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Distribuzione popolazione e tipi di insediamento

    La popolazione nelle città e nelle campagne

    La distribuzione della popolazione

    Percorrendo la Sardegna, anche al turista più distratto viene fatto di osservare che le campagne sono in gran parte deserte e la popolazione è raccolta quasi tutta in villaggi. Questo, infatti, è il carattere principale della distribuzione della popolazione sarda: la sua forte agglomerazione e, per converso, l’esiguo grado di dispersione degli abitanti. Infatti neppure il 5% della popolazione dell’isola vive sparso nelle campagne, valore questo assai lontano dalla media nazionale (16,4%) e che risulta il più basso tra quelli di tutte le altre regioni italiane.

    Il valore della densità della popolazione sparsa, che in media è di 2,6 ab. per kmq., varia però notevolmente da parte a parte dell’isola. Vi sono infatti dei lembi di pianura nei quali si raggiungono dei valori di 5 e anche 10 ab. sparsi per kmq., ma è pur vero che su un’estensione pari ad un terzo della superficie questi valori scendono a meno di 1 ab. per kmq. e che le zone nelle quali la popolazione sparsa manca del tutto si estendono per circa 2500 kmq., pari ad oltre un decimo della superficie totale.

    Dalla carta rappresentante la distribuzione della densità della popolazione sparsa in Sardegna, appare che le sue più alte percentuali si trovano in tre regioni ben distinte, e cioè a nord la Gallura e il Sassarese con l’adiacente Nurra, a sud l’Igle-siente col contiguo Sulcis occidentale.

    In particolare in tutta la parte settentrionale del Sassarese si hanno oltre 5 ab. sparsi per kmq., che salgono ad oltre 10 intorno a Sassari e in una parte della Nurra. Questa densità relativamente elevata della popolazione sparsa si deve al fatto già accen

    nato che il popolamento della Nurra fu attuato da pastori i quali andarono a risiedervi in prevalenza in dimore chiamate cuili (= covili). Questa colonizzazione spontanea iniziatasi verso la metà del XVI secolo, continuò, pur numericamente modesta, nelle epoche successive, tanto che già un secolo fa si erano stanziate nella Nurra almeno 800 famiglie di pastori provenienti in gran parte da Sassari e dai grossi centri vicini (Ossi, Tissi, Ósilo ed altri). In epoca recente l’insediamento sparso ha potuto estendersi ulteriormente nella Nurra quando, in seguito ai grandi lavori di trasformazione fondiaria, vi sono state insediate numerose famiglie di contadini sardi e continentali.

    La densità della popolazione sparsa è relativamente elevata anche nella Gallura ed in particolar modo nella sua parte nord-orientale con 8-10 ab. sparsi per kmq. Anche qui, come nella Nurra, il popolamento fu attuato da pastori provenienti in gran parte dalla Corsica ed anche dall’interno dell’isola, che vi costruirono delle dimore isolate chiamate stazzi. E poiché questi coloni da pastori divennero pian piano degli agricoltori, la loro residenza stabile sui campi è stato il fattore più importante che ha permesso l’estendersi dell’agricoltura in una regione che pure presenta un ambiente sfavorevole per la montuosità e il terreno spesso ingrato del suo territorio. Nel complesso in Gallura risiedono in case sparse oltre un quarto degli abitanti, soprattutto nei comuni di Olbia, Tempio e Calangianus.

    Nella Sardegna meridionale i valori maggiori della densità della popolazione sparsa, come si è detto, si hanno nell’Iglesiente e nel Sulcis (Iglesias 14,6 ab. sparsi per kmq.). Le origini dell’abitato disperso nel Sulcis sono poco dissimili da quelle della Sardegna settentrionale. Anche qui furono dei coloni che, a partire dal XVII secolo, si trasferirono spontaneamente e stabilmente nella pianura sul-citana, vi praticarono la pastorizia e l’agricoltura e vi costruirono le loro dimore, i medaus e i furriadroxius. Oggi in molte di queste dimore risiedono anche delle famiglie di minatori del vicino bacino carbonifero. La densità della popolazione sparsa nel Sulcis varia da 2 a 5 ab. per kmq. nella parte meridionale, da 5 a 10 nella parte occidentale, e in una breve zona costiera supera i 10 ab. per kmq.; siamo qui nella parte della pianura sulcitana prospiciente l’isola di Sant’Antìoco e corrispondente ad una zona di bonifica recente (bonifica del basso Sulcis) nella quale, dopo la sistemazione dei terreni, risiedono isolate numerose famiglie di contadini. Nel-l’Iglesiente si ha pure una zona con più di 10 ab. sparsi per kmq. in corrispondenza del comune di Iglesias, dove però l’elevata densità della popolazione sparsa è in relazione con l’attività mineraria poiché ovunque si trovi uno stabilimento, una fornace, un opificio isolato, ivi risiedono dei piccoli gruppi di minatori o di operai.

    Fuori di queste regioni, la densità della popolazione sparsa è superiore a 2 ab. per kmq. solo in limitate zone, nelle quali la dispersione degli abitanti è un fatto del tutto recente: nel Campidano di Oristano, entro le due zone di bonifica tra Oristano e il mare ed Arboréa; nella Trexenta e nel Campidano meridionale (dove intorno a Cagliari è di oltre 10 ab. per kmq.) e nella zona costiera del Sàrrabus e del-l’Ogliastra, nonché nelle isole minori esclusa l’Asinara.

    Densità della popolazione sparsa nel 1951.

    Le zone interne dell’isola sono invece quelle che presentano i valori più bassi della densità della popolazione sparsa e ne sono poi privi del tutto i vasti altopiani di Bitti e Alà, gran parte del versante orientale del Gennargentu, i monti della Barbàgia di Seulo e quelli del Sàrrabus. Un’altra ampia zona priva della popolazione sparsa si trova nella parte centro-occidentale dell’isola e comprende la Marmilla e la media valle del Tirso, dove la popolazione vive esclusivamente nei centri abitati.

    Concludendo, là dove prevalgono le zone montuose e si trovano ampie superfici a pascolo, si trova anche la minor densità di popolazione sparsa, mentre nelle zone di pianura, dove si pratica l’agricoltura con un’utilizzazione intensiva del suolo, e nelle zone minerarie si ha il maggior numero di abitanti dispersi. Ma importanza grande hanno avuto certo anche fattori sociali ed economici e cioè da un lato la mancanza di sicurezza delle campagne, durata fino ad epoca molto recente e dall’altro il carattere comunitario profondamente radicato dell’agricoltura che ha fatto persistere fino ai giorni nostri un’organizzazione arcaica.

    Anche per ciò che riguarda il numero degli abitanti residenti nei nuclei abitati, cioè negli agglomerati elementari, la Sardegna presenta le cifre più basse d’Italia in quanto la popolazione che vi si trovava nel 1951 era di soli 25.000 ab., appena il 2% del totale, mentre la media dell’Italia intera era del 7,6%; solo in Puglia la popolazione annucleata si trova in misura alquanto inferiore.

    La distribuzione pianimetrica della popolazione nei nuclei ha una notevole analogia con quella della popolazione sparsa, in quanto i nuclei si trovano pure più numerosi nel Sassarese, in Gallura, nell’Iglesiente e nel Sulcis. Si possono osservare tuttavia alcune differenze interessanti.

    Nel Sassarese i comuni di Castel Sardo, Pérfugas e Ósilo hanno la più elevata densità di popolazione annucleata, mentre essa è piuttosto bassa nel comune di Sassari ed in tutta la Nurra, dove invece la popolazione sparsa, come si è visto, è particolarmente numerosa. Per ciò che riguarda la Gallura si nota che le dimore isolate prevalgono nella parte settentrionale e nord-orientale e l’insediamento per nuclei (agglomerazioni di stazzi o cussorgie) domina nella parte occidentale, verso il Golfo del-l’Asinara. Nella parte orientale invece, i nuclei sono molto rari e nel territorio di Olbia mancano del tutto.

    La popolazione annucleata torna però numerosa nella Baronia di Posada, dove i comuni di Torpè e di Posada hanno rispettivamente 2 e 6,7 ab. per kmq. viventi nei nuclei. Ragioni di salubrità e di difesa hanno determinato l’aggruppamento di dimore in queste zone vicine al mare, dove gli stazzi che formano questi nuclei sorti per immigrazioni di Galluresi sono talvolta contigui, talvolta separati, ma sempre molto vicini tra loro, in una stessa altura, e sono indicate con lo stesso nome, che è spesso un nome patronimico. Alcuni di questi agglomerati si sono poi sviluppati e sono divenuti dei centri abitati (Lòiri, San Teodoro d’Oviddè), altri invece sono rimasti agglomerati elementari.

    Le densità maggiori della popolazione annucleata si hanno però nel Sulcis, dove si raggiungono i valori più elevati di tutta la Sardegna (San Giovanni Suergiu 19,1 e Carbonia 17,7 per kmq.). Anche in questa regione i nuclei hanno in prevalenza carattere agricolo, ma non mancano, in vicinanza del bacino carbonifero, quelli abitati in maggior parte da minatori. L’addensamento delle dimore si deve quindi al fatto che i primi colonizzatori si trasferirono in questa regione a gruppi di famiglie, le quali, specie nelle parti più vicine al litorale, si tennero aggruppate a miglior difesa dagli attacchi dal mare; l’insediamento sparso, dapprima poco diffuso, si sviluppò solo quando subentrò lungo le coste una maggior sicurezza.

    Intorno ad Iglesias gli abitanti dei nuclei sono assai pochi, e ciò in quanto gli addetti alle miniere risiedono in maggior parte nei centri di Iglesias, Monteponi e negli altri, che sono vicinissimi ai luoghi di estrazione; solo piccoli gruppi vivono in corrispondenza di stabilimenti, opifìci, ecc., e sono considerati in questo caso come abitanti sparsi, come già si è visto. I nuclei minerari sono invece più numerosi nei comuni di Arbus e Guspini, dove le miniere sono spesso distanti dai pochi centri abitati sicché in vicinanza dei luoghi di lavoro sono sorti questi nuclei ciascuno dei quali accoglie talvolta alcune centinaia di minatori.

