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Lineamenti e forme del rilievo

    Lineamenti e forme del rilievo

    Caratteri generali del rilievo

    La modesta altezza media della Sardegna (334 m. contro 568 della Corsica), il suo aspetto complessivamente piatto e la superficie relativamente ristretta (15%) occupata dai rilievi di oltre 500 m. non debbono indurre in inganno: la Sardegna è un paese prevalentemente montuoso, non tanto dal punto di vista altimetrico, quanto da quello morfologico, che effettivamente conta. Senonchè il rilievo sardo non è stato formato come quello alpino o appenninico, da piegamenti e sollevamenti recenti, ma dalle dislocazioni verificatesi nell’antico massiccio con impalcatura granitica rigida, sicché le linee direttrici del rilievo corrispondono alla direzione delle principali fratture. Non vi si trovano, pertanto, delle vere catene montuose ma dei massicci a dossi per lo più arrotondati separati da altopiani o da pianure che dividono l’isola in grandi settori montuosi di diversa altezza e che si possono considerare come altrettante isole di un antico arcipelago saldate di recente da depositi marini e da espandimenti lavici terziari oppure da alluvioni quaternarie. Tali sono le zolle della Gallura e della Nurra a nord, il settore del Gennargentu al centro e quelli del Sàrrabus, dell’Iglesiente e del Sulcis a sud.

    I singoli massicci montuosi hanno per lo più l’aspetto di larghe groppe senza vere cime e coi caratteri della media montagna, avendo altezza modesta che non raggiunge in nessun luogo i 2000 metri. Infatti la vetta più elevata è la Punta La Marmora (1834 m.) nel Gennargentu, ma gli altri maggiori gruppi orografici superano di poco i 1000 metri: tali sono appunto la Punta Balestrieri nel Monte Limbara(i3Ó2 m.) in Gallura, il Monte Rasu (1259 m.) nei Monti del Màrghine-Gocéano, il Monte Serpeddì (1069 m.) nel Sàrrabus, il Monte Linas (1263 m.) nellTglesiente e il Monte Is Caràvius (1116 m.) nel Sulcis. Si contano in tutto una quindicina di questi massicci costituiti per lo più da rocce granitiche o scistose, ma non mancano rilievi calcarei e trachitici. Domina su tutti, non solo per le maggiori altezze ma per la sua vastità, il massiccio del Gennargentu che si estende con un’ampia base nella parte centro-orientale dell’isola e, per essere la zona più difficilmente accessibile e quindi meno toccata dalle influenze straniere, ne costituisce propriamente il cuore. Per la sua lunghezza primeggia invece un rilievo che traversa obliquamente l’isola dal Monte Ferru ai Monti di Alà per un centinaio di chilometri e che è l’unico che abbia apparenza di catena. Esso è formato da varie parti eterogenee per costituzione e per forme e allineate nel senso di una grande frattura con direzione ercinica (sud-ovest-nordest) in cui si è impostato il corso del Tirso, parti che sono le cosiddette Catene del Màrghine e del Gocèano ove si trova la vetta più alta. In effetti si tratta solo del bordo meridionale degli altopiani basaltici, trachitici e granitici fratturati e successivamente inclinati verso nord. Il nome di « catena » si spiega solo per l’aspetto che questi rilievi presentano a chi li guardi dalla valle del Tirso sulla quale si ergono ripidi formando una barriera, un màrgine appunto, di notevole significato anche dal punto di vista antropico.

    La sommità regolare del Gennargentu vista dal passo Correboi

    Lineamenti orografici e zone altimetriche della Sardegna.

    Paesaggio sull’altopiano granitico nuorese chiuso in fondo dalla dorsale calcarea del Monte Albo.

    Posizione particolare hanno i rilievi calcarei mesozoici che fanno corona al Golfo di Orosei e a cui si riallacciano a nord il singolare dosso del Monte Albo (1127 m) e a sud le zolle calcaree alle falde meridionali del Gennargentu.

    Si tratta di grandi frammenti distaccati per frattura dall’altopiano calcareo-giurese che si stendeva dal lato orientale appoggiandosi al Gennargentu e dislocati secondo una tettonica a scaglie.

    Ma il rilievo sardo non può in alcun modo essere ridotto a schemi, in quanto offre una casistica eterogenea che si riflette anche sulle forme delle sommità, varianti con la stratigrafia e la natura della roccia: ampie groppe arrotondate negli scisti, rese qua e là più risentite da locali intrusioni porfiriche; spuntoni o creste dentellate a sierre nei graniti, indicate talora con nomi caratteristici (Monte Sette Fratelli); forme cupoleggianti nei calcari cambrici; torrioni di fattezze dolomitiche nei calcari giuresi ; moli stratificate nelle trachiti costituiscono aspetti particolari che variano localmente il paesaggio.

    La diversità di forme dei rilievi è espressa anche dalla varietà di termini usati per indicarli: bruncu, cùccuru per cime piuttosto arrotondate, contra per forme a cocuzzolo, murru (muso), corru (corno) per cime aguzze e liuru per monti isolati a punta; crastu per spuntoni rocciosi; coroìigiu per rupi con fianchi diruti; mesa (tavola) per forme tabulari; costa o costerà per versanti acclivi ed estesi, sciusciu per dirupi, oltre a molti altri termini più comuni come cabu, pitzu, punta, perda (pietra), rocca, nodu ecc. ed altri ancora indicanti forme particolari che tra poco vedremo.

    Le incisioni e le insellature sommitali a seconda della loro ampiezza e forma sono chiamate pure con vari nomi: arcu, bucca, o ucca, genna o janna (dal latino janua — porta), porta 0 portedda, sedda (sella).

    Anche le colline vengono chiamate con nomi diversi: giba (dall’analogo vocabolo spagnolo significante gobba), cuddighiolu in Gallura e zéppara nella parte meridionale; altare, altària, altina usato dovunque.

    Ma poco estese sono non tanto altimetricamente quanto morfologicamente le zone collinose perchè esse si trovano abbastanza diffuse in tre sole parti dell’isola: nella Nurra (Monte Forte 464 m.) e nella parte centrale del Logudoro (Meilogu) a nord e nel distretto calcareo-marnoso della Marmilla e della Trexenta, posto a sud subito ad oriente del Campidano.

    Paesaggio della Barbagia meridionale (estovest). A sinistra la valle del Flumendosa col tavolato calcareo del Sarcidano, a destra i tacchi calcarei dell’Ogliastra appoggiati ai monti scistosi paleozoici (da Sc/ieu).

    Paesaggio sulla depressione uniforme della Marmilla dominata dalla mole regolare della Giara di Gésturi.

