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La valle del sacco e il paese ernico-simbruno

    La valle del sacco e il paese ernico-simbruno

    Tre strade si diramano dalle porte di Roma verso la valle del Sacco, la Prenestina, la Casilina e l’Autostrada del Sole (aperta al traffico nel corso del 1962); quest’ultima — come strada di grande scorrimento e d’interesse squisitamente economico — presenta durante il suo percorso verso Napoli varie stazioni di uscita e di accesso, raccordate con tutta la preesistente rete stradale. Ma noi avremo occasione di percorrere solo le prime due arterie almeno in parte.

    La Casilina è dal punto di vista storico di gran lunga la più importante e si svolge sempre in prossimità del fondovalle, per quanto un po’ elevata al margine sinistro, con percorso non molto lontano dalla ferrovia Roma-Cassino-Napoli e prossimo a quello della ricordata autostrada da Roma a Napoli. Nel Medio Evo la Casilina ebbe anzi maggiore importanza dell’Appia per le comunicazioni con Napoli, e ciò spiega il fiorire di grossi centri sulla strada o in immediata prossimità: Palestrina, Anagni, Ferentino, Frosinone, fino al Passo di Ceprano dove la strada traversa il Liri. Il fondovalle è a 350 m. circa sotto Palestrina, a 100 m. a Ceprano.

    Palestrina

    Il viaggiatore che varca la soglia (371 m.), tante volte ricordata, tra il bacino dell’Aniene e quello del Sacco, quando vede profilarsi di lontano sulla destra i nudi Lepini e più a ridosso, sulla sinistra, i dossi dei Prenestini, si rende conto che è uscito ormai da quelli che possono dirsi i dintorni di Roma e viene a contatto con un paesaggio nuovo, diverso e intuisce anche l’importanza di Palestrina che guarda quel passo, percorso, come già si è detto altrove, da un’antichissima via. Palestrina, l’antica Prae-neste, è situata fra 420 e 470 m. sul versante meridionale del Monte Ginestro, sprone dei Prenestini, proteso verso la pianura; esso è coronato in alto dal paesetto di Castel San Pietro Romano (752 m.), che occupa il sito dell’acropoli di Preneste. Di questa è dunque erede la cittadina attuale, che per la sua posizione dominante fu teatro di fiere contese e subì più volte gravissime distruzioni. Membro della federazione o Lega Latina, fu agitata da lotte con Roma, intercalate da brevi periodi di pace. Mal sopportando infatti il predominio romano, subito dopo l’invasione dei Galli si ribellò a Roma, dando luogo ad una lunga guerra, che durò con fasi alterne fino allo scioglimento della Lega Latina (338 a. C.). Fu nel contempo civitas foederata e poi mu-nicipium; distrutta una prima volta da Siila, dovette ricevere una colonia di veterani e soltanto sotto Tiberio ebbe di nuovo la posizione di municipium. Ma la celebrità di Preneste era legata soprattutto al tempio della Fortuna Primigenia, antichissimo, ma ricostruito in forma ampliata e quanto mai sontuosa sulla pendice del monte; sotto l’Impero fu anche luogo di villeggiatura. Il culto della Fortuna Primigenia perdurò ancora dopo che era sorta una comunità cristiana, molto antica (secolo III) e non cessò che sotto Teodosio; allora il magnifico tempio cadde in rovina e sulla sua area sorse la città medioevale, con le sue vie strette e tortuose in forte pendenza e sostituite talora perfino da scale.

    Palestrina.

    Per tutto il Medio Evo perdurarono lotte fra i feudatari di Palestrina (soprattutto i Colonna) e la Santa Sede; in seguito a queste la città per due volte subì distruzioni quasi totali: una prima volta nel 1297 per opera di Bonifacio Vili che mirò a sottrarla definitivamente ai Colonna; una seconda volta, tornati a Palestrina i Colonna, che l’avevano fortificata durante la permanenza dei Papi ad Avignone, per opera del cardinale Vitelleschi che nel 1437 ordinò una distruzione sistematica, non risparmiando neppure le chiese. Tuttavia, dieci anni dopo la città, ove una parte degli abitanti era tornata, fu restituita ai Colonna, che a loro volta nel 1630 la vendettero ai Barberini. Ed a questi si deve in sostanza la ricostruzione della città e il suo aspetto quale si vedeva fino alla seconda guerra mondiale. Il grande palazzo baronale, eretto già dai Colonna, fu riedificato dal cardinale Taddeo Barberini nel 1640; il Duomo, costruito o ricostruito (su un antico sacello) in forme romaniche, ma danneggiato anch’esso per le distruzioni del 1437, è nella sua struttura attuale del secolo XVII. Quanti abitanti avesse in quest’epoca Pa-lestrina lo sappiamo dal censimento del 1656 che gliene assegna circa 2500. Da allora la popolazione, in lenta ascesa, toccava i 4000 ab. nel penultimo decennio del secolo XVIII, poi nel periodo della Rivoluzione Francese e del dominio napoleonico subiva, come quasi tutto il Lazio, una diminuzione (3530 ab. nel 1816). Assai rapido fu invece l’incremento nel periodo seguente: 5320 ab. nel 1853, 6015 nel 1871, 7074 nel 1901. L’emigrazione rallentò in seguito il ritmo di aumento: appena 7457 nel 1921 e 8166 nel 1931 dei quali un quinto sparsi nella campagna. I bombardamenti del 1944 devastarono la parte centrale, più vecchia dell’abitato, ma misero a giorno, inaspettatamente, importanti avanzi del tempio della Fortuna: sapienti restauri li hanno rimessi in luce, cosicché oggi possiamo farci un’idea chiara della grandiosa costruzione, per alcuni riguardi unica, che dalla parte inferiore, ove è il centro della città (Piazza Regina Margherita), sfruttando la pendenza risaliva con rampe e scalee alla parte superiore ove si trova il teatro. Nel Palazzo Barberini è stato riordinato un magnifico museo con insigni cimeli. Palestrina si gloria di aver dato i natali al grande musicista Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-94), al quale ha eretto una statua nella piazza principale.

    Labico nella valle del Sacco.

    Un paese in singolare situazione. Artena (Roma), le cui case si affacciano sul margine precipite di una cavità carsica.

    Capranica Prenestina.

    Nel 1951 Palestrina aveva ben 6870 ab. nel centro e 9221 nel comune (oltre ai 666 ab. di Castel San Pietro Romano, che è comune a sé). Gli abitanti del comune sono aumentati a 10.307 nel 1961.