    Per il resto, si può dire che solo nel Campidano meridionale (comune di Cagliari 8,2), intorno a Oristano e in qualcuna delle isole minori la densità della popolazione annucleata ha una certa importanza.

    In tutta la rimanente parte della Sardegna, e si tratta almeno dei due terzi della superfìcie, i nuclei mancano completamente, ove si eccettuino delle limitate zone del tutto isolate.

    Considerando la popolazione dei nuclei insieme con quella delle dimore sparse, si ottiene per il 1951 la cifra di 88.260 ab., che rappresenta circa il 7% della popolazione complessiva della Sardegna. E poiché nei censimenti precedenti la popolazione residente nei nuclei era considerata come sparsa, la cifra sopra riportata ci permette di fare un raffronto con la situazione degli ultimi decenni. Possiamo rilevare che dal 1921 ad oggi la popolazione non accentrata ha avuto tendenza ad aumentare con un ritmo più rapido di quello dell’intera popolazione dell’isola: così nel periodo 1931-51 la popolazione residente fuori dei centri ha avuto un incremento del 21% circa, fatto questo di notevole significato circa la possibilità che anche in Sardegna possano vivere famiglie di contadini sparse per le campagne in dimore isolate o in piccoli nuclei di carattere agricolo o minerario.

    La grandissima maggioranza della popolazione sarda vive dunque in centri abitati e soprattutto in villaggi: infatti gli abitanti dei centri erano 1.187.000 nel 1951, pari al 93% della popolazione complessiva, il che vuol dire che l’isola, fra tutte le regioni italiane, presenta il più elevato grado di accentramento della popolazione poiché nella Puglia e nella Sicilia esso è, sia pur di poco, inferiore, mentre in nessuna altra regione la popolazione accentrata rappresenta oltre i nove decimi di quella complessiva.

    La densità della popolazione accentrata varia relativamente poco nelle diverse parti dell’isola e naturalmente nel senso che i valori meno alti si trovano nelle regioni periferiche dove la popolazione sparsa e annucleata è più numerosa e che sono state già indicate in precedenza. Le zone di maggior accentramento degli abitanti sono com’è logico quelle dove i centri abitati sono più fitti e più popolati, sicché sono in realtà questi ultimi che occorre prendere in considerazione.

    Si deve intanto osservare che nel 1951 sono stati contati nell’isola 544 centri abitati, ma di essi quasi la metà aveva la popolazione inferiore a 1000 ab. e sono appunto questi, in buona parte, i piccoli centri sorti di recente, i quali nel complesso accoglievano solo 104.071 individui. Altri 115 centri, cioè poco più di un quinto, avevano la popolazione compresa tra 1000 e 2000 ab. e nell’insieme accoglievano una popolazione pari al 13,1% di quella dell’intera isola. Quelli che avevano da 2000 a 5000 ab. erano 118 e comprendevano circa un terzo della popolazione sarda.

    In complesso ben 498 centri avevano popolazione inferiore a 5000 ab., e ciò si spiega col prevalente carattere agricolo-pastorale e minerario degli abitati della Sardegna, nella quale è assai scarso il numero dei centri industriali e commerciali, generalmente più popolati, che sono caratteristici di altre regioni.

    I centri abitati con popolazione compresa tra 5000 e 10.000 ab. erano 33 ed in essi risiedeva più di un sesto della popolazione sarda; appena 13 erano quelli con più di 10.000 ab., ma vi si raccoglieva oltre un quarto della popolazione dell’isola. Di questi centri poi soltanto 3 superavano i 20.000 ab.: Carbonia con 32.758 ab., Sassari con 57.351 e Cagliari con 102.992. Ad essi dal 1961 si sono aggiunti Nuoro e Alghero.

    Nonostante il numero non scarso dei centri, la loro densità è in media di uno su 443 kmq. (ossia 2,3 ogni 100 kmq.) cioè molto bassa se paragonata a quella di altre regioni d’Italia.

    Come appare dalla apposita carta, i centri abitati sono distribuiti in modo assai disforme, in quanto a zone in cui essi sono estremamente radi, se ne contrappongono altre nelle quali si affittiscono notevolmente.

    Il grado maggiore di rarefazione — meno di 2 centri ogni 100 kmq. — si trova nella Sardegna settentrionale granitica e scistosa comprendente tutta la Gallura, l’altopiano di Alà e le Baronie, tranne i territori di Posada e Torpè che hanno in breve spazio piccoli, ma numerosi centri abitati. Bassa è la densità anche nel Nuorese, nella regione intorno al Golfo di Orosei, nella Barbàgia, nell’Ogliastra (eccettuata la piana di Tortoli), nel Gerréi e nel Sàrrabus.

    I valori più elevati della densità dei centri abitati si hanno invece nella parte occidentale dell’isola, ma le zone con meno di due centri per 100 kmq. sono anche qui notevolmente estese e comprendono la parte costiera fra il Golfo dell’Asinara e quello di Oristano, le zone minerarie dell’Iglesiente e del Sulcis e la parte occidentale e meridionale del Campidano.

    Ma il maggiore addensamento dei centri si trova in una zona interna, comprendente il Campidano orientale, la Trexenta e la Marmilla, che hanno da 5 a 10 e oltre 10 centri su 100 kmq. Valori superiori a 10 si notano poi nel Sassarese dove un gran numero di centri si addensa in breve spazio a sud di Sassari e nella Planàrgia, tra il Montiferru e la Valle del Temo.

    Distribuzione della popolazione (1951).

    Ciascuno dei punti più piccoli indica 100 ab. nelle case sparse e nei nuclei; i centri abitati sono rappresentati da sfere di volume proporzionale alla loro popolazione.

    In complesso tutta la metà occidentale dell’isola ha un maggior numero di centri abitati rispetto a quella orientale, il che ricalca quanto si è visto a proposito della densità della popolazione ed è in rapporto con la differenza delle condizioni naturali delle due parti dell’isola, per cui il lato orientale offre un ambiente più sfavorevole all’insediamento ed anche con la diversità delle vicende del popolamento.

    La carta della distribuzione della popolazione consente pure di notare che, mentre nella Sardegna meridionale sono le stesse zone che hanno numerosi centri ad accogliere il maggior numero di abitanti sparsi (Iglesiente, Sulcis, Campidano meridionale), nella Sardegna settentrionale la popolazione sparsa è più fitta in quelle regioni nelle quali i centri sono piuttosto radi (Nurra, Gallura).

    Riguardo alla distribuzione altimetrica dei centri abitati, si osserva che il loro numero diminuisce costantemente man mano che si procede dalle zone più basse a quelle più elevate; si passa infatti da un totale di ben 186 centri nella fascia compresa tra o e 100 m. a 3 appena in quella tra 900 e 1000. La diminuzione non avviene però in modo regolare; è notevole nel passaggio dalla prima alla seconda fascia dove si hanno, rispettivamente 186 e 95 centri, ma si attenua tra i 500 e i 600 m., nella fascia di addensamento già notata, per riprendere poi fortemente più in alto.

    In complesso, oltre la metà dei centri si trova a quota inferiore ai 200 m., circa un terzo tra 200 e 500 m. e poco più di un sesto a quote superiori. Man mano che ci si allontana dal mare, il numero dei centri diminuisce pure fino a 25 km, ma nella zona successiva tra 25 e 30 km., aumentano sia il numero dei centri che la loro popolazione. A distanza maggiore di 30 km., il numero dei centri diminuisce gradatamente e così il numero degli abitanti in essi residenti.

    Nella zona più interna si hanno due soli centri, Buitei e Anela, i quali pertanto sono in Sardegna quelli che si trovano a maggior distanza dal mare (circa 53 km.).

    Ciò conferma il fatto che, per quanto non si siano ancora realizzate nell’isola le condizioni di altre regioni litoranee e insulari italiane, i Sardi, ormai liberati dal timore dei pericoli esterni e della malaria, sono tornati a stabilirsi in numero considerevole lungo le coste e nelle pianure litoranee in piccoli e grandi centri, abbandonando le alture in cui si erano rifugiati un tempo.

    Per quanto riguarda l’esposizione dei centri abitati, è stato notato che prevalgono quelli rivolti verso le direzioni intermedie della rosa dei venti e soprattutto a sud-ovest e a sudest: quest’ultima è la direzione che si riscontra con maggiore frequenza. Questo fatto non si deve tanto ad una ricerca di parti soleggiate, dato che il clima è caratterizzato ovunque da temperatura piuttosto mite e da sufficiente insolazione, quanto alla necessità di trovare dei siti riparati dai venti dei quadranti settentrionali e specialmente dal maestrale, così frequente e violento.

    I tipi di insediamento

    I caratteri peculiari della distribuzione della popolazione sarda, si riflettono puntualmente sui tipi di insediamento che, a parte i pochi centri abitati di tipo francamente urbano, ha carattere essenzialmente rurale, come hanno messo del resto in evidenza i dati riguardanti le attività professionali. All’alto grado di accentramento della popolazione, corrisponde la diffusione nella maggior parte dell’isola di quelle che il Biasutti ha chiamato forme accentrate, e prima di tutto dei grossi villaggi compatti, cioè di quelli con oltre iooo ab., tra i quali si stendono campagne spopolate o con dimore sparse assai rade. Dal Logudoro al Sàrrabus, dai Campidani alle Barbàgie e airOgliastra, su regioni quindi diversissime per rilievo, per morfologia e per condizioni di clima e di agricoltura, questo tipo si estende continuo con poche varianti: solo motivo di distinzione è costituito dalla diversa frequenza dei grossi centri che sono più numerosi nelle pianure e più radi in montagna, dove ad essi si intercala qualche centro minore. Solo in parti ristrette predominano i centri piccoli, con popolazione inferiore ai iooo ab., là dove la fertilità dei terreni consente un maggiore frazionamento della proprietà e quindi una riduzione del numero dei braccianti, come avviene infatti sui calcari marnosi miocenici della Trexenta, della Marmilla, delFArboréa e della Planàrgia.

