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Dimore rurali e centri abitati

    L’insediamento

    Popolazione accentrata e sparsa

    L’Umbria, con l’Emilia e le Marche, è una delle regioni in cui si trova maggior quantità di popolazione sparsa: solo una metà scarsa dei suoi abitanti vive infatti nei centri, maggiori e minori; gli altri sono disseminati nelle campagne, e dimorano per lo più in case isolate o, talvolta, si raccolgono in piccoli agglomerati di poche abitazioni, presso i terreni coltivati.

    I centri sono senza dubbio la forma più antica di insediamento: molti di essi risalgono al primo Medio Evo o all’età romana, o hanno origini anche più lontane, etrusche e paleoitaliche. E sono rimasti per lunghi secoli anche le sedi della popolazione agricola, che durante il periodo più tormentato della storia regionale, dal tempo delle invasioni barbariche a quello delle lotte comunali, preferiva riunirsi in luoghi fortificati, elevati sul fondovalle e di più facile difesa, anziché disperdersi, senza alcuna protezione, sui campi. Ma quando sopravvennero condizioni di sicurezza, già sul finire dell’età di mezzo, le sedi isolate cominciarono a disseminarsi al di fuori delle mura, soprattutto intorno ai centri maggiori. Nel Cinquecento ve n’era ormai un buon numero nelle campagne di Perugia e di Assisi, come appare dall’opera illustrata del Piccolpasso, che raffigura le principali città dell’Umbria e i loro dintorni; molto più rare erano invece nella parte meridionale della regione, nei pressi di Foligno, Trevi, Montefalco, Terni.

    Lo sviluppo dell’insediamento sparso continuò poi sempre più intenso nei secoli successivi, strettamente legato all’introduzione dell’appoderamento e della mezzadria nelle grandi proprietà terriere degli antichi signori e delle abbazie. La coltura della vite e dell’olivo sulle pendici collinari contribuiva del resto, come in altre zone, a favorire la dispersione delle sedi, richiedendo l’assidua presenza del contadino sui fondi coltivati.

    Densità della popolazione sparsa (censimento 1951)

    Più di recente, l’intensificazione delle colture, la bonifica dei terreni rimasti ancora paludosi e la scomparsa delle ultime tracce di malaria sul fondo delle conche e delle valli, attiravano altri abitanti verso le campagne, tanto che nell’ultimo secolo la popolazione sparsa è andata ancora aumentando, anche se in proporzione minore rispetto a quella accentrata, poiché su quest’ultima hanno influito l’industrializzazione e lo sviluppo delle maggiori città; infatti il rapporto fra gli abitanti delle case isolate e la popolazione totale, che era di oltre 60% nel 1861, si è a mano a mano ridotto, ed oggi la popolazione sparsa è appena di poco superiore a quella accentrata.

    La distribuzione attuale dell’insediamento sparso, erede di un lungo passato e variamente influenzata dalle condizioni ambientali, presenta per altro molti contrasti, tra la pianura, la collina e la montagna, e anche fra le varie parti della regione. Le case sparse prevalgono nella pianura e nella collina, e sono specialmente diffuse in corrispondenza delle più ampie vallate e delle conche, e sulle pendici collinari a forme più dolci, dove le comunicazioni sono agevoli e i terreni più intensamente coltivati.

    In gran parte dell’Umbria settentrionale e centrale, nella vai Tiberina, sulle colline tra Perugia e il Trasimeno, nella grande fascia collinare che si estende a ponente della valle Umbra fino all’Orvietano, e a sud, per Todi, Massa Martana, Monte-castrilli, giunge alla conca di Terni, almeno due terzi degli abitanti vivono in dimore isolate, più o meno fitte a seconda dell’ampiezza dei poderi e del reddito più o meno elevato delle diverse colture. La situazione cambia notevolmente quando si passa alla montagna calcarea, dove le più aspre forme del rilievo e la frammentazione delle proprietà e degli appezzamenti coltivati sono d’ostacolo alla dispersione delle sedi, e la popolazione si raggruppa prevalentemente nei centri.

    Insediamento sparso nella valle del Tevere, presso Umbèrtide.

    Indubbiamente anche la tradizione ha qui la sua parte nel determinare la diversa forma degli insediamenti, poiché questi si mantengono in prevalenza accentrati anche dove la presenza di conche e pianori potrebbe consentire una maggior dispersione delle abitazioni. E non ha poca importanza un altro fattore, rappresentato dalle diverse forme di conduzione dei terreni: nelle aree in cui prevale la colonia, la popolazione rurale vive di regola nelle campagne, mentre nelle zone montane, nelle quali sono più numerosi i piccoli proprietari coltivatori, questi preferiscono raggrupparsi nei centri e nei nuclei rurali.

    Del resto, indipendentemente dalle condizioni ambientali, si osserva, procedendo da nord a sud, un costante aumento della popolazione che vive nei centri rispetto a quella sparsa. Seguendo la valle Umbra da Foligno verso Spoleto, si nota che le case isolate si fanno a mano a mano più rare, e si moltiplicano invece i villaggi, sviluppati* spesso lungo le strade, o là dove queste si incrociano; siamo ormai al limite dell’insediamento sparso: oltre Spoleto, e specialmente oltre il solco della vai di Nera, comincia il dominio dell’insediamento accentrato, caratteristico della montagna reatina e abruzzese e delle aree più meridionali. Nell’alta Valnerina poco meno di tre quarti degli abitanti vivono nei centri, e in alcune zone, come nel territorio di Pog-giodomo, manca completamente la popolazione sparsa; questa ha invece una maggior diffusione nella media valle del Nera, tra Cerreto e Sant’Anatolia di Narco, e nel bacino di Monteleone di Spoleto.

