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Il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Giardino Botanico di Campo Imperatore.

    Il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Giardino Botanico di Campo Imperatore.

    La protezione del manto vegetale e della fauna è nella maggior parte dei casi affidata alle riserve o, in modo più organico e completo, ai parchi nazionali, destinati a salvaguardare le caratteristiche di territori di particolare interesse naturalistico dagli interventi esterni irrazionali e distruttori.

    Per la conservazione della fauna e della flora abruzzese fu istituito nel gennaio 1923 il Parco Nazionale d’Abruzzo, che ebbe origine da una riserva di caccia risalente al 1872. Esso ricopre attualmente un territorio di circa 300 kmq. che si estende a forma di S dalla cresta della Montagna Grande e dal Passo del Diavolo a nord fino al gruppo della Meta a sud (Monte Mare), comprendendo il versante destro dell’alto bacino del Sangro fino a Barrea e, al di là dello spartiacque, la valle di Canneto (alto Melfa) e la testata della Vallelonga. I suoi limiti oltrepassano, soprattutto nella parte meridionale, il confine regionale, in modo che dei 17 comuni compresi del tutto o parzialmente nell’ambito del Parco solo 10 appartengono all’Abruzzo (provincia dell’Aquila), mentre 6 fanno parte della provincia di Prosinone; un ridottissimo lembo ad est del Monte Meta, infine, appartiene al Molise (comune di Pizzone).

    Su tutto il territorio del Parco, gestito dal 1950 da un Ente autonomo che ha la sede a Roma e un ufficio distaccato a Pescassèroli, la protezione viene esercitata principalmente con i divieti di taglio del bosco, di raccolta di specie vegetali, di esercizio del pascolo, della caccia e della pesca. Più che per particolari aspetti floristici il Parco, anche se ricco di essenze e piante medicinali, è noto per le foreste, per lo più di faggio, che coprono la superficie di ben 195 kmq. (66% del territorio) e sono costituite per 4/5 da rigogliose fustaie. Dense faggete con alberi secolari si estendono soprattutto fra Opi e Alfedena, in Val Fondi Ilo e in Valle di Canneto, mentre il pino di Villetta Barrea si trova in boschi di una certa entità, oltre che nella zona sovrastante il villaggio che gli ha dato il nome, specialmente nella Val Fondillo.

    Parco Nazionale d’Abruzzo. Il rifugio di Pratorosso.

     

     

     

    Campo Imperatore.

    Stazione Astronomica di alta montagna e Giardino Botanico di altitudine verso il Corno Grande.

    La stessa posizione del Parco ai margini della regione, su plaghe impervie nelle quali si aprono rari valichi con vie di accesso — oltre alla statale Marsicana e alla provinciale della Forca d’Acero — scarse e malagevoli, fa sì che le caratteristiche naturali restino quasi inalterate; fa eccezione la conca di Pescassèroli, dove la costruzione pianificata di villette residenziali tende a favorire il turismo, ma non certo la conservazione del paesaggio. Recentemente sono state aperte anche alcune strade di penetrazione all’interno, come quella della Val Fondillo e l’altra che raggiunge il Rifugio Belvedere della Liscia, che agevolano notevolmente la conoscenza di luoghi di particolare interesse naturale e paesistico. Riguardo alla tutela esercitata sulla fauna, si rimanda il lettore al prossimo paragrafo.

    Altra istituzione di grande importanza è il Giardino Botanico di alta montagna di Campo Imperatore. Sorto per iniziativa di V. Rivera presso l’Osservatorio Astronomico, a 2280 m. di altitudine, e inaugurato nel 1952, il Giardino ha come scopo lo studio dei pascoli e della vegetazione di altitudine, onde risolvere il problema del miglioramento dei pascoli montani. Oltre al riconoscimento, alla coltivazione e alla conservazione del più grande numero di specie della flora locale, nel laboratorio attiguo vengono condotti importanti studi sull’influenza dell’ambiente di altitudine

    sul metabolismo vegetale ed esperimenti di adattamento di varie specie della flora pascolativa di alta montagna. Particolare menzione meritano le ricerche sul Trifolium thalii che, oltre a costituire un pascolo assai appetito dal bestiame, protegge efficacemente il terreno dalla degradazione meteorica.

    La fauna.

    Se la flora ha avuto notevoli modifiche da parte dell’uomo, a maggior ragione questo può dirsi per la fauna, e specialmente per quanto concerne i grossi mammiferi. Fauna per molti aspetti preziosa, da collegarsi indubbiamente con le glaciazioni che spinsero fino all’Appennino animali a caratteri prettamente nordici ; di questi una parte scomparve quando dopo l’ultima glaciazione mutarono le condizioni climatiche ed ambientali, altri sono riusciti ad adattarsi, più o meno modificandosi, tanto da assumere una loro originalità alquanto spiccata rispetto agli altri animali della stessa specie. Va detto per inciso che secondo studi recenti, condotti in campo entomologico con intenti biogeografici, il Matese rappresenta l’estremo lembo meridionale di quella parte continua dell’Appennino che non fu sommersa dalla trasgressione pliocenica (settore settentrionale) e che dal punto di vista zoogeografico viene definita dalla presenza di un particolare gruppo di ortotteri (i Podismini) del tutto mancanti più a sud. Ed è proprio entro i recessi elevati e poco accessibili dell’Abruzzo, in gran parte disabitati e ammantati da estese foreste, essenzialmente nell’area del Parco Nazionale, che certe specie nordiche, ormai protette dalla indiscriminata distruzione, si sono conservate a piccoli gruppi costituendo un patrimonio faunistico, cospicuo più per l’interesse naturalistico che per lo scarso numero di esemplari.

    Parco Nazionale d’Abruzzo

    Piccoli orsi del Parco Nazionale d’Abruzzo.

     

    L’animale più rappresentativo è senza dubbio l’orso — da taluni considerato quale razza distinta della specie alpina (Ursus arctos marsicanus) — un tempo assai diffuso nella regione ed ora limitato ad alcune plaghe del Parco Nazionale. Bisogna peraltro dire che secondo scritti recenti ed autorevoli V Ursus arctos è piuttosto da considerare quale specie monotipica con popolazioni a morfologia particolarmente variabile. Il suo colorito è bruno, con testa, dorso e collo più chiari e con arti più scuri, e la sua corporatura è di circa un metro di altezza e quasi due metri di lunghezza. Molto meno feroce ed aggressivo degli appartenenti alla subspecie tipica, si ciba di tuberi, frutta e germogli e soltanto di piccoli animali, costituendo quindi solo eccezionalmente un pericolo per i greggi. Nella stagione invernale cade in letargo in cavità nascoste che vengono ricoperte da uno spesso manto nevoso, e da queste esce in marzo o addirittura in aprile.

    Molto interessante è anche il camoscio (Rupicapra rupicapra ornata), razza endemica più affine a quella dei Pirenei che a quella alpina, da cui si differenzia per il colore bruno scuro, la forma delle corna e la struttura delle ossa nasali. Molto diffuso un tempo in varie parti dell’Appennino, è ormai presente con un numero limitato di esemplari solo nel Parco Nazionale, dove si è salvato dalla estinzione totale alla quale sembrava inesorabilmente avviato. Ancor più raro fra i ruminanti è il capriolo (Capreolus capreolus), anch’esso un tempo assai abbondante, ma ora puramente residuale.

    Fra i carnivori è molto comune purtroppo in ogni parte dell’Appennino abruzzese e molisano il lupo, qui presente con una subspecie (Canis lupus italicus) distinta da quella tipica europea che sembra aver vissuto sulle nostre Alpi fino al secolo scorso. L’animale, estremamente pericoloso soprattutto durante l’inverno, si differenzia morfologicamente dal tipico lupo europeo per le dimensioni più ridotte e per la brevità della coda. Ad esso si può aggiungere la volpe ( Vulpes vulpes), diffusa ovunque anche se abbastanza limitata come numero di esemplari, e l’ancor più raro gatto selvatico (Felis silvestris molisana), che abita i boschi più folti e inaccessibili. Fra gli altri carnivori minori, appartenenti alla famiglia Mustelidae, hanno maggiore diffusione la donnola (Mustela nivalis), il tasso (Meles meles), la lontra (Lutra lutra), comune lungo il corso del Sangro, la faina (Martes foina), mentre più rara è la martora (Martes martes).

    Fra i roditori, la lepre e lo scoiattolo hanno la maggiore diffusione e sono in continuo aumento entro i confini del Parco Nazionale; più limitata è la razza endemica del ghiro (Glis glis intermedius), di dimensioni molto più rilevanti della razza comune, mentre un particolare interesse riveste la presenza di un topolino detto arvìcola delle nevi (Microtus nivalis).