    La cittadina si espande verso la vallata, ben coltivata a vigneti e cereali, pullulante di case rurali, ma ha anche alle spalle una regione collinosa con folti oliveti e costellata di paesi frequentati e oggi sempre più attrezzati come luoghi di villeggiatura, quali Olevano Romano (570 m.), San Vito Romano (693 m.), Poli (435 m.). Molti sorgono in ardite posizioni su sproni di calcare emergenti pittorescamente, come Bellegra (815 m.) o addirittura appollaiati su cocuzzoli, come Rocca di Cave (933 m.), Capranica Prenestina (915 m.). Sono tra i centri abitati più elevati del Lazio, un tempo isolatissimi, oggi peraltro tutti raggiunti da ardite strade; e un’ardita strada si inerpica anche fino a Guadagnolo, frazione di Capranica, situato quasi sulla cima del monte omonimo (1218 m.), il più alto centro abitato del Lazio. La rete stradale è recente: essa ha aperto l’accesso alla regione, collegandone i numerosi paesi con la valle dell’Aniene, con Tivoli, con Subiaco, ecc.

    Colleferro

    La Via Casilina prosegue verso sudest, inoltrandosi in una strettura della valle, incisa nei materiali tufacei provenienti dall’apparato vulcanico laziale da un ventaglio di torrenti che confluiscono a formare il Sacco. Qui alcuni paesi, come Labico e Val-montone, sono situati su sproni fra due corsi di acqua contigui, e dominano il passaggio obbligato della strada: a Valmontone durante l’ultima fase della seconda guerra mondiale, i Tedeschi opposero tenace resistenza all’avanzata delle truppe alleate e la cittadina fu molto gravemente danneggiata; la ricostruzione è ormai compiuta.

    Usciti dalla stretta ci troviamo in un centro nuovo, Colleferro, il più grande complesso industriale del Lazio, sorto in posizione abbastanza appartata e riparata da offese belliche, in una località dove sessant’anni fa non vi era che un vecchio casale isolato. Il vasto complesso si basa essenzialmente, come si è visto, sulle industrie chimiche, ma altre industrie accessorie o collaterali sono sorte in seguito; e gli stabilimenti si sono gradualmente estesi occupando un’area sempre più vasta e accanto ad essi è sorto un centro residenziale per tutti coloro che lavorano nelle officine, ma fornito ormai di tutto quanto caratterizza una cittadina (chiese, negozi, scuole, luoghi di ritrovo e di ricreazione, ospedali, ecc.). Di fatto Colleferro, che aveva un migliaio di abitanti nel 1911, ma quasi 2300 nel 1931, eretto a comune autonomo nel 1935, è ora una vera e propria cittadina: nel 1951 aveva quasi 10.100 ab. ed oggi (1961) supera di poco 15.000 ab., compreso il nucleo allo scalo ferroviario. Tutto è nuovo nella vivace cittadina e il contrasto con i vicini centri antichi — come Genazzano (374 m.), soggiorno estivo preferito dal Gregorovius, ed Artena (448 m.), antica città volsca, ma d’aspetto tipicamente medioevale con case scure e piccole finestre simili a feritoie — si manifesta non solo nella struttura del centro, ma nel modo di vita degli abitanti, proprio di una città operaia, che per oltre un terzo (5500) risultano infatti occupati nei diversi stabilimenti.

    San Vito Romano.

    Colleferro.

    Poli ai piedi del Monte Guadagnolo.

    Anagni

    Dodici chilometri più avanti la Casilina passa sotto Anagni, allungata su un dosso che sovrasta la strada di oltre 200 m. ; vi sale una via snodantesi con lunghe risvolte fra le fertili pendici. Antica città degli Ernici, presso i quali sembra avesse già una posizione di primo piano, fu conquistata da Roma nel 306 a. G. ed ebbe una costituzione municipale. Dalla fine del secolo V d. C. fu sede episcopale e la sua importanza crebbe nel Medio Evo perchè costituì il più forte baluardo, tra Palestrina e Ceprano, a dominio della valle qui allargata in un ampio solco a fondo piatto, facilmente transitabile. Il possesso di Anagni era perciò essenziale per i Pontefici che già alla fine del secolo Vili la governavano per mezzo di un duca. Contesa poi da signori locali fu libero comune dal secolo XIII, ma vide aspre lotte fra le varie fazioni cittadine; finirono per trionfare i gruppi favorevoli al Papa e Bonifacio Vili riebbe la città e vi instaurò una velata signoria della sua famiglia, i Caetani. I resti del palazzo di Bonifacio Vili, o meglio delle sostruzioni che ne sostenevano l’immensa mole si conservano ancora; in esso il vecchio Pontefice attese impavido le soldatesche di Filippo il Bello e fu schiaffeggiato dal suo cancelliere Nogaret che lo fece prigioniero. Turbinoso il periodo durante il quale i Papi risiedettero ad Avignone, ma nel 1399 la città tornò alla Chiesa. Anche in seguito ebbe peraltro a soffrire per saccheggi, terremoti, pestilenze: al tempo di Paolo IV, il duca d’Alba devastò i sobborghi esterni (1556), coi quali il centro antico in alto si era espanso. Ma la città risorse: la piazza centrale fu sistemata intorno al 1560; alcune delle maggiori arterie sono posteriori. E la vita cittadina — vivace centro di industrie e commerci, ed anche di attività artistiche, frequente soggiorno di Pontefici nei secoli XIV-XVI — non si spense più tardi.

    Nel 1656 Anagni aveva circa 3000 ab. e da allora ebbe vicende demografiche del tutto simili a quelle delle città consorelle di questa regione: aumento dapprima lentissimo o nullo per mezzo secolo, poi rapido incremento nel secolo XVIII (circa 6350 ab. nel 1782). Dopo una diminuzione sul finire del secolo XVIII e al principio del XIX (5450 ab. nel 1816), Anagni sale a 7825 ab. nel 1853, a 8220 nel 1871, a 9612 nel 1901, a 11.286 nel i93i,a 14.620 ab. nel 1951 e 15.139 nel 1961 (di cui circa 8000 nel centro). La popolazione dal 1871 al 1961 è dunque quasi raddoppiata, ma all’incremento concorre in larghissima misura la popolazione sparsa in campagna. Bisogna infatti tener presente che siamo nella parte del Lazio nella quale la popolazione rurale è più numerosa: degli abitanti del 1951 più della metà è indicata come distribuita in case sparse; la città non ne novera più di 7200.

