Vai al contenuto

Zone e città della Sardegna Settentrionale

    I quadri regionali minori della Sardegna settentrionale

    La Gallura

    La vasta regione nord-orientale della Sardegna, ben delimitata a nord dal mare e a sud dal basso corso del Coghinas e dai massicci montuosi del Limbara e del Nieddu, riceve da almeno nove secoli il nome di Gallura, la cui etimologia non è ben chiaro se derivi dal gallo, che si trovava nello stemma dei Visconti, giudici pisani della regione, dai Gallilenses, popolazione seminomade di epoca preromana, o infine da un presunto — ma improbabile — antico stanziamento di coloni galli.

    Si tratta di una regione essenzialmente montuosa, costituita da un massiccio a larga base, estremità settentrionale della lunga dorsale sarda, smembrata e largamente scavata dall’erosione sui lati opposti in due parti distinte: una meridionale, costituita dall’aspro Limbara, culminante nella Punta sa Berritta (1362 m.), e l’altra settentrionale, più bassa. Questo complesso montuoso è inciso da una serie di valli d’erosione disposte radialmente, che si prolungano fino in mare con lunghe e tipiche rias, solo in parte colmate dalle alluvioni; ed è reso irregolare ed assai movimentato da una serie di brevi catene a sierre e di piccoli massici, con declivi ora aspri ora dolci, a vallate e a pianori. Geologicamente la Gallura è una regione omogenea, facente parte della più vasta regione granitica paleozoica; solo marginalmente ai graniti si sovrappongono scarsi lembi di scisti e micascisti, pure paleozoici, di calcari, ultimi testimoni della copertura marina mesozoica, di tufi vulcanici con legni fossili silicizzati e infine di alluvioni recenti; queste ultime sono particolarmente estese presso la foce del Coghinas e sul fondo della ria di Arzachena e soprattutto di quella di Òlbia, che, colmata dal Padrogiano, costituisce la più estesa area pianeggiante della Gallura. Alla situazione attuale si è giunti attraverso la poderosa opera di demolizione, compiuta dagli agenti atmosferici, di uno spesso mantello di scisti cristallini ercinici, di cui non mancano qua e là tracce residue; all’opera dell’erosione si devono anche i tratti morfologici della regione, quali l’aspetto accidentato e ruiniforme, gli allineamenti su dorsali delle creste rocciose, il marcato terrazzamento orografico. Que-st’ultima è una caratteristica veramente peculiare della Gallura: esistono superfici piane a tutte le altezze, dall’elevato altopiano del Limbara, alla grande conca mediana di Tempio-Calangianus — vero cuore della Gallura, circondato da ogni parte da creste e alture — ai ripiani inferiori e costieri. Tre superfici di spianamento, opera di vari cicli di erosione succedutisi nel Terziario, spiccano particolarmente: una paleogenica intorno alla quota di iooo m., una oligo-miocenica verso i 600 m. ed una terza pliocenica sui 300 metri. Creste e altopiani sono dunque i veri caratteri dominanti del paesaggio gallurese.

    Panorama su Caprera e La Maddalena dalla casa di Garibaldi. Si distingue in secondo piano il villaggio balneare del Club Mediterranée.

    Panoramica de La Maddalena e delle isole antistanti.

    A nordest della Gallura le rias terminano con un corredo accessorio di isole ed isolette, che i Romani chiamarono Isole Canicolari, i Genovesi Isole dei Carugi, i Piemontesi Isole Intermedie, e che costituiscono oggi l’Arcipelago de La Maddalena, formatosi per effetto della sommersione dovuta all’innalzamento postglaciale del livello marino. Si tratta, senza contare gli scogli di ampiezza minima, di una sessantina di elementi insulari, sette dei quali superano il chilometro quadrato di superficie; le isole più importanti sono La Maddalena, che è l’unica sulla quale sorge un centro abitato, e la contigua Caprera, notissima perchè vi soggiornò per 26 anni Garibaldi, che vi è sepolto. Il paesaggio di queste isole colpisce per l’intenso frastagliamento costiero, per l’irregolarità del pur modesto rilievo a creste, a dirupi, a guglie, a torrioni, per i caotici ammassi di nuda roccia granitica. Altre isole fronteggiano la parte meridionale della regione e tra esse l’isola di Tavolara, lunga dorsale calcarea che chiude a sud il Golfo di Olbia, e la granitica isola Molara.

    Le tracce di insediamenti preistorici sono in Gallura assai numerose, specie nel territorio di Olbia e nella valle del Lìscia; si tratta per lo più delle solite costruzioni nuragiche, ma non manca (territorio di Arzachena) un elemento del tutto peculiare a questa regione, rappresentato dalle « tombe a circolo » associate a villaggi rupestri di età neolitica. Di recente, poi, uno scavo effettuato nell’isola di Santo Stefano ha portato alla luce utensili di pietra e oggetti di terracotta neolitici che, essendo riferibili a tempi anteriori al 2000 a. C., costituiscono il documento più remoto trovato finora della dimora dell’uomo in Sardegna.

    La popolazione attuale della Gallura, malgrado il rapido aumento avvenuto nel corso dell’ultimo secolo, supera di poco i 70.000 abitanti, con una densità media inferiore a 30 ab./kmq. La popolazione sparsa, che costituendo circa 1/5 del totale è qui — contrariamente a quanto avviene per lo più in Sardegna — abbastanza numerosa, si addensa soprattutto nell’area compresa tra Lìscia e Padrogiano e nell’isola de La Maddalena e vive nei caratteristici « stazzi », dimore che hanno contemporaneamente funzioni agricole e pastorali. I centri abitati, sulla cui origine e sul cui sviluppo hanno influito soprattutto la posizione sicura, le vie di comunicazione, la presenza di sorgenti ed anche motivi religiosi, sono una cinquantina. I centri più importanti, a parte Luogosanto che è sorto in posizione mediana presso un santuario del XIII secolo, sono localizzati o in posizione costiera o subcostiera, oppure nella conca di Tempio. Fra i primi ricordiamo, oltre a La Maddalena e a Olbia di cui si parlerà tra breve, Santa Teresa di Gallura (l’antica Longoìiis), che è il centro più settentrionale della Sardegna, sorge su un pianoro roccioso che domina la stretta ria di Longone ed è importante porto turistico per le comunicazioni con la Corsica; e Arzachena (la romana Turublo Minor), centro agricolo disposto su un pendio a ridosso di nude scogliere, non lungi da un’altra e più ampia ria. Nella conca di Tempio esiste tutta una serie di centri, tra i quali i più cospicui sono, a prescindere da Tempio: Calangianus (3500 ab.) (1), al centro di un territorio accidentato e selvoso, divenuto oggi il principale centro sugheriero dell’isola, con vari e ben attrezzati sugherifici e con l’unica Scuola professionale per l’industria del sughero esistente in Italia; Luras (2500 ab.), centro agricolo che ha avuto origine da una « laura » o monastero basiliano, dove si parla insieme al gallurese anche il logu-dorese; Aggius, pittorescamente situato tra fitti sughereti sotto la frastagliata cresta granitica del Monte La Croce.

    Paesaggio gallurese: Arzachena e i rilievi granitici che le fanno cornice.

    Veduta di Àggius e dei suoi aspri monti nella Gallura centrale.

    Panorama parziale di Tempio.

    Olbia e il suo porto con la Stazione marittima dell’Isola Bianca.

    Olbia, La Maddalena e Tempio hanno caratteri e prerogative chiaramente urbane. L’antica Olbia venne forse fondata dai Greci nel VI secolo a. C., divenne poi base cartaginese e successivamente romana; decadde in età imperiale in seguito all’invasione dei Vandali (ma si sviluppò, dopo il VI secolo, il sobborgo di Phausania), si riprese a partire dall’XI secolo col nome di Civita, divenendo sede del Giudicato di Gallura; chiamata in seguito Terranova Pausània, dalla metà del XIX secolo in poi ha visto rapidamente aumentare la sua popolazione, che è balzata da 1100 abitanti nel 1846 a 3100 nel 1901, a 7800 nel 1936, a oltre 12.000 attualmente. Oggi Olbia (ha ripreso il nome antico da appena un quarto di secolo) è una vivace cittadina portuale, primo porto passeggeri della Sardegna, attiva per industrie (caseifici, sugherifici) e soprattutto per traffici, situata com’è assai addentro nella terraferma al fondo della sua ria, ed ha un assetto pianimetrico nettamente moderno. La Maddalena ha una storia diversa e più recente, strettamente legata a quella dell’omonima base navale: già prescelta come porto militare della Marina sarda e sorta come tale, ebbe un periodo di decadenza fra il 1814 (trasferimento della flotta a Genova) e il 1887 (ristabilimento della base), ma a partire da quest’anno ricevette un nuovo impulso demografico, che doveva portarla da poco più di 2000 abitanti agli attuali 9000, grazie all’afflusso di popolazione da varie località del litorale tirrenico della penisola, provocato dalle fonti di lavoro connesse con la piazzaforte. Ma, dopo l’ultimo conflitto, la cessazione della funzione di base navale ha influito negativamente sul suo sviluppo, sebbene le diano ancora movimento le Scuole degli equipaggi marittimi che vi sono rimaste. Tempio Pausània fu inizialmente borgo medievale, sorto presso le rovine della romana Gemellas e sviluppatosi in seguito alla decadenza di Òlbia di cui dovette ereditare, accogliendone la popolazione fuggiasca, le funzioni amministrative; fino airinizio del nostro secolo ebbe anche il primato demografico della Gallura (5000 ab. già nel 1871), poi perduto in seguito al più rapido sviluppo delle città litoranee. Oggi ha quasi 9000 abitanti ed ha importanza sia come centro agricolo, sia per l’industria del sughero, sia infine come centro di villeggiatura, grazie all’ottimo clima e alle acque minerali della Fonte Rinàggiu.

    Le massicce strutture, a conci di granito, delle costruzioni di Tempio: una porta e l’Oratorio in Piazza San Pietro.