    Gli insettivori sono rappresentati da una subspecie di riccio (Erinaceus europaeus meridionalis), da una di toporagno (Sorex araneus samniticus) entrambe endemiche, e da una specie di talpa (Talpa romana), assai comune.

    L’avifauna è comprensibilmente quanto mai abbondante. Basterà quindi indicare le specie più grandi e caratteristiche, soprattutto se nidificanti. Il rappresentante più vistoso e pregiato è indubbiamente l’aquila reale (Aquila chrysaètos), nidificante e diffusa ovunque ad altitudini elevate; di grandi dimensioni, può raggiungere ben due metri e mezzo di apertura d’ali. Rapaci minori alquanto frequenti sono la poiana (Buteo buteo), lo sparviere (Accipiter nisus), uccello di passo, il gufo reale (Bubo bubo), il gufo comune (Asio otus), mentre più rari sono, ad esempio, il nibbio (Milvus milvus) e l’astore (Accipiter gentilis). Numerosissimi sono ovunque i passe-riformi, fra i quali si distinguono alcune specie proprie delle Alpi, come il fringuello alpino (Montifringilla nivalis) e il sordone (Prunella collaris).

    Caprioli del Parco Nazionale d’Abruzzo.

     

    Riguardo alla fauna ittica, le fresche e limpide acque montane sono popolate essenzialmente da Salmònidi. Un particolare interesse riveste la presenza del coregone (Coregonus wartmanni) — raro in Italia — nel Lago di Campotosto, mentre varie subspecie di trota (Salmo fario, S. irideus, S. macrostygmatus) abbondano nei laghi montani e nell’alto corso dei fiumi e dei torrenti. Nelle acque correnti della fascia subappenninica e in alcuni laghetti artificiali collinari — ad esempio fra Penne e Loreto Aprutino — trovano l’habitat ideale varie specie di Ciprinidi: cavedano (Squalius cephalus), barbo (Barbus barbus), tinca (Tinca tinca), carpa (Cyprinus carpio); più rari sono il pesce persico (Perca fluviatilis) e l’anguilla (Anguilla anguilla), diffusa maggiormente nei corsi d’acqua molisani.

    Non molto abbondanti sono le specie dei rettili. I Vipèridi, velenosi, sono rappresentati dall’aspide (Vipera aspis), più comune, e dalla rara Vipera ursinii, il cui areale comprende in Italia soltanto alcune plaghe abruzzesi (Gran Sasso, Monti della Laga, La Meta) e umbro-marchigiane (Monti Sibillini). Dei Colùbridi, non velenosi, si conoscono il saettone (Coluber viridiflavus), la Coronella austriaca e il cervone (Elaphe quatuorlineata) che può essere considerato il protagonista della festa dei serpari di Cocullo.

    Tra gli anfibi merita un cenno la presenza del geotritone italico (Hydromantes ita-licus italicus), di cui la stazione abruzzese (Monte Morrone) rappresenta il limite meridionale dell’areale nella nostra penisola. Nel Chietino è comune il tritone italiano (Triturus italicus), la cui subspecie endemica, nota come Molge italica molisana, oggi non è più considerata valida.

    Per quanto riguarda gli invertebrati, mi limito a citare i casi di endemismo che investono alcune specie di Ortotteri (cavallette, locuste): si tratta del Chorthippus monticola e del C. albicornis, endemiche rispettivamente del Gran Sasso e del Matese, che sembrano presentare affinità con elementi iberici ; altro genere di Ortotteri con endemismi nei Pirenei e nell’Appennino Abruzzese è il Cophopodisma con le rispettive specie C. pyrenaea e C. costai.

    L’IDROGRAFIA: SORGENTI, CORSI D’ACQUA E LAGHI

    Caratteri generali dell’idrografia.

    L’idrografia abruzzese è influenzata, oltre che dal regime delle piogge e dal manto nevoso, da una netta discordanza fra il reticolo idrografico e l’orografia e dalla presenza di vaste aree endoreiche a smaltimento ipogeo, per la grande estensione delle masse calcaree idrovore.

    Riguardo alla discordanza, che O. Marinelli giudica la più vistosa di tutto l’Appennino, è noto che i massicci più elevati della « Cordigliera », cioè il Gran Sasso e la Maiella, non coincidono con lo spartiacque principale ma ad esso rimangono esterni. Anzi, le maggiori cime del Gran Sasso non formano neppure una linea secondaria di displuvio, poiché non dividono le acque dei bacini della Pescara e del Vomano, ma solo quelle che discendono agli affluenti e subaffluenti di quest’ultimo.

    Tre sono le ipotesi con le quali si cerca di spiegare tale anomalia. Con quella dell’antecedenza (oggi, comunemente accolta), lo spartiacque sarebbe sempre stato sulla linea attuale, corrispondente un tempo ai rilievi più elevati; poi, in seguito a spinte orogenetiche molto più vigorose verso il bordo esterno adriatico, si giunse alla situazione presente, con un sollevamento così lento e graduale che portò i corsi d’acqua ad incidere il loro letto contemporaneamente al sollevarsi, della regione. La tesi della sovrimposi.zi.one (la più plausibile per il Marinelli) ammette anch’essa una linea centrale di spartiacque, ma a un’altitudine molto più elevata; in seguito al processo di degradazione meteorica agì in modo spiccato la selettività dei materiali denudati, mettendo in risalto le masse più resistenti che costituiscono ora l’arco abruzzese esterno. Secondo l’ipotesi della regressione dello spartiacque, esso sarebbe stato originariamente decentrato sull’attuale linea dei massimi rilievi e sarebbe arretrato in seguito per l’erosione regrediente, associata a numerosi fenomeni di cattura, da parte dei corsi d’acqua adriatici.

    La stretta valle del Vomano nei pressi della confluenza con il Rio Arno.

    Comunque, la rete idrografica principale della regione è resa alquanto complessa da tale discordanza, e la « Cordigliera » condiziona il corso dei maggiori fiumi, che hanno all’interno un andamento longitudinale, indi si aprono un varco trasversale attraverso profonde gole, prima di defluire al mare solcando la fascia collinare subappenninica con letti ampi e ghiaiosi. Ed anche nel Molise, pur con notevoli diversità, essendo la struttura orografica molto differente, il motivo delle gole di erosione si ripete nel Trigno e nel Biferno.

    L’altra caratteristica fondamentale è l’assenza dell’idrografia superficiale su vaste plaghe o la presenza di corsi d’acqua che vengono inghiottiti dalle masse calcaree fessurate. Ciò influisce notevolmente sia sulla differenziazione dei paesaggi, talora aridi e riarsi, talora vivificati da copiose acque sorgive, sia sulla portata e sul regime dei fiumi, con evidenti connessioni con la distribuzione delle sedi umane e le varie forme di economia.

    Gran parte delle acque dell’Abruzzo affluiscono all’Adriatico con un reticolo imposto su un marcato parallelismo del tratto inferiore. Ad ovest, lo spartiacque segue una linea che unisce il Monte Nùria con il gruppo del Velino, la soglia di Ròvere fra gli altipiani di Ovìndoli e di Rocca di Mezzo, il Sirente, la Forca Caruso, la Montagna Grande, il Passo del Diavolo, la Forca d’Acero e la Meta. Poco estesa è l’area appartenente al bacino del Tevere (Turano e Imele-Salto) che la bassa soglia di Cesolino e il Passo di Petrella Liri dividono dal bacino del Garigliano, corrispondente alla Màrsica e alla Val Roveto (alto Liri). Riguardo al Molise, defluiscono al Tirreno solo le acque del non vasto bacino dell’alto Volturno all’estremità sudocci-dentale della regione.

    Comunemente si suole far rientrare i corsi d’acqua adriatici dell’Abruzzo e del Molise in tre categorie: torrenti subappenninici, fiumi preappenninici e fiumi appenninici. I primi appartengono interamente alla fascia collinare argillosa, con regime molto irregolare e scarse portate (Piomba, Alento, Osento, Sinello). I secondi, pur appartenendo per il maggiore tratto alla fascia subappenninica, hanno origine da sorgenti che scaturiscono dai calcari dell’arco esterno appenninico o lo attraversano mediante gole con i rami sorgentiferi (Vibrata, Salinello, Tordino, Tavo, Foro). I fiumi appenninici sono i più lunghi e i più complessi e sono copiosamente alimentati da sorgenti carsiche che sgorgano alla base dei massicci interni oppure, nel Molise, dalle masse calcaree che si ergono al limite occidentale della regione; di conseguenza, il regime è più regolare e le portate sono alquanto maggiori (Vomano, Aterno-Pescara, Sangro, Biferno). I fiumi tirrenici, e in specie il Liri ed il Volturno, possono rientrare in quest’ultima categoria.

    La circolazione sotterranea e le sorgenti.