    Ma diventano assai frequenti, specie in alcune aree meno accidentate, come nella conca di Cascia, i nuclei abitati, aggregati di poche case, che sorgono ai margini dei terreni coltivati, di preferenza in posizione un po’ più elevata rispetto a questi: è una forma di insediamento rurale che appare tipica delle zone più elevate, dove mancano le case sparse (che ben raramente salgono a più di 600-700 m.), e che si può collegare alle cosiddette « ville » delle vicine conche di Leonessa e di Amatrice. I nuclei sono numerosi, oltre che nella montagna spoletina, anche nel Folignate, soprattutto nel bacino del Menotre, dove le sedi permanenti salgono ad altezza considerevole, e al di sopra di 700 m. non si trovano quasi mai case isolate, mentre i centri sono quasi tutti più in basso.

    L’insediamento a piccoli agglomerati non è raro del resto nelle stesse zone collinari e in pianura, e rappresenta molto probabilmente la forma più antica di insediamento non accentrato: i primi abitanti che si avventuravano a porre la loro dimora nelle campagne, quando queste non godevano ancora di molta sicurezza, dovettero cercare protezione nell’avvicinare tra loro le case o nell’addossarle le une alle altre, in modo da formare nuclei compatti nei quali potersi rifugiare e difendersi in caso di pericolo. La forma più elementare di aggruppamento è il blocco di case, in cui vivono 3-4 e talvolta anche 8-10 famiglie. Questi casali si trovano ovunque, ma soprattutto in collina, dove l’insediamento è più antico.

    Battiferro, piccolo centro rurale nella valle del torrente Serra, presso Terni.

    Più complessi sono i cosiddetti « castelli popolari », che hanno origini molto varie: alcuni sono sorti già nell’alto Medio Evo, altri nell’XI e XII secolo. Frequenti in collina, dove le forme stesse del rilievo servono di protezione (per es., a Campello Alto, a Collepino, a Montecchio e a Giano), i castelli sono diffusi anche in pianura, particolarmente lungo tutta la valle Umbra. Queste « microscopiche città », di forma quadrata, rotonda od ovale, costellate di torri, di porte merlate, di mura, di bastioni, ospitano oggi di solito 15-20 famiglie. Alcune, per la loro posizione favorevole, hanno prosperato e sono divenute, da modesti aggregati rurali, veri e propri centri; altre, soprattutto in collina, sono ormai in rovina o stanno lentamente decadendo. Nella pianura, dove i contratti di mezzadria e l’appoderamento hanno disperso gli agricoltori nella campagna, i castelli ospitano oggi per lo più braccianti e artigiani, nella collina invece, e là dove l’isolamento e la scarsa fertilità del suolo hanno preservato la piccola proprietà, specie nella porzione meridionale della regione, i coltivatori, anche per la povertà dei loro mezzi, sono rimasti assai più legati ai vecchi nuclei abitati.

    Tipi di insediamento.

    Ma non tutta la popolazione agricola vive in case sparse o in piccoli agglomerati rurali; una parte considerevole di essa abita nei centri, molti dei quali non sono, per altro, di dimensioni maggiori dei nuclei, e si distinguono soltanto per la caratteristica di essere forniti di servizi o di esercizi pubblici, o comunque di un punto di convergenza, ove si ritrovano anche gli abitanti del territorio vicino, per sbrigare affari, effettuare acquisti, recarsi in chiesa nei giorni festivi, o per altri motivi.

    Roccaporena, piccolo villaggio presso Cascia.

    Vecchie case, parzialmente scavate nella roccia a Serravalle di Norcia (valle del Corno).

    In tutta l’Umbria, secondo i dati del censimento del 1951, i centri sono 723, all’incirca 9 ogni 100 kmq., con una popolazione media di 545 abitanti, più elevata di quella delle Marche e della Toscana, e dovuta, più che alla presenza di città popolose, al notevole numero di grossi borghi, in parte a carattere rurale.

    Le città infatti non mettono insieme che poche migliaia di abitanti ciascuna: se si escludono i due capoluoghi di provincia — Terni con poco più di 50.000 e Perugia con 40.000 — nessun altro centro raggiunge i 20.000 abitanti, e soltanto sette ne hanno più di 5000. I centri con più di 1000 abitanti sono una quarantina, e di essi i tre quarti non superano i 2000. Oltre l’8o% di tutti i centri hanno meno di 500 abitanti e sono particolarmente numerosi quelli che ne contano da 100 a 250 e anche quelli, minuscoli, che non ospitano neppure un centinaio di persone; questi ultimi sono oltre un quarto del totale e tra essi ve ne sono parecchi che non raggiungono i 50 abitanti. Nei centri maggiori, di oltre 1000 abitanti, compresi i due capo-luoghi, vive poco più del 60% della popolazione accentrata, mentre più di un quarto dimora nei piccoli centri con meno di 500 persone.

     

     

     

    La dimora rurale

    Un altro aspetto dell’insediamento, oltre alla sua distribuzione in centri, in nuclei e in case sparse, è costituito dalla forma delle dimore, che varia anch’essa in relazione a diversi fattori, a seconda delle condizioni ambientali, delle colture, dei modi di vita e della tradizione. Si parla qui naturalmente della casa del contadino, che non solo è la forma più diffusa in una regione ad economia prevalentemente agricola, quale è la nostra, ma è anche la più significativa, in quanto associa alla funzione dell’abitazione quella dei locali destinati alle varie esigenze della vita rurale.