    Vedi Anche:  I Comuni del Lazio

    Il Duomo di Anagni

    La città ha avuto di fatto, parallelamente all’incremento demografico, un grande sviluppo edilizio alla periferia, mentre immutato è rimasto l’aspetto del vecchio centro. Questo ha cospicui avanzi di età preromana e romana, ha case e palazzi medioevali di insigne valore artistico, lungo l’arteria principale che sale tortuosamente fino alla Piazza Innocenzo III dove è il Duomo del secolo XI con l’alto campanile ; ed ha ancora nelle più strette viuzze costruzioni di immutata architettura medioevale. Ma anche nella parte recente, grandiosi edifici — soprattutto istituti di istruzione — ben visibili anche da lontano a chi viene dalla Casilina, contribuiscono a dare alla città una caratteristica che, nel contrasto tra l’antico, di varie età, ed il nuovo, fa di Anagni una delle più suggestive città del Lazio meridionale.

    Ferentino

    Siamo ormai nel cuore della Ciociaria, che associa al brulichio della popolazione sparsa in campagna, un cospicuo numero di centri, tra i quali quattro disposti all’ingrosso su un quadrilatero di non più di io km. di lato, Ferentino, Frosinone, Veróli e Alatri.

    Ferentino è in posizione analoga a quella di Anagni, su una pendice (393 m. nel punto culminante) imminente sulla Via Casilina, a circa 5 km. dal Sacco, la cui ampia valle, malsana palude nel Medio Evo, bonificata a partire dal 1721, è ora una distesa magnifica per coltura intensiva. Ferentino è la ernica Ferentinum, una delle città del Lazio che attraverso due millenni e più ci attesta una continuità di nome, di vita e di funzione. Conquistata da Roma nel 361 a. C. le rimase sempre fedele; dopo la guerra sociale ebbe la cittadinanza, fu devastata da Annibale nella sua marcia verso Roma nel 211 a. C., dopo Canne. La poderosa arx, una delle meglio conservate del Lazio, a pianta rettangolare di grandi massi parallelepipedi è del tempio di Siila, ma forse su sostruzioni più antiche; della stessa epoca sono le mura della città, conservate su quasi tutto il loro perimetro con sei porte. Il palazzo espiscopale occupa forse il posto di un tempio sull’arce. Sede di una antica comunità cristiana ebbe i suoi vescovi dalla fine del secolo V; saccheggiata dai Saraceni, dovette presto risorgere, ponendosi sotto l’egida dei Pontefici; dopo il Mille ebbe ordinamenti comunali, ma rimase sempre legata alla Santa Sede. Dei secoli XII-XIV conserva belle chiese (il Duomo, S. Maria Maggiore, ecc.) ed anche case di architettura romanica; alcuni quartieri hanno mantenuto il tipico aspetto medioevale.

    Anche la storia demografica è analoga a quella di Anagni: 2500 ab. circa nel 1656 poi, con notevole incremento nel secolo XVIII, più di 7000 ab. nel 1782, un po’ meno nel 1816, circa 9100 nel 1853, 10.174 nel 1871, oltre 14.000 nel 1901. Nel secolo attuale l’aumento è più lento, anzi vi sono periodi di stasi o anche di decremento perchè Ferentino dà un notevole contributo all’emigrazione esterna e interna: 15.163 ab. nel 1931, 16.328 nel 1951, diminuiti a 15.794 1961. Ma anche qui, come si rileva dal censimento 1951, meno della metà della popolazione (7522 ab.) è in città, tutto il resto in piccoli nuclei (tra i quali l’Acquapuzza, sorgente di acque solforose già note ai Romani) o in case sparse.

    Ferentino.

    Frosinone e Veróli

    Frosinone è su un colle allungato (291 m.) con sommità alquanto spianata, che scende ad ovest con pendio ripido sul fiume Cosa, tributario del Sacco, mentre a nord e a sud è delimitata da due valloncelli affluenti al Cosa. La Via Casilina vi penetra da nord incrociandosi con la strada che traversando i Lepini raggiunge la Pianura Pontina, con quella che risale ad Alatri e all’alta Ciociaria e infine con quella che superando una lieve soglia (300 m.) conduce alla valle del Liri. Questa posizione di incrocio stradale spiega l’importanza di Frosinone, accresciuta dal fatto che qui la valle del Sacco si fa più angusta e il fiume si sposta sempre più verso le falde dei Lepini, e traversa una breve stretta dominata da Ceccano proprio dirimpetto a Frosinone.

    Sebbene antica città volsca (Frusino), istigatrice della ribellione degli Ernici a Roma nel 306 a. C. e per ciò severamente punita, nell’antichità non è frequentemente nominata; si sa però che fu prefettura, poi dopo la guerra sociale municipio e nell’età imperiale colonia. Nel Medio Evo fu per lungo tempo retta dai domini frusinates, famiglie nobili con diritti ereditari; alla fine del secolo XIII passò alla Chiesa. Subì numerosi saccheggi (per opera dei Lanzichenecchi nel 1527, degli Spagnoli nel 1556, dei Francesi nel 1798); perciò la città conserva pochi avanzi medioevali ed ha aspetto moderno con strade e viali alberati, ampie piazze, grandiosi edifici moderni. Anche della cattedrale romanica non restano che pochi avanzi nel campanile.

    Nel riordinamento amministrativo attuato da Pio VII nel 1816, Frosinone — già capoluogo di circondario nel 1811 — fu eretta a capoluogo della provincia di Campagna e Marittima; dal 1927 è capoluogo della nuova provincia istituita in seguito alla suddivisione dell’unica provincia di Roma.