    Già è stato fatto cenno alla cospicua importanza che nei confronti dell’idrografia hanno in Abruzzo le grandi masse montuose, specialmente dove la morfologia a piani e a conche favorisce lo smaltimento ipogeo delle acque con abbondante circolazione sotterranea. I rilievi, formati per lo più da rocce estremamente fratturate, quindi permeabili per fessurazione (dolomie di base e calcari), alle quali si accompagnano i materiali permeabili per porosità (conglomerati e sabbie), costituiscono dei veri e propri enormi serbatoi idrici. Lo smaltimento delle acque avviene attraverso un complicatissimo reticolo sotterraneo impostato sull’andamento degli strati, sulle faglie e sui più o meno spaziosi meati erosi ed ampliati dalle acque stesse, sia con la tipica azione chimica del carsismo, sia con quella meno rilevante a carattere prevalentemente meccanico.

    Vedi Anche:  Le forme di insediamento

    La circolazione sotterranea delle acque, oltre che dalla morfologia a piani, che permette lo sviluppo delle forme di carsismo superficiale (inghiottitoi, doline, ecc.) costituenti i punti di maggiore infiltrazione, è favorita da vari altri fattori. Il primo è la forte piovosità, molto maggiore sugli alti massicci che altrove, per la spiccata azione di condensazione che essi esercitano sulle masse d’aria umide. Inoltre l’altitudine dei rilievi fa sì che vaste plaghe rimangano coperte per molti mesi da un abbondante strato nevoso, le cui acque di fusione, essendo assai limitata l’evaporazione, s’infiltrano quasi totalmente nel sottosuolo. Si deve considerare infine la presenza di aree boscose, anche se non molto estese, nelle quali il terriccio profondo del sottobosco impedisce alle acque meteoriche di scorrere rapidamente in superficie assorbendole.

    Attorno ai massicci si estendono le coltri, impermeabili o quasi, dei materiali plastici terziari, quali le molasse mioceniche aprutine, il Jìysch eocenico frentano-molisano, le argille plioceniche della fascia esterna subappenninica, che costituiscono al contatto coi calcari le falde di affioramento. Si stabiliscono quindi, alla base dei rilievi, allineamenti o raggruppamenti delle più copiose sorgenti perenni, dette di falda o di sfioramento, per le quali la soglia è costituita dalla formazione impermeabile addossata per faglia a quella permeabile, oppure ad essa sottostante per regolare successione stratigrafica.

    Come vedremo in seguito con vari esempi trattando dei fiumi, la circolazione sotterranea delle acque ha una profonda azione equilibratrice, per mezzo delle sorgenti o delle risorgenze carsiche, sul regime dei corsi d’acqua. Le masse idrovore trattengono le acque come spugne, in modo che il deflusso più copioso avviene in un periodo non coincidente con il maggiore afflusso delle acque meteoriche, con variazione di portata della sorgente sfasata rispetto al regime delle piogge di circa 3-4 mesi.

    L’abside dell’abbazia di San Giovanni in Venere, presso Fossacesia (Chieti), uno dei più importanti edifici religiosi medioevali d’Abruzzo.

    Capo Pescara, le più copiose sorgenti dell’Abruzzo.

    La maggiore difficoltà consiste nell’individuare con sicurezza, in svariati casi, i bacini alimentatori delle sorgenti, considerata la poca conoscenza che si può avere del percorso sotterraneo delle acque. Calcoli effettuati da vari studiosi, tenendo presente la quantità delle precipitazioni, l’evaporazione, il drenaggio superficiale e quello sotterraneo, hanno comunque portato a considerevoli risultati. 11 Campo Imperatore, per esempio, solo per un terzo della sua superficie è risultato tributario del bacino dell’Aterno-Pescara; per il resto indubbiamente scola le acque sul versante settentrionale, a nord del Monte Prena, mediante il gruppo di sorgenti che alimentano il Ruzzo, tributario del Mavone e quindi subaffluente del Vomano. Come pure, riguardo al plesso oro-idrografico del Velino-Sirente, si è potuta individuare l’appartenenza dei piani di Pezza e di Campo Felice non al bacino dell’Aterno ma a quello del Salto o, ritengo con minore probabilità, del Fucino.

    La plaga sorgentifera più importante è senza dubbio quella situata ai margini della piana di Pòpoli, ultimo tratto settentrionale della conca peligna. Le sorgenti, alimentate in buona parte dai vasti e allungati bacini chiusi situati fra l’Aterno e il Gran Sasso (Piano di Navelli, ecc.) sono più di una cinquantina, con l’enorme portata complessiva di oltre 10.000 litri al secondo. Di questi, più di due terzi rappresentano il deflusso medio delle sorgenti di Capo Pescara (altitudine m. 270, portata di circa 7000 1/sec.), che mediante varie polle nei banchi di calcare fessurato e nei detriti che li fasciano alla base formano un laghetto, inizio del brevissimo corso d’acqua che sfociando nell’Aterno, ne cambia il nome in Pescara. Le oscillazioni della portata sono poco accentuate: da un minimo in aprile di poco più di 6500 1/sec. si passa a due massimi annui di quasi 8000 e 7500 1/sec. rispettivamente in agosto e in gennaio, e ciò può indurre a pensare a un’alimentazione di falda piuttosto che di condotto.

    Importante, sia per la portata che per l’utilizzazione, è la sorgente Giardino (1150 1/sec.), che scaturisce a sudest dell’abitato di Pòpoli da due nicchie ai piedi di una rupe calcarea; le acque, un tempo usate per scopi industriali, alimentano oggi l’acquedotto omonimo che approvvigiona molti comuni della Val Pescara, fino a Chieti e Pescara. A nordovest, infine, nella zona alluvionale della Valle del Canestro, affiorano le sorgenti San Calisto con varie polle, di cui le nove principali superano la portata di 1000 1/sec.

    Un’altra ricchissima plaga sorgentifera, riguardante anch’essa il bacino della Pescara, è quella della conca di Capestrano, dove affiorano le sorgenti del Tirino che si dividono in due gruppi: il primo è situato con varie polle attorno alla sorgente Capo d’Acqua (m. 340), con un deflusso di più di 5000 1/sec., il secondo riguarda le sorgenti Lago di Capestrano e Presciano (oltre 1100 1/sec.). Il bacino di alimentazione giunge sicuramente alle zone carsiche di Santo Stefano di Sessanio e di Castel del Monte, ma il tributo di acque è talmente abbondante da far pensare che esse debbano provenire anche dai numerosi bacini chiusi ad ovest del Campo Imperatore.

    Capo d’Acqua presso Capestrano, una delle sorgenti del Tirino.

     

    Non molte sono le sorgenti di grande portata che scaturiscono dal versante nordorientale del Gran Sasso. Si possono considerare quelle del Chiarino (no 1/sec.), che, poste a 1300 m. al margine inferiore della Regione Solagne, alimentano l’acquedotto dell’Aquila e il bacino di Provvidenza (Vomano), la sorgente del Rio Arno (160 1/sec.) che sgorga a 1524 m. immediatamente al di sotto del Campo Pericoli, e le sorgenti del Ruzzo (346 1/sec.) che mandano le acque al Mavone con uno scaglionamento in altitudine fra 1625 e 570 m., e sono per lo più utilizzate per l’approvvigionamento idrico di Teramo. In linea generale le sorgenti più basse sono di sfioramento, per contatto fra i calcari e le marne argillose, mentre quelle più elevate derivano da sottili livelli argillosi intercalati alle formazioni del Cretacico. Sopra Farìndola, a 700 m. di altitudine, mandano le acque al Tavo le due sorgenti Mortaio d’Angri e Vitella d’Oro; la seconda forma un laghetto entro una caverna e sgorga da una profonda fenditura con una cascata. Ambedue hanno la caratteristica di un regime alquanto incostante, che oscilla fra il minimo di poco più di 100 e il massimo di 5-700 1/sec. Molto interessanti, anche se non copiose, sono le polle all’estremità delle argille subappenniniche, non lungi dalla foce del Vomano, vere e proprie risorgenze subalvee che affiorano dal sottosuolo ghiaioso, relitto dell’antico letto del fiume.

    Il versante sudoccidentale del Gran Sasso, appartenente al bacino dell’Aterno, ha sorgenti meno numerose ma di maggiore portata, e molte di esse affiorano nei materiali lacustri della conca dell’Aquila, come quelle subacquee che formano il lago Vetoio (640 1/sec.). Di gran lunga più copiose sono quelle di Tèmpera e di Capo Vera (1300 1/sec.) che mandano le acque, affioranti da ammassi di detriti calcarei, al Raiale. Sulla sinistra dell’Aterno la sorgente di Stiffe (120 1/sec.) drena invece le acque del versante opposto; allo stesso bacino appartengono inoltre, allo sbocco delle gole di Raiano, un gruppo di sorgenti con portata complessiva di 800 1/sec. che ricevono il contributo dei pianori calcarei fra l’Aterno e il bacino chiuso di Navelli.

