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Le principali modificazioni del paesaggio agrario della Campania

    Le principali modificazioni del paesaggio agrario della Campania

    Lo sfruttamento delle risorse del suolo è stato sin dai tempi remoti l’attività più importante nella vita economica della Campania, come prova anche il fatto che una parte ancora considerevole della sua popolazione attiva (34%) è addetta all’agricoltura (1961). L’allevamento del bestiame e la coltivazione dei campi nella nostra regione risalgono ad età assai remote ed hanno prodotto trasformazioni sempre più estese e profonde dei suoi paesaggi agrari. Ciò non solo per la distruzione delle formazioni vegetali spontanee originarie e per la loro modificazione con l’introduzione di specie più utili o con l’eliminazione di quelle inutili o dannose, ma anche per la diffusione di colture di provenienza assai diversa e per l’instaurazione di rapporti sempre cangianti tra la natura e l’Uomo, a causa delle multiformi attività di questi.

    Sin dagli albori della storia si possono riconoscere in Campania una zona collinare e montuosa, in cui predominavano i boschi e i pascoli e l’attività degli abitanti era fondata essenzialmente sull’allevamento del bestiame e sullo sfruttamento del bosco, e una pianeggiante con estese coltivazioni e zone pascolative, in cui la fertilità del suolo e la varietà delle colture erano tali da giustificare l’attributo di felix che gli autori latini associavano al nome della Campania.

    La policoltura propria dei paesi mediterranei si affermò sulle colline e nelle pianure intorno al Golfo di Napoli: la vite e l’olivo erano le piante legnose più significative del paesaggio agrario antico, rivestivano le colline della Penisola Sorrentina, le pendici del Vesuvio, del Màssico e dei rilievi preappenninici e le colline flegree, e penetravano addentro nelle valli appenniniche, preferendo i versanti esposti a sud. Il Sorrentino, il Gaurano e il Falerno erano vini molto noti; gli alberi da frutta (meli, peri, susini, noci) coprivano estese aree collinari e pianeggianti specie intorno ai centri abitati e davano un prodotto molto apprezzato, come ben testimoniano le lodi che Virgilio ne fa nelle Georgiche.

    Tra le colture erbacee maggiore superficie occupavano il frumento, alcuni altri cereali minori (farro) e le leguminose. Il lino era presente nella pianura campana; le colture orticole erano ben rappresentate nelle zone irrigue e intorno ai maggiori centri abitati e alimentavano un certo commercio verso Roma.

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    Il trasferimento dei veterani nella Campania, nel Sannio e nella valle del Sele portò all’espansione delle colture nelle pianure, nelle valli più ampie e sulle colline più fertili, ma i rilievi maggiori erano ammantati per la maggior parte da boschi, in cui si inserivano estese aree pascolative.

    Le devastazioni del Medio Evo e la minaccia dei Saraceni determinarono l’abbandono pressoché totale di lunghi tratti della fascia costiera e di vaste zone pianeggianti, la decadenza degli insediamenti più bassi e il trasferimento della diminuita popolazione sulle alture. Si verificarono la degradazione dell’agricoltura e l’ampliamento del pascolo e della boscaglia nelle zone abbandonate e nello stesso tempo l’espansione delle colture e la distruzione del bosco in quelle in cui la popolazione si era trasferita.

    colture nei loro dintorni. Da una parte imperversava la malaria per l’espansione delle aree acquitrinose, delle formazioni vegetative palustri ed erbacee, dall’altra all’economia pascolativa si andava associando quella agraria, che diventava prevalente in parecchie zone. Le terre più salubri presso la costa (Penisola Sorrentina) e le falde delle colline alla periferia della pianura presentavano un paesaggio più ridente, in cui l’opera dell’Uomo si manifestava attraverso il moltiplicarsi dei centri e l’espansione dell’olivo e della vite.

    Nell’età di mezzo furono importate nella nostra regione e vi assunsero importanza agraria varie colture, come quelle della canapa e degli agrumi, e si diffuse l’allevamento del bufalo, che trovò nella pianura un ambiente assai favorevole, e del baco da seta con la coltivazione del gelso, che si mescolò ad olivi, a vite, ad alberi da frutta e ad agrumi sui rilievi preappenninici e antiappenninici. Nelle parti interne della regione le colture più diffuse rimanevano il frumento, la vite e i legumi.

    Gli ultimi secoli dell’età di mezzo e i primi di quella moderna furono caratterizzati da un peggioramento delle condizioni generali dell’agricoltura in quasi tutta la Campania, anche perchè si ampliarono i possessi ecclesiastici, l’aristocrazia terriera, rifugiatasi a Napoli, poco si curò delle terre lontane, e la pressione tributaria aumentò sensibilmente. Quasi solo i dintorni di Napoli e la Penisola Sorrentina con le isole rimasero escluse da questa generale involuzione dell’agricoltura. Un certo miglioramento subì, pure l’allevamento delle pecore con l’importazione di varietà più pregiate dalla Penisola Iberica.

