tasso di sviluppo economico inferiore a quello demografico. Da ciò l’aumento della povertà e della disoccupazione e il bisogno di cercare altrove lavoro e fortuna.

    Mentre il secolo scorso fu caratterizzato dalla crisi dell’attività industriale della Campania e da pochi sintomi di ripresa della sua agricoltura, nel nostro si è andata attuando una graduale industrializzazione, prima intorno al Golfo Partenopeo e nella Piana del Sarno, più recentemente nel Salernitano, nel Casertano e nel Nolano e sono state realizzate grandiose opere di bonifica integrale.

    Il risanamento delle pianure litoranee tirreniche ed adriatiche ed il loro appoderamento hanno ridotto il fenomeno della transumanza, e di conseguenza le entrate specialmente per le popolazioni dell’Appennino Sannita e del Cilento, che si dedicavano al pascolo del bestiame nelle zone di pianura e traevano da tale loro attività le principali fonti di reddito. La bonifica ha portato al prosciugamento delle aree acquitrinose in pianura e nelle conche carsiche, alla colmata di alcune di esse, alla diffusione dell’irrigazione, alla coltivazione e al popolamento delle terre migliori dal punto di vista agrario. La costruzione di strade litoranee sta, inoltre, favorendo la valorizzazione turistica e balneare di tutta la fascia costiera dalla foce del Gari-gliano a Sapri.

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    Bonifiche, industrializzazione e attività terziarie hanno richiamato nelle pianure costiere un gran numero di persone, come provano le variazioni di popolazione verificatesi in quest’ultimo cinquantennio nelle province di Napoli (70%), di Salerno (55%) e di Caserta (49%), nelle quali nel cinquantennio precedente esse erano state molto più modeste (Napoli, 48%; Caserta, 23%; Salerno, 7%).

    Il contrario è avvenuto per le province interne, dove nella prima metà del secolo dell’Italia unita si sono avuti aumenti del 23% e del 18% rispettivamente per Benevento e per Avellino, e nella seconda metà variazioni positive del 18% e dell’i 1%. L’equilibrio tra popolazione e risorse, pur con tendenze diverse nelle varie province e in tempi differenti, è andata riacquistando naturalmente una maggiore stabilità.

    Si è verificata una discesa dal monte al mare e alla pianura, dove sono sorti nuovi agglomerati, prendendo talvolta il posto di quelli abbandonati nel Medio Evo. Lungo la costa del Cilento si sono andate formando e ripopolando le marine, come è avvenuto in maggior misura nella Calabria; nelle pianure sono sorti centri nuovi e vere città (Battipaglia) o si sono ingrandite e differenziate economicamente alcuni di quelli vecchi (Mondragone, Aversa, Casoria, Pontecagnano).

    Nelle parti montuose interne della regione la situazione è molto diversa e la pressione demografica è quasi dappertutto eccessiva. Il fenomeno non è recente. Da esse parte un flusso emigratorio di considerevole consistenza, temporaneo e definitivo, che si originò nel secolo scorso ed è continuato intenso nel nostro, accentuandosi negli ultimi decenni. Esso assume aspetti preoccupanti in alcune zone, perchè la montagna e la collina si spopolano continuamente, ed ha profonde ragioni psicologiche ed economiche.

    Infatti, mentre nel nostro paese il reddito per abitante ha raggiunto in questo secolo valori abbastanza elevati, la Campania, come le altre regioni del Mezzogiorno, ne registra uno ancora molto basso. Esso risulta i due terzi di quello nazionale per tutta la regione, ma se consideriamo separatamente le sue province troviamo delle differenze assai considerevoli. Quelle di Benevento, di Avellino e di Caserta sono da annoverare tra le più povere d’Italia, sebbene abbiano registrato nel corso del decennio 1953-62 un aumento del reddito prò capite variabile tra 75 e 110%, in parte dipendente dal diminuito numero degli abitanti.

    Vedi Anche:  le grotte

    oltre 2000 ab. per kmq., è senza dubbio eccessiva, anche in considerazione della montuosità di alcune sue parti, e trova riscontro solo in pochissime altre regioni del mondo. Per i territori provinciali di Caserta e di Salerno gli aumenti maggiori sono stati registrati nelle zone valorizzate dall’agricoltura e dall’industria, mentre la montagna ha cominciato a spopolarsi. Il fenomeno ha assunto negli ultimi decenni una maggiore intensità e merita di essere ulteriormente illustrato.

    La variazioni demografiche più recenti.

    La popolazione della Campania è il 37% di quella del Mezzogiorno peninsulare ed è aumentata del 35% nell’ultimo trentennio, ma quella delle diverse province ha subito variazioni che si aggirano intorno alla media regionale, per Salerno e Caserta sono molto inferiori ad essa per Avellino (12%) e per Benevento (9%) e sensibilmente superiori per Napoli (45%). Questi valori provinciali hanno un limitato interesse geografico per la diversa intensità del fenomeno nelle varie parti delle singole province. Perciò sono stati costruiti appositi cartogrammi che hanno lo scopo di illustrare la distribuzione spaziale di esse nella regione e si riferiscono uno al ventennio 1931-51, l’altro al decennio compreso tra i due ultimi censimenti.