    Molto caratteristica è la corona di sorgenti, talvolta assai copiose, attorno alla Maiella, le quali danno l’idea del grande potere di assorbimento di questo massiccio, malgrado la morfologia a forti pendii e il notevole drenaggio subaereo dovuto ai numerosi valloni. A nordest, verso la Pescara, si trovano gli importanti gruppi di Tocco da Casauria e di Scafa, con la principale sorgente, la Lavino (m. 152, 720 1/sec.), caratterizzata da varie polle sulfuree. Sul fianco orientale troviamo le sorgenti di Pretoro, quelle di Fara Filiorum Petri e, di gran lunga le più notevoli, presso Fara San Martino, le tre sorgenti del Verde (più di 2000 1/sec.) situate a 415 m. quasi allo sbocco del Vallone di Santo Spirito. Quest’ultime sono tributarie dell’Aventino, come a sud la più alta sorgente Capo di Fiume (m. 876, circa 800 1/sec.) che sgorga presso Palena, e le tre di Lettopalena (250 1/sec.).

    Assai copiose sono anche le sorgenti che fanno corona attorno al Monte Genzana, iniziando da quella del Tasso, detta Capo d’Acqua (200 1/sec.), che a 1230 m. d’altitudine, a monte del Lago di Scanno, convoglia prevalentemente le acque dei monti Greco e Marsicano, proseguendo con i complessi sorgentiferi presso il lago e a valle di esso, che fuoriescono dai detriti di falda e dai materiali di frana che hanno sbarrato il bacino lacustre. Le più copiose, le sorgenti Cauto (1550 1/sec.) sgorgano più a valle, sotto l’abitato di Castrovalva e sono utilizzate per una centrale elettrica. Seguono, verso la conca peligna, le sorgenti di Introdacqua, e, sul fianco orientale del Monte Genzana, quelle copiosissime del Gizio (più di 4000 1/sec.), che affiorano da materiali detritici a 600 m. di altitudine presso Pettorano, concludendo l’allineamento delle numerose polle del Vallone di Rocca Pia.

    Ai limiti meridionali dell’Abruzzo un’altra importante serie di sorgenti si trova lungo il Sangro alla base dei massicci calcarei del Parco Nazionale; le più copiose sono le polle della Fonte delle Donne (250 1/sec.).

    Numerose, ma di portata molto esigua sono le sorgenti che dal Monte Velino e dai Carseolani alimentano i bacini del Turano e dell’Imele-Salto. Fa eccezione la sorgente dell’Imele, a 1010 m. di altitudine presso Verrecchie (circa 170 1/sec.) che, in base ad una ventina di misurazioni effettuate, manifesta una particolare irregolarità nelle portate (da 65 a 730 1/sec.), dimostrando di non dipendere da un ampio reticolo idrografico sotterraneo. Ma il fenomeno più cospicuo è rappresentato dalle belle risorgenze dell’Imele (più di 2000 1/sec.), presso Tagliacozzo, dove le acque sgorgano alla base di un’alta parete calcarea e si raccolgono in una grande vasca creata artificialmente per la loro utilizzazione industriale.

    Sul versante opposto dei Monti Simbruini e Carseolani la valle del Li ri è particolarmente favorita dall’abbondanza delle acque sorgive, tutte sulla destra idrografica all’infuori dei gruppi, di mediocre portata, sotto Civita d’Antino e sopra Balsorano. Le principali sorgenti sono quelle del Liri (2000 1/sec.) presso Cappa-docia, la Rianza (280 1/sec.) presso Capistrello e la sorgente Schioppo (2400 1/sec.) le cui copiosissime acque sono sfruttate dalla centrale idroelettrica di Morino. Il bacino del Fùcino ha numerose sorgenti ai margini della piana, specialmente al bordo sudorientale, fra Trasacco, Ortucchio e Vènere. Le più copiose sono le sorgenti Restina (570 1/sec.) e Acqua Fredda (240 1/sec.) presso Vènere e la Fontana Grande (230 1/sec.) immediatamente sotto Celano. Restano da citare le sorgenti Ferriera e San Sebastiano (più di 300 1/sec. ciascuna) che portano le acque all’alto Giovenco, a valle di Bisegna.

    E indubbio che la costituzione geologica del Molise non possa favorire aree sorgentifere particolarmente copiose. Così, anche se i bacini del Trigno e del Fortore fruiscono delle acque di numerose sorgenti, tuttavia queste, fatte le debite eccezioni, hanno portate minime, per lo più al di sotto di un litro al secondo. Sono quindi da considerare essenzialmente le due plaghe marginali a contatto con massicci calcarei, cioè l’alto Biferno (Matese) e l’alto Volturno (Meta-Mainarde).

     

    La zona sorgentifera dell’alto Biferno corrisponde al margine meridionale della vasta piana di Boiano, dove dai detriti calcarei che fasciano la base del Matese fuoriescono, all’altitudine di 500 m., alcune abbondanti scaturigini: ad ovest di Boiano le sorgenti Majella (700 1/sec.) e Santa Maria di Rivoli (200 1/sec.), ad est le sorgenti Torno (270 1/sec.) e Pietrecadute (1170 1/sec.), le cui acque sono utilizzate essenzialmente per uso potabile e per irrigazione. Più ad est, alla stessa altitudine, sgorga sotto San Polo Matese l’ultima copiosa sorgente di Rio Freddo (1100 1/sec.).

    Ma la maggiore sorgente del Molise appartiene al bacino dell’alto Volturno. Anzi, è proprio la Capo Volturno che dà origine al fiume con un grandioso complesso di polle che sgorgano a 548 m. ai piedi del Monte Rocchetta, con l’enorme portata media di 6600 1/sec., inferiore nelle due regioni solo alla Capo Pescara. Anche se il regime è alquanto variabile, con massimo in giugno e minimo in settembre, l’apporto idrico è tale da formare un piccolo lago, bacino di presa per le centrali di Rocchetta.

    La più estesa plaga sorgentifera è quella dell’alto bacino del Cavaliere (T. Carpino) fra Isernia e Sessano, con numerosissime polle spesso assai copiose, mentre le altre sorgenti principali sgorgano a basse quote: a 270 m. la San Nazzaro (1200 1/sec.) che riceve presso Monteroduni le acque degli ultimi contrafforti del Matese e poco più in basso le numerose polle della sorgente Capodacqua (2300 1/sec.) al margine settentrionale della conca di Venafro. Più in alto, a 330 m. sopra l’abitato di Venafro, sgorga l’ultima grande sorgente molisana del Volturno, la San Bartolomeo (1500 1/sec.).

    Le due regioni hanno una certa abbondanza di acque minerali, specialmente solforose, sparse un po’ dovunque. Le sorgenti clorurato-sodiche sgorgano per lo più nel Teramano, nell’area fra il Vomano e il Fino (Bisenti, Castel Castagna, Penna Sant’Andrea), mentre le ferruginose sono ancor più limitate, con le principali polle a Corfinio e a Notaresco in Abruzzo e a Isernia e Agnone nel Molise. Uguale frequenza hanno le sorgenti acidule, delle quali le più note sgorgano ad Avezzano, Bisegna e Città Sant’Angelo in Abruzzo e a Venafro nel Molise.

    Questi non sono che alcuni esempi, ma tutti hanno una caratteristica comune, cioè l’assenza di qualsiasi utilizzazione organizzata a scopo terapeutico, benché ne rimanga il ricordo per qualcuna, come le acidule di Venafro e le sulfuree di Pòpoli. Le uniche che abbiano un’organizzazione termale sono quelle di Caramànico Terme, con la fonte Santa Croce sulfurea salso-bromo-iodica e una sorgente clorurato-sodica fredda.

    I maggiori fiumi abruzzesi.

    Benché l’Abruzzo sia solcato da una rete idrografica alquanto fitta non si può dire che i suoi fiumi abbiano una particolare lunghezza o abbondanza di acque. Solo due, la Pescara e il Sangro, superano i 100 km. e, come portata, soltanto quattro (Pescara, Vomano, Liri e Sangro) hanno una media annua superiore ai io mc./sec. verso la foce. Si tratta in definitiva, di quelli classificati come « fiumi appenninici » che, nascendo all’interno della regione, sono avvantaggiati dalla maggiore ampiezza di bacino e da più copiosi contributi lungo il percorso; questo ha uno svolgimento ben più complesso, non essendo condizionato dall’arco montano esterno, più vicino all’Adriatico.