    Le forme predominanti del rilievo sardo sono gli altopiani e i tavolati costituiti da tratti delle antiche superfici di spianamento o lembi più o meno estesi di rocce vulcaniche o sedimentarie che l’hanno ricoperto. Perciò questi altopiani sono assai diversi per grandezza, per altezza e per costituzione litologica. I più caratteristici sono i grandi altopiani granitici che si distendono ininterrottamente dal Limbara ai piedi del Gennargentu: sono gli altopiani di Buddusò, di Bitti, del Nuorese e di Fonni, qua e là rilevati in ampie intumescenze (Monti di Alà 1078 m., Monte Ortobene di Nuoro 955 m.) e sparsi di blocchi rocciosi. Seguono per ampiezza i tavolati trachitici, i maggiori dei quali si trovano a settentrione, nell’Anglona, nel Logudoro e nel bacino del Temo, dove l’erosione li ha spesso scissi in montagne tabulari (Monte Minerva 640 m.); al centro e alla sinistra del Tirso, nonché a mezzogiorno in corrispondenza della piattaforma rocciosa del Sulcis, cui appartengono anche le isole antistanti. Assai ampi e di estrema regolarità sono pure i tavolati basaltici, i maggiori dei quali si stendono sulla destra del Tirso: l’altopiano di Abba-santa tra il Monte Ferru, il Campidano di Oristano e il Màrghine e, al di là di quest’ultimo e a livello più elevato, l’altopiano della Campeda cui fa seguito a occidente quello della Planàrgia. Altopiani basaltici minori sono quelli isolati dall’erosione alle falde orientali del Monte Arci e che sono le giare (Giara di Gésturi, di Serri e di Siddi fino a 6-700 m. di altezza) che si estollono nella parte centrale dell’isola a guisa di poderose fortezze naturali in cui le popolazioni nuragiche si arroccarono. Pianori basaltici, anche estesi, ma poco elevati, sono i gollei notati nelle Baronie tra Dorgali e Orosei.

    L’altopiano granitico di Fonni il più elevato della Sardegna.

    Più imponenti per altezza o per dimensioni sono gli altopiani calcarei che si trovano nell’alta e media valle del Flumendosa, da Làconi all’Ogliastra, e risultanti pure dallo smembramento, per frattura o erosione, della antica formazione sedimentaria secondaria. Questi altopiani sono i tacchi e i tònneri delle Barbàgie, questi stretti e allungati (Monti Tònneri, Tònneri di Tonara), quelli ampi e tozzi che raggiungono le massime dimensioni nell’altopiano del Sarcidano. Talvolta questi resti dell’antica copertura calcarea sono ridotti a semplici testimoni a forma di pittoreschi torrioni isolati, il più noto dei quali è la Perda Liana (1295 m.) presso il lago dell’alto Flumendosa, oppure a forma di fungo e chiamati allora texile come quello di Aritzo (975 ni.). Infine le forme ad altopiano si estendono anche ai rari lembi calcarei arenacei, come quello che forma il Salto di Quirra nella Sardegna sud-orientale che è dominato dalla piramide tronca del Monte Cardìga (676 m.).

    Il dossone porfirico del Monte Perdedu

    Queste forme ad altopiano, poste a diverse altezze dipendono in parte dalla natura e dalla disposizione regolare degli strati rocciosi e in parte notevole dalla presenza di varie superfici di erosione corrispondenti a cicli diversi. Infatti, come dice con sintesi efficace il Vardabasso: «L’interno della Sardegna presenta tuttora, meglio che altrove, le caratteristiche morfologiche di una contrada piegata nel Paleozoico (orogenesi varisca) poi peneplanata, quindi ripresa per nuovi cicli di erosione con spostamenti e deformazioni tettoniche della superficie livellata, riesumata; condizioni che ricordano ad esempio le origini e l’evoluzione del paesaggio della meseta iberica ».

    L’altopiano basaltico di Abbasanta con le sue « tancas » pastorali visto da Macomèr.

    La superficie pianeggiante più elevata è quella degli altopiani granitici nuoresi che si stende sui 900-1000 m. di altezza e all’incirca questa stessa altezza o poco meno hanno molti altri spianamenti minori situati su rocce diverse e in varie parti dell’isola. Di questa antica superficie si trovano anche testimoni granitici isolati che spuntano dagli scisti come il Monte Genis (970 m.) nel Sàrrabus. Si tratta dei resti del penepiano più antico, probabilmente triassico, in rapporto con la demolizione dei rilievi ercinici. Seguono in basso, all’altezza di circa 600 m. lembi di un’altra superficie di spianamento ben visibili in Gallura e nell’Ogliastra, riferibili a un ciclo di erosione pliocenica.

    Paesaggio nei dintorni di Ulàssai con sommità di aspetto dolomitico e, in fondo, il torrione della Perda Liana come testimoni della coltre calcarea giurese sui terreni scistosi paleozoici.

    Il Tacchixeddu con la sua superficie regolare visto da Monte Su Rei.

    Aspetto delle « Serre » granitiche galluresi.

    Paesaggio dell’Anglona nei terreni trachitici tra Castel Sardo e Sédini.

    Può darsi però che lo spianamento miocenico abbia avuto una maggiore importanza e che in alcune parti sia stato innalzato notevolmente dal sollevamento postpliocenico, senza però che questo fatto possa essere esteso a tutta l’isola, come vorrebbe il Pelletier.

    Per quanto riguarda le forme dei rilievi esse, come si è detto, sono varie perchè in rapporto con i caratteri litologici e strutturali. Ma un posto particolare va dato ai rilievi granitici che assumono aspetti caratteristici nelle creste seghettate delle sierre. Esse si trovano in graniti compatti e — secondo il Pelletier, che le ha studiate attentamente — possono avere origine tettonica, erosiva e strutturale. Nella Sardegna nord-orientale, le sìerre strutturali sono le più frequenti poiché sono in rapporto con la presenza dei graniti più duri (granuliti) che l’erosione differenziale ha messo in sporgenza. Ma importanti sono anche quelle tettoniche dovute a faglie che hanno isolato zolle allungate, come la cresta di Aggius che domina la conca tettonica di Tempio e come è forse anche la cresta sommitale del Limbara. Infine le sìerre di erosione si sono formate in corrispondenza dei margini di gradinate divenuti via via più acuti ed elevati, a pùlpito, per sovrescavazione alla base delle scarpate marginali. Vi sono poi delle forme intermedie. In alcuni casi l’origine delle sìerre è dovuta a fattori combinati che danno alle creste aspetti quanto mai suggestivi e vari, come avviene per la cresta che corona il massiccio dei Sette Fratelli, in parte tettonica con evidenti scarpate di faglia e in parte strutturale perchè tagliata in filoni di rocce cristalline più dure.

    I rilievi granitici sono resi irregolari e scabri da forme di dettaglio dovute alla frammentazione della loro superficie in blocchi ricoprenti i pendìi e accumulati qua e là in fantastici ammassi. Gli agenti atmosferici li attaccano scolpendovi, soprattutto per la lenta decomposizione dovuta all’umidità capillare risaliente, nicchie e cavità di ogni grandezza uguali ai tafoni della Corsica e che in Gallura son chiamati conchi. Ai blocchi così scavati si dà il nome di perdas pertuntas (pietre forate), molto comuni nella Gallura, nelle isole della Maddalena e di Caprera, nel Nuorese (Monte Pertunto) e nel massiccio dei Sette Fratelli.