    La dimora rurale è sorta, si può dire, con la stessa attività agricola, e ne ha seguito le vicende e l’evoluzione, rinnovandosi, ingrandendosi, trasformandosi a seconda delle necessità, ma restando nel contempo legata a forme tradizionali, che hanno le loro radici nell’ambiente in cui essa originariamente si è formata. E le differenti condizioni della pianura, della collina e della montagna hanno contribuito a dar vita ad una varietà di tipi, dalle dimore più semplici e rudimentali delle aree elevate, che raccolgono sotto lo stesso tetto tutta la famiglia del contadino e i pochi capi di bestiame, alle costruzioni più complesse che si trovano nella bassa collina e nella pianura, dove gli ambienti rustici assumono maggiore sviluppo e spesso sono separati, almeno in parte, dall’abitazione vera e propria.

    Vedi Anche:  Caratteri fisici e pischici della popolazione, dialetti e cucina

    Tuttavia la struttura fondamentale della casa rurale dell’Umbria è nel complesso abbastanza uniforme e non si distacca dal tipo, diffuso in gran parte dell’Italia centrale, della casa a più piani, con il pianterreno occupato dalla stalla e l’abitazione ai piani superiori. E la forma tradizionale, che il contadino, sia mezzadro sia piccolo proprietario coltivatore, preferisce, e che tende a conservarsi anche là dove la tecnica agricola si è maggiormente evoluta, e dove hanno cominciato a diffondersi i più moderni criteri costruttivi. Abitazione e rustico sono in realtà strettamente legati e il contadino non vuole a nessun costo separarsi dal bestiame. Il Desplanques riporta l’episodio di un proprietario che volle, per ragioni igieniche, costruire un edificio a sè per l’abitazione del colono, ma trovò da parte di questi un’opposizione assoluta, perchè, egli diceva, « non possiamo più udire i rumori delle bestie ». D’altra parte, il contadino considera poco decoroso abitare allo stesso piano degli animali, e preferisce quindi, anche se è meno comoda, la casa a più piani, che gli permette di vivere al piano superiore, pur avendo il bestiame sotto lo stesso tetto.

    Queste ragioni tengono tuttora ancorata la casa dell’Umbria alle vecchie forme tradizionali; ma anche le scarse risorse dell’agricoltura contribuiscono ad ostacolarne il rinnovamento. Se si escludono alcune aree da poco bonificate, le costruzioni recenti sono relativamente rare. La maggior parte delle case sono vecchie, molte risalgono al Settecento o al Seicento; nei muri massicci, di blocchi di pietre irregolari e consunti dal tempo, nelle poche e anguste aperture, le dimore della campagna ricordano spesso l’aspetto delle case dei borghi medioevali. E del resto nei centri, nei villaggi, nei castelli popolari che la casa rurale ha avuto origine; e dalla ristrettezza dello spazio entro le mura, che la costringeva a svilupparsi più in altezza che in superficie, ha derivato la sua struttura caratteristica, che non è mutata gran che quando le dimore si sono sparse nella campagna.

    Ma, se si mantiene costante la disposizione delle parti fondamentali, notevoli differenze si osservano invece negli elementi secondari, nei particolari che danno vita alla casa.

    Già i differenti materiali usati per le costruzioni contribuiscono a dare varia impronta alle dimore rurali. « La natura dei materiali — osservava il Demangeon — è una fonte di pittoresche variazioni nell’architettura rurale. Costruite con le pietre del sottosuolo, le case sembrano uscite dalla terra stessa su cui sorgono ». In effetti, diversa sarà la casa dove prevalgono i calcari compatti, siano bianchi, grigi o rosa, da quella dei terreni marnoso-arenacei, generalmente più bassa e con un aspetto più vecchio e trasandato, poiché l’arenaria è, rispetto al calcare, meno resistente agli agenti atmosferici.

    Pianura e collina, con i loro terreni argillosi, sono il dominio del mattone, ma i laterizi si spingono ormai anche più in alto, e sempre più spesso sostituiscono le pietre locali, oltre a fornire dovunque il materiale di copertura dei tetti, poiché sono assai rare le lastre di pietra. Il legno, come in tutta la regione mediterranea, è usato pochissimo; le case costruite anche parzialmente in legno sono un’eccezione (oltre il 97% delle dimore sono in muratura), e pure il frequente impiego della volta e dell’arco e l’assenza dei ballatoi sono un mezzo per risparmiare il legname: il che del resto è logico in un territorio ove, pur avendo i boschi una considerevole estensione, sono soprattutto scarsi quelli d’alto fusto.

    Nella collina, che è la zona di più antico insediamento rurale, le forme più varie coesistono, dalla casa di pendio, che utilizza l’inclinazione del terreno per risparmiare la scala, alla casa a scala interna, a quella, più frequente, con la scala addossata esternamente ad un muro deH’edificio. Di frequente, specie nel Perugino, la facciata è movimentata da un porticato, con aperture ad arco, che costituisce un elemento molto importante, anche per la sua funzione: è infatti un vero e proprio locale, aperto sull’esterno, ma protetto dalla pioggia e dal sole, che serve per riporvi qualche attrezzo, per far seccare frutta, legumi o legna, per piccoli lavori o come rifugio nelle ore di riposo. Talvolta al portico si sovrappone una loggia, quasi una galleria coperta, incorporata nella facciata, che riecheggia con le sue linee armoniose le belle case del Valdarno e rappresenta il miglior esempio dell’architettura rurale umbra.