    L’economia della Gallura si fonda essenzialmente sulle attività primarie: pastorizia innanzi tutto, poi economia forestale, infine agricoltura e pesca. La pastorizia stanziale si pratica un po’ dappertutto: si allevano di preferenza caprini nei territori più elevati e rocciosi, ovini nelle parti più basse e dotate di pascoli migliori, mentre relativamente scarso è il patrimonio bovino, destinato sostanzialmente alla fornitura di animali da lavoro e da tiro; alla Gallura costiera mette capo inoltre, fin da epoche remote, una delle principali direttrici della transumanza in Sardegna. La silvicoltura è praticata nei pendìi boscosi del Limbara e nelle alte valli dei corsi d’acqua, quindi nel nucleo interno e centrale della Gallura ed è indirizzata principalmente verso l’utilizzazione della quercia da sughero, che dà vita all’importante industria locale per la lavorazione del prodotto, oggi peraltro in crisi. Eccettuate le limitate piane costiere di Òlbia e di Arzachena (irrigabili con le acque del lago-serbatoio del Lìscia) e i ripiani orografici, la natura del terreno ed il clima della Gallura escludono un redditizio sfruttamento agricolo della regione: la cerealicoltura, associata di solito aH’allevamento nell’azienda familiare dello «stazzo», fa qui registrare una delle più basse rese unitarie d’Italia, mentre la coltura della vite, pur limitata ad aree ristrette, fornisce un apprezzato vino moscato. La pesca è abbastanza sviluppata ed è esercitata ad Òlbia, dove prospera anche la mitilicoltura (circa 13.000 q. annui), a La Maddalena e soprattutto a Golfo Aranci, colonia di pescatori napoletani; mentre l’industria è limitatissima e concerne esclusivamente la trasformazione dei prodotti pastorali (caseifici), forestali (sugherifici) e delle cave (segherie di granito, fornaci di calce). Il turismo si è di recente assai sviluppato ed ha portato a realizzazioni importanti, come la valorizzazione del tratto di costa che va dalla ria di Cugnana a Capo Ferro, detto oggi Costa Smeralda; il movimento dei porti (Òlbia e Golfo Aranci, teste di linea per il Continente, La Maddalena, Palau, Santa Teresa) già esaminato, completa il quadro delle attività economiche della regione.

    Il Montacuto

    Da un colle di forma appuntita che si erge in mezzo alle selvose pendici del Limbara prese nome un castello medievale, che a sua volta ha dato il nome, a partire dal XIII secolo, a tutto il paese circostante. Oggi per Montacuto s’intende una regione meno ampia di un tempo, ma pur sempre abbastanza vasta, costituita sostanzialmente dai territori del medio bacino del Coghinas e limitata da tutta una serie di dorsali montuose, che vanno dal compatto ciglione trachitico del Monte Sassu alle alte vette del Limbara, alla soglia di Monti, ai margini rilevati e selvosi degli altopiani di Alà e del Gocèano settentrionale, al semicerchio di colline che racchiude a sudovest il Campo di Ozieri.

    La struttura geologica non è omogenea; prevalentemente granitica ad est e tra-chitica ad ovest, essa è ulteriormente differenziata per la presenza di lembi e placche di calcari selciferi (Monte Sassu), di scisti silurici e filladi quarzifere (Ozieri), di calcari miocenici, di sedimenti lacustri oligocenici e di alluvioni recenti. La morfologia è invece relativamente semplice, riconducibile a due elementi fondamentali: a occidente un’ampia conca di confluenza, il cosiddetto Campo di Ozieri, dalle forme morbide e spianate di tipo logudorese, a oriente un’aspra valle tettonica che richiama il paesaggio dell’attigua Gallura.

    Il paesaggio del Montacuto, peraltro, è stato di recente profondamente modificato dall’uomo con lo sbarramento del Coghinas e la messa in opera dell’omonimo lago artificiale con annessa centrale elettrica (1927); il lago consta di un bacino centrale a forma triangolare e di tre rami allungati in direzioni diverse, corrispondenti alle principali vallate che vi convergono, ed ha una superficie complessiva di oltre 1800 ha. e una capacità di circa 250 milioni di metri cubi. Esso è utilizzato soprattutto per la produzione di energia elettrica, dato che l’uso a scopo irriguo delle sue acque è stato ritardato a lungo dallo stato igienico del Campo di Ozieri, una delle più estese superfici piane della Sardegna settentrionale, dove si dovette anzitutto pensare a debellare la malaria e a bonificare i terreni, prima di poterli irrigare; oggi, grazie anche al nuovo invaso sul Mannu di Pattada, è finalmente in progetto l’irrigazione di 12.000 ha. del Campo, mentre già sorgono nuove borgate rurali, come ad esempio Sant’Antioco.

    La popolazione ascende a 33.000 abitanti (densità 30), quasi tutta agglomerata in una decina di centri abitati. Un nutrito gruppo di questi si stende sulle pendici settentrionali del Gocèano e tra essi spiccano Nughedu San Nicolò (2000 ab.), in bella posizione a quasi 600 m. sul mare, Pattada, grosso centro (4500 ab.) situato in posizione ancora più elevata — quasi 800 m. — al bordo degli altopiani granitici, noto per la produzione di coltelli a serramanico con impugnatura di corno, chiamati in sardo arresoia e lepa, e soprattutto Ozieri. Quest’ultimo è situato in una conca dove si trovano numerose testimonianze di insediamenti eneolitici (dalla vicina Grotta di San Michele, dove fu rinvenuto materiale ceramico e marmoreo caratteristico, ha preso il nome una particolare cultura riferibile ai primi secoli del II millennio a. C.) e nuragici (celebre il nuraghe di Sant’Antìoco di Bisàrcio). Il centro esisteva già sicuramente fin dal XII secolo col nome di Otìgeri, fu proclamato « città » da Carlo Alberto nel 1836 ed ha oggi superato i 10.000 abitanti grazie allo sviluppo di alcune attività industriali connesse con la progredita agricoltura della circostante area bonificata. Tra le sue case, caratteristicamente disposte ad anfiteatro, spuntano qua e là graziosi palazzetti neoclassici, coronati da loggiati a colonne architravate, che, unitamente alla ricca Cattedrale, danno un nobile aspetto a questo autentico capoluogo del Montacuto. Altri centri importanti sono il nodo ferroviario di Chilivani, al centro del vasto comprensorio di bonifica (24.000 ha.) che da esso prende nome e ove sono sorte già alcune industrie; Berchidda (3200 ab.), borgo pastorale sulle pendici meridionali del Limbara, e ancor più Oschiri (4000 ab.), borgo agricolo e nodo stradale, valorizzato dalla costruzione, presso la stazione ferroviaria, di una fabbrica di solfato ammonico che utilizza l’ammoniaca sintetica nello stabilimento del Coghinas.

    Palau e il suo porticciolo.

    A parte queste iniziative industriali, tutte connesse con l’esistenza del lago-ser-batoio del Coghinas, l’economia del Montacuto è principalmente agricolo-pastorale, con prevalenza della cerealicoltura e dell’allevamento bovino, ambedue favoriti dal fatto che la regione è attraversata da una tra le più importanti arterie commerciali (strada e ferrovia) che percorrono l’isola in senso trasversale.

    Panorama parziale di Ozieri.

    L’Anglona

    Il quadro regionale dell’estrema fascia settentrionale della Sardegna si completa con l’Anglona, che è la contrada (il suo nome significa proprio « contrada », « distretto ») che si affaccia al Golfo dell’Asinara tra il Coghinas a oriente, che la divide dalla Gallura, e il fiume Silis a occidente che la separa dal Sassarese. Il limite verso l’interno ha in parte carattere orografico, ma non è molto ben definito.

    Geologicamente l’Anglona costituisce la parte orientale della depressione tettonica che è compresa tra i residui del massiccio paleozoico (Gallura e Nurra), colmata da terreni vulcanici e da sedimenti terziari e quaternari. Morfologicamente quindi è una regione molto varia, perchè vulcani recenti e tavolati calcarei miocenici coesistono con le prevalenti colate di lave trachitiche e coltri di tufi, attualmente ridotte in poderosi banchi dislocati per frattura e costituenti altopiani e terrazzi a differenti altezze, qua e là coperti da depositi silicei lacustri o legni fossili.

    Panorama di Sèdini nell’Anglona.

    La popolazione è abbastanza numerosa (30.000 ab. con una densità di 50 ab./kmq.) e vive prevalentemente accentrata, essendo l’insediamento sparso limitato alla parte meridionale della regione. Sette centri superano il migliaio di abitanti; tutti meno uno sorgono nell’interno, per lo più sui terreni sedimentari maggiormente coltivabili: così l’antica Pèrfugas sorge al margine di un terrazzo nella conca di confluenza del Rio Altana nel Coghinas; Chiaramonti è situato al centro di una piccola isola calcareo-marnosa tutta circondata dalle trachiti; Sèdini, caratteristico per le sue numerose donuis de janas, è pittorescamente disposto in una gola calcarea; Laerru è stato costruito sul pendio di una grande frana staccatasi dall’orlo del piccolo altopiano calcareo di Tanca Manna; Martis è situato nell’area occupata dai depositi lacustri a legni fossili. A questo proposito si deve precisare che la cosiddetta «foresta pietrificata » di Carucana non è tale, ma consta di concrezioni silicee a forma di cilindro cavo. Ma i centri più importanti dell’Anglona sono Nulvi nell’interno (4000 ab.) e Castel Sardo sul mare (3500 ab.). Nulvi, disteso ai piedi di un piccolo altopiano calcareo, è notevole per le antiche costumanze (abiti, cerimonie religiose) che vi persistono tenacemente; Castel Sardo, già Castelgenovese e Castell’Aragonese, è caratteristico per la sua posizione, sopra un banco trachitico inclinato, con le testate precipiti sul mare, per gli ampi panorami che offre, per le antiche mura e fortificazioni, per le bizzarre rocce tafonate frequenti nei suoi dintorni, tra le quali è notissimo l’elefante.

