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Struttura, coste e mari della Sardegna

    Struttura, coste e mari della Sardegna

    Le vicende geologiche

    La Sardegna è una terra antichissima, contenente anzi la zolla più antica d’Italia, riunita un tempo al massiccio continentale europeo di cui formava forse una penisola sporgente in un mare assai più vasto del Mediterraneo attuale. Il parossisma del-l’orogenesi alpina che fece sorgere le grandi catene a pieghe circummediterranee, scompaginò e fratturò la parte meridionale del massiccio europeo di cui così vennero isolati frammenti di varia grandezza: uno di questi frammenti è appunto l’attuale massiccio sardo-corso, che porta nei suoi lineamenti i segni profondi dei rivolgimenti verificatisi nel corso dei tempi geologici.

    La Sardegna è formata dunque per gran parte da rocce risalenti all’era paleozoica e soprattutto ai periodi Cambrico e Silurico. I terreni cambrici hanno costituito il primo nucleo di terra emersa dal mare paleozoico e si trovano nella parte sud-occi-dentale cioè nell’Iglesiente e nel Sulcis. Ne fanno parte rocce sedimentarie diverse più o meno metamorfosate appartenenti a tre serie distinte: alla base sta una formazione arenacea, alla superficie un monotono complesso di scisti argillosi e tra le due una poderosa intercalazione di calcari e dolomie di notevole interesse anche dal punto di vista pratico sia sotto l’aspetto idrologico, sia perchè sede degli importanti depositi metalliferi di zinco e piombo argentifero esistenti nel territorio di Iglesias.

    L’erosione di questo nucleo cambrico provocò durante tutto il periodo Silurico e in gran parte del Devonico, la formazione nel mare circostante di potenti strati di materiali detritici, soprattutto arenacei e argillosi ma in minor misura anche calcarei e marnosi, che dai grandiosi sommovimenti posteriori furono profondamente metamorfosati.

    Infatti nel periodo Carbonifero il poderoso corrugamento ercinico provocò l’ascesa di ingenti masse magmatiche e quindi la grande intrusione granitica che da un lato formò, consolidandosi, l’impalcatura rigida della Sardegna e dall’altro trasformò con pressioni immani le rocce detritiche siluriche in un complesso scistoso costituito per lo più da scisti argillosi, micascisti e filladi, ma anche da quarziti, gneiss e «porfiroidi» che copriva a guisa di mantello ondulato la massa compatta dei sottostanti graniti.

    Ai porfiroidi, caratteristici della media valle del Flumendosa (Gerrei) spetta un posto a parte, essendo essi degli gneiss a grossi feldspati e a fitte vene quarzose corrispondenti in genere a nuclei di anticlinali sporgenti anche oggi in rilievi importanti come il Monte Santa Vittoria. Questo mantello scistoso fu successivamente spianato dall’erosione e per vasti tratti addirittura asportato in modo che i graniti sono stati in parte messi allo scoperto e formano oggi oltre un terzo della superficie dell’isola, dominando particolarmente nel settore nord-orientale.

    L’enorme plutone granitico non è, però, uniforme bensì, come ha ben dimostrato il Montaldo, assai differenziato per composizione e struttura. Vi si distinguono infatti granuliti, apliti, facies porfiriche nonché frequenti filoni di quarzo e nuclei basici (prevalentemente dioriti) con caratteri molto diversi di durezza ed erodibi-lità che si sono riflessi sulle forme dei rilievi. Inoltre la massa cristallina presenta un’intensa fessurazione con la quale sono in rapporto l’andamento delle depressioni e quindi quello delle coste e delle isole granitiche.

    L’intrusione granitica ercinica ha costituito senza dubbio l’avvenimento geologico che ha influito di più sugli aspetti fisici della Sardegna e, attraverso questi, su alcuni tra i più significativi fatti antropici. Ad essa infatti risalgono i grandi lineamenti della sua struttura, le linee fondamentali della sua orografia, la qualità dei suoi terreni più diffusi che ha orientato la sua economia e l’origine di una parte cospicua delle sue risorse minerarie. Queste infatti si sono deposte in forma di sistemi filoniani entro il mantello scistoso e sono costituite soprattutto, ma non esclusivamente, da minerali di zinco e piombo argentifero nell’Arburese — il territorio di Arbus nell’Iglesiente — nel Sàrrabus e nella Nurra.