    Sotto tutti i punti di vista, l’Aterno-Pescara è il fiume che di gran lunga fa spicco sugli altri, sia per i 145 km. di lunghezza (al ventesimo posto in Italia), sia per il vasto bacino (3188 kmq.), sia per la portata media annua (53,6 mc./sec.) e la regolarità del regime. L’Aterno, che si dice abbia le acque fra le più fredde d’Italia, nasce presso Aringo, al margine settentrionale della conca di Montereale, da mediocri sorgenti e da una rete alquanto fìtta di impluvi. Attraversata la conca, discende ripido e incassato verso Pìzzoli, dove la valle si allarga nella ampie conche di Sassa, dell’Aquila e di Fossa, corrispondenti a un solo bacino lacustre pleistocenico, ma ora separato da strettoie, come quella formata dalla terrazza conglomeratica su cui poggia LAquila, che stringe il fiume contro il Monte Luco. Prima di questa strettoia, ricevute sulla destra le acque del torrente Raio che riunisce quelle del torrente Puzzillo e della Valle di Lùcoli, insieme ai tributi delle numerose sorgenti intorno al Lago Vetoio, aumenta notevolmente la portata (3,75 mc./sec.) che allo sbocco della gola di Marana, a sud di Montereale, era ancora quella di un modesto torrente montano (1 mc./sec.). Ad est dell’Aquila, dopo la confluenza a sinistra col torrente Raiale, che porta le acque della bastionata meridionale del Gran Sasso, si divide in due bracci intorno a un grande spuntone calcareo emergente dal fondovalle piatto della conca di Fossa, poi discende incassato e con notevole pendenza, senza affluenti superficiali, fin sotto Molina Aterno dove, prima di ricevere le acque della conca subequana, ha la portata media ancora limitata a 5,65 mc./sec. Qui ha termine il percorso longitudinale del fiume, che taglia trasversalmente il rilievo con le profonde gole di San Venanzio per sboccare, ormai a meno di 400 m. di altitudine, presso Raiano, nella vasta conca peligna, dove le acque hanno un fondamentale incremento prima dalla confluenza da destra del Sagittario, poi dell’enorme apporto delle sorgenti di Capo Pescara.

    Vedi Anche:  Vie di comunicazione commercio e turismo

     

     

     

     

     

     

     

    Il fatto più degno di nota a questo proposito è che il Sagittario, pur essendo un affluente, è il quinto fiume abruzzese per portata (7,13 mc./sec.), favorito dall’apporto del Gizio e da un bacino dotato di cospicue sorgenti; alla confluenza porta maggior copia di acque dell’Aterno stesso, più che raddoppiandone quindi la portata (13,7 mc./sec.). Dopo il tributo delle grandi sorgenti il fiume, preso il nome di Pescara, penetra nelle strette gole di Pòpoli notevolmente ingrossato (28 mc./sec.), indi, presso la stazione di Bussi, riceve sulla sinistra il Tirino, breve ma ricco delle acque sorgentifere della conca di Capestrano. Sboccato dalle gole, inizia il proprio corso subappenninico scorrendo con frequenti meandri in un letto ampio e ciottoloso; raccoglie sulla destra le acque del fiume Orta che proviene col subaffluente Orfento dalla Maiella percorrendo la Fossa di Caramànico e infine, sulla sinistra, il fiume Nora che porta i tributi del versante sudorientale del Gran Sasso (Monte Cappucciata). Lo sbocco al mare avviene con una foce che, in seguito a modifiche, è stata resa navigabile e costituisce il porto-canale di Pescara.

    L’estrema importanza del contributo delle sorgenti carsiche è dimostrata dalla grande regolarità del regime, turbata però dall’utilizzazione estiva di parte delle acque per l’irrigazione. Il fiume ha il suo minimo in agosto (38,4 mc./sec.) e due massimi; quello principale in marzo e l’altro, poco pronunciato, in dicembre (rispettivamente 65 e 62 mc./sec.) alla distanza di una diecina di chilometri dalla foce.

    Il maggiore fiume che attraversa a sud il Subappennino Frentano è il Sangro, secondo fiume d’Abruzzo come lunghezza (117 km.) e come bacino (1515 kmq.). Nasce dalle due piccole sorgenti La Penna a 1370 m. d’altitudine sotto il Passo del Diavolo e discende attraverso una valle angusta nella conca di Pescassèroli che si restringe a sudest, quasi sbarrata dall’erto spuntone calcareo di Opi, in una stretta gola nella quale riceve sulla destra il Fondillo, primo notevole tributo perenne. Allo sbocco forma il lago artificiale di Barrea dal quale esce attraverso le gole quasi inaccessibili dette La Foce, che dopo 5 km. di percorso selvaggio e tortuoso si aprono tra Alfedena e Scontrane nella vasta piana che si chiude a valle di Castel di Sangro. In questo tratto, nel quale il letto è ampio e ghiaioso, le acque più copiose (circa 1 mc./sec.) provengono dal breve torrente Zìttola, alimentato da numerose sorgenti perenni. Dopo Ateleta, dove la valle comincia nuovamente a restringersi, il fiume, che ha già la notevole portata di 10,5 mc./sec., segue per breve tratto il confine con il Molise, scendendo con pendenza regolare verso il recente lungo invaso artificiale del Lago del Sangro. Più a valle, dopo avere ricevuto le acque di numerosi torrentelli di scarsa importanza, il Sangro riceve l’unico notevole affluente, l’Aventino (6 mc./sec.), che porta le copiose acque del versante sudorientale della Maiella, fra le quali quelle del Verde, tipico breve fiumicello carsico con spiccatissima regolarità di regime. Dopo la confluenza, il fiume scorre fino al mare con ampio letto, serpeggiante fra le tenui colline subappenniniche. Purtroppo non se ne conosce la portata in prossimità della foce, ma si ritiene che non dovrebbe essere distante dai 20 mc./sec. Dall’idrometro di Ateleta se ne può ricavare il regime non molto regolare, con minimi in agosto-settembre (3,7 mc./sec.) e massimi in dicembre e marzo (rispettivamente 16,8 e 16,3 mc./sec.), che dà l’idea dell’importanza delle acque meteoriche rispetto a quelle carsiche.

    Il Sangro presso Castel di Sangro.

     

    Quasi all’estremità settentrionale del Subappennino Aprutino scorre il Vomano (lunghezza 75 km., bacino 764 kmq.), che nasce sotto il Passo delle Capannelle dall’estrema appendice occidentale del Gran Sasso (Monte San Franco) ed è ben presto alimentato sulla destra dalle acque del Chiarino che sfociano nel piccolo bacino artificiale di Provvidenza. S’incassa poi in grandiose gole che serpeggiano tortuose fino a Molitorio, ricevendo sulla sinistra, presso Senàrica, il Rio Fucino, emissario del bacino di Campotosto, e sulla destra il Rio Arno, proveniente da Pietracamela; dopo Montorio, ricevute copiose acque dal Gran Sasso per mezzo del suo principale affluente, il Mavone, il fiume scorre con scarsa pendenza e frequenti meandri in un’ampia valle alluvionale fino alla foce. Alquanto notevole, data la brevità del corso, è la portata (16 mc./sec.); riguardo al regime, a un minimo in agosto (4,5 mc./sec.) si contrappone un solo massimo in aprile (28,7), sul quale ovviamente influiscono il maggiore deflusso delle sorgenti e la fusione delle nevi.

    Il Sangro presso la foce.

     

     

     

     

    Fra i principali fiumi non possiamo infine tralasciare il Tronto e il Li ri, anche se in gran parte il loro bacino appartiene ad altre regioni. Su 115 km. di lunghezza, il Tronto forma il confine fra l’Abruzzo e le Marche per soli 19 km., ma i 161 kmq. (su 1158) di bacino appartenenti alla nostra regione hanno un certo interesse perchè gravitano sul maggiore affluente, il torrente Castellano, che drena le acque del settore settentrionale dei Monti della Laga.

    Sul bacino del Liri, fiume del versante tirrenico che scorre in territorio abruzzese per soli 40 km. (su ben 158), gravita ora un’ampia zona comprendente tutta la

    Màrsica con la conca del Fùcino, oltre alla Val Roveto nella quale scorre. Il Liri nasce dal Monte Arunzo, presso Cappadocia, e scende incassato con forte pendenza verso sudest; presso Capistrello, dove si aprono dirupate gole, riceve allo sbocco dell’emissario sotterraneo claudiano le acque del Fùcino, i cui maggiori tributari sono ad est il Giovenco (30 km.), a nord il torrente La Foce e a sud il Fossato di Rosa. Prosegue quindi nella stessa direzione, seguendo lo stretto solco tettonico, fino allo sbocco nella piana di Sora, 7 km. oltre il limite regionale, arricchito da molti ripidi e brevi impluvi. La portata, a valle di Balsorano, è alquanto abbondante (15 mc./sec.), con il minimo (8,4 mc./sec.) in agosto-settembre e i due massimi in dicembre (21,6) e febbraio-marzo (21 mc./sec.).