    L’economia dell’Anglona è prevalentemente agricola. Nella parte occidentale prevalgono colture asciutte, come cereali coltivati in rotazione con le leguminose, vigneti e oliveti, mentre la parte orientale è stata interessata da tutta una serie di lavori di bonifica, iniziati nella seconda metà del secolo scorso, e avviati a conclusione solo qualche anno fa grazie alla costruzione sul Coghinas del lago di Castel-dòria, che con i suoi 500.000 me. d’acqua ha permesso l’irrigazione del Campo Coghinas e quindi l’introduzione di colture orticole (carciofi) e legnose irrigue, con lo sviluppo del villaggio di Codaruina.

    Vedi Anche:  Distribuzione popolazione e tipi di insediamento

    Il Sassarese

    Tra l’Anglona, la Nurra, il Meilogu e il mare si stende una regione che si distingue nettamente per caratteri naturali e umani e che, pur non essendo una regione storica, com’è invece il Turritano che ne costituisce la parte settentrionale, ha una sua chiara fisionomia geografica, un’unità che le deriva anche dall’essere la « regione di Sassari », il territorio cioè che gravita direttamente intorno alla « capitale del Capo di Sopra ».

    La chiesa romanica di Nostra Signora di Tergu, presso Castel Sardo, centro dell’antico monastero benedettino.

    I limiti naturali più netti, oltre al mare (il Golfo dell’Asinara) su cui il Sassarese si affaccia, si trovano a nordest e a nordovest, dove il contatto fra i calcari miocenici ed i terreni trachitici segna il confine rispettivamente con l’Anglona e con la Nurra. Lungo tutta l’estrema fascia meridionale il Sassarese sfuma senza limiti netti nel Meilogu, ma poggia su qualche caposaldo costituito da lembi di coperture basaltiche, come il Monte Unturzu (558 m.), il Monte Gherra (658 m.), il Monte Pittu (490 m.) e lo stesso Monte Santo (733 m.).

    L’aspetto generale del paesaggio dà in complesso un’impressione di calma e di semplicità, formato com’è da un altopiano calcareo inclinato moderatamente verso il mare e inciso da profonde valli, la più nota delle quali è la Scala di Giocca, formata dal torrente Mascari poco a sud di Sassari. Ma qua e là il paesaggio viene movimentato da colate vulcaniche, sia trachitiche che basaltiche, le quali, con i loro tufi, brecce e conglomerati, si estendono di più nella parte orientale e sud-occidentale del Sassarese. Verso il mare il tavolato miocenico, che altrove erge imponenti fronti di cuestas, scende uniformemente con ondulazioni morbidissime, orlate da imponenti complessi di dune post-tirreniane e attuali che impediscono alla maggior parte dei torrenti di raggiungere il mare e hanno altresì determinato la formazione del caratteristico e allungato stagno di Platamona.

    L’altopiano sassarese, uniforme e spoglio.

    Paesaggio nei pressi di Àrdara, al limite meridionale del Sassarese verso la depressione logudorese.

    Dal punto di vista economico la fascia orientale del Sassarese, costituita dai terreni vulcanici dei territori di Osilo, Ploaghe e Àrdara, va tenuta distinta dal resto della regione: mentre nella prima predominano una cerealicoltura piuttosto estensiva e l’allevamento degli ovini, nei rimanenti territori del Sassarese la fertilità dei terreni calcareo-marnosi permette l’esercizio di una buona agricoltura con cereali, vigneti e oliveti, questi ultimi estesissimi (7000 ha.) intorno a Sassari. Lungo i corsi d’acqua, poi, nei terreni alluvionali, si pratica l’orticoltura irrigua, per cui va famoso il Logolentu. Nella fascia litoranea si sono oggi rapidamente sviluppate attività turistiche, industriali e commerciali, le prime localizzate nelle « marine » di Sorso e di Sassari (quest’ultima sorta all’estremità occidentale dello stagno di Platamona), le altre concentrate prevalentemente a Porto Torres.

    Questa è la seconda città della regione (10.000 ab.). Già sede di uno stanziamento punico, assunse in epoca romana grandissima importanza come capoluogo e porto principale della Sardegna settentrionale, col nome di Turris Libysonis (cioè « Torre libica »). Dopo essere stata capitale del vasto Giudicato che portava il suo nome decadde lentamente a causa della pericolosità della sua posizione, troppo esposta agli attacchi barbareschi, e fu definitivamente abbandonata verso la metà del ’400. Anche l’arcivescovo lasciò la città trasferendosi nella più forte località di Sassari. Deserta ancora ai tempi del Fara, dovette essere ripopolata nel ’700, ma rimase ancora per molto tempo un piccolo centro, finché l’accresciuta importanza del porto ne determinò anche l’incremento demografico e topografico. Oggi Porto Torres è una vivace cittadina, ricca di ricordi dell’antica grandezza, tra i quali spicca la splendida basilica di San Gavino, che è la più grande delle chiese medievali sarde, eretta da maestranze pisane nell’XI secolo. Il suo porto, come si è visto, è il maggiore della Sardegna settentrionale ed uno dei principali dell’isola, essendo abbondantemente alimentato dal traffico dei minerali e dei prodotti agricoli del retroterra, ed ha anche importanza per il movimento dei passeggeri verso l’Italia settentrionale. A ovest della città, in località Marinella, è poi sorto recentemente un discreto nucleo industriale, che comprende fabbriche di laterizi, di cemento, di macchine e di prodotti chimici, con diverse centinaia di operai, e che tende a formare sistema con le industrie di Sassari costituendo l’asse di un’unica, più vasta area industriale.

    Porto Torres e dintorni.

    La basilica di San Gavino (XI secolo), antica cattedrale di Torres.

    Altri grossi centri non mancano nel Sassarese sicché la popolazione vi è abbastanza densa (96 ab. per kmq.). Citiamo Sorso (9300 ab.), situato in amena posizione al contatto fra i terreni miocenici e quelli quaternari costituenti la pianura della Romàngia; il suo territorio è ricco di oliveti e di vigneti ed è celebre per un vino dal gusto simile a quello di Porto. Sopra Sorso si trova Sènnori (5600 ab.), noto per gli splendidi costumi che la sua gente indossa nei giorni festivi e per il vicino Nuraghe sa Patada, che sorge in posizione caratteristica sopra un’isoletta trachitica non sommersa dal mare miocenico. Importanti sono pure: Ploaghe (4800 ab.) antica sede vescovile, Osilo (4300 ab.) dominato dai resti del Castello Malaspina e noto per la produzione di orbace, nonché il centro agricolo di Ossi (4600 ab.). Ittiri (8600 ab.) è invece il centro maggiore della parte più interna, e unisce alle produzioni agricole (oli e vini) le risorse dell’allevamento ovino.

    Panorama di Osilo, dominato dagli avanzi del Castello Malaspina.

    La chiesa romanico-pisana della SS. Trinità di Saccàrgia, dell’antica abbazia camaldolese.

    La parte sud-occidentale del Sassarese, verso il Logudoro e il Montacuto, ha avuto in epoca medievale importanza assai maggiore di quel che oggi non abbia, tanto da poter essere considerata come il cuore politico e religioso dell’antico Giudicato. Quivi infatti, su un gradino miocenico circondato da ripiani basaltici, si trova Àrdara, già capitale del Logudoro, il cui antico splendore è attestato dai resti del Castello e della bella chiesa romanica di Santa Maria del Regno, dove furono incoronati molti Giudici logudoresi. Questa stessa funzione ha avuto pure la non lontana chiesa di Sant’Antìoco di Bisàrcio, già sede di diocesi, cui si uniscono verso Sassari, presso Codrongianus, la chiesa di San Michele di Salvenero, facente parte di un monastero di monaci vallombrosani, e soprattutto l’Abbazia della Santissima Trinità di Saccàrgia, il più significativo monumento dell’architettura romanico-pisana in Sardegna, che sorge solitaria nella valle cui dà colore e suggestione con la sua mole a strati bianchi e neri di calcare e basalto e con l’alto campanile.

    Sassari

    Nella gran distesa uniforme dell’altopiano calcareo spicca, come grande macchia bianca in contrasto col verde dei densi oli veti che la circondano, la città di Sassari. E facile accorgersi degli stretti legami che la uniscono alla regione che la circonda, all’Agro Sassarese che l’incornicia e l’alimenta ed è da essa vivificato con un flusso continuo di gente che, pur risiedendo in città, coltiva amorosamente i begli orti del Logulentu e i frutteti e gli oliveti circostanti. Ma l’attrazione esercitata dal centro urbano si estende ben oltre: da Porto Torres a Ittiri, da Alghero a Ploaghe si intrecciano rapporti che si traducono in un attivo movimento giornaliero di uomini e di mezzi che ad esso convergono. Assai più oltre, poi, si estende la sua vivace influenza culturale e si irraggiano le idee e le iniziative che vi si elaborano. La città, infatti, ha avuto una fervida vita culturale e politica, stimolata anche dall’esperienza comunale, per cui è stata attivamente presente in tutti i principali eventi della storia regionale e in tutti i moti tendenti alla conquista della libertà.

    Eppure Sassari non è certo città antica. La tradizione localizza il suo iniziale nucleo medievale nel vecchio rione di Sant’Apollinare, intorno a una fontana pubblica chiamata Pozzo di Villa, vicina all’antichissima fonte del Rosello, ma le sue prime testimonianze attendibili risalgono all’XI secolo, e si riferiscono alla « villa » di Thdtthari (poi Sàssari) appartenente alla curatoria della Romàngia. Tuttavia, ingranditasi con l’afflusso di gruppi di abitanti di Torres ricacciati dalle scorrerie barbaresche, era definita già nel 1272 da papa Gregorio X: locum insignem et quasi caput Judicatus. Nello stesso tempo si ricordano le pievi di San Nicola, al posto dell’attuale Duomo, e di Sant’Apollinare (che il titolo indicherebbe greco-bizantina) nonché il Castrum Saxi, castello esistente a mezza strada del declivio su cui si adagia la città. Nel XIII secolo Sassari, sotto la protezione di Pisa, giunse a reggersi a libero Comune, di cui furono promulgati nel 1294 gli Statuti. Nel successivo periodo aragonese il castello fu ricostruito in poderosa mole e fu raccordato poi con la cinta di mura eseguita prima del 1300, che seguiva all’incirca l’attuale Corso Vico, il Corso della Trinità, la Via Mercato, le vie Brigata Sassari e Torre Tonda e il Corso Margherita ed era irta di torri e provvista di cinque porte verso le cinque strade principali che irradiano dalla città. Entro questa cinta l’abitato rimase rinchiuso e addensato per circa sei secoli, perchè fino agli inizi dell’800 la popolazione rimase praticamente stazionaria (tra 14 e 16.000 ab.), per effetto delle gravi falcidie, dovute a ricorrenti pestilenze. Appunto come voto per la cessazione di un’epidemia fu istituita verso il 1580 nella forma attuale la Festa dei Candelieri, celebrata il 14 agosto di ogni anno e consistente nel trasporto in solenne e vivace processione di sette grandi candelieri appartenenti ciascuno ad un « gremio », dalla parte alta della città alla chiesa di Santa Maria.