    Conseguenza dell’orogenesi ercinica sono state anche numerose e grandi fratture dirette da nordest a sudovest analoghe a quelle delle Sierre centrali iberiche e che sono rese evidenti soprattutto nella parte nord-orientale dalle principali direttrici dei rilievi e dell’idrografia dell’isola. Connessa con queste dislocazioni fu un’intensa attività endogena manifestatasi con eruzioni di porfidi, ultime manifestazioni del ciclo ercinico, ben riconoscibili in vari punti della metà orientale, dalla Gallura al Sàrrabus, ed anche — per quanto in minor misura — nella Nurra e nell’Iglesiente per la loro particolare influenza sulle forme del terreno. Avendo iniettato con numerosi filoni e dicchi e coperto con cospicue colate la soprastante coltre scistosa, i porfidi sono stati messi in risalto dall’erosione selettiva e hanno formato qua e là cime di monti come il Serpeddi e il Perdedu oppure caratteristici dirupi a muraglia come il cosiddetto «su Sciusciu » (cioè luogo dirupato) che raggiunge i 1823 m. e forma così una delle vette più alte del Gennargentu.

    Paesaggio nelle distese granitiche della Gallura.

    I terreni del Paleozoico medio e superiore sono poco rappresentati: limitati a ristrette placche calcàree quelli dèvonici, presso Villasalto; più estesi quelli carboniferi, consistenti in arenarie e scisti sfortunatamente sterili, nellTglesiente e nella Nurra; e limitati pure ad alcuni depositi detritici (tra cui puddinghe del « Verrucano ») quelli pèrmici del Mulargia e della Barbàgia meridionale, dove contengono alcune piccole lenti di antracite.

    Fin dall’inizio dell’era mesozoica, la vecchia terra sarda era ridotta dalla erosione fluviale ad un vasto penepiano con ampie superfici monotone e, pur conservando una notevole stabilità, fu saltuariamente e parzialmente sommersa nelle sue parti periferiche dai mari giurassico e cretaceo. Nelle loro acque poco profonde si accumularono detriti arenacei e soprattutto calcarei — concrezionari o di scogliera — e dolomitici che hanno coperto e protetto il penepiano paleozoico e che, successivamente emersi, hanno formato quei banchi potenti di calcari e dolomie che si trovano più estesi nella parte centro-orientale e nella cùspide nord-occidentale dell’isola, la cosiddetta Nurra.

    Il Monte Doglia, nella Nurra con le regolari stratificazioni calcaree mesozoiche.

    Resecate dai corsi d’acqua, queste zolle calcareo-dolomitiche giuresi sono ridotte oggi ad altopiani con superficie spianata e carsificata chiamati tacchi e tónneri nella Barbagia e nell’Ogliastra; o formano rilievi isolati come il Monte Albo di Siniscola oppure promontori poderosi come il Capo Caccia e il Capo Monte Santo.

    Altra limitata invasione marina si verificò all’inizio dell’era cenozoica in alcune parti periferiche meridionali, sicché nell’Eocene si formarono altri depositi di arenarie e conglomerati ben rappresentati nel Sulcis ove racchiudono un cospicuo bacino di lignite picea, e nel Salto di Quirra, nella parte sud-orientale dove culminano nel Monte Cardiga (676 m.) formato da calcari nummulitici.