    Vedi Anche:  Densità ed emigrazione della popolazione

    Gli altri tipi di insediamento sono limitati, frammentari e del tutto marginali, trovandosi più che altro alle due estremità opposte dell’isola. Sono rappresentati soprattutto da forme miste, una delle quali è costituita da grossi centri tra i quali vive una certa aliquota di popolazione sparsa che giunge fino al 50% di quella totale in rapporto con una dispersione recente di una parte degli abitanti negli immensi saltus spopolati: questa forma acquista importanza solo nella regione mineraria sudoccidentale, sia nelle zone metallifere dell’Arburese e dell’Iglesiente che in quella carbonifera del Sulcis in posizione piuttosto marginale. Altrove questa forma mista e sporadica è ristretta, come nelle campagne ben coltivate del Campidano meridionale alle spalle di Cagliari, nella piana di Tortoli, intorno a Sassari e nel cuore del-l’Anglona e del Montacuto.

    Più estesa è una forma di insediamento complesso a villaggi, nuclei e case sparse, che si trova ben rappresentata in Gallura e nella parte della Baronia di Posada di influenza gallurese, dove è caratterizzata dalla presenza degli stazzi agricolo-pasto-rali, isolati e a gruppi. Si trova anche nel Sassarese e nella Nurra orientale e ancora nel cuore del Sulcis, dove assume una fisionomia particolare essendo qui i nuclei rappresentati dai furriadroxius, espressione anch’essi di un ripopolamento recente.

    Le forme disperse, in cui la maggior parte della popolazione vive in case isolate nelle campagne, sono quelle più recenti e costituiscono un tipo nuovo di insediamento in rapporto prevalente con la bonifica e il popolamento attuale. Interessano infatti parti per lo più limitate e frammentarie soprattutto in Gallura, nelle zone di bonifica della Nurra, deH’Oristanese, di Arboréa, di Sanluri e del Sulcis, tutte come si vede nella parte occidentale dell’isola che offre migliori possibilità, mentre dal lato orien-ntale le troviamo solo nelle Baronie e nella bonifica di Castiadas, da poco intrapresa.

    Principali .

    In conclusione, i tipi di insediamento dispersi e misti si possono considerare ritocchi o alterazioni periferiche, verificatisi a partire dal XVII secolo e assumenti considerevole importanza essenzialmente nella Gallura e nel Sulcis, di un quadro tradizionale ben descritto dal Fara nella sua Corographia Sardiniae.

    Il tipo di insediamento a grossi villaggi compatti che è il più diffuso in Sardegna. Si osservino: la raggiera di strade che parte dall’abitato di Sanluri la frammentazione della proprietà terriera intorno al paese e i campi ampi e regolari nel territorio di bonifica.

    Questo quadro è espressione dell’organizzazione dei singoli gruppi umani in villaggi chiusi e autosufficienti, consolidatasi dopo lo spopolamento delle regioni periferiche verificatosi dal XIV secolo in poi e rimasta a lungo per motivi di sicurezza e per la particolare forma di economia collettiva.

    Le dimore rurali

    Giustamente ha osservato il Baldacci, che ha studiato con grande accuratezza le dimore rurali sarde, che forse in nessun’altra regione italiana come in Sardegna la casa rurale è un elemento dinamico strettamente collegato con la vita dei suoi abitanti. Infatti ogni famiglia che si forma va a vivere per conto proprio in una casa appositamente costruita in modo semplice, elementare, secondo uno schema tradizionale basato su una struttura monocellulare, cioè di un piccolo edificio, prima di uno o due ambienti, che si andrà via via ampliando in rapporto con gli sviluppi e le necessità della famiglia, con modifiche e adattamenti svariati e con soluzioni pianimetriche e architettoniche ingegnose.

    Dimore rurali di tipo elementare in basalto a Nughedu, nel Barigadu.

    Paesaggio della Nurra occidentale con cuili sparsi.

    Generalmente diffuse sono dunque le dimore elementari, caratterizzate da gran semplicità in quanto derivanti direttamente dalla capanna rettangolare. La forma più semplice è quella monocellulare, costituita da un solo ambiente rettangolare che funge contemporaneamente da cucina, camera da letto e stanza da lavoro, privo di finestre e con tetto per lo più a due pioventi, coperto di tegole; nell’interno il pavimento è in terra battuta ed ha al centro il focolare (lufoghile o su foghile) e da un lato c’è l’apertura del forno che spesso ha la cupola esterna, oppure si trova tutto all’interno e in tal caso serve anche da focolare. Questa dimora, più che semplice, rudimentale, si trova ancora soprattutto come abitazione dei braccianti nelle colline deH’Anglona e della Gallura. Essa si amplia facilmente mediante giustapposizione di uno o due altri vani ; molto raramente per sovrapposizione e solo in determinati ambienti, con terreno in pendio. Si forma così la dimora bicellulare, a due vani giustapposti, che possono poi aumentare a tre o più, molto diffusa e tipica della Sardegna settentrionale ma presente anche nel Sulcis, la quale è espressione delle modeste condizioni del piccolo agricoltore e pastore ed è priva di annessi rustici. La stanza di ingresso è la cucina, che ha il solito aspetto, mentre il vano contiguo, chiamato appusentu, è adibito di solito a stanza da letto ed anche alla conservazione del grano in grossi recipienti cilindrici di canne intrecciate chiamati luscia o órriu e di altre derrate in un solaio.

    Gli stazzi galluresi, i cuili della Nurra e i baccili del Sàrrabus sono case di questo tipo che, avendo anche funzione pastorale, sono circondate da un recinto formato da un muro a secco denominato pastrucciàli o pasturicciàli, ove si trovano i rustici, cui si appoggiano uno o due recinti minori (piazza o piazzali) destinati a raccogliere pecore, capre e buoi. Anche nel Sulcis la casa bicellulare è diffusa a costituire i vecchi furriadróxius : qui i rustici, cui si possono aggiungere tettoie per riparo del bestiame, sono spesso affiancati in modo da delimitare in parte uno spazio antistante all’abitazione.

    Il vecchio Cuile Rumanedda nella Nurra.

    Altrove i due vani della casa bicellulare si sviluppano in profondità, sicché la facciata è costituita da uno dei due lati più brevi. In tal caso, frequente nel Meilogu e nella Planàrgia, sul retro della casa si trova spesso un piccolo cortile usato per ricovero di qualche capo di bestiame e per disimpegno della dimora. La presenza di questa corte retrostante è indubbiamente suggerita dalla preoccupazione di sottrarre il più possibile la casa, e soprattutto la sua parte più intima, alla strada, ed è elemento che si trova adeguatamente sviluppato nella casa a corte dei Campidani.

    Infine, nell’ambito di ambienti con gli stessi caratteri economici, la casa bicellulare si può sviluppare anche in altezza, presentando due vani sovrapposti: di essi, nel caso più semplice, quello inferiore è la cucina e quello superiore la stanza da letto (appusentu ’e supra o semplicemente « su ’e supra »), congiunti da una scala interna di legno, oppure esterna ad unica rampa in pietra, come avviene nelle colline dell’Ogliastra. Anche in questa varietà la presenza del cortile posteriore è quasi costante.

    Nell’Anglona, come adattamento della casa ad ambienti con spazio ristretto, si osserva la trasformazione della dimora bicellulare in tricellulare con l’elevazione di un vano sulla camera del piano terreno, in sostituzione della soffitta. La casa risulta così costituita da due elementi giustapposti con tetto separato ed è per lo più fornita di un cortile ove sono i rustici e talvolta l’orto.

    Un adattamento particolare alle condizioni climatiche della casa a elementi giustapposti è quello che si trova in Planàrgia dove questo, come altri tipi di case rurali sviluppate in altezza, presenta un raddoppiamento del tetto determinato dalla necessità di raccogliere il più possibile l’acqua piovana che viene convogliata nelle cisterne.

    Tutto sommato, queste varietà di casa elementare sarda sono scarsamente dipendenti dall’attività agricola e pastorale e sono soprattutto espressione da un lato dell’arcaicità della vita familiare e sociale e dall’altro della semplicità dell’economia rurale e zootecnica. Ma nelle parti ove l’agricoltura ha più lunghe tradizioni ed è quindi più evoluta, la casa rurale assume struttura e aspetti più complessi con l’aumento del numero e la differenziazione funzionale dei vani di abitazione nonché con la maggiore importanza assunta dagli elementi rustici e dalla corte.

    E proprio la corte, con i rustici che la limitano, a dare alle case sia isolate che soprattutto nei paesi, un netto carattere di ruralità in quanto serve a soddisfare le fondamentali esigenze della vita rurale con i magazzini per le derrate, con il loggiato per il carro, col deposito della legna, con la stalla per qualche capo di bestiame. Ecco perchè la corte è elemento assai frequente nelle dimore di molte regioni dell’isola, sia di pianura che di montagna, ma si sviluppa in modo particolare e predomina nettamente nelle pianure e nelle medie colline della Sardegna centro-meridionale, con fulcro nei Campidani e nel mondo collinare contiguo della Marmilla, della Trexenta, del Sàrrabus e del Gerréi. La corte è chiamata generalmente « prazza » (piazza o piazzale) e nel Turritano «pàttiu», dallo spagnolo patio: la parte destinata al bestiame è detta corrali.

    Schemi dei principali tipi di dimore rurali (da Baldacci).

    1, cuile della Nurra; 2, casa elementare; 3, stazzo della Gallura; 4, palattu della Sardegna settentrionale; 5, casa elementare in profondità; 6, casa unitaria della Planàrgia; 7, casa unitaria barbaricina; 8 e 9, casa unitaria dell’Ogliastra di montagna e di collina; io, casa unitaria del Sarcidano; 11, casa campidanese a corte antistante con lolla; 12, casa del Sàrrabus; 13, casa campidanese a corte retrostante; 14, furriadroxiu del Sulcis; 15, casa elementare carlofortina.