    Sassari. La chiesa di Santa Maria di Betlem, con facciata di forme lombarde.

    Vecchia veduta ottocentesca di Sassari.

    Solo dopo il 1829 alla città fu consentito di superare la cinta delle mura, che fu abbattuta quasi tutta per il formarsi e l’estendersi di « appendici », soprattutto nella parte alta posta a sudest. Da allora la città ha guadagnato con varia progressione la campagna circostante, impostando in breve volger di tempo ovunque — tranne che ad occidente — gli odierni quartieri residenziali borghesi di Porcellana e San Giuseppe a sud, dei Cappuccini e di Monte Rosello (o Baddimanna) a nordest; essi si distinguono per la loro pianta regolare e per la loro ariosità, che fa vivo contrasto con l’addensamento edilizio e la fittezza e irregolarità del reticolo stradale della città vecchia, ove si trovano i quartieri di abitazione rurale, artigiana e operaia di Sant’Apollinare (includente il nucleo storico della città), di San Donato e del Duomo con la contigua Università. Le due parti principali della città sono distinte dalla Piazza Cavallino, la vecchia Piazza Castello, cui fu fatto posto demolendo nel 1877 il Castello aragonese, e sono collegate da una lunga arteria, costituita dal Corso, attraversante la città vecchia, e dalla Via Roma, che lo continua nella parte nuova, saldate dalla monumentale Piazza Italia e dalla Piazza Azuni, cuore, insieme a Piazza Tola, del quartiere centrale commerciale. Ma la strada più vitale di Sassari è la popolare Via al Rosello, che porta alla sottostante Fonte monumentale, ove si trovano laboratori di argentari e di orafi e piccole botteghe di artigiani. E qui che si rivela e si continua la fisionomia artigiana e mercantile della città.

    Sassari e il suo sviluppo topografico.

    Veduta aerea di Sassari, da nordovest.

    Così Sassari è venuta via via accrescendosi sia demograficamente, passando dai 35.000 abitanti del 1901 ai 57.000 del 1951 e ai 77.000 del 1961, sia soprattutto topograficamente: anzi si può dire con B. Spano che, mentre gli incrementi demografici hanno progredito in scala aritmetica, gli ampliamenti topografici sono avvenuti in progressione geometrica, e ciò perchè nei nuovi quartieri si sono sistemate oltre alle famiglie inurbatesi anche quelle che hanno lasciato i quartieri sovraffollati della città vecchia. Si sono anche verificati notevoli progressi dal punto di vista economico, in quanto alle vecchie attività artigianali si sono aggiunti alcuni stabilimenti industriali, raccolti in nucleo intorno agli impianti ferroviari, e legati ancora in gran parte all’agricoltura (oleifici, industrie vinicole, pastifici, ecc.), ma anche di altra natura (concerie, cotonificio), i quali, come si è visto, tendono a formare sistema con quelli di Porto Torres in un’unica, ampia zona industriale.

    Sassari. La Fonte del Rosello.

    Pur essendo importante centro storico, Sassari non possiede monumenti di grande rilievo e difetta anche di belle architetture: edifìci che spiccano sono essenzialmente delle chiese, a cominciare dalla romanica Santa Maria di Betlem, la più antica, fino al Duomo, dedicato a San Nicola e stilisticamente estraneo, nella sua ampia facciata gotico-aragonese, a tutte le altre architetture dell’isola, e soprattutto alle più recenti chiese barocche (Sant’Andrea, il Rosario, Santissima Trinità e varie altre) che, insieme alla seicentesca fonte del Rosello, riassumono la fisionomia velatamente barocca della città, ancora avvertibile nonostante la giustapposizione di alcune ardite architetture moderne.

    Sempre fervida di movimento, la città si anima in modo particolare in occasione della Cavalcata sarda che si svolge a maggio, nel giorno dell’Ascensione, e che è un’importante e suggestiva rassegna folcloristica.

    Sassari. La Cattedrale, con la sua fronte di gusto barocco spagnolo

    La Nurra

    Il nome « Nurra » deriva con ogni probabilità dalla città romana di Nure, che l’Itinerario di Antonino segna sulla strada occidentale romana, in posizione intermedia fra Turris e il sito dell’attuale Alghero. Nure a sua volta deriva, come si è già detto, dalla radice nur, che esprime il concetto di «cumulo, mucchio» (cavo): difatti la regione in cui sorgeva la città romana, vista dalle colline sassaresi, appare come un unico rilievo innalzantesi bruscamente dalla pianura e dal mare. Attualmente la Nurra comprende l’estrema cuspide nord-occidentale della Sardegna, che si protende a mo’ di penisola tra il Golfo dell’Asinara e la rada di Alghero e si prosegue a nord con l’allungata isola dell’Asinara (l’antica Herculis Insula); verso l’interno i limiti si possono far coincidere con il corso del Rio Mannu fino alla confluenza col Rio Mascari e di qui col bordo settentrionale della massa trachitica del paese di Villanova, segnato da una linea irregolare che raggiunge il mare poco a sud di Alghero.

    Un aspetto del centro di colonizzazione dell’ E.T. F. A. S. nella Nurra.

    Dal punto di vista geologico questa regione ha la particolare caratteristica di includere formazioni appartenenti a tutte le ere geologiche, di origine marina e continentale, di diversa costituzione litologica, dislocate in epoche successive e secondo stili tettonici differenti: ne è risultato quindi un paese collinare non molto elevato (la quota massima, che si raggiunge nel Monte Forte, tocca appena i 464 m.), ma con aspetti morfologici quanto mai vari. Sinteticamente si possono distinguere una Nurra di nordovest paleozoica, scistoso-cristallina, con struttura a pieghe di origine ercinica e alte coste a falesia; una Nurra centrale e sud-occidentale, mesozoica, distesa per lo più in un irregolare tavolato calcareo a scarsa altitudine sul mare, la cui monotonia è rotta a sudovest dagli speroni rocciosi che racchiudono la bella baia di Porto Conte, in uno dei quali è scavata la celebre e pittoresca Grotta di Nettuno; una Nurra orientale, cenozoica, costituita essenzialmente da lave trachitico-andesi-tiche ; e infine una parte recente a vasti piani uniformi di alluvioni terrazzate che si affacciano da un lato sul Golfo dell’Asinara e dall’altro sulla rada di Alghero.

    Veduta della Nurra occidentale, presso Porto Torres.

    Veduta di Porto Conte col pilastro calcareo di Capo Càccia.

    L’isola dell’Asinara, estesa 52 kmq., è la prosecuzione della Nurra nord-occidentale scistoso-cristallina (con alcuni affioramenti dell’imbasamento granitico), dalla quale è separata da uno stretto poco profondo; essa ha la forma di un arco diretto da sud-ovest a nordest, che insieme al promontorio di Capo Falcone chiude a ponente il gran Golfo dell’Asinara. L’isola è sezionata in quattro gruppi collinari uniti da bassi istmi, ed ha coste frastagliatissime e pittoresche ma non valorizzagli perchè vi si trovano una Colonia penale e la Stazione sanitaria internazionale istituita nel 1884.

    La parte centrale del villaggio di Fertìlia nella Nurra algherese.

    Il popolamento della regione, benché antichissimo (vi si contano circa 300 nuraghi e vi sono tracce di insediamenti punici nonché di tre città romane, Nure, Tilium e Carbia), si è intensificato solo negli ultimi anni, grazie alle opere di bonifica e al debellamento della malaria, cosicché il numero degli abitanti è triplicato in trent’anni (da 4000 nel 1931 a 12.000 oggi, esclusa Alghero). La popolazione attuale vive in parte ancora sparsa nei miseri « cuili », le ben note casette elementari pastorali, ma esistono pure una diecina di centri abitati. Questi sono per lo più molto piccoli, e tra essi vanno ricordati i villaggi minerari di Argentiera, disseminato sul pendìo costiero occidentale, e di Canàglia, ambedue in via di spopolamento, e il centro peschereccio di Stintino, situato all’estremità settentrionale in fondo a una piccola ria, accanto alla piccola tonnara; esso che ha avuto origine da un nucleo di pescatori liguri. Centri agricoli sono Olmedo (1500 ab.) e Fertìlia, quest’ultimo sorto nel 1936 come baricentro residenziale della bonifica della Nurra, funzione che dopo la guerra è passata al nuovo villaggio di Santa Maria La Palma, mentre a Fertìlia si è insediato un gruppo di profughi giuliani dediti attivamente alla pesca.

    Ma la Nurra ha anche, nella sua estremità meridionale, una cittadina di circa 20.000 abitanti: Alghero. Se ne ignorano le origini, e si sa solo che nel ’200 sorse qui, in una località chiamata « S’alighera » (= luogo algoso), un castello che fu dominio dei Doria, per passare poi nel 1354 agli Aragonesi che vi insediarono una colonia di Catalani, la lingua e i costumi dei quali caratterizzano ancor oggi la città. Il nucleo medievale di Alghero, che rimane ben distinto perchè tuttora limitato verso il mare dalle mura spagnole, è situato su una penisoletta sporgente e racchiude in sè, fra un dedalo di vie anguste, la bella cattedrale cinquecentesca che, pur rimaneggiata in seguito, conserva nel coro, nel campanile e nel portale le impronte del più puro stile gotico-aragonese. A oriente di questo nucleo si è sviluppata di recente, a raggera, la città moderna, con viali ampi e regolari, anche in funzione di un’attiva industria del forestiero. A nord, fra l’antica torre de La Maddalena e la stazione ferroviaria, sorge un importante porto peschereccio, noto un tempo per la pesca del corallo praticata da pescatori liguri e toscani, e ove si svolgono pure limitate operazioni commerciali. Marinai liguri, toscani e napoletani hanno contribuito assai al suo popolamento.