    Le vicende demografiche di Frosinone, fino alla costituzione della provincia, non differiscono molto da quelle dei centri vicini. Nel 1656 aveva 1885 ab., ma già circa 3000 al principio del secolo XVIII. Nel corso di questo secolo la popolazione crebbe notevolmente fino a raggiungere i 6670 ab. nel 1782. Nei decenni seguenti si mantenne, come in genere in tutta la regione, stazionaria con tendenza anzi a diminuire (6496 ab. nel 1811, 6014 nel 1816). Poi l’erezione a capoluogo della Marittima produsse un nuovo balzo in avanti: 9234 ab. nel 1853, 10.161 nel 1871. Segue un nuovo periodo di stasi o di lento incremento (11.029 ab- nel 1901, 13.380 nel 1921), fino all’istituzione dell’attuale provincia che in trent’anni portò gli abitanti a 24.688 nel 1951 e a 31.155 nel 1961. Ma anche in questo caso si verifica che poco più della metà degli abitanti al 1951 (14.035) vive in città; il resto è distribuito in un centinaio di piccoli nuclei, intorno a masserie, a chiese o a incroci stradali, e oltre 5000 in case del tutto sparse in campagna.

    Pianta della città di Frosinone e dintorni.

    Frosinone.

    Frosinone

    L’erezione a capoluogo di provincia ha influito anche sullo sviluppo economico di Frosinone: già importante centro agricolo e mercato di bestiame, ha veduto sorgere alcune importanti attività industriali, il che ha determinato ancor più l’impronta di città moderna, molto diversa in questo dalle altre località della Ciociaria già descritte.

    Alatri, presso le pendici dei Monti Ernici, è centro di antica origine, come mostra la sua acropoli, a cinta trapezoidale e grandi blocchi poligonali, che occupa la sommità d’un colle e risale al VI secolo avanti Cristo. La cittadina, dedita al lavoro dei campi, conserva aspetto medioevale, con case a bifore e torri.

    L’abitato si espande verso lo scalo ferroviario ed esercita poi un’attrazione sui minori centri circostanti, Amara, Tórrice, Ripi, Boville Ernica, ecc.

    Nell’orbita di Frosinone rientra ormai anche Véroli (circa 3500 ab. nel centro principale, ma 18.188 nel comune), cui si sale da Frosinone per una strada che si dirama da quella che reca a Isola del Liri e Sora. E a 570 m. su uno sprone degli Érnici, che domina largamente la regione collinosa circostante, tutta sparsa di ridenti borgatelle, di case rurali, e intensamente coltivata. L’antica Verulae ernica, poi municipio romano, ebbe grande importanza sin dal più alto Medio Evo; sede di vescovato dal secolo Vili e dichiarata città dal papa Zaccaria nel 743. In generale fu legata alla Chiesa e di fatto per il dominio pontificio aveva importanza in quanto guardava l’ingresso dai Napoletano per la via di Sora, come apparve più volte, soprattutto durante le lotte tra Federico II ed il Pontefice. Anche Carlo Vili nella sua marcia per la conquista del Reame di Napoli, si fortificò a Véroli prima di forzare il passo dalla parte di Sora. Le vicende storiche della città furono assai complesse e ne fanno fede monumenti cospicui di ogni epoca, dalle mura poligonali della sua rocca preromana, sormontate da mura romane e medioevali, dalle chiese romaniche e gotiche (in gran parte rimaneggiate), ai palazzetti e alle case medioevali con scala esterna (Via Gracilia). Nella parte vecchia le vie si arrampicano adattandosi alla conformazione del dosso ; alcune si presentano addirittura come scale. Ma Véroli ha anche quartieri nuovi con ville e palazzine ed è frequentata stazione di soggiorno estivo.

    Véroli fu anche centro di cultura e conserva una ricca biblioteca. Da Véroli mossero al principio del secolo XI i fondatori dell’Abbazia di Casamari, distante una diecina di chilometri; è un grandioso monumento, di stile gotico, eretto nella prima metà del secolo XIII, oggi eccellentemente restaurato; vi sono annessi istituti scolastici che richiamano la popolazione circostante.

    Alatri

    A nord di Véroli, nella alta valle del Cosa, è Alatri, sdraiata anch’essa su una collina abbellita da oliveti, che si eleva fino allo spiazzo (502 m.) sul quale si aderge la formidabile acropoli (La Civita) a forma di trapezio con mura formate da enormi blocchi quadrangolari o poligonali, conservate in tutto il loro perimetro, con cinque porte delle quali rimangono due : la maggiore, la porta della Civita è alta quattro metri e mezzo! Il vastissimo piazzale, donde si gode un ampio panorama, è in parte occupato dal Duomo e dal Palazzo vescovile. Anche la città bassa è cinta tutt’intorno di mura, probabilmente contemporanee a quelle dell’acropoli (secolo VI a. C. ?), fatte di enormi blocchi sovrapposti senza cemento, rinforzate poi nel Medio Evo con torri quadrate. La città ha monumenti insigni di vari periodi del Medio Evo: la chiesa di S. Maria Maggiore, romanico-ogivale, nella piazza principale, altre chiese, palazzetti come la casa-torre del cardinale Gottifredo, molte case, nelle vie strette e tortuose, caratteristiche per le finestre a bifore o trifore ogivali, ecc.

    Alatri.

    Tutto questo ci dice che ad Alatri siamo tornati nel cuore della Ciociaria tradizionale, come ad Anagni e a Ferentino, con le quali la città ebbe di fatto in comune molte vicende storiche. Città tra le più notevoli degli Ernici (Alatrium), fedele a Roma come Ferentino, durante la ribellione ernica, fu colonia e municipio. Sede vescovile dal 547 fu nel secolo VI devastata dai Goti, ma risorse col nome di Civitanova e, nel periodo che fu pure quello del maggiore sviluppo, dal secolo XII al XIV, ebbe alterne, travagliate vicende; vide sorgere il comune, sempre impegnato in contese coi vicini, parteggiò per la Chiesa nella lotta con Federico II; alla Chiesa appartenne definitivamente solo dal 1389.

    Non si sa quale fosse la popolazione di Alatri nell’epoca del suo maggiore sviluppo: nel 1656 con 5000 ab. aveva un primato demografico sulle città vicine, ma nel 1701 gli abitanti erano calati a 4000. Da allora sembra che la popolazione sia andata sempre aumentando, sia pure con diverso ritmo: 7375 ab. nel 1782, 8688 nel 1816, 12.852 nel 1853, 13.681 nel 1871, 15.450 nel 1901, 18.039 nel 1931, 20.459 nei 1951, oggi (1961) 21.127. Ma questi dati si riferiscono al territorio comunale; poco più di un quarto della popolazione del 1951 (5188 ab.) abitava nel centro. E di fatto, a chi guardi dagli spalti della Civita, lo spettacolo della campagna pullulante di case e di piccoli nuclei sparsi in tutta la fertilissima valle del Cosa, produce un’impressione vivissima: lo sguardo spazia fino a Véroli, a Frosinone, a Fumone, paese aggrappato al sommo di un cocuzzolo, a 783 m. di altezza, con l’antica rocca nella quale morì il papa Celestino V, fatto prigioniero, dopo «il gran rifiuto», da Bonifacio Vili (1294).