    L’insorgere e lo svilupparsi del grande corrugamento alpino produsse sconvolgimenti tali che l’antica massa rigida fu colpita da profonde fratture in varie direzioni, molte delle quali riesumanti le direttrici della tettonica ercinica (sudovest-nordest e nordovest-sudest). Queste fratture provocarono la frammentazione della copertura paleozoica e mesozoica in varie zolle e il loro sbloccamento con spostamento vertical sicché alcune furono moderatamente innalzate, altre furono abbassate e certe addirittura sommerse. Perciò la Sardegna è stata giustamente paragonata ad un mosaico, le cui tessere siano state sconnesse in senso verticale ed ha acquisito effettivamente da allora la configurazione di una regione a zolle con montagne a pilastro separate da fosse o conche di sprofondamento. In particolare una serie di grandi fratture accompagnate da dislocazioni verticali formò una grande fossa tettonica in senso meridiano che divise longitudinalmente l’isola in due parti ineguali, una orientale massiccia e continua, l’altra occidentale di minore estensione e suddivisa da altre fratture in parti minori, le più importanti delle quali sono i rilievi della Nurra e quelli dellTglesiente. Cosi la massa compatta paleozoica fu ridotta ad un gruppo di isole che gli avvenimenti posteriori hanno riunito di nuovo insieme. Altre fratture hanno interessato poi le coste — specie quella orientale — ed hanno guidato la formazione di molti corsi d’acqua.

    Schema geolitologico della Sardegna.

    La fronte dirupata e franosa di uno dei « tacchi » della Barbagia Sèulo,

    Per effetto di un intenso vulcanismo in rapporto con le fratture verificatesi in questo stesso periodo, la parte settentrionale della grande fossa longitudinale dal bacino del Temo al Coghinas fu ricolmata nell’Oligocene da vasti e potenti espandimenti tabulari di materiali vulcanici svariati (andesiti, trachiti, lipariti e tufi relativi chiamati in complesso dal La Marmora col termine di trachiti antiche) che in minor misura si effusero anche nella parte centrale, con nuclei nel Monte Ferru e nel Monte Arci e sull’angolo sud-occidentale cioè nel Sulcis e nelle isole di San Pietro e di Sant’Antioco.

    Il vallone del Rio San Girolamo presso Ussassài dominato da zolle della copertura calcarea mesozoica.

    La colmata della fossa proseguì nel Miocene medio, quando una nuova tra sgressione causò il distacco della Sardegna dalla Corsica e produsse poi la formazione di un grande canale marino longitudinale entro cui si accumularono quei depositi di materiali detritici svariati che, emersi alla fine dell’era per effetto di un sollevamento, hanno dato una fascia di terreni sedimentari allungata da Sassari a Cagliari. Più precisamente essi risultano alla base di argille, cui si sovrappongono formazioni arenacee di varia struttura, poi marne giallastre costituenti la cosiddetta pietra cantone e infine calcari prima sabbiosi chiamati tramezzario, e poi compatti (pietra forte). Si tratta di rocce largamente usate come materiale da costruzione, da calce e da cemento e che soprattutto costituiscono i migliori terreni agrari dell’isola. Questa fase epirogenetica dette origine a dislivelli e ondulazioni che però dall’attivazione dell’erosione furono presto ridotte a penepiano. E appunto questo penepiano miopliocenico che, secondo il Pelletier, forma oggi tutte le superfici piane della Sardegna ad eccezione di alcuni altopiani strutturali e delle piattaforme basse.

    Il poderoso movimento tettonico postmiocenico provocò la formazione di altre fratture con direzioni nuove da est ad ovest e da nord a sud che si sono sovrapposte a quelle precedenti e che hanno dato origine a gradini e depressioni distaccando tra l’altro dalla Sardegna propria le due isole di San Pietro e di Sant’Antioco. Da queste fratture sono sgorgate dal tardo Terziario al Quaternario recente fonoliti (le trachiti recenti del La Marmora) e soprattutto abbondanti lave basaltiche di vario tipo. Queste per la loro grande fluidità si sono diffuse con vaste colate dello spessore di 30-50 m. su ampie superfici ad altopiano (basalti delle piattaforme), specie nella parte centro-occidentale, tra il Campidano di Oristano, la media valle del Tirso, il Logudoro e la costa uscendo più che altro dai cospicui apparati vulcanici del Monte Ferru (1050 m.) e del Monte Arci (812 m.). Profonda è stata l’impronta che le manifestazioni vulcaniche plioceniche hanno dato al paesaggio con i maestosi, uniformi altopiani della Campeda, della Planàrgia e di Abbasanta dislocati a diverse altezze. Altre colate basaltiche coeve sgorgarono, più ad oriente, dai vulcani minori del Monte Gùzzini e di Nurri-Orroli : presso quest’ultima località la massa lavica sbarrò la valle del Flumendosa pliocenico causando così la formazione di un lago, attestato oggi da un deposito alluvionale.