    Vedi Anche:  Struttura, coste e mari della Sardegna

    Paesaggio granitico gallurese presso Arzachena.

    I tafoni scolpiscono i blocchi granitici bizzarramente, aprendovi talvolta cavità tanto grandi da poter essere usate per ricovero di uomini e di bestiame oppure dando loro talvolta delle forme strane, a fungo o a figura di animale, com’è l’orso tagliato nel granito del Capo d’Orso, di fronte a Caprera. Questo scolpimento minuto avviene, ma in minor misura, in altre rocce cristalline come le trachiti e infatti è proprio trachitico lo strano Elefante posto nel retroterra di Castel Sardo.

    Un utile complemento sintetico all’analisi della configurazione verticale dell’isola si può avere osservando l’andamento della linea spartiacque che segna tra il Capo Falcone e il Capo Carbonara la divisione fra i due versanti maggiori, l’uno rivolto al Tirreno e l’altro verso il Mar di Sardegna. Lo spartiacque tocca le massime elevazioni — Limbara, altopiano di Buddusò, Monte Gonari, Arcu Corr’e Boi, Bruncu Spina, Serpeddì e Sette Fratelli — non è sviluppato a catene, ma poggia su massicci separati da altopiani o da modesti dossi, sicché nell’interno dell’isola scende fino a poche centinaia di metri, seguendo un decorso tortuoso tutto spostato verso la costa orientale di modo che i due versanti hanno superficie alquanto ineguale (12.306 kmq. contro 11.494). E tale differenza risulta ancora maggiore ove si tolgano i due versanti settentrionale e meridionale: in tal caso il versante orientale risulta occupare solo il 27,4% della superficie dell’isola e quello occidentale il 35,7%. Questo fatto, unito alla considerazione che al versante minore corrispondono i rilievi più elevati, esprime abbastanza bene la maggiore estensione di colline e pianure e di ampie vallate nella parte occidentale, facilmente penetrabile quindi e accessibile, e invece di aspre montagne compatte e chiuse ad oriente. Giustamente dunque Silio Italico notava che la Sardegna sembra volgere il dorso all’Italia e questo indubbiamente ha aumentato, specie in certe epoche, l’isolamento storico della terra sarda, il che, pur senza sopravalutare la sua importanza, non è stato senza conseguenze sulle vicende dell’isola.

    Il Monte Acuto e il Rio Sa Picocca, nei graniti del Sàrrabus.

    L’orso del Capo d’Orso, scolpito bizzarramente nel granito dagli agenti meteorici.

    Strana forma di degradazione meteorica a forma di elefante in un blocco di trachite sulla strada tra Castel Sardo e Sédini.

    Forme di degradazione testudinate dei graniti in Gallura

    I solchi vallivi e le pianure

    Con le forme per lo più poco contrastate e spesso pianeggianti delle sommità, contrasta la prevalente ripidità dei solchi vallivi sia per la loro origine per lo più tettonica, sia per il ringiovanimento generale del rilievo causato dal sollevamento postpliocenico. Questo, infatti, ha riattivato molto l’attività erosiva dei corsi d’acqua, che hanno inciso profondamente i fondi valle formando spesso gole, forre, meandri incastrati, distinti nella toponomastica con termini assai indicativi: fundale, gurgu, gutturu, oltre a quello generico di badde o baddi (valle). Queste forme scoscese e rocciose delle parti inferiori delle valli rendono il rilievo aspro, pur se di altezza modesta, e danno spesso anche a semplici colline aspetto di montagne. Per questo, mentre in base ai soli caratteri dell’altimetria la Sardegna risulterebbe occupata per il 67% da colline e per il 15% da montagne, considerando gli aspetti morfologici queste ultime hanno la predominanza, stendendosi su quasi metà dell’isola e le vere colline solo su un terzo della superficie totale.

    Le valli dunque, coincidenti col tracciato attuale dei corsi d’acqua, sono in prevalenza di origine tettonica recente, in quanto corrispondono alle linee di frattura che, come si è visto, hanno frammentato il massiccio cristallino e la sua copertura. Ciò vuol dire che non sono stati i fiumi a creare le vallate, ma viceversa le acque superficiali a essere convogliate nelle zone depresse per dislocazione.

    La fossa dei Campidani che per l’ampiezza e la regolarità del suo fondo costituisce una vera, grande pianura è solcata da due modesti corsi d’acqua con direzioni opposte il Flumini Mannu di Samassi che si dirige verso Cagliari e il Flumini Mannu di Pabillonis che va verso Oristano, semplici canali di raccolta di numerosi rivi provenienti soprattutto dai rilievi orientali. Anche la contigua valle ove scorre il Cixerri è parzialmente tettonica. Ma impostazione tettonica hanno soprattutto le valli dei maggiori fiumi sardi: il Tirso, che segue nel suo corso medio la zona di sprofondamento recente parallela ai Monti del Màrghine; il Flumendosa che attraversa nella parte media una frattura in senso nordsud parallela alla costa orientale e nella parte bassa una frattura in senso nordovest-sudest; il Coghinas che occupa pure un largo solco grossolanamente parallelo a quello del Tirso e nell’ultimo tratto piega ad angolo retto ricalcando un’antica valle trasversale d’erosione scavata tra la regione granitica della Gallura e quella trachitica dell’Anglona.

    Tra i fiumi minori sono in rapporto con disturbi tettonici il Temo, incanalatosi entro le colate trachitiche dislocate e il Cedrino con l’Isalle convogliato al mare dagli sprofondamenti del settore vulcanico del Golfo di Orosei.

    Non mancano però esempi di profonde valli di erosione da interpretare come eredità di un antico sistema idrografico formatosi nella copertura calcarea del massiccio cristallino e progressivamente approfondito: così si sono formate molte valli sovrimposte, come quelle dell’alto Tirso e del Cedrino stesso e quelle ancora più tipiche del Taloro, dell’Araxisi, del Posada, del basso Mulargia, tutti con numerosi meandri incassati.

    Altri corsi d’acqua minori hanno corso recente che scende al mare seguendo il senso della pendenza e le parti più basse di ampie superfici periferiche, come il Rio Mannu di Porto Torres a nord e il Rio Palmas a sud. Da ciò risulta chiaramente che, come al rilievo, anche alla rete idrografica sarda manca uniformità di sviluppo, in quanto la formazione e l’evoluzione di ogni bacino è in rapporto con particolari vicende che vi si sono verificate nel corso dei tempi geologici.