    La dimora a corte è costituita, per lo più, da elementi dell’abitazione e del rustico sviluppatisi per giustapposizione, ma lo schema pianimetrico dell’insieme varia notevolmente a seconda che la corte è sul davanti o sul retro della casa. La dimora a corte retrostante domina nei Campidani settentrionali con fulcro nel Campidano di Oristano ed è costituita da vari edifici elementari giustapposti, costruiti per lo più con mattoni crudi, chiamati làdiri o làdrini (dal latino later), che formano muri intonacati poggianti su basi di pietra.

    I vani di abitazione, tra cui spicca la « sala », cioè la stanza d’ingresso nella quale immettono tutte le altre, si trovano sulla fronte del complesso e si affacciano su una retrostante corte, « sa prazza », cui si accede da un lato della casa o dalla strada mediante la porta carraia, « su portali ». Intorno al muro di cinta della corte si trovano il pagliaio, le tettoie per il bestiame « statili » o « stabi », la stalla per il cavallo, la catasta della legna « s’umbragu », il forno, altri annessi minori e in mezzo il pozzo « sa funtana ».

    Invece nel Campidano centrale e meridionale, dal Campo di Sant’Anna al Golfo di Cagliari, domina la dimora a corte antistante, che dà una fisionomia caratteristica ai villaggi avendo essi le strade fiancheggiate dagli alti muri delle corti in cui si aprono solo i grandi portali. Da questi si entra nella vasta corte che ha di fronte la casa, costituita da una serie di vani uguali giustapposti che si affacciano tutti su un lungo loggiato, «sa lolla», addossato alla facciata e sorretto da robusti pilastri regolarmente disposti. Il loggiato è qui elemento di grande importanza, in quanto costituisce un ambiente dove si svolge la vita della famiglia e dove i prodotti agricoli vengono manipolati e trovano una prima sistemazione. La corte ospita, al solito, addossati al muro di cinta, gli usuali elementi del rustico cui si aggiunge « su maga-sinu », ripostiglio di attrezzi e contemporaneamente tinello. Nella cucina, qui come in molte altre case sarde, si trova la mola per macinare il grano mossa da un paziente asinelio, chiamato perciò anche molenti: le mole sono oggi però per lo più in disuso e assai ridotte di numero perchè dal 1948 è stata proibita la macinazione casalinga del grano.

    Una via di Serramanna, nel Campidano, su cui si affacciano le case di mattoni crudi o col portale della loro corte.

     

    Forme prevalenti delle dimore rurali.

    i, dimora monocellulare; 2, citili, stazzi, furriadroxius; 3, dimora element. pluricellulare; 4, tipo campidanese a corte antistante e «lolla»; 5, tipo campidanese a corte retrostante e «sala»; 6, tipo del Gennargentu occid. 7, tipo della bassa Planàrgia; 8, tipo barbaricino; 9, tipo del Gocèano e del Sarcidano; 10, tipo di Samugheo; 11, tipo «palattu»; 12, corti collettive del Nuorese; 13, forme miste; 14, case di bonifica recente.

    Una variante di questo tipo, costituente forse la più caratteristica dimora rurale sarda, si trova nel Campidano centrale dove, per influenza dei contigui Campidani settentrionali, esistono dimore provviste di una corte antistante più grande, « sa prazza manna », e di una retrostante più piccola, « sa prazzixedda », adibita più che altro ad orto e con ingresso proprio.

    Altre varietà sono dovute alla duplicazione degli ambienti in profondità e alla sopraeleva-zione di alcuni degli edifici di abitazione, eseguita in genere dalle famiglie più abbienti.

    Una forma mista con corte duplice, antistante e retrostante, e con lolla ridotta si trova pure nella Valle del Cixerri e anche in altre regioni collinari circostanti al Campidano, come la Marmilla dove la dimora a corte subisce progressivi adattamenti e soluzioni rese possibili anche dalla presenza di materiali da costruzione rocciosi più solidi del mattone crudo.

    Nel resto della Sardegna si diffonde un tipo assai diverso di dimora rurale, quello unitario in altezza, che in unico edificio sviluppato appunto in altezza, riunisce l’abitazione al rustico. Esso è caratteristico delle Barbàgie, dove ha il suo fulcro, ma si estende ad est fino all’Ogliastra e ad ovest fino al Montiferru attraverso il Màrghine e il Gocéano. Tale tipo è proprio, dunque, dell’ambiente montano e dell’alta collina che impongono condizioni di vita e modi di adattamento che la casa puntualmente riflette. Nell’ambiente pastorale barbaricino è ancora diffusa la casa elementare, costruita con blocchi granitici rozzamente intonacati che ripete gli elementi della capanna del pastore, ma nei villaggi della parte centrale dominano dimore tradizionali a piani sovrapposti con in basso una stanza (su fundagu) che serve contemporaneamente da ingresso, stalla e magazzino. Dal fundagu una scala a pioli conduce al primo piano dove si trova la cucina la cui finestra immette in un balcone ligneo, lungo quanto tutta la facciata della casa e protetto dal prolungamento del tetto o da una tettoia apposita, sempre sorretta da pilastri pure di legno coperto con tavolette chiamate scàndulas e con piastrelle scistose.

    Piante di due dimore rurali tipiche a corte del Campidano.

    Una via di Destilo fiancheggiata da case con tetto di lastre di pietra e balcone ligneo coperto.

    Si tratta dunque di una casa legata all’ambiente montano la quale può avere più piani, cui spesso si accede dal pendio retrostante. Nella Barbagia periferica questo tipo si modifica alquanto acquistando la corte, come si nota a Sórgono nel Mandrolisai ed anche nel Gocéano e negli altopiani basaltici del Tirso presentando la scala esterna in pietra e un pergolato (sa tricca) sulla facciata; nell’Ogliastra e nel Montiferru si hanno case alte e strette, senza balconi e con la cucina in alto; nel Màrghine, infine, insieme al Sarcidano e ad una parte del Gocéano, la casa tende a un tipo collinare con la cucina al piano terreno, il balcone sempre meno frequente, tetto spesso a un solo piovente. Questo tipo di case a più piani si spinge verso il Nord attraverso la soglia di Pattada. Nel Nuorese si osserva una varietà particolare che, pur ripetendo lo schema generale, ha un cortile inglobato in un complesso di abitazioni a due piani abitate da proprietari diversi sì da costituire delle corti collettive.

    Casa con loggiato a Busachi nel Barigadu.

    Caratteristica casa di Sórgono, nel Mandrolisai, con porticato e lungo balcone ligneo.

    Vi sono infine delle forme particolari di cui la più diffusa è quella compatta a palatili, (palazzo) un edificio di dimensioni maggiori dei tipi già descritti che ha pianta rettangolare, un primo piano completo, la facciata sulla strada ove si apre un ampio androne e tetto a due pioventi che ha spesso una corte retrostante e distribuzioni varie degli ambienti secondo le necessità e le regioni dato che si trova in pianura come in collina e in montagna. Un tipo originale ed elegante è quello che si trova a Samugheo, che ha una bella facciata in cui si aprono con varie arcate un porticato e un loggiato sovrapposti tra i quali si sviluppa la scala e dove il piano terreno è occupato dalla cucina e dai rustici: esso è l’unico ad avere una chiara preoccupazione estetica e presenta qualche somiglianza con alcune forme continentali e precisamente con la varietà grossetana del tipo del Valdarno.

    Sono poi da ricordare le nuove costruzioni rurali sorte nelle zone di bonifica e che sono assai diverse da quelle tradizionali: esse consistono in un edificio rettangolare formato di tre elementi giustapposti, abitazione, portico e stalla, quest’ultima appoggiata lateralmente; al piano terreno vi si trovano la cucina e i magazzini e al piano superiore le camere. Queste dimore sono state costruite in un primo tempo per ospitare coloni continentali nelle bonifiche di Arboréa, Fertilia e Sanluri e si sono poi diffuse nell’Oristanese e nella Valle del Cixerri. In altre zone sono state costruite case col solo piano terreno più somiglianti a quelle sarde tradizionali, sorte numerose nella Nurra, nel Sulcis, nel Capoterra, nel Sàrrabus e altrove.

    In complesso, dunque, le case rurali si sviluppano dal piano alla montagna in una serie di forme che presentano in ogni loro particolare uno spiccato adattamento alle condizioni di ambiente variate dal fattore altimetrico. A questo proposito ecco come il Baldacci si esprime con sintesi efficace: «Nella pianura la casa è ampia, ha poche piccole finestre, è fornita di loggiato per l’uomo e per gli animali. Ogni carattere ha le sue ragioni di essere nelle condizioni locali. La casa è ampia non solo perchè in pianura può estendersi senza preoccupazioni statiche o morfologiche, ma anche perchè evita di innalzarsi, a causa dei materiali argillosi da costruzione che permettono un carico limitato. Le finestre sono poche e piccole — ove non manchino del tutto — per impedire all’aria torrida e polverosa di ristagnare nell’interno della casa, che è protetta da uno spesso muro di mattoni crudi in funzione antitermica.

    I loggiati creano zone ventilate di ombra, minuscole oasi artificiali nell’afa dominante. La cucina è giustapposta all’abitazione, è sopravvento ed ha tetto proprio.