    Vedi Anche:  L'attività industriale e commerciale

    La vecchia Alghero, chiusa dalle mura cinquecentesche, vista dal mare.

    Alghero. Il campanile della Cattedrale e il portale gotico-aragonese.

    L’economia della Nurra fino a poco tempo fa era basata su una cerealicoltura estensiva e saltuaria e sulla pastorizia in gran parte transumante; solo l’oliveto intorno ad Alghero spiccava nel quadro agricolo regionale. Questo ha subito radicali mutamenti negli ultimi decenni per effetto della trasformazione fondiaria e agraria iniziata nel 1934 dall’Ente Sardo di Colonizzazione e portata avanti successivamente dall’E.T.F.A.S. su una superfìcie di 60.000 ha., che costituisce il più esteso comprensorio di bonifica della Sardegna, suddiviso in varie aziende, tra le quali più importanti quelle di Santa Maria La Palma, Corea, Guardia Grande e Lazzaretto. La Nurra algherese è stata quella che ha presentato le maggiori difficoltà per la trasformazione agraria, sia perchè in alcune aziende si è dovuto procedere alla rimozione di una dura crosta calcarea e al successivo spietramento, sia perchè contro il maestrale, che ha qui la massima impetuosità, si sono dovute costituire fitte fasce frangivento. Così si è diffusa in tutta la zona una policoltura redditizia, che si va intensificando sempre più nelle parti irrigate con lo sbarramento del Cuga e con le acque del lago Bàrazza, e si è attuato un insediamento su basi tali da garantire una vita rurale di alto livello sociale, appoggiata a nuove borgate rurali (la già citata Santa Maria La Palma, Maristella, Rumanedda) e avente sede in centinaia di case coloniche collegate da una fitta rete di nuove strade.

    Pianta della città di Alghero col tracciato delle mura cinquecentesche.

    La nuova borgata residenziale di Rumanedda, nel Centro di Colonizzazione di Porto Torres.

    La nuova borgata di Maristella a Porto Conte.

    Invece l’industria estrattiva, che per molto tempo era stata l’attività principale della Nurra, è oggi assai decaduta, in quanto si è interrotto lo sfruttamento del giacimento piombo-zincifero dell’Argentiera, sicché ora è limitata alla saltuaria estrazione del minerale di ferro (miniera di Canàglia), esportato tramite Porto Torres.

    Alle attività agricole si affiancano, specie ad Alghero, quelle tradizionali della pesca e della lavorazione dei prodotti agricoli (olive, pomodori) e quella, di origine recente, dell’industria del forestiero, che costituisce la principale risorsa della cittadina, divenuta ora il principale centro turistico deH’isola, frequentato soprattutto da stranieri.

    Il paese di Villanova

    Regione marginale tra la provincia di Sassari e quella di Nuoro, il paese di Villanova non ha limiti ben precisi se si eccettua il mare che lo limita ad occidente lambendo le sue coste uniformemente alte, ma ha una sua unità in quanto è costituito da un complesso tavolato trachitico. I confini si possono far coincidere grosso modo a nord e a nordest con quelli del bacino del Temo, che uno spartiacque non molto elevato separa dalle valli del Serra-Cuga e del Mannu, ad est e a sud col limite del tavolato trachitico.

    Il versante destro della valle del Temo è uniformemente costituito da colate di lave trachi-andesitiche, con i relativi tufi, che danno origine ad un altopiano allungato in senso nordsud, esteso da Villanova sin quasi a Bosa con quote oscillanti fra i 500 e gli 800 m. (Monte Mannu, 802 m.), generalmente sbandato verso est in modo da presentare al mare la fronte compatta e imponente delle bancate trachitiche. Invece il versante sinistro, cioè la parte orientale del paese di Villanova, è più eterogeneo sia geologicamente — accanto alle trachiti compaiono i calcari miocenici e, a sud, i primi basalti — sia, di conseguenza, morfologicamente. Il rilievo si suddivide nella parte settentrionale in piccoli massicci tabulari tra cui domina la mole del Monte Minerva, a forme monotone, rotte solo dal neck trachitico di Bonveì, mentre nella parte meridionale forma un altopiano piuttosto uniforme costituito dal Planu de Murtas e dal margine occidentale della basaltica Campeda.

    La popolazione è rada, contando appena 9000 abitanti (30 ab. per kmq.), e presenta uno dei massimi coefficienti di accentramento della Sardegna, dato che vive praticamente tutta in cinque centri abitati, tra i quali spiccano per importanza Pàdria e soprattutto Villanova. Pàdria (1800 ab.), nodo stradale di una certa importanza che occupa la sede dell’antica Gùrulis Vetus, è nota pure per la chiesa cinquecentesca di Santa Giulia, uno dei più notevoli monumenti aragonesi dell’isola. Villanova Monteleone (4600 ab.), capoluogo indiscusso anche per la posizione dominante che occupa sulla maggiore strada della regione, venne fondata dai profughi dell’antico centro di Monteleone Rocca Doria, dopo che i Sassaresi ebbero, nel 1436, distrutto quest’ultimo villaggio, oggi pressoché abbandonato ma notevole per gli avanzi medievali (mura, torri, cisterne) e per la pittoresca posizione su un cocuzzolo calcareo isolato.

    In gran parte roccioso e sterile, il paese di Villanova è nettamente votato alla pastorizia; le aree coltivate sono limitate agli immediati dintorni dei centri abitati, mentre il resto del territorio è regno del pascolo sia invernale che estivo, con saltuarie aree di magra cerealicoltura avente funzione più di miglioramento del pascolo che di sussistenza. Una certa importanza economica hanno i giacimenti di caolino esistenti nei tufi trachitici di Romana.

    Il Meilogu

    E un paese interno, dai limiti controversi e in ogni caso scarsamente definiti, dall’aspetto quanto mai vario. Chiamato Meiulocu o Mesuloghu nel Medio Evo, il suo nome significa probabilmente « in mezzo al logu », cioè « in mezzo al Giudicato », data la sua posizione approssimativamente centrale rispetto al Giudicato di Torres. Nessun confine naturale lo separa dalle regioni adiacenti, anzi il Meilogu spartisce con esse i bacini di diversi corsi d’acqua: quello del Mannu di Porto Torres col Sassarese, quello del Mannu di Ozieri col Montacuto e col Gocèano, quello del Rio di Campeda col Màrghine, quello del Temo col paese di Villanova. Nè la regione si appoggia ad alcuno spartiacque, perchè la linea principale di displuvio, situata sulle dorsali del Màrghine e del Gocèano, le passa alquanto più a sudovest, mentre spartiacque minori l’attraversano in vari sensi.

    E, dunque, un paese di alti e medi bacini fluviali, assimilabile a una conca irregolare con i margini inclinati un po’ da tutte le parti fuorché nell’angolo sud-orientale; ma una conca tutt’altro che monotona, dove di fronte alle depressioni costituite da trachiti e tufi trachitici si ergono ripiani calcarei miocenici, e accanto ai basalti dell’altopiano della Campeda stanno i più recenti basalti delle colate vulcaniche quaternarie. Queste ultime dominano il paesaggio del territorio di Torralba e di Giave: coni regolari, dai crateri perfettamente conservati, come il Monte Austidu, il Pelao, il Figuini, si ergono isolati nell’altopiano, giustificando il nome di « Alvernia sarda » dato a quest’area. In complesso essi tendono a disporsi a semicerchio, intorno a una conca pianeggiante d’erosione, il « Campu Giavesu », in cui il deflusso difficoltoso e la natura impermeabile delle alluvioni avevano determinato la formazione di vasti acquitrini: oggi l’apertura di un emissario, lo scavo di una rete di canali di scolo e la sistemazione dei vari corsi d’acqua hanno restituito quest’area all’agricoltura. Un’altra zona di bonifica è quella di Santa Lucia, a nordest di Bonorva.

    Thiesi. Panorama.

    Bonnànaro. Panorama

    Nel Meilogu si incontrano le più interessanti « pinnette » di tutta la Sardegna, capanne a base circolare che possono essere interamente di pietra o con un muro a secco sovrastato da un cono di strame terminante a punta. In questo fertile paese la densità di popolazione è notevole e i centri abitati sono numerosi. Spiccano alle falde del Monte Pelao: Thiesi (3500 ab.), capoluogo del Meilogu settentrionale, situato in bella posizione su un pianoro calcareo, al centro di un territorio ricco di sorgenti minerali con acque acidulo-ferruginose sgorganti dal complesso eruttivo trachitico; e Bonnànaro (1800 ab.), nelle cui vicinanze sorge la splendida cattedrale romanico-pisana di San Pietro di Sorres. Si trovano poi Mores (3000 ab.), al centro di una fertile conca cerealicola — oasi coltivata in mezzo ai pascoli — abitata fin dalla più lontana antichità come attesta la frequenza di sedi preistoriche; Torralba (1300 ab.), nota per il vicino Nuraghe Sant’Antine, il maggiore e il più bello dei nuraghi sardi, di epoca ellenistica; Giave (1300 ab.), in posizione elevata, dominata dal Planu Roccaforte sul quale si ergono le rovine di un castello dei Doria; Cossoine (1600 ab.), altro centro elevato da cui si gode una bella vista sul « Campo Giavesu » ; Pozzomaggiore (4500 ab.), centro importante per l’allevamento di bestiame ovino selezionato e quindi per la produzione di formaggi, noto anche per l’artigianato dei tessuti e dei ricami, che annovera tra i suoi prodotti le caratteristiche coperte di lino bianco (fanugas) e di lana (fressadas); Bonorva (6000 ab.), grosso borgo pastorale situato sul ciglione del boscoso altopiano detto « su Monte », estremità della distesa basaltica uniforme della Campeda, ricco di recinti megalitici.