    Paesaggio sull’altopiano trachitico di Villanova.

    Il gruppo collinoso trachitico di Furtei Serrenti.

    Il Monte Santo (733 m.) col suo cappello basaltico, il più elevato testimone dello svuotamento della depressione tettonica del Logudoro.

    Inoltre il sollevamento determinò una ripresa e un acceleramento dell’azione erosiva dei corsi d’acqua che si sono affondati vigorosamente nella superficie anteriore incidendovi valli profonde, spesso vere gole dai versanti ripidi (medio Flumendosa, affluenti di sinistra del Tirso, Posada) contrastanti con le parti superiori spianate o ondulate del penepiano paleozoico riesumato. Furono anche resecati i tavolati basaltici e le colate basaltiche plioceniche ad altopiani che vennero così smembrandosi alla periferia in tante zolle di dimensioni varie e a superficie regolarissima chiamate giare nella parte centrale, la più grande delle quali è la Giara di Gésturi (609 m.), cui si accompagnano la Giara di Serri e quella di Siddi.

    Alquanto più tardi, essenzialmente in epoca plistocenica, nuove dislocazioni nella parte centrale del litorale orientale, provocarono l’esplosione di altri vulcani, intorno a Orosei e a Dorgali. Per quanto di modeste dimensioni (Conca de Janas 384 m.) essi allineano le loro ampie cupole a scudo parallelamente al Golfo di Orosei fondendo le colate basaltiche in vasti pianori che, resecati dal Cedrino e dai suoi affluenti, sono stati divisi in frammenti chiamati gollei. Analoga è, più a sud, la colata basaltica costiera del Teccu di Bari Sardo. A queste manifestazioni endogene corrisposero sul litorale centro-occidentale le esplosioni di brecce e conglomerati basaltici che dettero origine al Monte Arcuentu (785 m.).

    Rimaneva da colmare il lungo canale marino che separava ancora la parte orientale da quella sud-occidentale: esso fu riempito da depositi quaternari ricoperti da alluvioni ciottolose diluviali modellate ad ampi terrazzi, sulle quali si sono accumulati ad occidente grandi conoidi di deiezione costruiti dai corsi d’acqua ed anche abbondanti detriti di falda caduti dai soprastanti rilievi granitici e scistosi.

    Vedi Anche:  Rete idrografica, fiumi, laghi e serbatoi

    Si è formato così l’attuale Campidano che, con l’attigua depressione del Cixerri, rappresenta la maggiore pianura dell’isola e uno dei suoi tratti più caratteristici.

    La Sardegna aveva raggiunto così nel Quaternario più recente la sua configurazione attuale e i tempi più vicini a noi hanno portato solo modesti ritocchi, anzitutto con limitate sommersioni causate da subsidenze della terraferma e dall’innalzamento postglaciale del livello marino che hanno provocato la formazione e l’approfondimento delle principali insenature trasformatesi per sbarramenti sabbiosi in lagune e stagni costieri, nonché il distacco dall’isola madre di gran parte delle isole minori.

    Le variazioni del livello di base connesse con le oscillazioni eustatiche sono state anche causa di vari terrazzamenti dei depositi alluvionali delle principali vallate, in vari livelli che nella bassa valle del Posada giungono secondo il Vardabasso fino a 85 metri. Invece i terrazzi costieri a gradinata che si osservano in alcuni tratti del litorale (ad es., tra Masùa e Buggerru) sono in rapporto con condizioni di continentalità o con particolari alternanze stratigrafiche e litologiche: è questo il caso della gradinata che si osserva lungo l’alta costa trachitica tra il Capo Marargiu e Alghero.

    L’altopiano basaltico centrale presso Ghilarza dominato dai Monti del Màrghine.

    L’apparato vulcanico basaltico quaternario del Pranumuru sovrastante Nurri.