    I fiumi minori e i torrenti.

    I corsi d’acqua minori abruzzesi corrispondono a quelli che sono già stati definiti fiumi preappenninici e torrenti subappenninici. Ma se la loro maggiore o minore lunghezza che li avvicina più o meno alle grandi riserve d’acqua dei massicci calcarei esterni, con conseguenti sensibili variazioni di portata e di regime, giustifica tale suddivisione, l’apporto che essi danno alla regione e il paesaggio che formano con gli ampi letti ghiaiosi paralleli fra loro danno l’idea di una particolare uniformità. Bacini alquanto limitati, corrispondenti ad aree fra 100 e 200 kmq., lunghezza fra i 20 e i 40 km., portate medie al di sotto dei 2 mc./sec. e regimi alquanto instabili ne costituiscono i comuni denominatori.

    Da queste caratteristiche generali si distacca alquanto solo il Tordino (lunghezza 60 km., bacino 460 kmq.) che nasce dai Monti della Laga sul versante orientale della catena maggiore e scorre in una valle stretta e inospitale fino a Teramo, dove riceve sulla sinistra il torrente Vezzola. Qui il fiume ha una portata media di 2,5 mc./sec. con minimo in agosto (0,55 mc./sec.) e massimi in febbraio e maggio (rispettivamente 4,4 e 4,3 mc./sec.): regime irregolare, sul quale incide la mancanza di sorgenti carsiche, essendo il bacino situato completamente su terreni molassici. Dopo Teramo la valle si slarga e il fiume, ricevuto da sinistra il torrente Fiumicino, proveniente dalla Montagna di Campii, prosegue il corso quasi pianeggiante verso il mare, dove sbocca immediatamente a sud di Giulianova.

    Più a nord il Salinello (44 km.) e la Vibrata (36 km.) nascono dalla Montagna dei Fiori e incidono il breve, tortuoso corso nelle argille, alimentati solo da insignificanti torrentelli per lo più asciutti nella stagione estiva. Le portate medie sono mediocrissime e si riducono quasi a niente durante l’estate (Vibrata, 0,6 mc./sec. annui; 0,08 mc./sec. in agosto). Molto simile è, a sud del Vomano, il Piomba (36 km.), che scorre nella plaga fra Città Sant’Angelo e Atri, in una valle dai fianchi squarciati da calanchi e frane.

    Un bacino di notevole ampiezza (521 kmq.) presenta invece il Saline (50 km.), formato dal Fino e dal Tavo che si congiungono a 7 km. dalla foce. Ambedue i fiumi hanno origine dai calcari del Gran Sasso. Il primo nasce a nord del Monte Siella e scende con corso tortuosissimo ricevendo il torrente Cerchiola prima di Bisenti, il secondo proviene dal margine orientale del Campo Imperatore, non molto sotto il bacino chiuso del Lago Sfondo, e scava una profonda e ampia valle, passando sotto Farìndola e cambiando più volte direzione prima della confluenza. Il Saline sbocca presso Montesilvano Marina, a brevissima distanza dalla foce del Piomba, con una leggera cuspide deltizia.

    A sudest, dopo il corso della Pescara, scorrono con ancor più pronunciato parallelismo i fiumi e i torrenti del Subappennino Frentano, anch’essi brevi, tortuosi e poveri d’acqua quantunque abbiano inizio dai gruppi di sorgenti che sgorgano dalla base del versante orientale della Maiella. L’Alento (30 km.) nasce non lungi dal Passo Lanciano e scorre con il primo tratto verso nordovest fino a Serramonacesca, compiendo poi un ampio arco per assumere la normale direzione verso nordest che conserva fino alla foce. Il Foro (40 km.) nasce poco a sud della sorgente dell’Alento e scende verso Pretoro e Fara Filiorum Petri, dove riceve sulla destra l’Avenna che proviene da Bocca di Valle, e infine, presso Migliànico, ancora dalla destra, il torrente Venna, suo principale affluente.

    Il Salinello presso San Egidio alla Vibrata.

     

    Ancora più brevi e a spiccato regime torrentizio sono il Moro (25 km.), che nasce fra Orsogna e Guardiagrele, e il Feltrino (18 km.). Quest’ultimo, che sfocia alla Marina di San Vito, ha una portata media annua di 0,4 mc./sec., con i minimi di 0,12 in luglio-agosto e il massimo di 0,71 in febbraio. Il grande letto del Sangro interrompe la serie dei mediocri torrenti subappenninici, che riprendono più a sudest con l’Osento (34 km.) e il Sinello (42 km.) Il primo ha origine presso Tornareccio ed il suo corso tortuosissimo ha la caratteristica di compiere, dopo Torino di Sangro, un’ampia curva verso est, mantenendo questa direzione fino alla foce. Il Sinello, infine, nasce dal Monte Castel Fraiano, a nordovest di Castiglione Messer Marino e, attraversate le plaghe collinari di Gissi e Monteodorisio in una valle, stretta e incassata fino a Carpinete, poi sempre più ampia, sbocca a soli 2 km. dalla foce dell’Osento, a nordovest della rocciosa Punta della Penna.

    I fiumi molisani.

    Il Molise, per la sua limitata estensione, accoglie completamente sul proprio territorio il bacino di un solo fiume: il Biferno. Gli altri appartengono parzialmente alla regione, costituendone per notevoli tratti il confine (Trigno a nordovest, Fortore e Saccione a sudest) oppure rientrandovi soltanto con l’alto bacino, posto marginalmente, come il Volturno e il suo subaffluente Tammaro, che portano le acque al Tirreno.

    I fiumi molisani adriatici si avvicinano per varie caratteristiche a quelli abruzzesi più importanti, in modo particolare per la grande tortuosità del percorso e per il letto molto ampio e ghiaioso specialmente nel tratto inferiore, dove l’acqua scorre ramificandosi in molteplici rivoli. Anzi, la selettività litologica fa sì che la valle si allarghi e si restringa a più riprese dando al letto fluviale, anche in certi tratti più elevati, caratteristiche affini a quelle del basso corso. Come lunghezza e come bacino essi superano, eccettuato il Saccione, la maggior parte dei fiumi abruzzesi, subito dopo la Pescara e il Sangro, essendosi sostituite all’erto diaframma della « cordigliera » le ampie distese ondulate dei terreni flyscioidi. Ma se la mancanza di una catena vicina al litorale è un vantaggio rispetto alla lunghezza dei corsi d’acqua, costituisce invece un elemento che influisce in senso negativo sul regime. Essendo ormai molto distanti e marginali i grandi bacini di alimentazione dovuti alle masse calcaree, le portate, anche se come media riescono a mantenersi a un certo livello, sono caratterizzate da una marcata irregolarità, con magre estive molto pronunciate e piene invernali talvolta rovinose.

    Oltre ad essere totalmente molisano, il Biferno è il maggiore fiume della regione, sia come lunghezza (93 km.) che come bacino (1311 kmq.). Nasce dalle copiose sorgenti di Boiano, alla base del Matese, che assicurano al primo tratto un flusso abbondante e regolarissimo di limpide acque; ancora al centro della piana di Boiano, a circa 5 km. dalle sorgenti (Ponte della Fiumara), il fiume, già prima di ricevere sulla sinistra il Rio e sulla destra il torrente Quirino, alimentati da numerosi rivi del Matese, ha la portata media di 5 mc./sec. con un massimo di 5,97 in marzo e un minimo di 3,86 in ottobre, chiaro esempio di spiccato regime carsico. Dopo la piana di Boiano affonda il suo letto in una stretta e inospitale vallata incisa nei terreni plastici, estremamente franosi, con limitati slarghi sotto le colline di Oratino e di Castropignano, ricevendo uno scarso e irregolare contributo di acque da numerosi rivi e brevi torrenti. Dopo la stretta di Guardialfiera, dove il fiume ha una portata media di 15 mc./sec., la valle si allarga notevolmente fra le argille plioceniche e il Biferno scorre con i consueti caratteri di fiume di bassopiano, passando sotto Gu-glionesi e ricevendo sulla destra il Cigno, suo principale affluente che proviene dalle alture di Casacalenda e bagna la plaga tra Larino e Ururi. Ad Altopantano, a una diecina di chilometri dalla foce, il fiume ha una portata media di quasi 20 mc./sec. La foce si apre a sud di Tèrmoli con un delta alquanto pronunciato, che dà l’idea dell’abbondanza dei materiali solidi trasportati fino alla costa.