    La casa di collina restringe le dimensioni pianimetriche, ha più finestre, tende ad innalzarsi adattando un sottotetto, esclude il loggiato per gli uomini e lo conserva soltanto per gli animali, ed ingloba la cucina che diventa stanza d’ingresso. Tutti questi particolari reagiscono ad un clima che manifesta inverni già freddi e piovosi. L’uomo pernotta nelle stanze superiori, sottratte all’umidità del suolo. La ricerca del sole è evidente nella interruzione del tetto in corrispondenza della facciata, per dar modo al piano superiore di avere finestre esposte a mezzogiorno, verso cui è sistematicamente orientata la casa. Nell’alta collina la casa si eleva, si restringe, amplia le finestre; ha un sottotetto. La scala è interna, salvo rare eccezioni. Si riscontra ancora un piccolo cortile antistante, ove trova ricovero il bestiame non sempre opportunamente riparato. Anche la catasta della legna è esterna « pabizzone ». Nella montagna questo stesso tipo di dimora sopraelevata presenta nella facciata un balcone ligneo, talvolta anche due, così caratteristico da ricordare alcune case alpine. La scala è spesso anche esterna, per risparmiare spazio. La stalla è inglobata nell’abitazione, ove trova pure posto la provvista invernale della legna ».

    Vedi Anche:  Origine del nome e caratteri generali della Sardegna

    Case vecchie e nuove dimore nel Centro di colonizzazione di Castiadas, nel Sàrrabus.

    Forni rustici a Domus de Maria, nel Caputerra

    Le dimore temporanee

    Alle dimore permanenti, raccolte per lo più in villaggi rurali, si aggiungono le dimore temporanee, che sono molto numerose a causa dello spopolamento delle campagne, della distanza dei centri abitati e del seminomadismo collegato con l’economia pastorale prevalente nelle parti montane e collinari. Si tratta di capanne che vengono designate col nome di pinnetta o pinnazzu nella Sardegna settentrionale e con quello di barracca (o barmccu) nella Sardegna meridionale. Tali capanne hanno dimensioni e forme assai varie in rapporto con la loro diversa funzione e con la qualità dei materiali usati per la loro costruzione.

    Di gran lunga più diffuse e frequenti sono le capanne a base circolare, già testimoniate largamente nei villaggi nuragici e di cui si trovano parecchie varietà. La più semplice è la capanna conica costruita con piccoli tronchi, rami e frasche abitata da pastori, nell’estate, quando portano il gregge a pascolare nella media collina e che perciò ha vicino « sa mandra », cioè il recinto, pure di pali e frasche. Nelle pianure invece, le greggi trascorrono le ore calde all’ombra di un albero oppure sotto un riparo a tettoia chiamato « meriagu ».

    Di gran lunga più diffusa di tutte è la capanna con base in pietra e tetto conico in legno e strame: è la pinnetta classica, di varie dimensioni (per lo più 6 m. di diametro alla base e 5 m. di altezza al vertice, ben proporzionata e che è talvolta usata anche come dimora permanente, soprattutto nel Capo di Sopra. In tal caso la capanna è costruita con maggiore accuratezza, ha base più alta e fatta di pietre cementate e intonacate e il vano d’ingresso, sorretto da un architrave di pietra, è provvisto di porta a un battente; il tetto non è sostenuto da un vano centrale, ma tenuto unito da rami lunghi e flessibili intrecciati agli elementi dello scheletro. Una varietà di questo tipo, limitata alla Planàrgia, è la capanna ellittica che ha alte e grosse pareti di pietra a secco (circa 2 m. di lunghezza e altrettanti di altezza) su cui poggia direttamente un breve tetto a due pioventi nel senso della lunghezza e formato di rami e frasche poggianti su un trave centrale. Si tratta di una dimora pastorale, come pastorale è una forma più semplice, sempre a base ellittica con tetto più differenziato e sviluppato come nella capanna conica.

    Ma le più interessanti sono senza dubbio le capanne circolari tutte in pietra sempre con netta differenziazione tra cinta muraria e tetto che raggiungono nelle varietà più evolute forme di rara eleganza, in rapporto anche con la presenza di particolari materiali litici.

    Questo tipo è diffuso in tutta la parte centrale dell’isola, dal Meilogu al Sarcidano e dalla Planàrgia al Flumendosa.

    Una pinnetta, nel Capo di Sopra.

    Le forme più rozze e primitive si trovano appunto nella Planàrgia dove la capanna è costruita con massi irregolari di duro basalto che formano un muro spesso, alto un paio di metri su cui poggia una copertura a volta, chiamata con termine spagnolo bóveda, ottenuta con sassi sovrapposti aggettanti via via verso l’interno; essa è usata come ricovero saltuario sia di mandriani, sia di agricoltori all’epoca dei lavori e della vigilanza dei raccolti. Invece nel Meilogu la presenza di pietra calcarea facilmente lavorabile dà alla pinnetta un maggiore slancio e linee eleganti ed equilibrate: su una base muraria assai regolare cinta alla sommità da una cornice sporgente, poggia il tetto a cono regolarissimo ottenuto con pietre aggettanti coperte di lastre calcaree sovrapposte. Una piccola porta immette neH’interno, che è incassato per mezzo metro e più nel terreno onde ottenere un maggior spazio e un miglior condizionamento della temperatura. Queste capanne sono abitate da pastori transumanti neirinverno e nell’estate per la vigilanza delle messi.

    Ancora più armonica è la varietà di capanna che si riscontra intorno a Samugheo, perchè il tetto è qui testudinato, cioè a cupola piuttosto piatta, il che è permesso dalla presenza di un tufo trachitico facilmente lavorabile. Queste capanne servono soprattutto come ricovero dei guardiani dei vigneti e delle messi e sono usate quindi stagionalmente.

    Gruppo di barraccas di pescatori cabraresi presso Torre Grande, la marina di Oristano.

    La chiesa della Madonna del Rimedio presso Orosei circondata dalle cumbessias.

    Ai due tipi precedenti si aggiunge infine la capanna quadrangolare, anch’essa già esistente in età nuragica in promiscuità con quella a pianta circolare, ma che è oggi assai meno rappresentata, forse perchè si è evoluta per tempo e fissata come dimora permanente dando origine alla casa elementare che abbiamo visto così diffusa. In tutta l’isola si trova la capanna rettangolare, esistente però con un numero assai limitato di esemplari. Essi si affittiscono tuttavia nella Gallura e nella Nurra a nord, nel Man-drolisai al centro, nel Sulcis a sud, cioè in quelle regioni in cui la casa elementare predomina nettamente costituendo stazzi, cuili, medaus e furriadroxius. E interessante notare che anche oggi nella Nurra e nell’agro turritano molte capanne quadrangolari sono abitate permanentemente, ma intorno a Sassari il cosiddetto casalittu in pietra cantone e tetto di tegole a due pioventi serve usualmente per dimora temporanea e per magazzino. Nell’Anglona altre capanne quadrangolari ricoverano le greggi e nella zona del Gennargentu, dove son chiamate medaus, ospitano d’estate, nella parte bassa i contadini e sulle alture, i pastori, che tengono tutto intorno le pecore in vasti recinti.

    Questi recinti, formati di muro a secco, sono per lo più complessi in quanto sono suddivisi in parti minori con funzioni diverse: una più grande dove le pecore si riposano (su pasciàli o passiàli), quella dove vengono munte (mandria o corti) e uno o due più piccole e coperte (is ailis) dove si raccolgono gli agnelli e i capretti. Spesso in questi complessi pastorali ci sono due pinnette, una dove risiede il pastore del gregge con la famiglia e l’altra per il personale di servizio e la lavorazione del latte; l’attività dura tutto l’anno, sicché l’insieme viene a formare un nucleo elementare che testimonia la grande importanza che ha in Sardegna la vita pastorale.

    Sono da ricordare le capanne rettangolari, costruite per lo più interamente in legno ed erbe palustri, che si trovano in alcuni punti della costa e costituiscono dimore temporanee di pescatori che frequentano gli stagni litoranei e talvolta il mare antistante. Particolarmente notevoli sono le barraccas di grosse dimensioni che sorgono in gruppo nel villaggio peschereccio di Marceddì ed anche nei pressi di Torre Grande, la marina di Oristano, ove si appoggiano i pescatori di Cabras.

    Tra le dimore temporanee sono infine da ricordare le cumbessias (dal latino accumbo = riposare, giacere), o muristénes, rozze casette elementari disposte in serie intorno a chiese e santuari per lo più lontani dai centri abitati e che sono mèta di pellegrini (i novenantes) che vi si recano e più vi si recavano in occasione della festa del Santo o di particolari solennità religiose. Questi complessi religiosi sono frequenti e alcuni di essi assai notevoli: ricordiamo quelli di San Salvatore di Sinis (presso Cabras), di San Leonardo delle Sette Fonti (presso Santu Lussurgiu), San Serafino di Ghilarza, la Madonna del Rimedio presso Orosei, San Mauro di Sórgono e tanti altri. Il loro interesse è tanto maggiore in quanto molti di questi centri temporanei sono divenuti col tempo permanenti, portando così alla formazione di nuovi centri abitati.

    Evoluzione e caratteri dei centri abitati

    Perduta, come sappiamo, circa la metà dei suoi centri abitati durante il travagliato e deprimente periodo aragonese-spagnolo, la Sardegna li è venuti via via riacquistando a partire dal XVIII secolo col passaggio al Piemonte, allorché le mutate condizioni politiche consentirono di dar principio all’opera di ricostruzione economica e demografica. Il governo sabaudo, conscio della gravità del problema demografico sardo, dette ben presto inizio per finalità di ordine economico e politico a un programma di colonizzazione guidata, effettuata mediante il trasferimento nelle parti periferiche dell’isola di nuclei di popolazione di varia origine, da far insediare in centri nuovi: sorsero così Carloforte, costituita nel 1737 con elementi liguri nell’isola di San Pietro, Calasetta, fondata da un gruppo di Piemontesi nel 1770, La Maddalena nel 1767 nell’isola omonima; risorse Longonsardo nel 1808, chiamato più tardi Santa Teresa di Gallura, insieme ad altri villaggi minori.