    Ma l’impronta più originale al paesaggio dell’Umbria è data dalle torri quadrate, le « palombare », che si innalzano ancora su molte delle più antiche case rurali. Sparse un po’ in tutta la parte centrale e meridionale della regione, dall’Orvietano al Temano e alla valle Umbra (e se ne trova qualche esemplare fin nell’alta vai di Nera), esse diventano frequentissime tra Spoleto, Castel Ritaldi e Campello. Attraversando la campagna di Spoleto, si resta colpiti da queste vecchie torri campagnole, dalle linee architettoniche sobrie e pure; anche se la palombara è diffusa altrove, in Toscana, nelle Marche, nella Sabina e negli Abruzzi, per non ricordare che le regioni vicine, in nessun luogo, come nello Spoletino, se ne incontrano tante, e con tanta varietà di forme. Assisi, Perugia, Deruta ne offrono ancora qualche esempio, ed altri se ne trovano nella vallata del Tevere, soprattutto in collina, dove l’insediamento è più antico; è invece rara nella parte settentrionale della valle Umbra, la più bassa e più umida, conquistata più tardi dall’uomo, e nelle montagne.

    Un piccolo nucleo rurale sulle montagne tra Gubbio e Scheggia.

     

    Vecchia casa colonica nei pressi di Assisi

    La palombara umbra non è un elemento sovrapposto alla casa rurale, come la tipica torretta colombaria delle fattorie toscane, ma una costruzione a sè, solida e tutta d’un pezzo, con muri più spessi di quelli della casa; essa costituisce il nucleo principale, e forse più antico, della dimora, e si innalza talvolta fino ad oltre 15 m. su quattro o cinque piani, ma anche quando è più bassa supera sempre alquanto l’altezza degli edifici circostanti. Il tetto ha in qualche caso quattro pioventi, più spesso due, raramente uno solo; quest’ultimo tipo di copertura si osserva specialmente nelle colline a nord di Spoleto, in mezzo agli olivi, ma si ritrova anche nella valle del Tevere con una forma caratteristica che sembra essere stata diffusa nel Seicento e nel Settecento dall’Abbazia di San Pietro di Perugia: tranne che sulla facciata verso la quale il tetto è inclinato, i muri degli altri tre lati si alzano di 30 o 40 cm. sopra la copertura di tegole e proteggono così il tetto. Circa un metro al di sotto della grondaia, la palombara ha sempre una specie di cornicione, fatto di pietre o di mattoni sporgenti, sopra al quale si aprono i fori per il passaggio dei piccioni e, un po’ più in alto, un’apertura a forma di rosone per facilitare la circolazione dell’aria nella colombaia. Le pareti della torre, per lo meno nella sua parte superiore, sono intonacate e imbiancate, secondo il consiglio degli antichi agronomi, i quali raccomandavano che i muri fossero perfettamente lisci per impedire alle « donnole e altre nocive fiere » di salire e fare strage di piccioni.

    Nella forma più antica, la palombara costituiva da sola la dimora del contadino, con la stalla in basso, l’abitazione al disopra e il granaio all’ultimo piano, sotto la colombaia; una scala interna, spesso in legno, collegava i vari piani, e forse solo più tardi, quando sopravvennero condizioni di maggiore sicurezza nelle campagne, si passò alla scala costruita esternamente all’edificio, che oggi è assai frequente. Alla torre si affiancarono poi le altre costruzioni e gli annessi più eterogenei, appoggiati a diverse altezze come tanti sproni, formando un tipo di casa assai complesso e dagli aspetti più vari: talora l’ingrandimento è stato fatto da un solo lato, talaltra la casa si è ingrandita su due, o tre, o anche quattro lati, in modo che la torre costituisce ancora l’elemento centrale, pur avendo perduto l’importanza che essa dovette avere in passato. Infatti molte palombare sono ormai abbandonate, e sono pochi i proprietari che usano ancora tenervi i colombi.

    Ma fu proprio soltanto per costruirvi in alto la colombaia che si innalzarono queste torri massicce, o esse ebbero in origine una funzione difensiva, come potrebbero far pensare lo spessore dei muri e la somiglianza con gli edifici militari delle città e dei castelli? Oppure non si tratta che di semplici torri di sorveglianza, o di magazzini per conservare al sicuro i prodotti (si pensi alla costante presenza del granaio), legati ad un insediamento sparso forse temporaneo, diffuso in origine nelle vicinanze delle maggiori città, dove ancor oggi le palombare appaiono più numerose?

    Si è fatta anche l’ipotesi che le palombare fossero antiche residenze signorili per la caccia ai piccioni detti «torraioli»: poiché questi vivono e nidificano sulle rupi, sono molto selvaggi e fuggono alla presenza dell’uomo, la sommità delle alte torri avrebbe permesso loro di nidificare indisturbati e li avrebbe perciò indotti a fermarsi durante le loro migrazioni. E, oltre a dare abbondante e prezioso concime « l’unico adatto alla coltivazione della canapa e del lino », come afferma uno scrittore locale, i piccioni fornivano una carne molto richiesta dai mercati cittadini. Ad ogni modo, qualunque ne sia stata l’origine e lo scopo primitivo, le palombare restano come una singolare testimonianza dei secoli passati, soprattutto nello Spoletino, dove ancora sono così numerose da costituire un elemento caratteristico dell’ambiente rurale.