    Vedi Anche:  La valle dell'Aniene

    Fiuggi e i centri degli Ernici

    Ad Alatri si può giungere anche da Palestrina per la Via Prenestina, che passando poco sotto Genazzano, dominata dal grandioso castello dei Colonna, si svolge poi in alto tra 500 e 600 m. sulle pendici degli Ernici, toccando o avvicinando piccoli, ma vivaci paesi pittorescamente situati sui pendii: Serrone, Piglio, Acuto; chi percorrendo la strada guarda dall’alto, come da un balcone, la ricca pianura del Sacco, nota subito lo stridente contrasto con la nudità della montagna calcarea, rotta solo da qualche lembo di superstite bosco intorno a conventi o sedi di religiosi. Qui siamo nell’alto paese ernico, dove lo spazio per le coltivazioni si fa più limitato, si riduce la popolazione sparsa in campagna e i centri assumono l’aspetto di villaggi di montagna: Collepardo (a 630 m.), già menzionato per la sua celebre grotta e lo spettacoloso Pozzo di Santullo — l’una e l’altro descritti in pagine vivaci, pur non prive di immagini un po’ retoriche, dal Gregorovius — Vico nel Lazio a 720 m., Guarcino (2427 ab.) a 625 m., Fiuggi, a 747 m., il più popoloso (5756 ab.). Fiuggi è composto dal vecchio paese, denominato fino al 1911 Anticoli di Campagna, situato su un alto colle calcareo, e dalla sua propaggine Fiuggi Fonte (a 620 m.), la famosa stazione idrominerale, una delle più frequentate d’Italia, con sontuosi edifici e attrezzature moderne, tra magnifici boschi. Il bel viale che congiunge i due centri è tutto popolato da ville, alberghi, luoghi di soggiorno.

    Guarcino.

    Da Fiuggi una strada panoramica risale al Piano di Arcinazzo, al quale, come si è già visto, si arriva anche da Subiaco. Di fatto il Piano è una conca carsica chiusa, a cavaliere fra il bacino del Sacco e quello dell’Aniene; dal primo lo separa il gruppo del Monte Scalambra (1402 m.), dal secondo quello del Monte Altuino (1269 m.). Le acque sono assorbite da inghiottitoi. Posto a 850-900 m. di altezza l’altopiano offre un ottimo soggiorno estivo, per quanto nudo e povero di acque; vi sono sorte e vi sorgono tuttora numerose ville e vi sono avviate opere di rimboschimento, cosicché il paesaggio quale era trent’anni fa, appare del tutto modificato.

    Collepardo.

    Fiuggi.

    Dal Piano, una strada, superata una lieve soglia, raggiunge l’alta valle dell’Aniene e sale ai remoti paesi di Trevi nel Lazio e di Filettino (1037 m.); quest’ultimo, ai piedi del Viglio, è pure frequentato soggiorno estivo e comincia ad avere qualche importanza anche come sede di sports invernali; una recente e arditissima strada sale di qui alla Sella di Sant’Antonio (1608 m.) e discende con ampie risvolte in Val Roveto.

    Altre nuove strade aprono l’accesso a località situate a grandi altezze sui nudi fianchi degli Ernici : una da Guarcino sale a Campo Catino (1787 m.), ben noto centro di sports invernali; un’altra da Collepardo conduce alla bellissima Certosa di Trisulti (797 m.), in luogo solitario in mezzo ad un fitto bosco; una ancora da Veroli al Prato di Campoli alle falde del Monte Pizzo Deta, la più alta vetta degli Ernici (2041 m.).

    Ceprano e Aquino

    Torniamo a valle per seguire la Via Casilina oltre Frosinone. Essa scende fra le basse, morbide colline del Frusinate, ricche d’acqua, intensamente coltivate e sparse di masserie, e raggiunge il Liri al ponte di Ceprano. Questo passaggio sul Liri che per secoli svolse la funzione di fiume di confine tra lo Stato Pontificio e il Reame di Napoli, ebbe perciò una straordinaria importanza politico-militare. A guardia del passaggio era nell’antichità la volsca Fregellae, le cui vicende furono, si può dire, dominate dalla situazione geografica: la fortezza volsca fu demolita dai Sanniti nella loro espansione verso la pianura; poco dopo se ne impadronirono i Romani che la fortificarono di mura e ne fecero fulcro delle loro operazioni nella seconda guerra sannitica. Nel II secolo a. C. assurse a grande splendore, ma Annibale la devastò nella sua marcia verso Roma nel 211; finalmente essendosi posta a capo di una ribellione, fu presa nel 125 e questa volta rasa al suolo. Ne ereditò il sito e la funzione Ceprano, il cui nome si fa derivare da un fondo della gens Ceparia. E per tutto il Medio Evo e l’età moderna la storia di Ceprano è piena di avvenimenti che tutti sono collegati, direttamente o indirettamente, con quella sua funzione di città di frontiera. Qui convennero Gregorio VII e Roberto il Guiscardo, che dal pontefice ricevette l’investitura del Regno di Puglia; qui nel 1254 Manfredi rese omaggio al papa Innocenzo IV, ma proprio qui stesso al passaggio del Liri — ed è l’episodio più famoso — lo sventurato re fu tradito dal cognato, conte di Caserta, che doveva fronteggiare l’avanzata di Carlo d’Angiò; e qui presso, nel 1266, lo sconfitto Manfredi sarebbe stato sepolto nottetempo « di fuor dal Regno quasi lungo il Verde », secondo la tradizione riferita da Dante (Purgatorio III, 131-2) ed accolta da molti studiosi moderni, che identificano il Verde col Liri. Ceprano fu nuovamente fortificato da Giulio II; qui ancora una volta, nel 1815, Gioachino Murat tentò, ma invano, di opporsi all’avanzata delle truppe austriache.