    La presenza di così numerosi e profondi solchi vallivi ha avuto conseguenze assai importanti sui fatti umani in quanto essi hanno spesso costituito, invece che vie naturali di comunicazione, ostacoli gravi alla circolazione, esercitando una considerevole azione separatrice e quindi la divisione dell’isola in cantoni rimasti appartati per secoli.

    Poco meno di 1/5 della superficie della Sardegna è formata da pianure, risultanti in gran parte dal colmamento di depressioni di origine tettonica. La parte maggiore di questa superficie è presa dal Campidano, anzi dai Campidani che si stendono dal Golfo di Cagliari a quello di Oristano, su una lunghezza di circa no km. e con una larghezza tra 15 e 25 chilometri. Questa grande e caratteristica pianura fiancheggiata in tutta la sua lunghezza da due spalliere di monti e colline, occupa il fondo della grande fossa tettonica terziaria ed ha molti punti di somiglianza con la fossa del Reno, ricolmata da depositi diluviali ed alluvionali modellati ad ampi terrazzi di regolarità estrema.

    La fossa tettonica della media valle del Tirso (nordest – sudovest). A destra il tavolato granitico di Nule; a sinistra i Monti del Màr-ghine con il tavolato basaltico. beta, basalto; T, trachite; G, granito. La potenza del basalto e della trachite è esagerata. La sezione anteriore schematizza la valle del Tirso presso la diga (da Scheu).

    Origine in parte analoga ha la piana della Nurra, a occidente di Porto Torres che si stende pure da un mare all’altro tra il Golfo dell’Asinara e la rada di Alghero. Oltre a queste due pianure che sono le più grandi dell’isola, se ne trovano alcune minori, le une poste nell’interno e circondate da rilievi, le altre periferiche, costiere.

    La valle del Rio Pardu in Ogliastra scavata nei terreni scistosi (filladi) paleozoici.

    La pianura alluvionale del Posada.

    Le pianure interne, chiamate spesso « campi », hanno avuto origine dal parziale svuotamento per l’erosione dei corsi d’acqua, di bacini ricolmi di tufi, vulcanici o di sedimenti marnosi. Tali sono nella parte settentrionale il Campo di Ozieri o Campo di Chilivani, il Campo Giavesu, il Campo di Santa Lucia di Bonorva, il Campo Làzzari e nella parte meridionale i bacini della Trexenta e della Marmilla, adiacenti al Campidano.

    Le pianure costiere non sono molto estese e coincidono con lo sbocco dei fiumi che le hanno costruite coi loro detriti. Esse si trovano soprattutto lungo la costa orientale e settentrionale e tra esse sono da ricordare quelle del Flumendosa, del Rio di Quirra, del Cedrino, del Posada e del Coghinas (Campo Coghinas) e a sud la pianura del Rio Palmas, ma ad esse si può unire la vasta Piana di Oristano, costruita per la sua parte settentrionale dal Tirso.

    Nelle pianure appaiono sistemi di terrazzi scaglionati ad altezza diversa secondo le vicende tettoniche locali, ma per lo più intorno a 100 e 200 m. e ai livelli di 70-80, 30-40, 20-30 e 10-15 metri. Quelli inferiori sono alluvionali mentre quelli superiori sono lembi di antiche superfici d’erosione in roccia talvolta innalzati da dislocazioni successive. I più sviluppati e regolari dei terrazzi si trovano nel Campidano in tre ordini distinti e presentano spesso un’inclinazione da nordest a sud-ovest in rapporto con la subsidenza recente del Campidano sud-occidentale. Cosi il grande terrazzo campidanese, largo fino a io km. è alto un centinaio di metri presso Sanluri, 50 intorno a Serramanna e solo 35 a Villasor.

    Il Pranu Su Nurache, nella pianura di Muravera con le caratteristiche siepi di fichi d’india.

    Paesaggio della Marmilla dal Nuraghe Su Nuraxi di Barumini. Bacino di erosione dovuto a escavazione dei terreni miocenici testimoniata dal Colle di Las Plassas, che appare in fondo.

    Ma bellissimi sono anche i terrazzi dei bacini terziari (Marmilla, Trexenta, Logudoro, Anglona), dove si è verificata in varie fasi a datare dal Pliocene un’erosione molto intensa, facilitata dall’erodibilità dei sedimenti (marnosi, argillosi, arenacei o tufacei), per effetto del notevole sollevamento subito da queste regioni con sbandamenti verso le zone più depresse.

    Le pianure maggiori presentano pertanto aspetti diversi nelle loro varie parti : strisce alluvionali recenti depresse nella parte centrale, zone terrazzate a vari livelli nelle alluvioni antiche, ventagli di conoidi di deiezione nei tratti pedemontani ai piedi di alti versanti scoscesi in disgregazione, come quella del Campidano occidentale risalente al Wurmiano.

    La presenza di questi terrazzamenti ha attenuato alquanto le sfavorevoli condizioni delle pianure, rese acquitrinose nelle parti più depresse o nelle fronti litoranee dalle inondazioni dei fiumi o da stagni costieri e perciò disertate fino a pochi anni or sono dalle popolazioni malgrado la fertilità dei loro terreni. In tali condizioni l’insediamento umano e la viabilità hanno spesso tenuto conto delle migliori possibilità che i terrazzi alluvionali offrivano.

    I gruppi orografici e i loro aspetti geomorfologici

    Data la frammentazione del rilievo in gruppi con fisionomia tanto diversa, occorre procedere a una loro breve descrizione anche perchè, avendo la ripartizione regionale della Sardegna base essenzialmente geomorfologica, l’analisi anche sommaria dei lineamenti verticali, varrà a constatare e precisare l’individualità delle regioni.

    Considerando la differenza esistente tra la configurazione verticale delle due metà longitudinali dell’isola e formando i rilievi orientali un unico complesso, è opportuno descriverli per primi nella loro interezza per poi esaminare quelli della parte occidentale.

    Terrazzi del Campidano di Cagliari tra Sinnai e Selàrgius.

    Un solco ben marcato, allungato da Olbia a Ozieri, attraverso la sella tettonica di Monti (290 m.) e seguito dalla ferrovia principale sarda, limita insieme al solco trasversale del basso Coghinas il gruppo montuoso occupante l’angolo nord-orientale dell’isola. Le sue direttrici principali sono quelle erciniche da sudovest a nordest e si sviluppano nella regione chiamata propriamente Gallura. Tale gruppo è dominato dal massiccio del Limbara con gli attigui Monti Ultana che scende ripido verso sud nelle depressioni del Coghinas e del Padrogiano mentre poggia a nord sull’altopiano di Tempio, con i margini rilevati per erosione differenziale degradanti al mare con gradinate successive. Si tratta di un insieme compatto di montagne granitiche con cime ardite e scabre a guglie, a piramidi a serre bizzarramente dentellate che gareggiano per la loro asprezza con quelle della vicina Corsica. Dalle vette più elevate del Limbara, la Punta Balestrieri (1362 m.) e la Cima del Giu-gantino (1359 m.), lo sguardo spazia su un ampio panorama che va dalla Corsica al Gennargentu e dall’Asinara al Golfo di Olbia.