    A nordovest il Trigno (lunghezza 85 km., bacino 1199 kmq.) segna per lungo tratto il confine con l’Abruzzo. Ha origine da una sorgente, chiamata appunto Capo Trigno, alla base del Monte Capraro ad ovest di Vastogirardi, e scorre verso sudest con il primo tratto in una scoscesa e tortuosa vallata alpestre dove riceve il tributo di brevi ma alquanto copiosi rivi. Dopo Pescolanciano la valle si restringe al massimo nelle gole di Chiàuci, poi presso Civitanova del Sannio, dove sulla destra accoglie con il Rio Fiumarella le acque dell’altipiano di Frosolone, volge con brusco gomito verso nordest assumendo la naturale direzione verso l’Adriatico. Poco notevoli sono in questo primo tratto le portate, mentre già alquanto irregolare è il regime: sotto Chiàuci la media annua è di soli 2,3 mc./sec., con minimi di meno di 0,5 mc./sec. da luglio a tutto settembre e massimi in febbraio e dicembre di 4,8 e 4,3 mc./sec. A nord di Bagnoli affluisce al Trigno il più importante tributario, il Verrino, che nasce presso Capracotta e scola le acque della plaga di Agnone, poi, dopo alcuni chilometri, il Sente che proviene dalle falde calcaree del Monte Castel Fra-iano. L’apporto di questi due affluenti aumenta notevolmente la portata, che a Trivento risulta di circa 7 mc./sec., mentre diviene però molto più sensibile la differenza fra i periodi di magra e quelli di piena: minimi in agosto-settembre di 1 mc./sec., massimi in febbraio e in dicembre di 15 e 10,4 mc./sec. In seguito il regime diviene ancora più irregolare, aumentando progressivamente la portata più che altro per le acque di piena invernali, mentre le magre, in proporzione, si fanno sempre più accentuate. Proseguendo, il Trigno riceve da sinistra, a circa 6 km. dalla foce, l’affluente Treste, che nasce anch’esso dal Monte Castel Fraiano, vicinissimo alle sorgenti del Sinello, e scorre completamente in territorio abruzzese entro una valle stretta e solitaria in mezzo ai Monti dei Frentani. La foce è a delta non molto rilevato, e si estende fra la Stazione di San Salvo e Petacciato Marina.

    Vedi Anche:  Lineamenti Regionali

    Solo un accenno merita il Saccione, breve e irregolare torrente che incide le colline plioceniche scolando le acque della non ampia plaga fra Roteilo, Ururi e San Martino in Pènsilis, con un percorso di una trentina di km. che per due terzi costituisce verso la costa il confine con la Puglia. Ben maggiore importanza ha invece il Fortore, pur se solo il medio corso bagna il Molise, seguendo anch’esso il confine pugliese. Il fiume, lungo circa 80 km., ha inizio in provincia di Benevento, presso Montefalcone, con caratteri spiccatamente torrentizi, forti pendenze e scarsa portata. Abbandonato il suolo campano al Ponte Tredici Archi si allarga nel lungo ed ampio bacino artificiale di Occhito, dove riceve immediatamente dalla sinistra il Tappino, suo principale affluente che porta le acque di numerosi torrenti della plaga assai vasta a sud e ad est di Campobasso. Dopo lo sbarramento artificiale riprende il suo corso tortuoso, confine con la Puglia, incidendo profondamente le ultime propaggini settentrionali dei Monti della Dàunia; lascia infine il Molise dopo aver ricevuto le acque del torrente Tona, che proviene dalle contrade di Bonefro e di Montorio dei Frentani, per poi scorrere nell’ampio bassopiano dàuno fino alla foce, ad ovest del lago di Lésina.

     

     

     

    L’irregolarità del regime appare evidente dai dati dell’idrometro di Ponte Casate, ancora a 40 km. dalla foce: la portata media di 12,6 mc./sec. ha oscillazioni stagionali pronunciatissime, con minimi di 0,64 mc./sec. in luglio e agosto e un massimo di 36,3 in febbraio. Ci troviamo quindi ormai di fronte al tipico regime calabro-pugliese dei fiumi meridionali.

    Tralasciando il Tàmmaro, del quale appartiene al Molise solo il ristretto bacino sorgentifero coincidente con la plaga fra Sepino, la Sella di Vinchiaturo e Cercemag-giore, resta infine da accennare all’alto Volturno. Il fiume, il più importante dell’Italia meridionale, scorre nella regione per soli 45 km., per un terzo dei quali segue il confine con la Campania. Nasce da copiose sorgenti che sgorgano dal Monte Rocchetta e discende ripido, talvolta a balzi, ricevendo sulla destra il modesto apporto di pochi torrentelli. All’altezza di Colli al Volturno il fiume si apre il varco attraverso una stretta gola scavata nei calcari, allo sbocco della quale accoglie il Rio Chiaro, primo notevole contributo perenne, per poi ricevere da sinistra il Cavaliere, principale affluente molisano, nella vasta piana che corrisponde al fondo di un lago pleistocenico riempito dalle alluvioni recenti. L’apporto del Cavaliere, che scola la conca di Isernia, è notevolissimo sia per le abbondanti acque sorgive provenienti dall’alto corso che prende il nome di Càrpino, sia per quelle, molto più irregolari ma copiosissime in inverno, dell’affluente Vandra, che proviene da zone prevalentemente argillose pur essendo nato dai calcari del Monte Pagano. Ancora sulla sinistra, a brevissima distanza dallo sbocco del Cavaliere, confluisce nella piana il Lorda, che discende dai calcari del versante nordorientale del Matese attraversando le plaghe di Castel-pizzuto e di Longano. Dopo la stretta di Roccaravìndola il Volturno riprende a scorrere con ampi meandri nell’ancor più vasta conca di Venafro accostandosi al bordo orientale e ricevendo, oltre a copiose acque sorgive, l’apporto dal Matese della Sava, breve ma ricco fiumiciattolo carsico. La vicinanza di notevoli masse calcaree ha la sua influenza equilibratrice sul regime del fiume il quale, pure accusando squilibri fra la stagione estiva e quella invernale, è ben lontano dalla spiccata irregolarità dei corsi d’acqua adriatici. Basta accennare ad alcune portate di magra (oltre 5 mc./sec. dopo le sorgenti, oltre 7 dopo la confluenza col Cavaliere e più di 10 al termine del suo corso molisano, prima dello sbarramento di deviazione delle acque verso il Liri) per dare un’idea della copiosità di acque perenni che il fiume porta verso la Campania. In dicembre e in febbraio si hanno i due massimi, che quasi si equivalgono, in connessione con piene talvolta assai accentuate.

    I laghi.

    E certamente singolare a prima vista il fatto che una regione dominata un tempo dai grandiosi specchi d’acqua pleistocenici, corrispondenti ora alle numerose conche intermontane, sia attualmente così scarsa di laghi, anche di modesta ampiezza. Tanto più se consideriamo che fino a un secolo fa l’Abruzzo possedeva con il Lago Fùcino, detto anche di Celano, il terzo lago d’Italia, che si estendeva per ben 155 kmq. nel cuore della regione, alla considerevole altezza di 670 m. sul livello del mare. Tipico esempio di lago relitto, avanzo di una distesa acquea assai più vasta che comprendeva anche i Campi Palentini, il Fùcino, soggetto a rapide e notevoli variazioni di livello che facevano raggiungere nei periodi di piena la superficie di 170 kmq., fu prosciugato e adattato all’agricoltura nella seconda metà del secolo scorso.

    Il maggiore lago naturale è ora il piccolo Lago di Scanno, che non raggiunge la superficie di 1 kmq., posto all’altezza di 922 m. nell’alta valle del Sagittario fra il Monte Genzana e la Montagna Grande. Esso è dovuto a sbarramento di frana, anzi è forse il più notevole esempio di questo tipo in Italia. Ancora è ben visibile la grande nicchia di distacco sul fianco del Monte Genzana, fra 1800 e 1350 m., detta Le Gravare. La frana avvenne lungo il contatto discordante dei calcari secondari con quelli eocenici, che crollarono intercettando il corso del Sagittario e formando un’ampia zona detritica di macereto. La larghezza massima del deposito, che si è disteso a ventaglio, si ha fra il lago e Villalago, dove cumuli detritici, più o meno cementati, isolano tuttora minuscoli specchi d’acqua per lo più temporanei, come il Lago Pio. Il Lago di Scanno si allunga con forma ovoidale per circa 1700 m., con larghezza massima di 700 e profondità massima di 32 m. Ebbe dapprima un livello alquanto più alto dell’attuale, le cui tracce si notano sulla sponda occidentale, e un emissario superficiale ancora ben riconoscibile. Abbassatosi il livello, l’emissario cessò di funzionare e le acque trovarono sfogo fra i detriti, riapparendo sotto Villalago in sorgenti dalle quali si fa iniziare il corso del Sagittario. Il principale immissario è il Tasso (portata media 0,7 mc./sec.), ma un certo apporto è dato anche da altri valloncelli, fra cui quello della Terratta, a sudovest, che scola discontinuamente le acque della Montagna Grande. Il fondo del lago è ricoperto da numerose alghe e le acque sono popolate da varie specie di pesci (trote, lasche, tinche, barbi).