    La cittadina attuale, che si ritiene occupi il posto dell’arx volsca, è sulla destra del Liri, su un’ansa molto accentuata e incassata del fiume, che lambisce l’abitato da tre parti. Chi ne considera de visu questa situazione, si rende subito conto della funzione strategica esercitata per più di due millenni! Ora questa funzione è venuta meno; ma Ceprano, cittadina di aspetto moderno, trova le sue basi di vita nelle prossime centrali idroelettriche, che animano stabilimenti industriali (soprattutto cartiere) ed inoltre è centro di traffici perchè vi si incrocia con la Casilina e con l’Autostrada del Sole una strada proveniente da Itri, che continua per Isola del Liri e Sora.

    Gli abitanti di Ceprano erano circa 1400 nel 1656, 2040 nel 1701, 3005 nel 1782, 2594 nel 1811 e 3410 nel 1853. Dopo la riunione del Lazio al Regno d’Italia, la popolazione aumentò con ritmo più rapido: 4538 ab. nel 1871, 6201 nel 1901, 7283 nel 1921, 7736 nel 1931 e 8812 nel 1951. Di questi ultimi, peraltro solo 3601 vivono nel centro: il resto della popolazione è sparsa nel territorio comunale, che comprende tutta la zona tra il Liri ed il Sacco fino alla confluenza, e anche la piana a sinistra del Liri, tutte aree fertili, con prevalenza di vigneti. Al 1961 il comune con 8030 ab. presentava però un notevole decremento rispetto al precedente censimento.

    Il Sacco confluisce nel Liri poco a sudest di Ceprano, dove è stato creato il lago artificiale di San Giovanni Incarico; la valle è ormai di nuovo ampia, tra le estreme propaggini degli Ausoni-Aurunci cui si avvicina il Liri e i contrafforti del Monte Cairo (1669 m-)- La Casilina corre ai piedi di questi contrafforti: sulla strada è Arce sulla quale incombe in posizione così ardita, che par quasi incredibile per un centro abitato, Rocca d’Arce (507 m.); un po’ lontana — verso sud — su uno sprone roccioso è Roccasecca, poi sulle pendici paesi pittoreschi come Castrocielo, Piedi-monte San Germano, Villa Santa Lucia, ecc.

    L’antica Via Latina correva qui a un dipresso parallela all’attuale Casilina e su di essa era Aquino, oggi modesta borgata agricola (3656 ab. nel 1961), centro notevole nell’antichità e nell’età media. L’antica Aquinum, importante città volsca, poi colonia romana, aveva una robusta cinta di mura con quattro porte di cui ancora restano cospicui avanzi; ma la città fu devastata dai Longobardi e rimase priva di abitanti. Di un nuovo centro si comincia a parlare nel secolo VII: al principio dell’VIII aveva importanza come città di frontiera fra il ducato longobardo di Benevento e quello bizantino di Gaeta ; più tardi divenne il fulcro di una potente famiglia che alla metà del secolo X assunse il titolo comitale. Alla famiglia di questi Conti d’Aquino appartenne S. Tommaso, il doctor universalis. Situata alle porte dello Stato Pontificio e del Reame di Napoli, Aquino fu necessariamente mescolata alle frequenti e complesse lotte politiche dei secoli dal XIII al XV; il secolo XV è il periodo di maggior floridezza.

    Parte del centro attuale ha ancora aspetto medioevale; il più importante monumento, la chiesa di S. Maria della Libera è del secolo XII e forse fu costruita sul posto di un tempio romano.

    Cassino, Pontecorvo e Arpino

    Dove sbocca dalla montagna nel piano il Rapido, che prende il nome di Gari, è Cassino, dominato dalla ripida altura (516 m.), ove sorge la celebre Abbazia. Cassino, che fino al 1871 si chiamava San Germano, era nell’antichità località di confine tra il Latium adiectum e la Campania. Città volsca, poi sannita, fu presa nel 312 a. C. dai Romani che vi dedussero una colonia; era allora rinomata per i rigogliosi oli veti dei suoi dintorni. Nel 188 fu eretta a municipio. La Cassino romana fu distrutta dai Longobardi e non risorse che qualche secolo dopo, o meglio risorse col nome di San Germano e da allora le sue vicende si intrecciano con quelle dell’Abbazia.

    Ma della città di Cassino, che nel 1931 aveva circa 11.076 ab. (18.582 nel comune) e constava di una parte vecchia addossata alla parete rocciosa della montagna e di una più ampia parte nuova, in piano, sui due lati della Casilina, nulla più rimane: teatro di ripetuti scontri nell’inverno 1943-44, fu ridotta dallo spaventoso bombardamento del 15 marzo 1944 ad un cumulo informe di macerie: non una casa rimase indenne. La piana era poi allagata per la rottura degli argini del Rapido e dei cana di irrigazione da esso derivati. La popolazione in parte migrò a Roma, a Napoli o altrove, in parte trovò rifugio nei boschi e nelle montagne. Spostato il fronte di battaglia i rifugiati cominciarono a riparare i ruderi pericolanti e a sistemarvisi. Ma presto intervenne l’opera sistematica di ricostruzione secondo un piano predestinato: abbandonato il vecchio quartiere arrampicato sull’altura, la nuova Cassino si stende tutta in piano ed ha l’aspetto regolare di un centro pianificato. Il censimento del 1951 trovava già 7431 ab. in città e altri 12.000 circa in nuclei e case sparse nelle campagne ripopolate; oggi il comune conta (1961) 21.105 abitanti.

    Cassino.

    La piana di Cassino, percorsa dal fiume Rapido, dominata dal monte (m. 516) sul quale è stata eretta l’Abbazia di Montecassino, il famoso monastero fondato da S. Benedetto nel secolo VI. Ai suoi piedi è Cassino, centro agricolo e commerciale, risorto come l’Abbazia, dopo la totale distruzione avvenuta durante la Seconda Guerra mondiale.

    Allo scopo di migliorare le condizioni dell’agricoltura nella zona percorsa dal Rapido, che interessa anche la piana di Cassino, sono stati compiuti a cura della Cassa per il Mezzogiorno lavori d’una certa entità, in modo da addivenire alla risoluzione del problema idraulico, poiché l’irrompere nella piana di numerosi torrenti dalle circostanti pendici montane procurava frequenti inondazioni creando dannosi depositi ghiaiosi e sabbiosi. Si è così provveduto alla sistemazione delle ripide e instabili pendici con interventi idraulico-forestali e idraulico-agrari per eliminare il trasporto dei materiali solidi e alla sistemazione valliva dei vari corsi d’acqua (rii Secco e Inferno, Rapido, ecc.) attraverso inalveazioni e correzioni dei profili di fondo. Si è anche provveduto a utilizzare le acque del Rapido a scopo irriguo (5000 ha.).