    Vedi Anche:  Tradizioni, letteratura, usi e costumi

    Al di là della depressione Olbia-Ozieri i Monti di Alà che salgono fin verso i 1100 m. (Monte Lerno 1094 m., Punta di Senalonga 1076 m.) portano a un ampio altopiano granitico ondulato sugli 800-900 m. di altezza, l’altopiano di Buddusò e di Bitti da cui, verso occidente, ha origine il Tirso. Vi si connettono da questo lato, a guisa di propaggini, i Monti del Gocéano e del Màrghine, alquanto più alti (Monte Rasu 1250 m.) e costituenti fino alla Sella di Macomér (530 m.) il più lungo e regolare allineamento montano dell’isola (oltre 100 m.). Anch’esso ha direzione sudovest-nordest e, avendo subito uno sbandamento verso nord, strapiomba ripido sulla Valle del Tirso. Con la stessa direzione, ma dal lato opposto, verso il Tirreno, si ergono il gran dosso calcareo carsificato del Monte Albo (Punta Catirina 1127 m.) e accanto quello scistoso, più basso del Monte Rémule (Monte Senes 863 m.), costituenti i maggiori rilievi delle Baronie.

    I vasti e regolari altopiani granitici di Buddusò e di Bitti e quelli contigui più elevati del Nuorese e di Fonni collegano il gruppo montuoso settentrionale con quello centrale, da cui però lo distinguono ai lati due solchi profondi seguiti dalla grande strada trasversale sarda: la Valle del Cedrino-Isalle, dal mare a Nuoro, e la Valle del Nùrdole e del Liscoi da Nuoro al Tirso. Ciò indica già la particolare importanza che ha Nuoro, a dominio del passaggio tra le due fronti nella parte centrale dell’isola. Da qui verso oriente si sviluppa una propaggine granitica che culmina col Monte Ortobene, ardito testimonio dell’antica superficie di erosione sul migliaio di metri, e giunge incisa dalla Val d’Isalle fino a Capo Cornino.

    Il settore montuoso centrale è più compatto e formato da massicci allineati in senso meridiano. Vi si trova il gruppo orografico più ampio e più elevato della Sardegna di cui rappresenta il cuore e costituisce in complesso la Barbògia. Ne forma la parte essenziale il massiccio filladico del Gennargentu, dominato da ampie gobbe su cui spiccano le vette più alte dell’isola (Punta La Marmora 1834 m. e Bruncu Spina 1829 m.) corrispondenti a filoni porfirici ben visibili da lungi anche perchè coperte di neve per buona parte dell’anno. Ad esse si accede facilmente dal villaggio di Désulo, posto alle loro falde boscose occidentali : di lassù si dispiega la visione di tutta l’isola battuta dal mare e più lontano appaiono le cime azzurrine ed alpestri della Corsica cui si affiancano i lineamenti delle coste toscane.

    La maestosa mole calcarea del Monte Corrasi (1463 m.) ai cui piedi giace Oliena.

    Tutto intorno al massiccio del Gennargentu sventagliano le propaggini ed i contrafforti, più elevati e acclivi verso oriente e settentrione, più bassi e dolci ad occidente; da questa parte essi spianano intorno ai 6-700 m. a formare il pittoresco altopiano granitico del Mandrolisai, il cui bordo scende poi fino alla sponda sinistra del Tirso ed al Lago Omodeo. Verso nord si staccano i monti della Barbagia Ollolài, tra i quali spicca il Monte Spada 1626 m.), che terminano con l’aguzzo Monte di Nostra Signora di Gonari (1083 m.), il monte centrale della Sardegna che ha in cima un antico e famoso santuario. Ad est di Fonni, oltre il Passo Correboi (il più alto dell’isola 1235 m.), o meglio Corru’e boi (corno di bue, per la sua sezione lunata) collegante la valle del Flumineddu-Cedrino con quella del Flumendosa e del Taloro-Tirso, si stende la catena omonima, coperta da una coltre calcarea che si affaccia alla fine sulla Valle di Oliena con le bianche pareti strapiombanti dal Monte Corrasi (1463 m.). Una sua sottile propaggine giunge verso nord fino alla zolla mono-clinale del Monte Tuttavista di Orosei (805 m.) sbandata verso il Tirreno. A nord-est il massiccio si prolunga col settore montano sempre filladico del Monte Genziana, cui segue il poderoso spalto calcareo che fa corona pittoresca al Golfo di Orosei su cui talune cime scoscendono con scogliere selvagge come il Monte Bàrdia (882 m.), il Monte Tului (915 m.) e il Monte Santo di Baunei (811 m.). A mezzogiorno, dopo i monti nudi e deserti della Barbagia di Beivi, le falde del Gennargentu sono incise trasversalmente dal corso tortuoso dell’alto Flumendosa che taglia la colata porfirica del Monte Perdedu, oltre il quale si stendono i selvaggi rilievi della Barbagia Senio. Qui le placche di calcari e dolomie secondarie svariano il paesaggio coi ben noti tacchi e i tònneri raggiungendo e superando talvolta i 1300 m. di altezza (Monte Tònneri 1223 m., Perda Liana 1293 m.), le cui pareti strapiombanti e nude assumono in più punti aspetti dolomitici come nei tacchi di Sàdali e di Ulàssai (1004 m.). Estrema propaggine del massiccio barbaricino è il Monte Santa Vittoria (1212 m.), gran gobba porfiroide che si erge sull’ampia base filladica tra il medio Flumendosa e il Flumineddu.

    I Monti Ulàssai con versanti scistosi sormontati da poderose rupi calcaree mesozoiche.

    La massiccia mole del Monte Minerva nel quadro del paesaggio trachitico dell’altopiano di Villanova.

    Sul lato orientale i bordi del massiccio formano un ampio anfiteatro essenzialmente granitico e aperto largamente sul mare, costituente nel suo insieme il cuore dell’gliastra. Esso è dominato da una serie di vette scistose sui 1200 m. di altezza (Monte Idolo, Monte Armidda, Monte Tricoli) e si appoggia a sud all’ampia cupola porfirica del Monte Ferru (875 m.). Verso sud-ovest i rilievi centrali si continuano alla destra del Flumendosa col vasto e regolare altopiano calcareo del Sarcidano (o S’Arridano come taluni scrivono) il più grande di tutti, culminante col Monte Coromedus (893 m.).    Poco a sud di esso appaiono nel Monte Guzzini e nel Planumuru (763 m.) due apparati vulcanici basaltici che, insieme all’ampia depressione tettonica contigua in cui scorrono il Mulargia e il basso Flumendosa segna il passaggio da questo lato verso la regione collinosa terziaria. È qui che il contrasto tra la « vecchia » e la « nuova » Sardegna si presenta particolarmente evidente e suggestivo.