    Risultati meno spettacolari, ma più consistenti dette in seguito il moto di colonizzazione spontanea, iniziatosi lentamente, ma acceleratosi nel secolo scorso, che portò al ripopolamento della Gallura, della Nurra e del Sulcis da parte di agricoltori e pastori che addensandosi con i loro stazzi in cussorgie nel Nord e con furriadroxius e medaus nel Sud dettero origine, in punti più propizi, a numerosi piccoli centri a fisionomia agricola o agricolo-pastorale : si tratta di una settantina di villaggi costituitisi nel Campo Coghinas, tra cui Codaruina e Trinità d’Agultu, quelli formatisi nelle piane tra Olbia e Posada come San Teodoro e Tanaunella e infine quelli sorti nel Sulcis, come Nuxis e Piscinas. Pure spontaneo fu l’insediamento di pescatori liguri, napoletani e ponzesi lungo i litorali sardi, che essi frequentavano e frequentano stagionalmente stabilendosi in molti centri già esistenti e fondandone qualcuno nuovo come Stintino e Golfo Aranci. Ma centri costieri ben più numerosi sono sorti, negli ultimi decenni, come centri di villeggiatura balneare analogamente a quanto era avvenuto sul continente: si tratta di marine, in parte sdoppiatesi da vecchi abitati retrostanti, (come quelle di Bosa, Oristano, Santa Lucia di Siniscóla, Sorso, Orosei) e come è lo stesso Lido di Cagliari, cioè il Poetto) e in parte maggiore formatesi ex novo, come Santa Caterina di Pittinuri, Sa Caletta, Cala Gonone, Santa Margherita di Pula e varie altre. Anche nell’interno, l’ultimo cinquantennio ha visto sorgere numerosi centri nuovi in rapporto con l’attività mineraria e con le opere di bonifica.

    Torre Grande, il lido di Oristano che prende nome dalla torre seicentesca eretta a difesa della costa.

    Un centro religioso temporaneo: San Salvatore di Sinis.

    L’industria estrattiva ha fatto sorgere a varie riprese non meno di 35 centri minerari nelle principali regioni minerarie dell’isola e tra essi una quindicina nell’Iglesiente, una diecina nella zona di Montevecchio-Ingurtosu, altrettanti in epoca recente nel Sulcis e solo un paio nella Nurra. I nomi della cittadina di Carbónia — che è il più grande di tutti — di Gonnesa, di Monteponi, di Buggerru, di Montevecchio sono ben noti, ma ad essi se ne aggiungono tanti e tanti altri. Per avere un’idea dell’importanza che ha avuto l’attività mineraria per la formazione di centri nuovi, basterà ricordare che ancora nel 1859 la Sardegna aveva un solo centro minerario e cioè Monteponi e che, mentre fino al 1936 ne esistevano nel Sulcis settentrionale solo tre con una popolazione complessiva di 4500 ab., quindici anni dopo, con l’estensione dell’attività estrattiva al bacino carbonifero del Sulcis, erano una decina e raccoglievano circa 50.000 abitanti!

    La « marina » recente di Bosa e il porticciolo contiguo.

    La « marina » recente di Santa Caterina di Pittinuri.

    Anche l’attività di bonifica estesa a tutte le parti dell’isola, ha portato alla creazione di numerose ridenti borgate agrarie (una ventina circa) soprattutto nell’Oristanese, ove spiccano Arborea e Sant’Anna, nella Valle del Cixerri, nelle pianure costiere del Sàrrabus (San Priamo, Olia Speciosa), nel Sarcidano, nella Nurra (Santa Maria la Palma, Maristella, Tottubella), nel campo di Chilivani.

    A questa serie di centri di origine recente sono da aggiungere alcuni nuovi villaggi, formatisi per evoluzione di nuclei o centri abitati temporanei a carattere religioso, come Luogosanto in Gallura, Sant’Antonio di Santadi, Sant’Isidoro di Quar-tucciu, San Gregorio presso Cagliari, e altri sorti in corrispondenza di alcune stazioni ferroviarie come Chilivani, e di incroci stradali. L’evoluzione recente dell’insediamento umano in Sardegna è stata dunque considerevole ed ha avuto un’intensità che ha pochi riscontri in altre regioni italiane, sia perchè maggiore che altrove è stato neirisola lo spopolamento, sia perchè esso è perdurato fino ad epoca recentissima, sia perchè più numerosi vi sono stati i motivi spontanei e guidati del reinsediamento, che hanno portato alla situazione attuale.

    Un confronto tra il numero e l’ampiezza demografica dei centri abitati quali risultano dal quadro statistico inserito nella « Descrizione della Sardegna » dell’Arciduca Francesco d’Austria-Este, risalente al 1812, e quelli offerti dal censimento del 1951 permette di cogliere le profonde modificazioni in esse sopravvenute non solo nel numero (passato da 363 a 544) ma nelle classi di ampiezza, essendo ben più che raddoppiati (da 118 a 279) i centri con oltre 1000 ab. e quintuplicati quelli di oltre 5000 abitanti.

    È da notare la grande scarsezza di sedi umane con oltre 30.000 ab. e in genere il piccolo numero di vere città, per cui la Sardegna contende il primato alla Basilicata. Ciò è in rapporto con la scarsezza della popolazione e la vita segregata dei gruppi umani, con il conseguente attardamento economico e culturale e quindi con la tenuità delle attività economiche e culturali.

    Per un’analisi approfondita dei caratteri morfologici e strutturali dei centri abitati si deve prendere anzitutto in considerazione la loro posizione topografica, che ha in Sardegna alcuni caratteri originali. A questo proposito si può facilmente osservare che, rispetto al considerevole sviluppo delle coste sarde, i centri litoranei sono poco numerosi : complessivamente i centri propriamente costieri sono solo una trentina, in media uno ogni 65 km. di costa. Si tratta, come si vede, di un numero assai esiguo soprattutto se confrontato con quello della Sicilia che, con un perimetro costiero minore, ha un centinaio di centri abitati sulle rive del mare. La loro distribuzione è assai irregolare trovandosi essi frequenti in alcune zone, come lungo le coste della Gallura e del Sulcis, e in altre assai radi, come avviene lungo il tratto tra Cagliari e Olbia.

    Una ventina di centri costieri si trovano su coste basse e tra essi si devono annoverare la città di Cagliari, Carloforte, Olbia e Golfo Aranci oltre alle « marine » formatesi nell’ultimo secolo per lo sdoppiamento di centri esistenti più all’interno.

    Un centro di fondovalle Ballao nel Gerréi presso il corso del Flumendosa.

    Un’altra decina di centri si trovano su coste alte e per lo più articolate. Tra essi i più importanti sono La Maddalena, situata nell’isola omonima, Porto Torres sul Golfo dell’Asinara, Portoscuso sul litorale del Sulcise Carloforte, nell’Isola di S. Pietro.

    Numerosi sono invece i centri di pianura e di fondovalle, tutti di dimensioni considerevoli per le favorevoli condizioni di fertilità e di viabilità che offrono i terreni alluvionali su cui sorgono. Essi costituiscono quasi i due quinti del totale e vi risiede complessivamente circa un terzo della popolazione per quasi mezzo milione di abitanti. Circa la metà di essi sorgono in pianura e fondovalle alluvionali, distanti in genere dai corsi d’acqua, dato che questi non si prestano ad utilizzazioni e anzi rappresentano una minaccia costante a causa del loro regime torrentizio.

    Si tratta di villaggi posti nella parte mediana delle pianure localizzati nei Campi-dani di Oristano e di Cagliari, nella parte del Sulcis compresa tra Narcao e Santadi e nelle altre minori pianure litoranee; oppure disposti ai margini di tutte le pianure della Sardegna e cioè, oltre al Campidano, nella bassa Valle del Cedrino (Irgoli, Lòculi, Galtellì, Onifai, Orosei) e nella pianura litoranea presso la foce del Flumendosa; tutte parti che prima delle sistemazioni idrografiche erano soggette a inondazioni.

    Un centro di ripiano: panorama di Seùlo nella Barbagia meridionale.

    Una trentina di centri si trovano su terrazzi alluvionali, e quindi presentano per lo più una forma allungata nella stessa direzione della valle; ma quando i terrazzi sono ampi come nel Campidano orientale, i centri possono svilupparsi in tutte le direzioni, il che appunto si verifica per Sinnai e Samassi.

    Pochissimi sono invece i centri di conoide e tra essi il principale è Villacidro, al margine orientale dei Monti dell’Iglesiente. E pochi anche i centri di sprone di confluenza, posti nei punti d’incontro di due valli convergenti.

    Meglio rappresentati sono i centri di valle di erosione, una quarantina in tutto, che in genere sono molto piccoli, dato l’esiguo spazio e la difficoltà delle comunicazioni ostacolate dalle forme aspre della valle. Tali centri sono variamente distribuiti nelle diverse zone altimetriche oltre che nelle diverse parti dell’isola. Si trovano soprattutto nell’Iglesiente, dove spiccano Fluminimaggiore e Buggerru ma anche nella Valle del Flumendosa, dove giacciono Goni e Ballao.

    I centri di conca, per quanto poco numerosi, sono assai interessanti, perchè, essendo circondati da rilievi posti ad anfiteatro, sono riparati dai venti ed hanno generalmente una notevole umidità ; ricordiamo di questo tipo Gonnesa, centro minerario del Sulcis, Ozieri, situato entro i monti che degradano dal Màrghine verso il Sassarese e Santu Lussurgiu, che trovasi entro una conca del versante meridionale del Montiferru.

    I centri su pendio sono nell’isola i più numerosi sia nell’ambiente collinare che in quello montano, e distribuiti in tutte le zone altimetriche. Si tratta di ben 243 villaggi (45% del totale) che però per lo più sono di modesta importanza, in quanto le pendici montane non offrono nè facilità di comunicazioni, nè ampio spazio per l’espansione del centro. Offrono però alcune condizioni favorevoli e tra l’altro la salubrità, motivo per cui furono scelti dalla popolazione quando le pianure di fondovalle erano malariche, la possibilità di una favorevole esposizione, della quale possono godere tutte le abitazioni e la posizione sicura.