    Vedi Anche:  Montagne e pianure del Lazio

    L’Abbazia di Montecassino — dove S. Benedetto trascorse gli ultimi anni della sua vita — culla del monachismo occidentale, luminoso centro di cultura per secoli, fu colpita con massicci, ripetuti bombardamenti aerei tra il 15 e il 18 febbraio 1944 dagli Alleati che credevano vi fossero installati comandi e opere belliche tedesche. La preziosa biblioteca, l’archivio, le opere d’arte erano state in buona parte messe al sicuro altrove, ma tutti i grandiosi fabbricati furono quasi interamente distrutti; numerose le vittime. Per molti mesi chi percorreva la Casilina o viaggiava in ferrovia non vide al sommo del colle che un gigantesco cumulo di ruderi, che sembravano confondersi con la viva roccia. La ricostruzione è stata eseguita in modo da riprodurre esattamente la struttura architettonica qual era prima del bombardamento. Il monastero era stato già più volte rovinato: in modo gravissimo dal terremoto del 1349; dell’edificio anteriore a questo disastro restava una torre che una tradizione, certamente inesatta, identificava con la dimora del Santo. Lotte, vicende varie e terremoti hanno quasi del tutto distrutto le parti originali dell’Abbazia, che nondimeno conserva integro il fascino delle sue grandi memorie.

    Montecassino, secondo il Pacichelli (1703).

    Montecassino dopo la ricostruzione.

    Quattordici chilometri oltre Cassino, la Casilina esce dal Lazio.

    Ma allo Stato Pontifìcio appartenne prima del 1860 un’enclave nel Reame di Napoli rappresentato da Pontecorvo, cittadina fondata dai Longobardi (nel secolo IX) sopra una terrazza sulla sinistra del Li ri, dove è tuttora il « ponte curvo », che le ha dato il nome. Dopo essere stata contesa da vari feudatari passò sotto la giurisdizione del Monastero di Montecassino e dal 1463 alle dirette dipendenze della Santa Sede. Allo Stato italiano fu unita nel dicembre 1860 in seguito ad una insurrezione dei suoi cittadini e ad un plebiscito. Pontecorvo aveva nel 1951, 5207 ab. e 13.369 nel comune (12.239 ab. nel 1961), che comprende al solito numerosi nuclei e case sparse nella fertile campagna circostante.

    Nella regione nella quale siamo arrivati, a Cassino, come a Roccasecca, a Ponte-corvo, si avverte già la parlata napoletana, o meglio campana; tuttavia nell’attuale estensione della regione Lazio, rientrano in essa non solo queste località, ma tutto il paese sulla sinistra del Liri, fra Liri e Melfa, il bacino di quest’ultimo, e quello del Rapido-Gari.

    Nel territorio collinoso posto tra Liri e Melfa e solcato da affluenti di sinistra del primo (principale il Fibreno), il centro principale era nell’antichità Arpino, che si gloria di aver dato i natali a Mario e a Cicerone. E veramente che la città — sdraiata su una dorsale (a 447 m.) sormontata da un’arx, la Civitavecchia (627 m.), verso la quale pur si arrampica il vecchio caseggiato — fosse di primaria importanza lo dimostrano le imponenti mura a grandi blocchi parallelepipedi che recingevano sia l’arx che la città sottostante, probabilmente sin dall’età volsca; mura che continuarono a fare della città una robusta fortezza nel periodo sannita, nell’età romana, nell’alto Medio Evo quando vi si aggiunsero torri e porte ad ogiva. Ciò attesta una continuità di funzione strategica, non interrotta da devastazioni e da saccheggi, rinnovata allorché, passata allo Stato della Chiesa sino dal 1215, Arpino ebbe ancora rafforzata e in parte forse addirittura ricostruita, la sua robusta cinta di mura; divenne così un altro baluardo alle frontiere dello Stato.

    Oggi questa funzione è cessata: Arpino è una tranquilla cittadina (2239 ab. al centro nel 1951, ma 10.380 ab. nell’intero comune, ridotti ad 8380 nel 1961), che, dopo aver dato un notevole contributo all’emigrazione alla fine del secolo scorso e al principio del seguente, si rianima per talune industrie locali (lanifici; lavorazione del marmo di vicine cave, oleifici); vive soprattutto dei ricchi prodotti agricoli del vasto territorio limitrofo.

    Pontecorvo.

    I centri della valle del Liri

    Il centro della regione si è spostato verso la pianura, nella quale il Fibreno raggiunge il Liri, che, a forma grossolanamente di un triangolo ha ai due estremi della base Isola del Liri e Sora. Isola del Liri, così denominata perchè la sua parte più antica occupa un’isola fra due rami del fiume, sebbene abitata già in epoca preistorica e poi in età romana, castello fortificato nel Medio Evo, deve la sua importanza alla utilizzazione industriale delle belle cascate formate da entrambi i rami del Liri. Primeggia in modo assoluto l’industria della carta, promossa da un francese, Carlo Le-febvre di Pontarlier (1775-1858), già al tempo di Ferdinando II; essa è tuttora in pieno sviluppo, essenzialmente in mano della Società delle Cartiere Meridionali. Si utilizza anche l’acqua del Fibreno che ha origine dal pittoresco, limpido laghetto di Posta, alimentato da numerose sorgenti. Gli stabilimenti industriali si accentrano soprattutto nella parte alta della cittadina, Isola Superiore: la cascata più ricca d’acque è la Cascata grande divisa in due rami, di cui il maggiore (o cascata verticale) ha un salto di 27,50 metri. Isola del Liri, che si è espansa con sobborghi moderni specie lungo la strada che viene da Ceprano, ha ora circa 6000 ab., ma il comune, che ha numerosa popolazione sparsa, ne conta 12.118 (1961). Di fatto la piana, che il Liri percorre formando una successione di meandri tipici, è riccamente coltivata e pullula di case di campagna. La strada la traversa con un lungo rettilineo per giungere a Sora.

    Isola del Liri.