    La Scala di Giocca (cioè a chiocciola) come esempio dei profondi valloni che incidono l’altopiano calcareo sassarese.

    I rilievi della cùspide sud-orientale, tra il basso Flumendosa e il Golfo di Cagliari si estollono in piccoli massicci e in altopiani di media altezza (500-600 m.) con alcuni rilievi isolati dominanti. Uno di questi massicci tabulari costituisce il Gerréi, regione scistoso-calcarea, dominata dal Monte Ixi (839 m.) e dal testimone granitico del Monte Génis o Gennas (979 m.). Altri due massicci si trovano nel Sàrrabus e sono divisi dalla pittoresca Valle del Rio Cannas: l’uno, a nord, è quello scistoso del Serpeddì, culminante con la vetta porfìrica omonima a 1069 m., e l’altro è quello granitico dei Sette Fratelli (1023 m.), detto così dalla sierra con vari spuntoni dioritici che si estollono da sottostanti ripiani deformati, costituendone la vetta dentellata, ben visibile anche da Cagliari.

    Molto diversa è la plastica della metà occidentale dell’isola che ha rilievi raccolti in gruppi più numerosi, nettamente separati da pianure e da zolle collinari, formatisi per gran parte in epoca recente e le cui forme ad altopiano sono anche più frequenti. All’estremità settentrionale si affiancano al massiccio gallurese, subito alla sinistra del Coghinas, i pianori del complesso trachitico che costituiscono il tratto più caratteristico dell’intero angolo nord-occidentale dell’isola fino al Temo, esclusa solo la sua punta estrema. Tale è appunto l’aspetto che hanno i rilievi de\Y Anglona, per lo più allungati da nordest a sudovest e di altezza modesta che si succedono dal Campo d’Ozieri al mare alternati con depressioni tufacee su cui si estollono i caratteristici monti tabulari Sassu (640 m.) e Planu su Sassittu (490 m.) e il colle di Nostra Signora di Bonària, presso Ósilo (767 m.) da cui degradano al mare fino al promontorio di Castel Sardo. Agli altopiani trachitici seguono verso occidente gli altopiani calcarei più bassi e più estesi del Sassarese, declinanti verso il mare e incisi dai corsi d’acqua con solchi profondi risaliti dalle strade con ripide rampe come alla Scala di Giocca. Invece verso sud, oltre la Sella di Ploaghe (427 m.), si apre la depressione del Logudoro, ove le ondulazioni calcaree sono sormontate da numerosi pianori basaltici isolati, tra cui dominano quelli del Monte Pelao (740 m.) e del Monte Santo (733 m.), a nord di Mores, e da parecchi coni e conetti vulcanici recenti, come il Monte Pubulema (461 m.), il Monte Austiddu e quello di San Matteo di Ploaghe (429 m.) a formare il caratteristico paesaggio della cosiddetta Alvernia sarda.

    Più alti e più estesi sono gli altopiani ancora di natura trachitica, tra il Logudoro e il mare, che    sono complessivamente    allineati da Nord a Sud,    ai due lati della Valle del Temo e, essendo sbandati verso l’interno, aumentano di altezza verso il mare (Monte Mannu 802 m.), Pedra Ettori (718 m.), al quale scoscendono con imponenti gradinate. Al centro di questa regione accidentata, si erge la maestosa mole trachitica del Monte Minerva (640 m.) massiccio strutturale facilmente riconoscibile per la sua superficie tabulare regolarissima e perciò punto di riferimento importante.

    Fanno parte a sè i rilievi della cùspide nord-occidentale della Sardegna e cioè della Nurra, perchè costituiti da un gruppo di colline sui 3-400 m. di altezza dominate dal Monte Forte (464 m.) e dal Monte Doglia (437 m.) e formate a oriente da calcari secondari e ad occidente, al di là d’una netta frattura, da una larga dorsale scistosa e arenacea paleozoica che si continua nella vicina isola dell’Asinara.

    Verso, sud, passato il basso Temo, subentrano alle colline scavate del Logudoro i grandi pianori basaltici della Planargia e della Campeda, che si elevano progressivamente fino a culminare nella massa poderosa del Monte Ferru. Si tratta del maggiore degli antichi apparati vulcanici della Sardegna, costituito come è da un insieme di rocce trachitiche e basaltiche bizzarramente compenetrate che si elevano fino a 1050 m. col Monte Urtigu, coronato da ciglioni dirupati. Tutto intorno le lave basaltiche emesse per ultime dal vulcano si sono espanse a formare vasti altopiani di roccia scura e scabra disposti in due livelli diversi: uno più alto sui 5-650 m., a nord del Màrghine, rappresentato dal Plano de Murtas e dalla Campeda, e uno a sud più basso sui 3-400 m. che è l’altopiano di Abbasanta, lambito ai suoi bordi dal Tirso. Questi rilievi basaltici raggiungono la massima altezza al centro, nel Monte Sant’Antonio (805 m.) costituendo un ampio dosso che, raccordandosi ai monti del Màrghine e del Gocèano completa lo sbarramento separante la Sardegna centro-meridionale, cioè il Capo di Sotto o Capo di Cagliari, da quella settentrionale che è il Capo di Sopra o Capo di Sassari con caratteri antropici assai diversi. Questo diaframma orografico, che ha avuto grande significato storico e politico, consente un passaggio abbastanza facile solo in corrispondenza della Sella di Ma-comèr (530 m.) che è pertanto il più importante punto di passaggio obbligato dell’isola sia per le principali vie di comunicazione longitudinali che per quelle trasversali, le quali appunto si incrociano in sua corrispondenza.

    Proprio dalle pendici meridionali del Monte Ferru ha inizio la vasta pianura alluvionale terrazzata del Campidano che prosegue continua fino al Golfo di Cagliari tra due serie di rilievi, costituenti i due pilastri tettonici della grande fossa. Mentre ad occidente della piana si ergono immediati i monti paleozoici dell’Iglesiente, dall’altro lato, tra la pianura e i maggiori rilievi orientali antichi, si frappone una fascia pressoché continua di colline, che raggiunge l’ampiezza massima di circa 35 km. tra Sàrdara ed Isili e la minima, di neppure 10 km. all’altezza di Monastir. Si tratta di bacini terziari svariati da dossi e colli e fertili conche marnose costituenti il cuore delle tre regioni di Arborèa, Marmilla e Trexenta, succedentisi da nord a sud. La complessiva uniformità di questa vasta plaga è rotta solo, verso la sua parte settentrionale dalle poderose moli delle giare, i noti altopiani basaltici dalla regolarissima sommità tabulare sui 6-700 m. di altezza, il più esteso dei quali è il Planu Sa Giara o giara di Gésturi (609 m.) e il più alto la contigua giara di Serri (703 m.) entrambi veri monumenti della geografia e della preistoria sarda. Il bastione vulcanico del Monte Arci, con la sua massa trachitica e basaltica, culminante con le due punte di Trébina longa (trébina = treppiede) alta 812 m. e Trébina Lada (795 m.), chiude verso occidente la regione delle giare, separandola dalla contigua pianura.