    Accanto alle antiche torri e alle più vecchie dimore dei contadini, si sono aggiunti nuovi elementi, a mano a mano che la vita agricola progrediva e aumentavano le necessità. La casa tradizionale comprendeva in un unico edificio i più vari servizi agricoli; ma quando la stalla comincia ad ingrandirsi, per ospitare il bestiame più numeroso, gli annessi si trasportano fuori della casa e si moltiplicano le costruzioni secondarie, addossate alle antiche dimore o sparse intorno all’aia. I pollai, le tettoie per i carri e gli attrezzi, le capanne di paglia e di frasche, i fienili e i pagliai, qua e là gli essiccatoi per il tabacco e i silos per i foraggi, rendono più vario, con la loro disposizione e le forme diverse, l’aspetto dell’insediamento rurale, e rivelano il tentativo di adattare la casa alle nuove esigenze.

    Vedi Anche:  Perugia, Assisi, Foligno e Folignate

    Specialmente in pianura, dove i redditi sono più elevati e i prodotti più vari, la dimora del contadino diventa più complessa, anche se il suo sviluppo non è sempre adeguato ai progressi dell’agricoltura. Naturalmente anche le condizioni sociali, e anzitutto il sistema di conduzione, hanno il loro effetto nel determinare le forme e le dimensioni della casa. Alla mezzadria, istituzione tradizionale della vita agricola umbra, è collegata la fattoria, che, se è rara nell’Umbria meridionale, si trova invece più frequente nel Perugino, a mano a mano che ci si avvicina alla Toscana.

    La fattoria, organo direttivo dell’azienda rurale, comprende, con la dimora del fattore e una casa colonica, i locali più vari; il loro numero e la loro disposizione è in relazione con la grandezza della proprietà, e con l’estensione dei poderi che dipendono dalla fattoria. Non vi sono in realtà due fattorie simili l’una all’altra e non è possibile riconoscere delle forme comuni, come per le case dei mezzadri. Una avrà una decina di edifìci sparsi in vario modo intorno ad un centro; un’altra — ed è un caso frequente — utilizzerà un antico castello o un vecchio convento; una terza infine riunirà tutto sotto lo stesso tetto, secondo la tradizione del tipo di casa unitario: capanna, rimessa e cantina al pianterreno, abitazione al primo piano e magazzino al secondo. Presso la fattoria si trova spesso una villa padronale, che richiama l’attenzione per la sua linea più imponente, il suo aspetto di palazzo, il largo viale fiancheggiato da cipressi o da pini.

    Le case mezzadrili presentano anch’esse una certa varietà; talvolta il proprietario ne riunisce tre o quattro presso la fattoria, con annessi in comune, come l’essiccatoio e la capanna, talvolta nella stessa costruzione un’ala o alcune stanze sono riservate al padrone. La divisione delle grandi proprietà in molti poderi porta invece in qualche caso ad una uniformità sia dei tipi di dimora, sia degli annessi principali.

    Ma le maggiori varietà si trovano nelle case dei piccoli proprietari coltivatori diretti, legate più alla necessità che alla fantasia individuale. La piccola proprietà si è formata lentamente, talvolta è riuscita a costituire anche dei ricchi poderi di oltre io ha., e in questo caso la condizione del coltivatore diretto è migliore di quella del mezzadro. Ma più spesso è limitata a poche « tavole » (una tavola corrisponde a un decimo di ettaro), oppure a 2 o 3 ha.; inoltre si estende di solito nei terreni meno ricchi, ed è più frequente in collina, dove i redditi sono più modesti.

    La casa risente naturalmente delle differenti condizioni economiche dei proprietari. Vi sono case molto belle, a padiglione e a due piani, con la loggia, o rettangolari, con la scala esterna; ma in generale la casa del coltivatore diretto è più piccola, più misera, più semplice di quella del mezzadro, e non solo perchè la famiglia è di solito meno numerosa, ma anche perchè il podere, assai più ristretto, dà un rendimento molto minore. E talvolta vi si trova la casa di tipo elementare: una piccola casa ad un piano, costruita dallo stesso contadino, con una cucina e una camera soltanto, alla quale si sono poi uniti una tettoia e una stalletta per il maiale o il somaro; è la casa unitaria con la cucina giustapposta alla stalla, dove solo le camere o un magazzino si trovano al piano superiore. Simile a questa è anche la casa degli ortolani nella piana di Foligno e presso Cannara.

    Casa di contadini nell’Orvietano.

    Dove le dimore rurali, anziché sparse nella campagna, si riuniscono in nuclei più o meno compatti, nei villaggi, nei castelli popolari, nei centri rurali, l’aspetto della casa è ancora più misero: è l’abitazione dei braccianti, o dei piccolissimi proprietari — specie in collina — nella quale il rustico è ridotto molto spesso ad una piccola stalla per il poco bestiame (una mucca o al massimo due, qualche pecora e un maiale) e ad una cantina; ma talvolta un solo locale, scuro e basso, seminterrato, serve a tutti gli usi. Pagliai e fienili si trovano in questo caso fuori dell’agglomerato, e sempre più di frequente vi si affiancano tettoie per gli attrezzi, stallette ed altri annessi secondari che costituiscono una specie di villaggio rustico accanto al nucleo compatto, i cui vecchi edifici, ormai inadeguati alle funzioni rurali, conservano quasi soltanto l’uso di abitazione.

    Casa con portico e loggia e adiacente essiccatoio per il tabacco presso Città di Castello.