     

    Gli altri laghi naturali abruzzesi e molisani, benché numerosi (circa un’ottantina), sono tutti minuscoli specchi d’acqua per la massima parte di natura carsica, pur non escludendo per alcuni più elevati un’origine o modifiche dovute al glacialismo quaternario.

    Il più alto e fra i più interessanti è il Lago Pantaniello, di sbarramento morenico, situato a 1818 m. sul fianco nordest del Monte Greco, alla testata della Valle di Chiarano. E costituito da un bacino ellittico lungo circa 250 m. e largo un centinaio, residuo di un grande specchio d’acqua che riempiva una conca lunga un chilometro, la quale in periodi di particolare piovosità torna ad essere nuovamente sommersa. Le acque del laghetto, sottoposto a un continuo interrimento, hanno inciso il cordone morenico, tanto che lo sbarramento naturale ha dovuto essere rinforzato da un muro a secco, per il danno che porterebbe il prosciugamento all’attività pastorale della zona.

    Di più difficile interpretazione è il Lago della Duchessa, posto al centro di un piano fra la dorsale del Muro Lungo e quella del Morrone (gruppo del Monte Velino) all’altitudine di 1788 m. Lungo 400 m. e largo circa 150, è sbarrato nella parte più bassa da rocce levigate dall’erosione glaciale, ma sulla cavità che esso occupa sembra che abbia agito in modo essenziale l’erosione carsica; alimentato esclusivamente dalle acque meteoriche e dalla fusione delle nevi, ha un livello estremamente variabile. Senza dubbio di origine carsica è il minuscolo Lago della Madonna che giace a 1771 m. sul fondo di un’ampia conca sotto la ripida costa terminale del Monte Morrone.

    Il Lago di Scanno.

     

    Assai elevati anch’essi e molto numerosi sono i laghetti che, a un’altezza variabile fra 1100 e 1700 m., occupano il fondo di bacini chiusi sul versante sudoccidentale del Gran Sasso. Bisogna premettere anzitutto che, data la loro ridottissima estensione che si aggira su una media di mezzo ettaro, essi sarebbero del tutto insignificanti se non fossero in stretta connessione, come già è stato accennato, con l’approvvigionamento idrico dei pastori e dei greggi durante il periodo della monticazione. Nella quindicina di laghi esaminati dal Moretti e dall’Ortolani si possono anzitutto riconoscere alcune caratteristiche generali. Eccettuato il Lagone, la cui posizione ai margini della morena frontale del ghiacciaio quaternario del Campo Imperatore può far pensare a un’origine per sbarramento morenico, gli altri bacini lacustri sono indubbiamente di natura carsica, situati per lo più sul fondo di tipici piani chiusi (laghi di Calascio, di Barisciano, di Filetto, delle Locce, ecc.) oppure, più raramente, entro cavità minori doliniformi, come i laghi di San Pietro, di Assergi e di Valle. In linea di massima, essendo alimentati da falde acquifere, essi sono permanenti, con oscillazioni stagionali non molto marcate, fatta eccezione per il Lago San Pietro, normalmente asciutto in estate e quelli di Assergi e di Pagànica (il più elevato, a 1687 m.) che si prosciugano in seguito a prolungate siccità; del resto anche il Lago di Santo Stefano di Sessanio (il più ampio, 0,8 ha.), pur alimentato da polle, può essere trovato in estate ridotto a una vera e propria piccola pozzanghera fangosa invasa da erbe palustri.

    Il laghetto di Santo Stefano di Sessanio, trasformato in estate in acquitrino erboso.

     

     

     

     

    Di questi laghi, solo i tre che appartengono al Campo Imperatore (laghi Racollo, del Bove e Lagone) e il Lago Sfondo, situato all’estremità sudorientale, fanno parte del bacino idrografico del Tavo-Saline; tutti gli altri sono sicuramente tributari dell’Aterno.

    Secondo il Beneo e il Sacco, questi laghetti dovrebbero essere gli avanzi di ampi specchi lacustri pleistocenici, ma il Moretti e l’Ortolani non ritengono di poter concordare su di un vero e proprio regime lacustre nei bacini montani sia perchè questi sono stati potentemente modellati dal carsismo, sia perchè ancora dovrebbero avere evidenti tracce di depositi lacustri, rivelatisi invece inesistenti.

    Un tipico esempio di lago carsico è anche il Laghetto, specchio d’acqua temporaneo che giace a 1338 m. sull’altipiano di Ovìndoli, a breve distanza a nordest del villaggio omonimo, il quale può raggiungere in certi periodi l’estensione di 7 ha.

    Oltre al Lago Vetoio, nominato anche da Plinio, che giace nel fondo della conca aquilana ed è formato da numerose sorgenti subalvee, sono infine da ricordare tre laghetti della valle dell’Aterno, molto interessanti poiché occupano le cavità di doline alluvionali di sprofondamento aperte in arenarie argillose miste a ciottoli calcarei.

    Il lago di Cannavina, sull’altipiano calcareo di Frosolone.

     

     

     

    Il vasto lago artificiale di Campotosto e il piccolo bacino di Provvidenza.

    Il più esteso è, a 640 m., il Lago di San Raniero (3,7 ha.), sulla cui sponda settentrionale si trova il villaggio di Civita di Bagno, che occupa un bacino di forma quasi circolare alimentato, oltre che dalle piogge, da alcuni brevissimi fossati. L’emissario che porta le acque all’Aterno, è chiuso artificialmente per una migliore utilizzazione per l’irrigazione. A sudest si trova a poca distanza il laghetto di San Giovanni, molto più piccolo, che si ritiene alimentato da una polla subalvea. Il terzo è infine il Lago Sinizzo, che si trova sul versante opposto presso San Demetrio ne’ Vestini in una piccola conca verdeggiante all’altezza di 702 metri.

    Ben poco c’è da dire dei laghi naturali molisani dato che la regione ne è pressoché sprovvista. Si possono citare il Lago di Carpinone (120X60 m.) che occupa il fondo di una dolina a 1230 m. sull’altipiano di Frosolone, dove altri se ne trovano, ancor più minuscoli, come i laghetti di Cannavina, del Cervaro e dei Castrati, appartenenti all’alto bacino del Trigno. Più ampi sono i laghi temporanei, come quello di Civi-tanova (m. 1100), che da novembre a marzo copre una superficie di 5 ha. e spesso è un vero e proprio acquitrino.

    In un breve accenno ai laghi artificiali, quello che più si impone alla nostra attenzione è il Lago di Campotosto (m. 1313), non solo perchè con 14 kmq. di superficie e un perimetro di 64 km. è di gran lunga il più grande dell’Abruzzo, ma anche perchè è stato uno specchio d’acqua naturale fino a tempi alquanto recenti. Il fondo della grande conca, che si era formato per il risucchio delle molasse nelle fessure dei sottostanti calcari stratificati, si era lentamente prosciugato. Ciò dette origine ai due vasti piani di Mascioni e di Campotosto, regioni torbifere intensamente sfruttate durante la prima guerra mondiale, nelle quali il drenaggio delle acque avveniva da un piano verso l’Aterno per mezzo di una galleria, dall’altro con l’emissario Rio Fucino verso il Vomano. Le dighe che hanno sbarrato i deflussi non hanno fatto quindi che restituire a questa elevata zona dei Monti della Laga il suo più remoto aspetto.

    Il Lago di Campotosto, verso Campotosto e i Monti della Laga.

     

    Segue come ampiezza (12 kmq.) il recentissimo Lago di Occhito, per metà appartenente al Molise, del quale costituisce per una diecina di chilometri il confine con la Puglia. Le sue acque si espandono su di un tratto dell’alta valle del Fortore, sbarrate là dove questa, dopo una serie di terreni prevalentemente argillosi, si restringe bruscamente per la presenza di strati calcareo-marnosi alternati a marne. Cospicuo è il bacino imbrifero, che si estende su di un territorio di oltre 1000 kmq., in buona parte molisano.

    Altri vasti laghi artificiali sono il Lago di Barrea, a 973 m., lungo il corso del Sangro e il Lago del Sangro che si estende molto più a valle, a nord di Villa Santa Maria, mentre sul basso Aventino, non distante, si estende il Lago di Sant’Angelo. Molto più limitati come superficie sono il Lago di Provvidenza, che si trova a 1060 m. alla confluenza del Chiarino nel Vomano, il Lago di Montagna Spaccata a sudovest di Alfedena e il Lago di Castel San Vincenzo, nel Molise, tributario dell’alto Volturno.