    Vedi Anche:  Densità ed emigrazione della popolazione

    Paesaggio nella Valle del Cixerri con la Punta di San Michele (908 m.) nei calcari cambrici Domusnovas.

    L’ultimo gruppo orografico occupante l’intero angolo sud-occidentale dell’isola, cui si può dare genericamente il nome di gruppo iglesiente, è uno dei più vasti e dei più complessi per qualità di rocce e per aspetti morfologici e certo il più importante per le ricchezze minerarie che racchiude. In realtà esso consta di due massicci alquanto diversi separati dall’ampia depressione trasversale in cui scorre il rio Cixerri, continuata verso il mare dalla Sella di San Giovanni e dalla breve Valle del Flumentépido. Il massiccio settentrionale, che è l’Iglesiente in senso stretto, è il più compatto ed elevato, dominato com’è dal dosso scistoso principale disteso tra il Monte Linas (Perda de sa Mesa 1236 m.) e la Punta Cuccurdoni Mannu (910 m.) riposante su un grande ellissoide granitico messo allo scoperto dall’erosione nella sua parte centro-orientale a costituire la conca di Arbus e vari rilievi. Tutt’intorno si trovano varie cime superanti i iooo m., come la Punta Santu Miali sopra Villa-cidro e la Punta Mugusu dal lato del Campidano, e propaggini elevate specialmente verso sud, dove la mole calcarea del Monte Marganai (906 m.) si affaccia sulla Valle del Cixerri. A nord invece i rilievi si abbassano di più, ma hanno forme montane nell’Arcuentu (785 m.) detto dei marinai « pòllice di Oristano » per la sua vetta arcuata e ove un tratto della cresta delinea uno strano profilo umano, il ben noto « profilo di Napoleone » prodotto dalle dentellature incise dall’erosione in una massa di conglomerati basaltici recenti. Paesaggio più blando e uniforme offrono nella zona di Iglesias le colline arenacee del Carbonifero, con una serie di groppe che solo in pochi punti s’innalzano fin quasi a 700 m. (Monte San Pietro 661 m.).

    Il massiccio meridionale consta di una serie di cime intorno ai 1000-1100 m. di altezza, allineate a formare una dorsale, diretta da nord a sud culminante col Monte is Caràvius (1116 m.), con la Punta Maxia (1017 m.) e con Punta Sébera (979 m.) che con le sue propaggini divide la tozza penisola, compresa tra i golfi di Cagliari e di Palmas in due parti ineguali. Quella orientale, con aspri rilievi essenzialmente granitici e arenacei (Monte Arcosu 948 m. Monte Santo di Pula 864 m.) costituisce il complesso orografico del Capoterra. Quella occidentale, insieme al dosso scistoso calcareo càmbrico del Monte Orri (723 m.) distinto dal Colle di Campanasissa e posto lungo il Cixerri, forma i monti del Sulcis, disposti ad ampio anfiteatro racchiudente una conca rigata dal fiume Palmas coi suoi affluenti. Sul fondo della conca tettonica sulcitana si elevano caratteristici rilievi tabulari, di aspetto simile alle giare ma col pianoro sommitale formato da lave andesitiche, il maggiore dei quali è il Monte di Narcao, alto non più di 481 metri. Verso la costa invece si stende un vasto tavolato trachitico che si continua nelle vicine isole di San Pietro e di Sant’An-tìoco, ove raggiunge altezze modeste al Colle di Perdas de Fogu (271 m.) in quest’ultima e 211 m. alla Guardia dei Mori nella prima, per scendere poi a picco nel Mare di Sardegna.

    Il carsismo. Le grotte e le frane.

    Pur essendo le formazioni calcaree relativamente poco estese, occupando neppure un decimo della superficie, si trovano nell’isola numerosi e importanti fenomeni carsici (grotte, doline, acque sotterranee) ed in alcune parti si nota un vero paesaggio carsico. Il grado e il tipo di incarsimento dipendono dalla diversa qualità, spessore, estensione e giacitura dei singoli affioramenti calcarei, nonché dalla loro età, cioè dalla durata della loro emersione. Da un punto di vista generale si può dire che la giacitura per lo più disturbata da dislocazioni e l’estensione ridotta dei calcari e delle dolomie, se ha facilitato lo sviluppo di profondi solchi superficiali separati da creste sottili, cioè dai campi solcati, ed anche di crepacci, di inghiottitoi e di grotte, ha ostacolato la formazione di cavità superficiali maggiori come le doline, sicché la morfologia carsica interna, ipogea prevale largamente su quella esterna. I massicci calcarei sono attraversati da grotte e caverne percorse da corsi d’acqua sotterranei che tornano spesso a giorno alla base dei rilievi in risorgenze carsiche anche abbondanti di grande interesse pratico: si può dire anzi che le maggiori sorgenti dell’isola siano proprio di tipo carsico.

    Nel laghetto interno della Grotta di Nettuno, presso Capo Caccia

    Un aspetto suggestivo della Grotta del Bue Marino, in Ogliastra.

    I fenomeni carsici si verificano nei calcari delle età più diverse. Nell’Iglesiente i calcari cambrici formano montagne nude (Marganai, Malfidano) incise da crepacci e inghiottitoi e attraversate da caverne e grotte tra le quali ben nota quella di San Giovanni presso Domusnovas da cui esce una grossa sorgente che rifornisce di acqua Cagliari. Ma il modellamento carsico ha raggiunto il massimo sviluppo in corrispondenza delle zolle di calcari massicci, poste intorno al Golfo di Orosei e nella Nurra di Alghero. I monti della parte centro-orientale dell’isola come quelli di Oliena e di Dorgàli e il Monte Albo hanno superfici tormentate da aspri campi solcati, divise da profonde e strette valli asciutte e presentano doline di cui una detta Suercone, ubicata nei pressi di Dorgàli, è la più grande della Sardegna. Un vero polje, il Piano di Abba Foridda, si trova nell’altopiano calcareo sopra Osini.

    Un bell’esempio di corso d’acqua sotterraneo si trova alle falde calcaree del Monte Cardiga nel Salto di Quirra; qui il Rio S’Angurtidorgiu mannu (Inghiottitoio grande) viene inghiottito e dopo un percorso sotterraneo di circa 3,8 km. in una grotta galleria che da esso prende nome e fornita di laghetti e aiuole stalagmitiche ricompare più in basso in due risorgenti, di cui la maggiore è quella detta Can-neddas de Tuvulu.