    Casa con l’essiccatoio per il tabacco a Ville di Monterchi, in vai Tiberina,

    Anche nella montagna la cas rurale è in genere assai povera, con pochi locali di abitazione e uno scarso sviluppo del rustico. Qui prevale di gran lunga la piccola proprietà, i mezzi sono modesti, e la casa ne risente; costruita spesso, come in collina, dallo stesso proprietario, si adatta al terreno secondo le necessità, quando è possibile risparmia anche le scale, utilizzando la forte pendenza del terreno. I muri sono di blocchi irregolari di calcare, sovrapposti a secco, e il loro spessore, che talvolta raggiunge anche un metro, rimedia alla poca solidità della costruzione; il tetto ha spesso un solo piovente, inclinato nella direzione del pendio, e sulla copertura di coppi sono appoggiate grosse pietre che ne aumentano la resistenza al vento.

    Casa rurale nella conca di Gubbio

    Le condizioni naturali fanno più fortemente sentire la loro influenza: la pioggia, che nella montagna è più abbondante che in basso, costringe il contadino a proteggere il fieno entro un fienile chiuso; la temperatura si fa più rigida, e le aperture nelle stalle e negli ovili divengono più piccole; per le difficoltà delle comunicazioni in terreno accidentato, i veicoli sono pochi, e si usano in genere l’asino o la « treggia » (una specie di slitta) per i trasporti: non esiste quindi la capanna per i carri, poiché la treggia è lasciata all’aperto e gli attrezzi minori sono tenuti nella stalla.

    Fienile ed ovile divengono gli annessi più importanti e caratteristici della casa rurale della montagna, dove l’allevamento ovino costituisce ancora la principale risorsa. L’ovile è sempre presente, incorporato o addossato alla casa, o costruito fuori del paese. In quest’ultimo caso è di regola unito al fienile, ha il tetto ad un solo piovente e sfrutta la pendenza del terreno, con l’ingresso all’ovile verso valle, e quello del fienile in alto. Dietro il fienile si apre l’aia con i suoi pali per i cumuli di fieno che, quando è abbondante, viene conservato in parte all’aperto.

    La riunione di questi annessi rustici alla periferia dell’abitato è assai frequente nella montagna calcarea, dove gli agglomerati sono più compatti e le case, addossate le une alle altre, non hanno posto, nel piano seminterrato, che per la piccola stalla del somaro e per un magazzino (la cantina è quasi sempre assente in montagna, anche se vi si trova ancora la vite). Gli ovili-fienili si allineano talvolta in lunga fila, come a Castelluccio di Norcia, o formano uno o più gruppi di costruzioni presso il paese, come nel territorio di Poggiodomo; più raramente sorgono isolati. Dove lo spopolamento montano è più intenso, tutti gli annessi, compresi l’ovile e il fienile, si trovano invece aH’interno dei paesi, affiancati alle stesse dimore, in quanto utilizzano vecchie abitazioni abbandonate.

    Abbastanza frequenti, specialmente nelle zone di insediamento prevalentemente accentrato, come nel piano di Santa Scolastica e nel bacino di Monteleone di Spoleto, sono i piccoli rustici sparsi nei campi e usati temporaneamente anche come abitazioni; sono in genere costruzioni unicellulari, a pianta rettangolare o quadrata, senza finestre, con all’interno un rozzo focolare e talvolta una rudimentale mangiatoia. Simili ricoveri temporanei, talvolta a due piani, si riscontrano anche in pianura e in collina, ad esempio nell’oliveto specializzato, dove sono utilizzati a scopo di sorveglianza nel periodo del raccolto; sono inoltre presenti in quasi tutte le aree elevate, sul Subasio, sulla catena Martana, nelle montagne di Spoleto dove servono per lo più di rifugio ai pastori, mentre le pecore passano la notte all’aperto e solo in caso di cattivo tempo sono ricoverate all’interno.

    Invece nell’alta valle del Nera, che ha le più estese aree di pascolo e dove sopravvive la pastorizia transumante, è ancora frequente l’uso di abitazioni mobili, i cosiddetti « casotti », piccole capanne di paglia o talvolta di lamiera o di tela impermeabile, costruite su di una slitta, e nel cui interno un po’ di fieno o un modesto pagliericcio assicurano un sonno tranquillo ai pastori che passano la notte accanto ai greggi. Quando le pecore si spostano verso un nuovo pascolo, le capanne vengono facilmente trainate dai muli nel posto ove verranno innalzate le reti del nuovo stazzo, e sono assicurate al terreno mediante pali, per impedire che il vento possa capovolgerle.

    Un centro della val Tiberina: San Giustino.

    Vere e proprie dimore stagionali, come quelle che di solito s’incontrano nelle vallate alpine e talvolta anche nell’Appennino settentrionale, non esistono in Umbria.

    I limiti superiori delle sedi stabili, siano accentrate o sparse, si spingono fin dove sono possibili le coltivazioni, e al disopra non vi è in genere che magro pascolo di pecore, con spostamenti giornalieri dalle dimore fisse, o transumanza di greggi che vengono dalla pianura. Dove i pascoli sono più estesi e più intensa è l’utilizzazione delle aree elevate, soprattutto nell’alta vai di Nera e sul fianco sinistro della Vaitopina, le stesse abitazioni permanenti salgono spesso oltre gli 800 m. e raggiungono a Castelluccio di Norcia (1453 m.) una quota tra le più alte dell’Italia peninsulare.

    Distribuzione dei centri abitati (censimento 1951).