    Sora, il centro oggi più importante della valle del Liri, è in pianura a 280-300 m. su un’ansa del fiume, ai piedi del brullo Monte San Castro (540 m.), dalle forme bizzarramente scolpite dall’erosione; in cima ad esso sono le rovine della Rocca Sorella, che occupano il sito dell’antica arx. Sora è una delle porte dell’Abruzzo: poco a monte il fiume esce dalla lunga angusta Val Roveto, che è abruzzese: essa era attraversata da un’antica via che nell’antichità metteva dalla Campania nella regione dei Marsi, oggi è percorsa da una bella strada e dalla ferrovia Roccasecca-Sora-Avezzano (costruita dal 1884 al 1902).

    La città è antichissima ed ha sempre conservato, col nome, la sua funzione. Disputata più volte nell’età classica, fu durante l’Impero centro tranquillo e fiorente, per le produzioni dei suoi feraci dintorni. Il Cristianesimo vi fu introdotto prestissimo, e la città fu sede vescovile. Ma, come città di confine, continuamente contestata, mutò frequentemente di padrone ed ebbe una storia tormentatissima, della quale non possiamo qui neppur riassumere le vicende. Gastaldato longobardo dipendente da Benevento, poi da Salerno, più volte donata alla Chiesa, ma ripresa dai Normanni e dai sovrani di Napoli; eretta a contea, poi a ducato, fu tenuta da diversi feudatari, appoggiati per lo più ai re di Napoli. Gli ultimi duchi, i Boncompagni, la cedettero definitivamente al Reame mediante permuta nel 1796.

    L’aspetto della città dovette tuttavia più volte esser mutato sia perchè non le mancarono distruzione (nel 1229 per opera di Federico II), sia perchè frequentemente devastata dai terremoti (negli anni 1349, 1634, 1915, quelli più gravi). Nel 1669 aveva circa 3500 ab., ma, in epoca a noi più vicina, un altro travagliatissimo periodo si preparava per Sora, quando essa divenne sede del famigerato brigante Gaetano Mammone e poi di Michele Pezza, il celebre Fra Diavolo; riebbe la quiete sotto i Borboni, ma nel 1860 fu fieramente contesa fra Borboni e Garibaldini, e come strascico si vide nuovamente al centro delle gesta di Luigi Alonzo detto Chiavone, capeggiatore del brigantaggio politico stroncato solo nel 1863. Ricordi d’altri tempi ormai cancellati. Sora è una cittadina d’aspetto moderno, vivace e movimentata, all’ingresso di campagne amenissime. Si avverte che siamo, in realtà, in un lembo di Campania.

    I 12.434 ab. del 1861 erano divenuti 16.000 e più nel 1901, 19.553 nel 1931, 23.707 nel 1951, oggi 23.656 (1961). Ma alla città spettavano appena 8653 ab., secondo il censimento del 1951, che annovera oltre 60 piccoli nuclei (dei quali appena 5 sopra i 100 ab.) e più di 11.000 ab. in case sparse. La ferrovia e più ancora i servizi automobilistici conferiscono particolare movimento alla città. In epoca recente la Cassa per il Mezzogiorno ha provveduto a rendere irrigui, mediante le acque del Liri, 2000 ha., che ricevono la linfa vitale per mezzo di 50 km. di canali.

    Sora.

    Alvito, Atina e gli altri centri del Frusinate

    L’alto bacino del Melfa, che ha origine dalle pendici meridionali del Monte Petroso (2247 m.), forma una conca quasi chiusa che ha, anche nell’uso popolare attuale, il nome di Val di Cornino, derivato da una città, Cominium, per vero di scarsa importanza nell’età romana, che pare si trovasse nei pressi dell’attuale Alvito. Questo nome assunse più tardi significazione territoriale; si parla di un feudo il cui centro era appunto Alvito, sede di una contea.

    A questa conca si può accedere da Roccasecca per una strada che risale il Melfa incassato in una gola per la quale sfugge appunto dalla conca; vi si può giungere da Sora per una via che, dal Lago di Posta, si dirama per Alvito, Atina, Casalvieri, ecc. I centri abitati sono tutti tra 400 e 800 m. ed alcuni dei più elevati hanno l’aspetto di veri e propri villaggi di montagna. Più importante di Alvito (circa 2000 ab. nel centro), che subì più volte danni per saccheggi e terremoti (quello del 1915 danneggiò la bella chiesa di S. Nicola), è oggi Atina, su un pendio a 480 m., antica città volsca, fiorente nell’età classica, poi più volte rovinata (anche da terremoti) e ricostruita nel tormentato periodo medioevale. Di questo resta, monumento imponente, il Palazzo ducale dei Cantelmi, eretto alla metà del secolo XIV. Tutta la campagna è ben coltivata e sparsa di paesi e case rurali sulle ridenti colline; le coltivazioni peraltro si riducono man mano che si sale verso le propaggini della Meta. I paesi più elevati sono il Castello di Alvito (720 m.), Picinisco a 725 m., Settefrati a 784 m., San Donato Val di Cornino a 728 metri. Di qui una strada panoramica, arditissima, con viste stupende, sale alla Forca d’Acero (1535 m.), passo frequentato fino dal Medio Evo, e discende ad Opi, attraverso il Parco Nazionale d’Abruzzo. La sella segna il confine tra il Lazio (provincia di Frosinone) e l’Abruzzo (provincia dell’Aquila). Da Picinisco una strada risale il Melfa fino alla solitaria Madonna di Val Canneto in un superbo paesaggio di montagna. Da Atina una strada sale a San Biagio Saracinisco, pittoresco paese aggrappato alla montagna a 866 m., il cui nome sarebbe derivato da un nucleo di Saraceni rifugiatisi qui dal Garigliano (915), ma il fatto é tutt’altro che sicuro. La strada prosegue per la Selva e Cardito scendendo a Scapoli, nella valle del Volturno, in Abruzzo.

    Panorama di Atina dalla collina S. Stefano.

    Infine appartiene al Lazio amministrativo anche il territorio sulla sinistra del Rapido, dove si elevano i Monti Monna Casale (1395 m.), Maio (1259 m.) e vicini. Sul Rapido, al suo sbocco in piano, è Sant’Elia Fiumerapido, un borgo industriale (cartiere), noto per i pittoreschi costumi delle sue donne; le altre località, Vallerotonda, Viticuso, Acquafondata sono villaggi di montagna, che hanno conservato il loro aspetto medioevale ed erano fino a pochi anni fa molto appartati; una buona rete di strade serpeggianti sulle pendici montane (quella proveniente da Cervaro sale fino a 1053 m. alla Forcella di Cervaro), ha vinto questo isolamento.