    Assai numerose invece, sono caverne, grotte e voragini anche con laghetti sotterranei e sorgenti carsiche poderose come quella di Cologone che è la maggiore dell’isola e quella di Lóccoli presso Siniscola. Queste grotte, molte delle quali attendono ancora di essere esplorate, hanno talvolta nomi caratteristici, come su Stampu (il buco), sa Nurra (la voragine), sa Oche (la voce), su Bentu (il vento) alludenti queste ai rumori causati dal movimento tumultuoso delle acque sotterranee e alle correnti d’aria che si stabiliscono tra l’esterno e l’interno.

    Le grotte di sa Oche e su Bentu nella Valle del Lanaittu e tra loro comunicanti, a sud di Dorgàli, costituiscono il complesso maggiore finora conosciuto di tutta l’isola e dell’Italia intera poiché, pur essendo ancora in corso di esplorazione, vi è stata già raggiunta la profondità di 400 m. e le grotte si sviluppano per una lunghezza di 6,5 km., con una serie di grandiosi ambienti sotterranei ricchi di laghetti (oltre 30), stalattiti, stalagmiti e percorsi da un fiumicello ricco di acque.

    Nei tacchi dell’Ogliastra e della Barbàgia, come avviene del resto più di frequente, le grotte hanno prevalente sviluppo orizzontale per il modesto spessore che qui hanno in genere le formazioni calcaree. Proprio in Ogliastra, vicino al villaggio di Ulàssai si trova la ben nota grotta di Su Màrmuri (cioè del marmo, alludendo alle sue bianche stalattiti) che è una delle più belle, sviluppandosi per quasi un chilometro con ampie sale alte fino a 80 m. e con un laghetto interno.

    Un’altra tra le più rinomate grotte della Sardegna è quella di Is Ianas, nei pressi di Sàdali in Barbàgia, con bellissime stalattiti e in cui vivono, come in molte altre grotte sarde, dei coleotteri ciechi. Anche nelle formazioni calcaree mioceniche del Sassarese e del Cagliaritano si trovano grotte che acquistano un certo sviluppo nei piccoli altopiani calcarei del Logudoro e dell’Anglona da un lato e nel Capo Sant’Elia dall’altro. Ben note sono pure la grotta Su Coloru presso Laerru e quella dell’Inferno, presso Sassari.

    Un caso particolare è offerto da grotte costiere scavate dal mare che sono numerose ma piccole mentre alcune di grandi dimensioni hanno origine carsica e per effetto di una sommersione recente sono state inondate costituendo motivi di interesse e di attrazione. Queste grotte litoranee si trovano, si può dire, in tutti i lembi calcarei che si affacciano sulla costa. Tra esse sono ben note quelle che si aprono numerose sul Golfo di Orosei, di cui la più rinomata e sviluppata (oltre 4 km.) è la grotta del Bue Marino, presso Cala Gonone, cosiddetta perchè rifugio di foche, come un tempo altre grotte costiere dello stesso nome. Meglio note sono le grotte del Capo Caccia nei pressi di Alghero, la più famosa delle quali per grandiosità e bellezza è la Grotta di Nettuno, nel cui interno si trova un laghetto di acqua salata considerato il maggior lago ipogeo d’Italia (Lago La Marmora 130X50 m.) e il secondo del Mediterraneo. Essa si sviluppa per oltre 800 m. in un susseguirsi di corridoi e saloni per tutta la lunghezza del promontorio ed è in comunicazione con la contigua Grotta Verde o dell’Altare. Anche nella vicina isola Foradada si trova una grotta chiamata la Grotta dei Palombi, che perfora l’isoletta dandole così il nome. Altra grotta molto nota, scavata pure nel promontorio di Capo Caccia è la Grotta dei Ricami, cosiddetta per l’abbondanza di bianche concrezioni cristalline e di snelle stalattiti. Le altre grotte marine sono di piccole dimensioni, ma hanno talvolta notevole interesse perchè vi sono stati trovati reperti preistorici, come è avvenuto per le grotte del promontorio Sant’Elia, vicino a Cagliari.

    I terreni franosi nelle filladi intorno a Gàiro in Ogliastra. In basso si trova il vecchio centro e in alto la sua parte nuova.

    Nelle altre rocce le cavità sono più rare e di piccole dimensioni. Si tratta soprattutto di caverne scavate nei graniti e nelle trachiti dove si aprono più spesso semplici incavature, nicchie e tafoni.

    In complesso l’elenco catastale delle grotte sarde, compilato dal Forreddu, ne riporta 353, ma il loro numero è certamente superiore, dato che un’esplorazione speleologica sistematica è stata intrapresa solo da poco tempo. Tale esplorazione assume particolare importanza perchè le grotte e le caverne hanno offerto eccellenti e assai sfruttati ricoveri naturali per gli uomini e gli animali, sicché vi si sono trovati più volte interessanti reperti umani preistorici e tracce di faune relitte.

    Un fenomeno importante, connesso col carsismo, si riscontra nei tacchi del-l’Ogliastra, dove l’infiltrazione delle acque carsiche e il loro affioramento al contatto dei calcari con l’imbasamento scistoso provocano sui bordi degli altopiani il distacco e il crollo di grandi masse di roccia che precipitano nel fondo valle e si accumulano lungo i ripidi versanti. Grandiose frane di questo genere si verificano comunemente secondo un processo iniziatosi in epoca antica lungo le pareti dei tacchi dell’Oglia-stra nei dintorni di Tertenia, Jerzu, Ulàssai e Osini ed anzi quest’ultimo villaggio è stato costretto a spostarsi in luogo più sicuro. Frane dello stesso tipo si verificano sui fianchi dei monti calcarei intorno al Golfo di Orosei ed anche in corrispondenza dei ciglioni basaltici delle giare e delle colate basaltiche del Monte Ferru e del Monte Arci.

    Le frane più notevoli si verificano però negli scisti argillosi alterati o incoerenti soprattutto durante e dopo la stagione delle piogge e lo sciogliersi delle nevi che inzuppano il terreno facendone scivolare masse anche ingenti lungo i pendii più ripidi. I punti più colpiti da queste frane di smottamento e scivolamento sono i fianchi del Gennargentu e l’Ogliastra dove alcuni villaggi tra cui Désulo, Gonari, Aritzo, Beivi da un lato e Gàiro dall’altro (nella valle del Rio Pardu ogliastrino) hanno subìto a più riprese danni notevoli. I persistenti e gravi scivolamenti del terreno, favoriti dalla disposizione a franapoggio degli strati scistosi, hanno costretto a spostare alcuni abitati essendosi dovute abbandonare le loro parti basse più antiche che sono state trasferite in punti più elevati oppure addirittura, come nel caso di Gàiro a ricostruire il paese in altra località più stabile.

    Tuttavia sia le frane che, in genere, l’erosione del suolo hanno in Sardegna scarsa importanza rispetto ad altre regioni italiane perchè, data la particolare morfologia dell’isola, i dislivelli forti in rocce erodibili, sono piuttosto rari.