    Il Màrghine

    Col nome di Màrghine — dall’etimologia ben chiara — si indica in Sardegna un tipo di rilievo dissimmetrico, a ciglione, con un lato a picco e uno degradante dolcemente ad altopiano. E Màrghine per eccellenza viene chiamata quella dorsale prevalentemente trachitica che, stendendosi da sudovest a nordest tra Macomèr e la sella di Bolòtana (per la quale passa il confine provinciale tra Nùoro e Sassari), costituisce l’orlo dell’altopiano della Campeda e volge verso quest’ultimo un morbido declivio, presentando al contrario verso la valle del Tirso una fronte imponente e scoscesa, ricca di torrioni dalle forme aguzze e dentellate, come, ad esempio, il Monte Santo Padre (1026 m.) che a guisa di fortezza domina l’abitato di Bortigali. Il nome di Màrghine viene poi generalmente esteso a comprendere una parte del bordo dell’altopiano basaltico della Campeda a nordovest, i graniti di Bolòtana ad est e le colate nord-orientali del grande scudo basaltico del Montiferru a sud.

    La regione è spoglia di boschi, mentre abbonda di pascoli, particolarmente nella sua sezione occidentale; domina dunque la pastorizia ovina e bovina, specialmente sulla dorsale trachitica e nei territori pianeggianti, mentre sulle pendici con terreni di disfacimento dei basalti prosperano seminativi, vigneti e frutteti, favoriti dall’abbondanza delle precipitazioni.

    I centri abitati più importanti sorgono sul versante meridionale del rilievo e in particolare lungo la linea di contatto tra basalti e trachiti, corrispondente a una linea di sorgenti. Macomèr (8000 ab.), la punica Macopsissa, è il capoluogo della regione, pur trovandosi in posizione eccentrica rispetto al versante montano, là dove questo termina incuneandosi tra i due altopiani basaltici, quello della Campeda a nord e quello più basso di Abbasanta a sud. Si tratta di un nodo stradale, a dominio del più importante passaggio tra il Capo di Sopra e il Capo di Sotto, che fu già celebre punto strategico in epoca romana e in epoca medievale: ivi, infatti, avvenne, nel 1478, la battaglia decisiva con la quale gli Aragonesi assoggettarono definitivamente risola. Oggi Macomèr è anche il massimo centro per la lavorazione e il commercio del formaggio pecorino sardo, ed ospita alcune industrie tra le quali un lanificio ove si tesse l’orbace. Notevoli sono pure i centri di Bolòtana (4200 ab.), situato in una piccola conca su un declivio a forte pendenza, al centro di una zona ricca di nuraghi e ove si trova la duecentesca chiesa romanica di San Bachìsio; Si-lànus (3000 ab.), posto ai piedi del Monte Arbo che, con la sua bianca massa calcarea, utilizzata da alcune cave, forma un caratteristico contrasto con il resto del paesaggio; Bortigàli (2300 ab.), sorta non lungi dai resti della punica o romana città di Berve.

    Borutta, ai piedi del Monte Pelao, nel Meilogu.

    Macomèr, nodo di comunicazioni a dominio del passaggio obbligato tra il Capo di Sopra e il Capo di Sotto.

    Un aspetto di Mores, col campanile della parrocchiale.

    Il Gocèano

    A nordest della sella di Bolòtana i monti del Màrghine si rialzano e si allargano a formare una specie di compatta barriera, alta ovunque più di 1000 m., larga in media una decina di chilometri, difficilmente attraversabile. Si tratta ancora di un « màrghine », cioè del bordo rialzato di un altopiano, e pertanto non senza fondamento il nome di Màrghine viene spesso esteso a tutta la catena, da Macomèr a Pattada. Ma fra questa dorsale e il Màrghine vero e proprio sussistono notevoli differenze geologiche e morfologiche: qua un rilievo ercinico, dalle forme compatte, costituito da graniti e da filladi quarzifere con nuclei dioritici, fa da bordo a un altopiano prevalentemente trachitico, là un rilievo trachitico, dalle forme aspre e irregolari, orla un altopiano basaltico. Perciò a questa dorsale, continuazione settentrionale del Màrghine vero e proprio, si dà spesso un’altra denominazione, quella di Gocèano, dal nome del castello edificato nel XII secolo da un giudice logudorese sopra un ardito spuntone granitico a 647 m. di altezza; denominazione che peraltro è applicata anche a quel tratto dell’alto bacino del Tirso, granitico, ma parzialmente ricoperto da alluvioni, sul quale il versante montuoso si affaccia.

    La regione del Gocèano comprende dunque due elementi ben distinti, una catena e un segmento vallivo, i quali si differenziano tra di loro anche dal punto di vista umano ed economico: mentre l’ampio fondovalle è coltivato quasi esclusiva-mente a cereali ed è per ragioni storiche e un tempo igieniche assai poco popolato, l’umido versante montano — detto dagli abitanti «sa Costerà» — è ricco di vigneti, di alberi da frutto cui seguono, in alto, folti boschi di lecci e di sugheri, e ospita circa i 4/5 della popolazione della regione.

    Capoluogo tradizionale del Gocèano è Bono (4700 ab.), grosso borgo situato ai piedi del Monte Rasu, vetta culminante (1259 m.) di tutti i monti del Màrghine-Gocèano, noto per il costume delle sue donne e per essere stato, alla fine del ’700, uno dei centri del movimento antifeudale. Altro centro importante è Benetutti (2900 ab.), pittoresco villaggio situato sopra un gradino granitico a mezza costa del versante sinistro del Tirso, dirimpetto ai monti del Gocèano, noto anche per le vicine Terme di San Saturnino, dove acque debolmente radioattive sono sfruttate fin dall’antichità (Aquae lesitanae). Notevoli anche Buitei (2300 ab.), al centro di una ricca zona forestale, situato, in serie con Bono, Burgos, Illorai (1800 ab.) ed altri, al limite altimetrico superiore delle colture; Nule (2000 ab.), celebre per l’arti-gianato dei tappeti; Burgos (1600 ab.), dominato dal fosco castello del Gocèano.

    Il Nuorese

    Il termine Nuorese, benché ricordato dal Fara (Nùgori Regio), è entrato solo di recente nell’uso popolare e con significati molto diversi: chi intende per Nuorese un’area ristretta intorno alla città di Nuoro, chi l’intera provincia, chi, genericamente, la zona centrale dell’isola. Il termine non appare quasi mai sulle carte, ma può essere accettato in quanto, come si è visto, indica una regione con fisionomia naturale ben distinta e omogenea, formata com’è dai più uniformi ed estesi altopiani granitici dell’isola, distesi tra i monti di Alà e le Barbàgie, coi fianchi incisi da corsi d’acqua che vanno da un lato al Tirreno e dall’altro al Mar di Sardegna, tra cui forma spartiacque. Ai due lati i limiti della regione sono segnati dai bordi dell’altopiano granitico, mentre a sud il limite con le Barbàgie è dato in parte dal-l’innalzarsi graduale del rilievo, in parte dallo spartiacque fra Tirso e Taloro. Inteso in questo senso, il Nuorese comprende solo una piccola parte della provincia di Nuoro, ma d’altro canto penetra largamente a nord, valicando il confine provinciale, in territorio amministrativamente sassarese. Su quest’ampia regione Nuoro, col suo sviluppo recente, già esercita un’attrazione notevole e più l’eserciterà in un prossimo futuro.

    Si tratta dunque di una vastissima estensione omogenea di terreni granitici, sostituiti dagli scisti e da qualche lembo di calcari soltanto nella parte centro-orientale e nell’angolo sud-orientale. Spicca per la sua uniformità e omogeneità l’altopiano di Buddusò-Bitti, il più semplice di tutta la Sardegna settentrionale: si tratta di un grande piano inclinato da oriente ad occidente, drenato da un reticolato idrografico assolutamente conseguente, appena accidentato a nordest da qualche cresta poco elevata. Presso il suo bordo orientale, all’altezza di circa 800 m., esso presenta una superficie peneplanata dall’inclinazione pressoché insensibile, appena ondulata qua e là da leggere depressioni modellate dall’alto corso dei fiumi Tirso, Mannu, Mannu di Pattada, ecc. Questo altopiano termina a sud, bruscamente, con una parete scoscesa che si affaccia su una netta depressione tettonica occupata dal corso del Nùrdole (tributario del Tirso), che insieme alla Val d’Isalle costituisce un solco importantissimo per le comunicazioni tra l’est e l’ovest della Sardegna, percorso da un’ottima strada e in parte anche da una ferrovia. Al di là di questa fossa si erge bruscamente un altro altopiano, quello di Nuoro, leggermente inclinato verso nord e separato a sud dall’analogo altopiano barbaricino di Fonni mediante una dorsale non molto ben definita. Nella sua estrema sezione occidentale questa regione ripete le forme piane e monotone dell’altopiano settentrionale, ma ad oriente e al centro alcuni accidenti topografici movimentano il paesaggio: i monti calcarei di Olìena (Monte Corrasi, 1463 m.), la cresta granitica, diretta da sudovest a nordest, del Monte Ortobene (955 m.), e le tre caratteristiche piramidi calcaree — rilievi di origine strutturale di tipo appalachiano — di Nostra Signora di Gonare, luogo di culto tra i più antichi delle genti sarde.

    Pianta di Nuoro.

    Panorama di Bitti, sul margine settentrionale dell’altopiano nuorese.

    Veduta di Nuoro.

    Orune, fiero villaggio di pastori dominante la Val d’Isalle

    La grande prevalenza dei terreni granitici influisce negativamente sull’economia rurale della maggior parte della regione, che è votata nettamente alla pastorizia. L’agricoltura è ristretta a pochi tratti e limitata a modeste coltivazioni di grano e di orzo, salvo che nell’angolo sud-orientale dove, nei terreni alluvionali e calcarei, hanno preso sviluppo in forma oasistica le colture legnose, specie l’oliveto intorno a Nuoro ed il vigneto nel territorio di Olìena. Vi si trovano però alcuni giacimenti minerari.