    Inoltre l’intenso alluvionamento alle foci dei corsi d’acqua ha causato la formazione delle pianure periferiche e il loro successivo insabbiamento litoraneo che ha dato lidi racchiudenti lagune e stagni, e sistemi complessi di dune. Queste, infatti, appartengono a due generazioni distinte: una più antica di dune fossili formatesi durante i periodi glaciali e rappresentate da arenarie eoliche compatte (pseudopanchina) ricoprenti vaste superfici fino talvolta a 200 m. di altezza lungo il lato occidentale più battuto dal vento (specialmente nel Golfo dell’Asinara, nella Nurra, nel Sinis, nel Golfo di Oristano e nel Sulcis), ed una attuale del tipo normale che orla i litorali sabbiosi raggiungendo talvolta dal lato occidentale fino a 30 m. di altezza.

    Si è verificata infine nel Plistocene una limitata attività vulcanica residua che ha dato origine lungo i bordi della costa campidanese a scogli e colline trachiande-sitiche (colline di Siliqua, Sarròch, Pula a occidente, colli di Furtei-Serrenti e Mo-nastir a oriente) e nel Logudoro a colate basaltiche sul tipo delle giare (Monte Pelao 730 m., Monte Massa 681 m., Monte Santo 733 m.) e ad apparati di varie dimensioni (Cuccureddu di Cherémule 676 m., Monte Annaru 492 m., Monte Austiddu 441 m., S. Matteo di Ploaghe 480 m., con la lunga colata del Coloru); talvolta di grande freschezza e con un certo allineamento da nord a sud che movimentano pittorescamente il paesaggio. Con questo vulcanismo residuo sono da collegare le numerose sorgenti termali che si trovano lungo le principali linee di frattura e sono indicate per lo più coi nomi di acquacadda, acquacotta, acquacallenti.

    È da notare che la Sardegna, per la sua modesta altezza, non è stata interessata dal glacialismo quaternario che tanta diffusione ha avuto sui rilievi dell’Italia settentrionale e centrale e della stessa Corsica: l’isola manca perciò completamente di terreni e di modellamento glaciale.

    Così ogni epoca della storia della Terra ha lasciato in Sardegna la sua traccia e ha dato tócchi particolari alla sua figura risultandone infine un complesso di alto interesse geomorfologico, suddiviso in una quantità di paesaggi diversi. Ma sostanzialmente l’isola è costituita per la maggior parte da un’antichissima zolla continentale, vero relitto isolato e solo parzialmente smembrato dalle poderose dislocazioni dell’orogenesi alpina. Ciò spiega il basso valore della sismicità, della quale si conoscono solo poche manifestazioni, in genere di lieve momento. Infatti il più intenso terremoto di cui si ha notizia è quello verificatosi a Cagliari nel lontano 1610; successivamente qualche altro leggiero sisma c’è stato oltre che a Cagliari stesso (1835 e 1855) soprattutto nell’isola di San Pietro e nella contigua costa iglesiente (l’ultimo nel 1923), cioè in una parte ancora in via di assestamento.

    I suoli

    Costituita per circa 3/5 da graniti, scisti e rocce vulcaniche recenti per lo più di scarsa fertilità e per il 9% di calcari, con suoli sottili e mancanti, la Sardegna è solo per un terzo della sua superficie dotata di terreni di buona fertilità in corrispondenza delle distese di marne e materiali alluvionali.

    La difficoltà offerta dalle condizioni litologiche poco favorevoli, è accresciuta dalle particolari condizioni morfologiche e climatiche.

    La predominanza dei pendii e la violenza degli acquazzoni provocano un dilavamento rapido e intenso dei fianchi di montagne e di altopiani, che rende rocciosi i declivi e in particolare quelli granitici e vulcanici recenti. I detriti strappati ai rilievi, sono accumulati dai corsi d’acqua nei bassopiani miocenici marnosi e nelle pianure sottostanti, le quali si vanno così accrescendo, d’onde l’opposizione tra una prevalente vita agricola nelle bassure o su tratti di altopiani di media altezza e quella pastorale sulle alte colline e sulle montagne. I graniti e i relativi terreni di disgregazione arenizzati e caolinizzati, sono poveri di calcio e fosforo e ricchi di potassio. Essi danno suoli sottili, mentre gli scisti forniscono in genere suoli più profondi. Perciò nei due suoli c’è vegetazione diversa: la rovere è propria dei suoli scistosi più profondi, la quercia da sughero di quelli sottili granitici. I graniti, peraltro, danno origine a terreni che, pur appartenendo tutti alle terre brune sono assai diversi secondo le condizioni ambientali e l’epoca in cui si sono formati. I basalti e le trachiti danno suolo più profondo favorevole alla vegetazione erbosa, ma ciò dipende più dalle condizioni favorevoli del rilievo che dalla natura della roccia poiché l’altopiano è molto meno denudato delle colline.