    La bonifica delle pianure e la valorizzazione della zona costiera sono state accompagnate tra il 1931 e il 1951 da considerevoli aumenti della popolazione, che le percentuali mettono maggiormente in evidenza quando i valori base sono piuttosto bassi, come nella Piana del Sele e in quella del Volturno. Le pianure tutte, le valli e le conche interne e alcuni tratti del litorale si distinguono per la forza di richiamo e registrano variazioni positive di oltre il 25%, ma in certi comuni risultano anche superiori al 100% (Cancello Arnone, 106%; Pastorano, 118%; Carinaro, 189%; Battipaglia, 111%). In altri (Pozzuoli, 53%; Boscotrecase, 99%; Poggioma-rino, 98%; Telese, 63%; Benevento, 32%; Avellino, 35%; Èboli, 58%; Salerno, 49%; Aversa, 37%; Napoli, 21%) le variazioni percentuali risultano piuttosto basse, perchè i valori con i quali avviene il confronto sono molto alti, mentre quelle assolute hanno senza dubbio maggiore importanza.

    La parte collinare e montagnosa è interessata da aumenti del 10-25%, assai considerevoli rispetto alle sue possibilità economiche, che per di più sono rimaste pressoché stazionarie nel ventennio considerato. Alcune limitate zone interne già davano i primi segni della rottura dell’equilibrio tra sviluppo demografico ed economico, alimentando una corrente emigratoria superiore all’incremento naturale della popolazione. La perdita delle giovani leve comincerà presto a riflettersi sulla natalità, che ha subito una graduale riduzione.

    Il cartogramma relativo alle variazioni della popolazione tra il 1951 e il 1961 mette in luce da una parte il richiamo, che ha esercitato tutta la zona pianeggiante e litoranea, ulteriormente valorizzata dal punto di vista economico, e dall’altra l’azione repulsiva delle zone collinari e montuose, dove in precedenza si era instaurato uno squilibrio tra popolazione e risorse. Questo è stato maggiormente avvertito con la diminuzione del reddito prodotto dall’allevamento del bestiame, col miglioramento delle condizioni economiche generali, con l’elevazione del tenore di vita e col moltiplicarsi dei bisogni, con l’aumento della richiesta di mano d’opera dall’interno e dall’estero e con altre cause.

    Vedi Anche:  preappennino campano

    La montagna e la collina si spopolano rapidamente, tanto che le province di Benevento e di Avellino hanno perduto in un decennio oltre 40.000 ab. (Benevento, — 5,4% della sua popolazione; Avellino, —4,6%) e il Cilento più di 5000. Se si escludono i territori comunali del capoluogo, di Telese e di qualche altro centro, la provincia di Benevento ha subito ovunque riduzioni di popolazione, e in qualche caso assai considerevoli (Molinara, — 24%). L’Irpinia registra riduzioni percentuali anche più forti (Savignano, — 27%) e aumenti quasi soltanto nel capoluogo e nelle valli rivolte alle pianure.

    Il Matese, il Roccamonfina e il Monte Maggiore sono aree eli spopolamento (Gallo, — 29%), come pure quasi tutto il Cilento e il Vallo di Diano, per un’agricoltura povera e per il diminuito valore dei prodotti dei boschi (castagne).

    La zona costiera e pianeggiante si è distinta, invece, per il forte incremento demografico, dato che in essa si sono insediate quasi tutte le 400.000 persone, di cui si è accresciuta la popolazione della Campania. Le variazioni negative hanno poca importanza o sono collegate a fenomeni eccezionali, quale l’alluvione del 1954 nel Salernitano, che spiega le riduzioni della popolazione di alcuni comuni del versante amalfitano della Penisola Sorrentina (Maiori, — 12%). Le variazioni positive raggiungono valori molto cospicui (Battipaglia, 54%; Salerno, 30%; Casoria, 33%; Pòrtici, 43%; Napoli, 17%) e sono in relazione col grande sviluppo economico di parecchi popolosi comuni. Gli aumenti maggiori si sono registrati in una zona a semicerchio intorno alla città di Napoli e alla periferia delle colline flegree, dove l’industrializzazione è stata più rapida ed ha assunto maggiore consistenza. Non si può, infine, non segnalare l’eccezionale sviluppo di Pompei per molteplici ragioni, tra le quali non secondarie quelle turistiche e religiose. La sua popolazione si è raddoppiata nel giro di un trentennio.

    In sintesi, possiamo riconoscere nella nostra regione due grandi zone dal comportamento opposto: una interna passiva, che è destinata ad ulteriore spopolamento per riacquistare l’equilibrio tra risorse e popolazione, il quale è andato perduto da tempo e può essere ristabilito solo in un clima di maggiore adeguamento alla nuova realtà economica, l’altra costiera attiva, in cui la popolazione è in continuo aumento, ma non ovunque con un ritmo proporzionale allo sviluppo economico, per cui l’equilibrio instabile attende ulteriori e continui miglioramenti.