    Vedi Anche:  La differenzazione regionale della campania

    In quei secoli, però, e nei successivi avvenne l’introduzione in Campania di parecchie piante esotiche, di grande valore industriale ed alimentare, quali la patata, il mais, il pomodoro, l’arancio dolce, il tabacco e il riso, o puramente ornamentali (agavi, fichi d’India, palme), destinate ad assumere una considerevole importanza nell’economia agraria della regione e ad arricchirne la flora.

    Il risveglio della nostra agricoltura cominciò nel secolo XVIII e fu causa ed effetto dell’aumento della popolazione nelle campagne. La confisca dei beni di alcuni ordini religiosi e l’abolizione della feudalità, la formazione della classe dei professionisti, dei funzionari statali e dei commercianti, la bonifica e lo sviluppo dell’industria portarono nella prima metà del secolo scorso alla valorizzazione della terra e richiamarono in essa cospicui capitali, anche se nei proprietari e nei coltivatori mancò spesso la competenza necessaria per migliorare i sistemi colturali e le colture.

    In un secolo il paesaggio agrario della regione è cambiato profondamente, sia perchè la proprietà si è frazionata e le colture prevalenti sono mutate, sia perchè sono stati distrutti estesi boschi e trasformate in agrarie vaste zone pascolative, sia perchè gli insediamenti sparsi si sono moltiplicati ed hanno lasciato nelle campagne un’impronta ben visibile, che riflette i progressi della tecnica costruttiva e le esigenze dei proprietari del tempo.

    L’aumento della popolazione nella prima e nella seconda metà del secolo scorso alimenta le correnti emigratorie, le quali sottraggono le migliori forze lavorative alle nostre province, ma creano un flusso di capitali e di esperienze nuove dall’estero

    verso di esse, accelerando in tal modo le trasformazioni fondiarie e agrarie con la diffusione di colture erbacee ed arboree a più alto reddito (agrumi, vite, olivo). Vastissime zone della Campania cambiano volto con la bonifica di pantani e di acquitrini, con la diffusione di colture arboree ed erbacee, con la dispersione degli insediamenti, con l’infittirsi della rete stradale e dei canali d’irrigazione. L’aumento della popolazione e del suo tenore di vita e il miglioramento delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto fanno aumentare la richiesta di prodotti agricoli (frutta, ortaggi) da mercati vicini e lontani. La coltivazione del gelso cessa, la canapa restringe la sua area di diffusione, la coltura della vite, colpita dalla fillossera o diventata poco redditizia, scompare da alcune aree e si riduce in altre, il pesco si diffonde nella pianura, il nocciolo discende i monti e le valli dell’Irpinia, gli agrumi si espandono nella Penisola Sorrentina, nella valle del Sarno, nella Piana di Salerno e altrove, gli alberi da frutta invadono larghe parti della pianura. Cambiano in tal modo l’aspetto e la struttura economico-agraria del paesaggio e il rimboschimento riverdisce parecchie zone montane.

    Vedi Anche:  La zona di grande intensità colturale

    Nei tempi più vicini a noi si è affermata sempre più l’esigenza di intensificare le colture, di diffondere l’irrigazione, di ridurre l’area destinata a frumento nella fascia collinare e montuosa, di diffondere le foraggere e di potenziare l’allevamento di bestiame selezionato, di ridimensionare la grandezza delle aziende, di ottenere agevolazioni tributarie e prestiti a basso interesse per operare le trasformazioni agrarie e fondiarie, diventate indispensabili nella odierna congiuntura economica interna e internazionale.

    In quest’ultimo decennio si è registrato un forte aumento della produzione per molte colture erbacee ed arboree, non tanto per la loro espansione quanto per il progresso tecnico dell’agricoltura e per il considerevole aumento della resa unitaria.

    I trattori in un decennio si sono quintuplicati, i motocoltivatori si sono moltiplicati, il consumo dei concimi azotati si è triplicato, quello dei concimi fosfatici è aumentato del 50%, quello dei concimi fosfo-azotati, irrilevante pochi anni addietro, è cresciuto con un ritmo straordinario.

    II notevole incremento della produttività è responsabile in buona parte del forte aumento della produzione, che dipende da vari fattori, connessi col progresso tecnico, quali l’irrigazione, la meccanizzazione e l’uso di fertilizzanti e di antiparassitari, senza neppure ricordare le diverse provvidenze legislative in favore dell’agricoltura, che hanno contribuito a creare le premesse per il suo sviluppo.