    Anche i calcari danno terreni svariati secondo la loro natura: rocciosi e sterili quelli mesozoici, tranne le placche di terra rossa che vi si trovano (specie nella Nurra e lungo il litorale del Golfo di Orosei), hanno mediocre fertilità i calcari miocenici compatti, favorevoli più che altro alle colture arbòree, e forniscono invece buoni terreni da cereali i calcari marnosi e le marne arenacee, tranne che sui pendii troppo ripidi e nei tratti impaludati come in Trexenta.

    Naturalmente i terreni alluvionali dei « campi » e dei Campidani, avendo diversa provenienza, hanno pure struttura e composizione molto varia. Differenze considerevoli si notano soprattutto nel Campidano, in cui la parte assiale è alluvione recente costituita da sabbione silìceo ricco di argilla molto fertile chiamato iscra o isca a indicare terreni depressi freschi e irrigabili atti alla coltura delle ortaglie, ed anche tuerra nel caso di suoli più umidi. La parte orientale, influenzata dai contigui settori marnosi e trachiandesitici, ha terreni di buona fertilità, generalmente alcalini; mentre quella occidentale è costituita da materiali grossolani provenienti dai soprastanti rilievi granitici e scistosi, talvolta di colore rossastro per ferrettizzazione e chiamati gregòri o strovina a fertilità molto scarsa e coperti di cisti e asfodeli. Quelli più grossolani, chiamati perdaxiu, sono i più aridi e sterili.

    Qualcosa di simile si ha pure nell’Oristanese, dove però è la parte orientale ad avere terreni del tipo dei gregòri provenienti dai soprastanti rilievi trachitici e granitico-scistosi e che sono ciottolosi e brecciosi ed anche sabbioso-argillosi caoliniferi, compatti e difficili da lavorare. Invece nel lato occidentale, verso il mare e gli stagni, si trovano terreni sabbiosi di scarsa fertilità ma di facile lavorazione e miglioramento come quelli di Arboréa e Terralba, ed anche terreni alluvionali recenti chiamati bennaxi, situati lungo il Tirso e altri corsi d’acqua e che posseggono discrete possibilità agrarie.

    Un caso particolare offre la Nurra in cui i terreni alluvionali grossolani contengono alla profondità di un mezzo metro uno spesso crostone calcàreo-arenaceo formatosi per l’evaporazione di acque freatiche ricche di sali di calcio durante i periodi aridi. Questo crostone, che si trova talvolta anche in superficie a costituire placche di travertino, ha ostacolato a lungo lo sviluppo agricolo della regione ed ha costretto i bonificatori ad una difficile e costosa opera di spietramento.

    Si consideri poi che i graniti e le trachiti hanno reazione acida, gli scisti pure acida, ma in misura alquanto inferiore e i basalti sono quasi neutri mentre i calcari hanno leggera reazione alcalina. Ora in terreni acidi l’assorbimento dell’acqua è difficile e si sviluppano piante infestanti. Proprio per diminuire l’acidità, si usa coltivare a grano ogni 10-15 anni alcuni dei pascoli, sicché la cerealicoltura è qui in funzione soprattutto del miglioramento dei pascoli. La diversità dei suoli dà origine dunque ad una grande varietà di pascoli, malgrado l’uniformità del paesaggio (pascoli di primavera, autunno, estate), ed è questa una delle ragioni per cui i pastori sono obbligati a continui spostamenti delle greggi.

    In complesso, a parte le zone mioceniche marnose, le qualità chimiche delle rocce costituiscono solo uno dei fattori della formazione dei suoli accanto al quale contano assai i fattori morfologici e climatici come la violenza delle precipitazioni che provoca denudazione, l’irregolarità delle piogge e del drenaggio che accrescono gli inconvenienti della siccità ed esagerano l’acidità, la disposizione tabulare del terreno che favorisce i depositi di rocce clastiche.