    Vedi Anche:  Lineamenti e forme del rilievo

    Nuoro, oggi terza città della Sardegna, è un centro di antica origine ma di recentissimo sviluppo, posto nel cuore dell’isola, a m. 554 s. m., su uno sprone che si protende verso nord distaccandosi dal Monte Ortobene. I reperti archeologici hanno mostrato come nel territorio di Nuoro fiorisse già la civiltà primitiva, rimasta intatta per parecchi secoli, durante l’età punica e anche nei primi tempi dell’occupazione romana. Il nome Nùgoro compare però tardi, nei documenti dei secoli XII-XIII, come località appartenente alla curatoria di Ottana; ma mentre Ottana, flagellata dalla malaria, perdeva d’importanza, Nuoro, in posizione elevata e salubre nonché a dominio di importanti vie di comunicazione, si sviluppava lentamente ma costantemente. Grosso centro già nel ’500, divenne sede di diocesi nel 1779, « città » — per decreto di Carlo Alberto — nel 1836, capoluogo di provincia del Regno Sardo nel 1848 (fino al 1859), infine capoluogo di provincia del Regno d’Italia nel 1926. Quest’ultimo fatto fu quello che contribuì più d’ogni altro alla trasformazione di Nuoro da chiuso borgo medievale, popolato prevalentemente da pastori, a cittadina dall’aspetto parzialmente moderno. Anche lo sviluppo demografico ne ricevette impulso: la popolazione, che in sessant’anni era passata da 4000 (1861) a 7500 abitanti (1921), balzò a 10.800 nel 1936, a 16.500 nel 1951, per giungere a 22.500 nel 1961. Naturalmente questo rapido incremento ha fatto prosperare a Nuoro l’industria delle costruzioni, che insieme ad altre modeste attività industriali e artigianali dà oggi lavoro ad oltre un migliaio di persone. Nell’abitato cittadino attuale spiccano nettamente i vecchi quartieri, dall’aspetto francamente paesano con le loro case basse, i muri a secco, i viottoli sassosi; si dividono in rioni alti (Santu Pedru, Irillai, Corte ’e Susu) e in rioni bassi (Cunbentu e Fossu Loroddu). I due nuclei più antichi sono quelli che si stendono attorno alla chiesa di San Salvatore e dinanzi il Santuario delle Grazie, quest’ultimo nucleo sorto ad opera degli abitanti di un villaggio abbandonato (Seuna), che era situato in posizione più elevata, a 800 metri. I quartieri recenti sono sorti a occidente dei primi, parte nei pressi della stazione ferroviaria e parte su un ripiano più elevato, ed hanno una fisionomia spiccatamente cittadina con costruzioni moderne e strade ampie e diritte. La città si anima soprattutto alla fine di agosto, in occasione della Sagra del Redentore, che vede affluire genti di tutta la regione nei costumi tradizionali.

    Orosei: le caratteristiche strutture della Primaziale.

    Molto scarsa vi è la densità della popolazione (35 ab. per kmq.) ma altri centri grossi e medi non mancano: Buddusò (4400 ab.), caratteristico per le sue case di granito, è il centro principale dell’altopiano settentrionale, dedito alla pastorizia e alle attività connesse; Bitti (5700 ab.), situato in una depressione a ridosso di alture, è importante per l’industria casearia e zootecnica; Orune (5600 ab.) è un villaggio pastorale pittorescamente disposto con le sue casette su un rilievo alto 745 m., dal quale si domina un magnifico panorama sulla valle del Rio Isalle in tutta la sua estensione fino alla marina di Orosei. A sud di Nuoro stanno Orotelli (3200 ab.), dalla bella parrocchiale romanica, Orani (3600 ab.), situato in una conca pittoresca vicino a miniere di talco e steatite, e Oliena (6900 ab.); quest’ultimo è un importante centro vitivinicolo, costruito in posizione panoramica alle falde del calcareo Sopramonte, le cui voragini carsiche sono meta di escursioni per le quali Oliena è ottima base.

    Le Baronìe

    La fascia costiera tra il litorale tirrenico e il bordo settentrionale del Nuorese costituisce, per un’ampiezza variante fra i 10 e i 30 km., il territorio delle due Baronìe, nome esistente sicuramente a partire dal ’400 e corrispondente con ogni probabilità a due antiche curatorie aventi come capoluogo Ferònia e Orosei. Oggi si distinguono la Baronìa di Siniscola, un tempo detta di Posada, a nord, e la Baronìa di Orosei a sud, separate l’una dall’altra grosso modo da una linea che unisce le vette dei monti Ferulàrgiu, Senes e su Anzu. Il limite verso l’interno, cioè verso il Nuo-rese, non è molto netto e si appoggia di volta in volta a corsi d’acqua (Rio Mannu affluente del Posada), a spartiacque (sezione meridionale della dorsale del Monte Albo), o, nella maggior parte dei casi, è puramente storico o convenzionale.

    Panorama di Dorgàli, alle falde del Monte Bàrdia.

    Le due Baronìe, peraltro, si differenziano non solo storicamente ma anche fisica-mente. Quella settentrionale si estende sui terreni scistosi del silurico, dominati dal biancheggiare della formazione giurassica del Monte Albo (= bianco), imponente dossone calcareo profondamente attaccato dall’erosione carsica. La meridionale invece è caratterizzata dall’eterogeneità di rocce e di rilievo, che si presenta suddiviso in elementi talora imponenti, ma sempre di limitate dimensioni: sulla sinistra del Cedrino domina un’estesa placca granitica, che verso la foce del fiume cede il posto alle regolari colate basaltiche recenti dei « gollei », le quali si estendono poi con maggiore ampiezza sulla destra del Cedrino, ove compaiono anche sedimenti giurassici ed eocenici. I Monti Rèmule, al confine tra le due Baronìe, rappresentano bene il loro contrasto, con la parte settentrionale formata da micascisti e quella meridionale intagliata nei graniti. La regione presenta dunque una grande varietà di forme: l’alternarsi di dorsali calcaree e di creste granitiche e micascistose, di altopiani basaltici e di depressioni colmate da alluvioni rende il paesaggio delle Baronìe uno dei più singolari della Sardegna, tanto pittoresco quanto ancora poco conosciuto.

    L’economia della Baronìa di Siniscola è basata sulla cerealicoltura estensiva, integrata dalla pastorizia indirizzata sia verso l’allevamento degli ovini che verso quello dei bovini, il cui carico per unità di superficie è qui notevolmente superiore alla media sarda. La bassa valle del Posada, fino a pochi anni fa acquitrinosa e malarica, è oggi in corso di bonifica e di trasformazione agraria, in parte fondata sull’irriga-zione che sopperisce alla scarsità delle precipitazioni mediante le acque del lago-serbatoio del Posada. Anche nella Baronìa meridionale l’attività economica prevalente è data dall’agricoltura, ma qui assumono maggiore importanza la vite, che dà prodotti pregiati, e l’olivo, specialmente diffusi nella bassa valle del Cedrino e nella piana litoranea di Orosei, anch’essa in corso di trasformazione agraria.

    Siniscola e Lodè sono i centri principali del nord (Posada, molto importante in epoca medievale come scalo marittimo e nota per il poderoso Castello della Fava, ha ormai perduto d’importanza), Dorgàli e Orosei quelli del sud. Siniscola (5300 ab.), località abitata fin dalla preistoria, tormentata in passato dalle incursioni barbaresche, è oggi un grosso villaggio, situato al margine interno della piana costiera vicino a grosse risorgenti carsiche, fra ricchi mandorleti ed agrumeti, dai quali si raccolgono le pompie, grossi frutti dal succo acidulo, utilizzati per la fabbricazione dei canditi. La vicina spiaggia è in corso di valorizzazione balneare e turistica, specie in corrispondenza di Santa Lucia. Lodè (3500 ab.) è invece spostata nell’interno, presso il Rio Mannu. Dorgàli (7000 ab.) è un grosso borgo posto a ridosso del Monte Bàrdia, rinomato per il suo vino (cannonao), nonché per le ceramiche e i cuoi lavorati prodotti dai suoi artigiani; una leggenda lo vuole fondato dai Saraceni, tracce dei quali persisterebbero nei caratteri etnici, nella pronuncia e nel costume degli abitanti. Poco distante, lungo la pittoresca costa rocciosa, si è sviluppata la « marina » di Cala Gonone, vicino alla famosa Grotta del Bue Marino mentre Orosei (4000 ab.), capoluogo storico della Baronìa meridionale, è situato nella bella pianura presso la foce del Cedrino, in corso di bonifica. In una piana alle sue spalle si trova un gruppo di paesi: Lòculi, Irgoli, Onifai e soprattutto Galtelli (1750), antica sede episcopale, nei pressi del Castello di Pontes dominante la gola con cui il Cedrino si apre la via al mare.

    La Planàrgia

    È una piccola regione in gran parte pianeggiante — donde il nome, che però comincia ad apparire nei documenti solo nel ’400, sostituendo i precedenti « Frussio » e « Contrada del Castello di Serravalle » — limitata nettamente ad ovest dal mare e a sud dal Rio Mannu che la separa dal Montiferru, assai meno nettamente a nord dove trapassa gradualmente nella regione villanovese e nel Màrghine.

    A nord la Planàrgia comprende la parte terminale del Bacino del Temo, trachi-tico a occidente e basaltico ad oriente, a sud una modesta dorsale trachitica che manda al mare brevissimi corsi d’acqua e, subito ad oriente di questa, il versante destro della valle del Mannu, prevalentemente basaltico e calcareo-marnoso. Tutta la regione, salvo il più elevato territorio di Sindia, ha un’altitudine abbastanza uniforme, sui 200 metri.

    Suni, Tinnùra, Flussio e dintorni sul bordo dell’altopiano della Planàrgia. Si osservi il contrasto tra il paesaggio a tancas pastorali sull’altopiano basaltico orientale e il paesaggio agrario a viti e a olivi sui sottostanti colli marnoso-arenacei.