    I centri abitati

    Anche i centri presentano notevoli varietà nelle diverse parti della regione, sia riguardo alla loro distribuzione ed ampiezza, sia riguardo alla forma ed alla posizione. Una prima serie di osservazioni può scaturire dall’esame della carta annessa. Nell’Umbria settentrionale (valle del Tevere fino a Perugia e conca di Gubbio), i centri sono rari e in prevalenza grandi e medi (da 250 a 1000 ab.); sono quasi tutti sui bassi versanti, appena elevati sul fondovalle per mettersi al sicuro dalle inondazioni, quelli della valle del Tevere. La conca di Gubbio ha un solo grande centro e due minori, e tutto il resto della popolazione vive in case sparse.

    Vedi Anche:  Val Tiberina e Gubbio

    Gli insediamenti accentrati divengono invece già più fitti nella collina intorno al Trasimeno, con alcuni grossi centri che si sono sviluppati sulle alture in prossimità del lago, e una serie di abitati piccoli e medi disseminati sulle pendici circostanti. Ma la maggior densità si riscontra nel cuore della regione : nelle colline a sud di Perugia e lungo il Piano del Tevere fino a Marsciano si moltiplicano i centri, la maggior parte di media grandezza e a poco distanza uno dall’altro; è una delle zone dove è più elevata anche la densità assoluta della popolazione, ed alla cospicua entità dell’insediamento accentrato corrisponde pure una notevole diffusione delle case sparse.

    La valle Umbra presenta un buon numero di centri abbastanza popolosi, allineati quasi tutti alle falde del versante a solatìo e intercalati a centri minori; questi ultimi si addensano in particolare nella parte centro-meridionale, intorno alla piana di Foligno e verso Spoleto, dove sono anche più frequenti i grossi centri rurali.

    Nella zona collinare della catena Martana, tra la valle Umbra e quella del Tevere, prevalgono invece i piccoli centri, molti con meno di 100 abitanti, sparsi sulle pendici fino a 600-700 m. di altezza; numerosi sono i minori agglomerati anche a sud di Todi, lungo la valle del Naia e sul versante occidentale della catena Amerina.

    Più ad occidente, le condizioni mutano ancora. Tra la valle del Nestore e quella del Chiani, dove si ha un’area di popolazione alquanto rada, i centri sono pochi e, anche a causa dello spopolamento, la maggior parte non contano neppure un centinaio di abitanti. Alcuni maggiori agglomerati si trovano lungo la valle del Chiani, da Città della Pieve a Ficulle; qui, come nell’adiacente bacino del Paglia e in tutto l’Orvietano, la popolazione si raccoglie di preferenza in pochi centri di media ampiezza (da 500 a 1000 ab.), situati in posizione elevata. E lo stesso tipo di insediamento accentrato, analogo a quello che si riscontra nel vicino territorio viterbese, continua nella Teverina, con una serie di centri che dominano la valle dall’alto dei ripiani e degli speroni di roccia più resistente, e nei quali vive ancora buona parte della popolazione, nonostante la recente diffusione delle sedi sparse nella piana sottostante.

    Un notevole addensamento di grossi centri si ha poi nel Ternano, da Amelia, a Narni, a Nera Montoro, a Sangémini, ai numerosi agglomerati che sorgono intorno al capoluogo e che si allineano lungo la vai di Nera fino a Ferentillo. In quest’area, dove pure sono frequenti le case isolate, sia nella parte pianeggiante che sulle pendici collinari ricoperte da oliveti, l’insediamento accentrato è assolutamente prevalente (vivono nei centri i tre quarti degli abitanti), e non solo per la presenza della città di Terni, ma anche per il notevole sviluppo demografico dei centri vicini, conseguente aH’industrializzazione della conca; quasi tutti i centri di questo gruppo hanno più di 500 abitanti, e molti di essi superano il migliaio.

    Risalendo la vai di Nera, i centri divengono più radi e assai più modesti. Le scarse risorse della montagna calcarea e la difficoltà delle comunicazioni sono condizioni sfavorevoli all’insediamento, e questo si accentra soprattutto in piccoli agglomerati, in prossimità di piccole piane di fondovalle o presso le confluenze. Vallo di Nera, Cerreto e Borgo Cerreto, che sono i centri più cospicui dell’alta valle, non raggiungono 350 abitanti ciascuno; gli altri, specialmente quelli più elevati, lungo i versanti, sono ben più modesti, e contano spesso meno di 100 persone.

    Tra la valle del Corno e quella del Sordo, in particolare nelle conche di Norcia e di Cascia e nella valle di Campiano, i centri si localizzano in prevalenza ai margini delle aree pianeggianti o anche più in alto, dove il rilievo è meno accidentato, specie a sud del Piano di Santa Scolastica. Sono quasi tutti centri compatti, di poco più di un centinaio di abitanti, ma alcuni superano anche i 500, e Norcia, che è il maggiore, ne ha poco meno di 3000.

    In tutta l’area montana orientale, i piccoli villaggi, caratteristici della collina, sono assai più rari: l’insediamento tende a concentrarsi maggiormente, e la popolazione si trova per lo più raggruppata in agglomerati di qualche centinaio di persone; nell’alta valle del Topino e più a nord, nel bacino superiore del Chiascio fino al colle di Scheggia, le sedi sono attratte dalla maggiore arteria di comunicazione, la Flaminia, lungo la quale si sono sviluppati numerosi grossi centri, alcuni con oltre un migliaio di abitanti, come Nocera, Gualdo Tadino, Sigillo e Costacciaro; solo in corrispondenza della conca di Gualdo si ha ancora una discreta diffusione dei piccoli agglomerati, favorita dall’esistenza di un’area pianeggiante relativamente vasta ed intensamente coltivata.

    La maggior parte dei centri umbri si trova nelle colline e sui bassi versanti delle aree montuose, fra i 200 e i 500 m. ; e pochissimi sono quelli situati più in basso, sotto ai 200 m. : il che facilmente si spiega tenendo presenti l’altimetria del territorio e le forme del rilievo.