    Vedi Anche:  Tradizioni, letteratura, usi e costumi

    Tra essi si distinguono una ventina di centri di pendio propriamente detti, localizzati in diverse parti dell’isola, per i due terzi a semicerchio sui contrafforti occidentali, meridionali e orientali del massiccio del Gennargentu. Nella maggior parte di questi centri di pendio (tra cui Jerzu e Gàiro) le abitazioni sono molto raggruppate e disposte in più linee parallele e sovrapposte, dato che le strade si allungano parallelamente alle curve di livello.

    Più frequenti di tutti sono i centri di ripiano costituenti una caratteristica particolare della Sardegna. Sono infatti 224, distribuiti in tutte le zone altimetriche e vi risiede oltre un quarto dell’intera popolazione sarda. Villaggi di questo tipo sorgono là dove la pendenza del rilievo si addolcisce notevolmente o è interrotta da superfici quasi pianeggianti di varia estensione che sono favorevoli in genere all’insediamento umano, perchè godono degli stessi vantaggi di quelli di pendio per ciò che riguarda l’esposizione, ma hanno, a differenza di questi, il vantaggio di una minore pendenza e di un maggiore spazio a disposizione per l’espansione dell’abitato. Molti peraltro si trovano, a causa della loro posizione, alquanto discosti dalle vie di comunicazione principali, cui sono stati riuniti con tronchi di raccordo. La maggior parte di questi centri si trova nella parte centrale dell’isola e tipicamente lungo il versante sud-orien-tale dei Monti del Màrghine e del Gocéano per lo più sui terreni vulcanici e sui calcari miocenici. Sono invece relativamente più rari sui graniti e sugli scisti paleozoici, fatta eccezione per due piccoli gruppi che si tro/ano nella Gallura e nel Gennargentu.

    Tra i villaggi di ripiano si distinguono quelli che hanno margini piuttosto ripidi, sicché non sono facilmente collegati con le sottostanti pianure, e altri posti alla base di rilievi tabulari basaltici, nella zona di raccordo tra questi e la sottostante pianura. Tali centri, un esempio dei quali è dato da Gésturi, sorgono in zone ricche di sorgenti che sgorgano alla base dell’altopiano. Questa ultima posizione offre appunto il vantaggio di godere di sorgenti sgorganti al contatto dei basalti coi calcari marnosi sottostanti e inoltre di avere facili rapporti sia col vicino altopiano, per lo più sfruttato a pascolo, che con le sottostanti pianure, generalmente molto fertili. Inoltre tale posizione permetteva in passato agli abitanti di rifugiarsi rapidamente sull’altopiano, quando qualche minaccia incombeva su di loro.

    Molto minore è il numero di centri di sommità (55 in tutto), perchè, se essi godono di condizioni topografiche favorevoli, specie nel passato, sono i più soggetti all*azione dei venti e spesso non hanno vicino delle zone pianeggianti coltivabili. Ciò si verifica anche per quei centri di sommità situati su altopiani, dato che questi sono in genere ben poco fertili. Questi centri di altopiano sono complessivamente una quarantina e si trovano quasi tutti nella Sardegna sud-occidentale, tra il Montiferru-Màrghine e il Sassarese. Alcuni di essi sono di notevole importanza, come Paulilàtino situato nel pianoro basaltico del medio Tirso, mentre sono di modesta entità quelli che si trovano nella Planàrgia. Si trovano pure numerosi sugli altopiani calcarei nord-occidentali e Sassari stessa è distesa su un altopiano calcareo miocenico.

    Centri abitati di questo tipo non hanno per lo più dimore molto addensate tra loro, dato che la superficie pianeggiante deH’altopiano consente una facile espansione dell’abitato. Ma parecchi di essi sorgono sul ciglio di altopiani come Norbello, Zuri, Soddì, Sédilo, posti al margine dell’altopiano di Abbasanta, che si affaccia sul lago del Tirso, e gli altri lungo il margine basaltico della Planàrgia (Tinnùra, Flussio, Magomàdas, Tresnuràghes). Questa particolare ubicazione marginale è assai favorevole poiché anche in questo caso gli abitanti possono non solo utilizzare i pascoli degli altopiani, ma anche praticare l’agricoltura nelle sottostanti pianure.

    Tra i centri di sommità sono anche da ricordare i centri di sprone, una decina in tutto, per lo più piccoli per la ristrettezza dello spazio, tranne Orune e Villasalto; pochi centri di sella la cui posizione fu determinata da ragioni di difesa più che per controllo di passaggi obbligati, come Ulàssai; pochi centri di poggio, tutti nella Sardegna settentrionale, come Luras e Osilo; e un unico centro di dorsale che è Nuoro e precisamente il nucleo più antico della città. Infatti si nota che la strada principale segue proprio sulla dorsale la linea di spartiacque ma in epoca recente la città si è molto estesa, espandendosi con le sue parti nuove sulle pendici sottostanti.

    La posizione topografica dei centri abitati si riflette, naturalmente, sulla loro forma e sulla loro struttura, su cui però hanno influito in modo spesso decisivo i fattori antropici caratteristici di varie epoche e che perciò si sono spesso evolute nel corso del tempo.

    Mancando in Sardegna la documentazione storica, ben difficile si presenta il tentativo di individuare nella pianta dei centri sardi dei tipi particolari che si possano collegare a cause o finalità determinate. Comunque per lo studio della forma, ossia del contorno che più frequente si riscontra nei centri, è opportuno tralasciare gli insediamenti montani, dato che in tal caso la forma degli abitati è determinata dalla morfologia particolare del sito, assumendo spesso aspetto triangolare nei centri di ripiano (Bortigali, Samugheo), allungato nei centri di pendio e di valle d’erosione, ecc. È istruttiva invece la forma che i centri sono venuti assumendo nelle zone di pianura e negli altopiani dove la disponibilità di spazio ne ha permesso la libera espansione in tutte le direzioni.

    Ci si accorge facilmente che la forma dei villaggi non presenta gran varietà prevalendo in generale le forme compatte, rotondeggianti o poligonali, che risultano dalle particolari modalità dell’accrescimento deirabitato. Infatti le dimore, partendo da un centro che si può ritenere il nucleo originario, sono sorte in tutte le direzioni in modo pressoché uniforme, cosicché la compattezza della pianta si è sempre mantenuta. I più caratteristici esempi sono offerti da San Gavino, Serramanna, Monser-rato e Pirri che sono i maggiori del Campidano; da Pozzomaggiore e Paulilàtino tra quelli di altopiano. In alcuni centri di altopiano della Sardegna settentrionale (Tissi, Ploaghe), si nota una forma rettangolare caratteristica di cui non è facile stabilire l’origine perchè le sole cause geografiche e topografiche non sono sufficienti a spiegarla.

    Le stesse cause che determinarono la forma dei centri, cioè il loro contorno, hanno influito pure sulla loro struttura interna, I centri di pianura e quelli di altopiano hanno in prevalenza una pianta con case ammucchiate in brevissimo spazio, sicché l’addensamento delle dimore vi raggiunge un grado elevato, che aumenta ancora in molti centri di collina e di montagna, quando si abbiano particolari condizioni di sito, perchè allora le abitazioni, prive di cortili interni e di altri spazi vuoti, sono assai ravvicinate. Infatti nei centri sardi di altopiano (Mores, Thiesi), il Sestini ha calcolato una densità di 180-200 ab. per ettaro, mentre in quelli del Campidano, dove le    dimore sono in genere dotate    di cortili    interni, la densità si abbassa a 100-150.

    Si tratta di valori simili a quelli dei centri del Leccese, ma notevolmente più bassi di quelli della Campania e della Puglia intera dove i centri presentano una densità di abitazione rispettivamente di 300 e più ab. per ettaro.

    L’ammassamento delle dimore si spiega considerando che la loro costruzione, mancando ogni piano preordinato, avvenne in modo che i muri laterali di ciascuna fossero simultaneamente quelli delle abitazioni contigue, sicché i vari edifici si trovarono progressivamente ammassati gli uni agli altri, così da determinare la pianta attuale. Questo modo di costruire, pur avendo molteplici inconvenienti, offre però il vantaggio che le singole abitazioni, le quali prese singolarmente sono poco stabili e malsicure, unite in gran numero, costituiscono un complesso più solido e consistente e ciò soprattutto nel Campidano, dove le dimore sono costruite per la maggior parte con mattoni crudi.

    Un centro di pendio: Jerzu, in Ogliastra.

    Nelle zone di montagna, dove son disponibili pietre da costruzione, le abitazioni hanno maggiore consistenza e stabilità e pertanto il motivo più importante dell’ad-densamento è stato la ristrettezza dello spazio a disposizione.

    Infine tra i fattori determinanti la compattezza della pianta dei centri sardi è da porre anche la preoccupazione della difesa che fu fortemente sentita in passato in conseguenza delle numerose guerre e delle scorrerie barbaresche.

    È certo però che non si può attribuire a questa sola causa l’addensamento delle dimore e la pianta compatta dei centri, dato anche che si trovano villaggi di forma regolare e allungata con strade abbastanza ampie, come avviene qua e là nel Campidano e soprattutto nel Sassarese. La presenza di questi ultimi non si accorda neppure con l’idea espressa da alcuni i quali ritengono che nei centri sardi le dimore sono tanto addossate le une alle altre e le strade così strette per attenuare gli effetti delle radiazioni del sole e per dare ombra, come avviene in altri paesi del Mediterraneo. Ma anche questa ipotesi non si può scartare a priori, ed ha certamente influito sulla pianta dei centri urbani, il che porta a concludere che a determinare questa particolare struttura dei villaggi debbono essere intervenute diverse cause.

    Oltre che essere strettamente addossate le une alle altre, le case dei villaggi sardi sono anche disposte in modo quanto mai disordinato, sicché la loro pianta risulta assai irregolare, con un dèdalo intricato di viuzze strette e contorte ben visibile nei grossi centri del Campidano. Esse sembrano avere la sola funzione di permettere la circolazione nell’interno dell’abitato e quella di dare accesso alle singole abitazioni, tanto è vero che spesso sono tutte delle stessa ampiezza, mentre viene a mancare la funzione di collegamento di queste strade con quelle esterne, come se il villaggio fosse avulso dalle circostanti campagne e dai villaggi vicini.