    Bosa e Bosa Marina alla foce del Temo.

    Bosa, sulla sponda destra del Temo, ai piedi del Castello di Serravalle, costruito dai Malaspina.

    Bosa. Chiesa di S. Pietro extra muros (XI secolo), per alcune parti il più antico monumento romanico della Sardegna.

    I lembi delle fertili marne mioceniche, situate sul bordo occidentale, al di sotto dell’espandimento basaltico, costituiscono i terreni più importanti dal punto di vista umano ed economico e quindi con discreta densità di popolazione (60 ab. per kmq.). Qui sorgono, a breve distanza l’uno dall’altro, ben sette piccoli centri, intorno avere oasi di agricoltura intensiva, indirizzata non solo alla cerealicoltura ma anche alle colture legnose (olivi soprattutto, poi viti ed alberi da frutto) e corredata da un certo allevamento bovino. Sull’alto ciglione basaltico, in posizione difensiva, sono allineati Flussio, Tinnùra e Tresnuraghes (2000 ab.), il cui nome mette in evidenza la frequenza delle costruzioni nuragiche nella zona; e più nell’interno è Suni (1700 ab.), nodo stradale situato in posizione dominante (333 m.) rispetto alla regione circostante, caratteristico per le nere case di basalto. Tuttavia quasi la metà dei 17.000 abitanti della Planàrgia, che vivono tutti accentrati, abita nella pittoresca cittadina di Bosa, situata sul Temo a breve distanza dalla sua foce, in territorio di tufi trachitici piuttosto fertili. Si tratta di un centro di origine cartaginese, porto sull’unica foce fluviale navigabile della Sardegna, municipio romano, ricordato da Tolomeo e dagli Itinerari; ebbe strade che lo congiungevano a Tharros e Cornus da un lato, a Turris dall’altro; i Malaspina vi costruirono nel Medio Evo il Castello di Serravalle, che ancora domina la città dall’alto di un colle. Bosa è oggi rinomata per la malvasia prodotta nel suo territorio e per l’artigianato dei merletti, al quale si dedica buona parte della sua popolazione femminile, ma vanta altresì piccole industrie agricole e conciarie, un modesto porto peschereccio e una spiaggia (Bosa Marina) discretamente frequentata dai forestieri. Una certa importanza ha pure Sindia (2800 ab.), villaggio situato ad oltre m. 500 s. m., ai piedi del Monte Rughe, non lontano dall’abbazia cistercense di Santa Maria di Corte, fondata nel 1547 da monaci di Citeaux inviati da San Bernardo su richiesta del giudice di Torres.

    Il Montiferru

    A chi si avvicini al Monte Ferru, da qualunque parte provenga, apparirà lo stesso spettacolo: un grande cono appiattito alto un migliaio di metri, dal diametro di una diecina di chilometri, semplice e regolare nelle sue forme generali, inciso localmente da valli fortemente incassate che discendono radialmente da ogni lato salvo che da nordest, dove la montagna è saldata col Màrghine e la Campeda. Si tratta di un vulcano di tipo etneo — e in questo senso è stato chiamato 1’« Etna sardo » — costituito da un’ossatura centrale formata da lave trachitiche, allineate lungo un asse diretto da nordest a sudovest, e da fianchi più acclivi formati da colate basaltiche posteriori alle lave centrali, che esse rivestono con i loro pesanti drappeggi. Le forme spianate della sommità del vulcano corrispondono a colate trachitiche, le asperità che vi si trovano intorno a camini e guglie che l’erosione ha liberato dai tufi meno resistenti. Quest’armatura centrale è stata sfrondata della copertura basaltica, che in altri tempi dovette ricoprirla e che ha largamente contribuito all’edificazione di questo cono dalle pendenze regolari: i basalti, estremamente fluidi, si espansero sui fianchi del vulcano partendo da un gran numero di bocche e rimangono oggi a costituire una larga corona di altopiani che circonda tutto il monte.

    Un aspetto del Monte Ferru, dalla strada per Cùglieri.

    La costa a s’Archittu, nei calcari miocenici.

    Il nome di Monte Ferru, col quale gli abitanti designano da tempo immemorabile l’intero gruppo montuoso (non la sola vetta, che prende il nome di Monte Urtigu), fu dato nel XII secolo anche a un castello, costruitovi dai Logudoresi, e da allora si affermò amministrativamente giungendo a indicare tutta una curatoria. Oggi per Montiferru si intende quindi una regione che ha per centro il cono vulcanico, ma che comprende gli espandimenti basaltici circostanti fino alla pianura Oristanese a sud, fino al mare ad ovest, fino al Mannu e al Monte Sant’Antonio a nord. Ad est, per il prolungarsi dei piani basaltici, i limiti non sono ben precisi. Questa regione, tagliata quasi esattamente in due dal confine provinciale tra Nuoro e Sassari, presenta tra il versante settentrionale e quello meridionale notevoli differenze economiche: quello Nuorese ha prevalente importanza agricola, data la diffusione che vi hanno l’olivo ed altre colture legnose, con qualche recente attività turistica concentrata nella nuova borgata balneare di Santa Caterina di Pittinuri; quello cagliaritano, o meglio oristanese, invece, ha un’economia fondata specialmente sulla pastorizia (diffusi i bovini) e sulla silvicoltura che sfrutta tra l’altro i bei castagneti di San Leonardo delle Sette Fonti, centro turistico montano.

    Santu Lussurgiu, con le grige case disposte ad anfiteatro.

    L’altopiano basaltico di Abbasanta con le sue tancas pastorali

    Cùglieri e Scano sono i centri principali del versante settentrionale, Santu Lus-surgiu e Séneghe di quello meridionale. Cùglieri (4400 ab.), la romana Gùrulis Nova (sorta dopo l’abbandono della città costiera di Cornus, di cui rimangono interessanti rovine presso Santa Caterina), distende le sue case tra gli olivi in posizione panoramica lungo il pendio del Colle Bardosu ed ha quindi, ad eccezione del corso che segue una curva di livello, strade ripide, fiancheggiate da case generalmente a più piani, spesso col primo piano a livello di una strada superiore. Nel suo territorio si trova l’interessante Ipogeo di Serrùgiu, scavato in uno strato di tufo trachitico, che risale ad epoca eneolitica ed è costituito da una serie di celle dalle pareti ben lavorate e con decorazioni scolpite. Scano Montiferru (2600 ab.), anch’esso centro di origine romana ma oggi d’aspetto medievale, sorge più in basso, circondato pure dagli olivi. Santu Lussurgiu (3800 ab.) si adagia ad anfiteatro, con le sue brune case di basalto, in una conca verdeggiante di olivi e di castagni; è centro agricolo-forestale, luogo di villeggiatura grazie alla bontà dell’aria e alla ricchezza di sorgenti (tra le quali le ben note acque minerali nella frazione di San Leonardo, contigue all’omonima chiesa duecentesca), ed è sede di artigiani del legno e della lana. Bonàrcado (1800 ab.) è sede di un antico convento camaldolese. Séneghe (2500 ab.), infine, è un villaggio agricolo posto alle falde meridionali del vulcano, tra oliveti e vigneti.

    La media valle del Tirso

    Un tratto del versante destro della media valle del Tirso, compreso tra il Màr-ghine, il Montiferru e il Barigadu, si distacca per i suoi caratteri da tutte e tre queste regioni tradizionali e costituisce pertanto una regione a sè, limitata ad oriente quasi ovunque dal corso del Tirso e dal lago Omodeo. Essa è composta in massima parte da terreni basaltici, al di sotto dei quali affiora una stretta striscia dei calcari miocenici della base, solo a nordest sostituiti da tufi trachitici ed alluvioni quaternarie. Elemento morfologico fondamentale della regione è il vasto altopiano basaltico di Abbasanta, il cui aspetto colpisce l’osservatore per la sua piattezza e la sua monotonia. Si tratta infatti di una superficie piana, inclinata leggermente da nord-ovest a sudest e ancora più leggermente da nord a sud, assai poco accidentata, dato che nessuna bocca di emissione basaltica vi è riconoscibile e le valli sono poco numerose e poco visibili. Solo il bordo dell’altopiano rompe questa monotonia: una scarpata di 100-150 m., incisa qua e là da valli profonde e incassate, precipita sul fondo-valle del Tirso lasciando scoperte sottili strisce di fertili sedimenti miocenici poco resistenti.

    Panorama di Abbasanta.

    Abbasanta e il paesaggio a tancas pastorali sull’altopiano basaltico.

    In relazione con l’attività prevalente, cioè con l’allevamento ovino integrato dalla cerealicoltura, sta il caratteristico tipo di paesaggio agrario: tutta la regione è frammentata in parcelle, dette tancas, dalle forme irregolari, piccole e nude quelle in prossimità dei villaggi, più vaste e cosparse di macchie e qua e là di querce da sughero quelle più lontane; tutte comunque circondate da muri nerastri formati di grossi blocchi di basalto, che raramente presentano delle brecce e che impediscono la visuale a ogni osservatore che non si metta in posizione più elevata, per esempio su un nuraghe. Nella regione si trovano diversi centri di media grandezza, tra i 2000 e i 4000 abitanti, il principale dei quali è il villaggio di Abbasanta (2300 ab.), che deve la sua importanza alla posizione centrale rispetto alla regione ed alla sua funzione di nodo stradale e di centro pastorale con grossi caseifici. Il centro più popoloso è Ghilarza (3600 ab.), grosso borgo commerciale e industriale, seguito da Sèdilo (3000 ab.), situato in pittoresca posizione sul bordo dell’altopiano verso il lago Omodeo, noto per 1’« ardia » che i suoi cavalieri disputano per San Costantino; da Paulilàtino (2900 ab.), che prende il nome da un’antica palude prosciugata nel 1827; e da Bòrore (2600 ab.), posto sulla parte più elevata delFaltopiano di Abbasanta. Ricordiamo infine Ottàna (1900 ab.), antica sede di diocesi passata poi a Nuoro, che si fregia di una splendida chiesa romanica del XII secolo e che oggi è sede di industrie casearie.