    Quasi tutti i centri oltre 500 m. sono nella parte orientale della regione, con prevalenza nel Folignate e nello Spoletino, dove si trovano anche tutti i centri di montagna, al disopra degli 800 m. ; di questi solo quindici superano i 1000 m. di altezza ed appartengono tutti all’alta vai di Nera e al Nursino; oltre 1200 m. l’unico villaggio è Castelluccio (m. 1453), alle falde del Vettore.

    La forma e la posizione dei centri variano anch’esse con le condizioni ambientali. Tipica è in tutta l’Umbria la situazione degli abitati sulle alture, lungo i versanti, quando questi non siano molto ripidi, o su un ripiano, uno sprone, un poggio che offrano brevi aree pianeggianti o di lieve pendenza: infatti i centri si allontanano di preferenza dal fondovalle, sia nella zona montana che in quella collinare, per trovare migliore esposizione e un clima più mite (evitando le nebbie invernali e l’afa delle giornate estive), per sottrarsi al pericolo di inondazioni o di frane, e forse anche, in passato, per ragioni di difesa. Sono sempre abitati compatti, con le case addossate le une alle altre, per utilizzare al massimo lo spazio limitato.

    Todi: rione di Valle Inferiore; un angolo dell’antica cittadina che conserva immutato l’aspetto medioevale.

    Un altro tipico centro di pendio: Trevi, presso Spoleto.

    Nella parte orientale della regione, lungo le strette valli del Topino e del Nera e dei loro affluenti, i centri si allineano principalmente sui versanti, in pendio, spesso in prossimità del contatto fra i calcari e i terreni argillosi e marnosi, dove le forme del rilievo si addolciscono e abbonda l’acqua delle sorgenti ; ma non sono rari i centri di sprone, specie nella Valnerina.

    Spello, allungata sulle pendici del Subasio,

    I centri di pendio e quelli di sprone hanno in genere forma allungata, e sono per lo più modesti, sia perchè la stessa situazione non consente agli abitati di estendersi, sia perchè sono di solito tagliati fuori dalle maggiori vie di comunicazione. Tra essi si annovera tuttavia anche qualche grosso centro: Gubbio, Spoleto e Trevi, ad esempio, che sorgono su pendio, ma in prossimità della pianura; Piediluco, le cui case scendono fino a costeggiare il lago; Narni ed Assisi, centri di sprone in posizione dominante sulle rispettive vallate.

    Nell’Umbria collinare, tra la valle Umbra ed il Tevere, come più a nord, nel Perugino, sono frequentissimi i centri che sorgono sulla sommità di un monte o di un colle isolato; la loro forma è di solito ovale o tondeggiante, con le case raggruppate intorno alla piazza principale, che occupa in genere la sommità del poggio. Tipici centri di poggio sono Torgiano, alla confluenza del Chiascio col Tevere, e Castiglione del Lago, su un promontorio roccioso che si spinge nel Trasimeno. Todi occupa l’estremità di una dorsale che si innalza tra il Tevere e il Naia. Orvieto, come molti altri centri della zona vulcanica laziale, si è sviluppata su un lembo di ripieno tufaceo, che forma un caratteristico colle dalla sommità spianata.

    Assai rari sono invece i centri che si allungano su una dorsale (Città della Pieve), o sorti su terrazzi fluviali (Attigliano, nella Teverina), o situati in corrispondenza di una sella (Colfiorito).

    Veduta aerea di Castiglione del Lago, sulla sponda occidentale del Trasimeno.

    In pianura, sia sui fondi vallivi alluvionali, sia nelle più ampie conche, gli abitati sono situati più di frequente ai margini delle aree pianeggianti, estendendosi talvolta anche sulle prime pendici dei rilievi cui sono addossati; sono spesso anche centri di strada, di formazione, o almeno di sviluppo, recente. Alcuni di essi derivano dallo sdoppiamento dei centri più elevati, quando gli abitanti hanno sentito la necessità di spostarsi verso il fondovalle per le migliori possibilità offerte dai terreni all’agricoltura e per la comodità delle comunicazioni, sia stradali che ferroviarie; così ai piedi del colle di Assisi si è formato, presso la Basilica di Santa Maria degli Angeli, un nuovo centro lungo la strada statale e prossima alla stazione ferroviaria; e lo stesso è avvenuto per Narni (Narni Scalo), per Orvieto, Todi e Perugia (Ponte San Giovanni e Fontivegge). Questi centri possono avere forma allungata, se si sviluppano lungo una strada, ma più spesso hanno una pianta irregolare, con case in ordine sparso, intercalate a orti e giardini.

    Pochi sono i vecchi borghi che s’incontrano nella parte mediana delle conche: uno di questi è Bevagna, antica stazione sulla Flaminia romana, centro compatto ancora racchiuso entro la cerchia delle mura medioevali; più oltre, nella valle Umbra, è Bastia, sviluppatasi intorno all’antico castello, presso la sponda del Chiascio.

    Ma in genere le aree pianeggianti hanno piccoli abitanti di origine piuttosto recente, centri di strada o di crocicchio, come se ne trovano numerosi, ad esempio, nella piana di Foligno e in tutta la valle Umbra; o anche centri di ponte, frequenti specie lungo il Tevere nei dintorni di Perugia (Ponte Pàttoli, Ponte Felcino, Ponte Valle Ceppi, ecc.)

    Un centro di ponte: Pontecuti presso Todi.