    Questa grande irregolarità della pianta è caratteristica non solo dei centri piuttosto piccoli, ma anche di quelli più grandi ed economicamente più evoluti, come appare osservando la planimetria della cittadina di Quartu Sant’Elena, che è forse quello maggiore. Vi si nota infatti un nucleo più antico a quadrilatero irregolare, molto compatto per le sue strade strette e le dimore addossate e disposte senza alcun ordine, ed intorno ad esso la parte moderna, con vie ortogonali che si dirigono in varie direzioni e perciò con minore densità di abitazione.

    Se la pianta compatta e irregolare è quella più frequente e normale nei centri abitati di origine medievale, non mancano dei casi in cui la pianta è regolare, sia con strade ortogonali e forma per lo più allungata, sia con strade divergenti da un centro, cioè con pianta di tipo radiale. I centri con pianta regolare allungata sono più frequenti nella Sardegna settentrionale e non è facile stabilirne le origini. Talvolta può essere stata la presenza di un motivo fisico, come un terrazzo alluvionale o semplice-mente un corso d’acqua, a favorire la forma allungata e la disposizione delle dimore e quindi delle strade in diverse file parallele, come sembra essere il caso di Terralba, centro agricolo del Campidano di Oristano.

    Allorché le strade hanno andamento radiale, al centro del villaggio esiste una piazza, nella quale si trovano spesso la chiesa e il mercato, da cui si irradiano piccole vie che poi si uniscono mediante stradicciuole fra loro concentriche. È questo il caso di Ollastra-Simaxis, piccolo centro anch’esso del Campidano di Oristano, il quale mostra non solo una pianta radiale, ma anche una raggera di strade che partendo dal villaggio raggiungono i centri vicini. La raggera di strade irradiante dai villaggi verso la zona circostante è carattere normale in pianura e negli altopiani, come avviene anche in altre regioni dell’Italia meridionale.

    Considerando tutto ciò, il Le Lannou ha ritenuto di istituire una vera contrapposizione tra il villaggio della Sardegna meridionale a forma quasi circolare e con abitazioni ammucchiate a corte e il villaggio della Sardegna settentrionale di forma allungata e costituito da dimore elementari disposte in file ortogonali. Ma, a parte l’effettiva diversità del tipo di casa rurale, già notato, che contribuisce a dare un diverso carattere alla pianta del villaggio, una contrapposizione così rigida non può essere istituita. Infatti anche nella parte centro-occidentale e meridionale dell’isola si trovano alcuni centri a pianta regolare e sono quelli ricostruiti dopo la loro distruzione, come Cabras, oppure costruiti ex novo come molti centri minerari, per esempio Gonnesa e altri paesi vicini. Questa causa potrebbe essere estesa ai villaggi regolari del settentrione, ma è pure da considerare l’influenza che può avere esercitato la diversa attività prevalente della popolazione : più diffusa nel Nord l’attività pastorale e nel Campidano quella agricola, la quale ultima richiede appunto la presenza di un cortile e comunque determina una maggiore complessità.

    Case di Orgósolo.

    Esistono infine anche in Sardegna dei centri i quali, avendo avuto una lunga evoluzione, conservano nella loro struttura i segni di uno sviluppo avvenuto in diverse fasi. Ciò si nota soprattutto nelle città e cioè Cagliari, Sassari, Nuoro, Iglésias, Oristano, Alghero e la stessa Bosa, che tutte presentano parti con diverso carattere secondo l’epoca cui si riferiscono: da una centrale più antica, medievale, più elevata o comunque meglio protetta e più compatta e per lo più cinta di mura, a quelle periferiche più recenti con quartieri o nuclei moderni a planimetria regolare. Ogni città ha peraltro caratteri particolari che saranno descritti a suo tempo.

    Gruppi e serie di centri

    Come avviene di solito, anche in Sardegna i villaggi sono disposti talvolta in raggruppamenti o in serie, essendo un certo numero di essi legati tra loro da vincoli di interdipendenza in rapporto con condizioni naturali o con particolari vicende. Un grosso raggruppamento, il più importante dell’isola, è costituito da Cagliari e dai numerosi centri minori che la circondano (Pirri, Monserrato, Selàrgius, Quartu, Quartucciu ed altri). In tal caso uno dei centri, quello che ancor oggi è il più importante, preesisteva e questo ha favorito l’origine e lo sviluppo degli altri e lo stabilirsi di legami di interdipendenza che si sono stretti tra Cagliari da un lato e i rimanenti centri dall’altro, il che ha finito col giovare a tutti per il coordinamento e la complementarità delle attività economiche.

    In questo caso sono stati dei fattori umani ad avere la maggiore importanza nel determinare queste forme particolari di associazione, ma generalmente per la formazione di serie di centri, hanno avuto maggiore influenza le condizioni ambientali e soprattutto i lineamenti del rilievo, compresi i minori dislivelli delle pianure ed anche i limiti di singole formazioni litologiche.

    E facile osservare anzitutto che nei Campidani, dal Golfo di Cagliari a quello di Oristano, seguendo una direzione pressoché regolare da sudest a nordovest, i centri abitati si presentano allineati in modo caratteristico in serie distinte: una lungo il margine occidentale, ai piedi dei monti metalliferi dell’Iglesiente, è costituita da pochi centri tra cui Villacidro e Guspini, la cui economia si basa sull’attività agricola della pianura e insieme su quella mineraria cui essi partecipano; una serie mediana, lungo l’asse della pianura, comprende dei grossi centri prevalentemente agricoli, quali Decimomannu, Villasor, Serramanna, Samassi e poi San Gavino, centro metallurgico che si trova quasi sullo spartiacque della pianura; una terza serie, la più numerosa, lungo il margine orientale ai piedi delle colline mioceniche della Tre-xenta e della Marmilla, tra cui spiccano Uras, Sàrdara, Sanluri, Serrenti e Monastir.

    Un centro montano dissociato: Tonara, alle falde del Gennargentu.

    Planu sa Giara e la serie di centri circostanti.

    Altre serie di centri si trovano nel Campidano di Oristano allineate ai due lati del basso corso del Tirso tra Villanova Truschedu e il mare, in corrispondenza del gradino formato dalle alluvioni terrazzate sopraelevate rispetto a quelle attuali: a sinistra si susseguono la stessa Oristano, Sili, Simàxis e Ollastra Simàxis e a destra Cabras, Nuraxinieddu, Màssama, Siamaggiore, Soiarussa e Zerfaliu.

    Nelle regioni collinari centrali i numerosi villaggi si trovano disposti in modo da formare dei caratteristici semicerchi o degli anelli quasi completi intorno ai rilievi per i noti vantaggi che questa posizione a mezza costa offre: uno dei migliori esempi è costituito dalla quindicina di abitati che circondano la giara di Gésturi tra cui: Gésturi, Barùmini, Tuili, Sini, Usèllus, Assòlo, Genoni e Nuràgus, tutti con una popolazione inferiore a 2000 abitanti. Serie analoghe si trovano lungo i bordi dei grandi altopiani basaltici.

    Anche lungo il medio Tirso e precisamente ai due lati del lago omonimo si trovano serie di villaggi, in corrispondenza dei bordi degli altopiani contigui: Sorra-dile, Nughédu, Ardauli, Ula Tirso, Busachi, sulla sinistra del fiume e Ghilarza, Boroneddu, Tadasuni, Zuri, Soddì, Norbello, Domusnovas Canales, Aidomaggiore, poco discosti dalla riva destra. Più bella di tutte è la serie regolare di centri, disposti a mezzo il versante sud-orientale del Màrghine tra Macomér e Burgos, che si continua a nord nel Gocéano sul versante della « Costerà » fino a Buitei. Si tratta di una quindicina di villaggi su una distanza di una quarantina di chilometri, posti tra i 450 e i 500 m. che così, oltre a sfuggire il vicino fondovalle per le note ragioni di sicurezza e di salubrità e a godere della posizione intermedia tra spazio silvo-pastorale montano e spazio agricolo di fondovalle, sono ben riparati dai venti dominanti soprattutto dal maestrale e hanno a disposizione abbondanti acque sorgive.

    Allineamento di centri abitati nella parte mediana del Campidano di Cagliari.

    Le stesse osservazioni valgono per l’altra bella serie impostata lungo una direttrice orografica, comprendente i centri montani dell’Ogliastra susseguentisi tra Jerzu e Villagrande Strisàili e di cui fanno anche parte Ulàssai, Osini, Gàiro, Lanusei e Arzana.

    Nella zona dei pianori trachitici e basaltici e degli apparati vulcanici del Logu-doro, si nota una caratteristica disposizione ad anello nei villaggi intorno a rilievi isolati simile a quella che già si è osservata per la Giara. Così intorno al Monte Pelao sorgono i centri di Bonnànaro, Borutta, Torralba, Cherémule, Thiesi, Bessude. Invece nella Planàrgia si trova una breve, ma fitta serie di centri al margine dell’altopiano basaltico.

    Diverso carattere hanno le serie che si trovano in corrispondenza dei massicci montuosi orientali in cui occupano posizioni periferiche. Nel caso del Gennargentu, lungo i versanti occidentali, si ha un allineamento di centri che ha inizio con Nuoro e prosegue verso sudovest con Oniferi, Orani, Sarule, Olzai, Teti, Austis fino a Sórgono, Meana e Làconi. Come altrove, questo ambiente montano, a fianchi profondamente incisi, ha dato una fisionomia particolare a molti villaggi, ciascuno dei quali è costituito da gruppi di abitati minori costituenti un’unica comunità; si tratta di centri multipli o polimerici i cui migliori esempi sono offerti da Désulo, costituito dagli abitati di Asuai, Issiria e Ovolaccio, e da Tonara, formato dagli abitati di Teliseri, Ilalà, Tóneri e Arasulè.