    L’economia agricola e pastorale è legata dunque ad un insieme di condizioni fisiche che da un lato spiegano la povertà passata della Sardegna e dall’altro giustificano l’ottimismo dei bonificatori perchè i caratteri sfavorevoli si possono spesso correggere con opportune pratiche, come il drenaggio, l’irrigazione, le concimazioni, le lavorazioni più adatte, ecc. Fino a pochi anni or sono gli agricoltori sardi hanno cercato di superare e di attenuare i gravi svantaggi derivanti dalla cattiva qualità di gran parte dei suoli con pratiche tradizionali come quella delle maggesi, degli incendi di stoppie e cespuglieti, della cerealicultura saltuaria, della concimazione per stanziamento delle greggi favorendo così la persistenza del nomadismo pastorale.

    Ma oggi progressi sensibili sono stati già fatti e non solo nei territori di riforma agraria, ma anche in altre parti appartenenti ai comprensori di bonifica o ad essi contigue.

    Le coste

    Prima di ogni altra cosa le vicende geologiche si sono impresse sull’aspetto e sulla natura delle coste. Si deve premettere che, essendo di forma relativamente allungata, la Sardegna, pur avendo scarse articolazioni, ha sviluppo costiero abbastanza notevole: si calcola infatti che le sue coste abbiano una lunghezza complessiva di 1896,8 km., di cui però 1384,8 spettanti all’isola maggiore e 512 alle isole minori. Ciò significa che ad ogni chilometro di costa corrispondono 12,6 km. di superficie, mentre in Sicilia ne corrispondono 23 e nel complesso dell’Italia 37,9.

    La pittoresca costa dirupata e varia nelle formazioni paleozoiche dell’Iglesiente presso Nébida.

    Avendo ricevuto una impostazione essenzialmente tettonica in epoca recente, le coste sarde sono in gran parte alte e hanno andamento per lunghi tratti rettilineo congiunto a una particolare maestosità; esse presentano tuttavia una cospicua varietà di forme in rapporto con la grande diversità delle rocce: graniti e scisti, porfidi e calcari, trachiti e basalti danno al litorale aspetti assai pittoreschi inconfondibili per colori e forme. In complesso però l’antica impronta continentale dell’isola è stata appena attenuata dal successivo intervento del mare, sia con azioni di demolizione sia soprattutto con processi di regolarizzazione mediante la costruzione di spiagge e lidi che hanno via via colmato le insenature.

    Il fatto più appariscente che si nota osservando una carta della Sardegna è l’approssimativo parallelismo tra la costa orientale e quella occidentale, entrambe interrotte all’incirca nella parte mediana da due opposte rientranze, il piatto Golfo di Oristano a occidente e il Golfo di Orosei sul Tirreno circondato da imponenti balconate calcaree. Una certa simmetria si nota anche tra la costa settentrionale e l’opposta costa meridionale, che si incurvano entrambe in due ampie insenature pure di impostazione tettonica: il Golfo dell’Asinara e il Golfo di Cagliari. Il primo è assai ampio, e comprende la maggior parte della fronte settentrionale. Il Golfo di Cagliari è più limitato ma assai più pittoresco in quanto si spiega maestoso fra i due pilastri granitici del Sàrrabus e del Capoterra ed è dominato al centro dal promontorio calcareo di Sant’Elia.

    Le coste rocciose, dunque, prevalgono largamente comprendendo oltre i tre quarti dei litorali sardi, mentre le spiagge più o meno orlate di dune non ne formano neppure un quarto. L’altezza delle ripe varia assai ed è in rapporto con la presenza e l’entità del rilievo retrostante: quelle più elevate si trovano là dove scoscendono sul mare le montagne calcaree, ciò che avviene particolarmente lungo le coste del-l’Ogliastra, dove a sud del capo di Monte Santo si trova la più alta ripa della Sardegna (Punta Orrolotzi, 757 m.) e nel Golfo di Orosei con scogliere strapiombanti per 4 o 500 metri. Altri bei tratti a ripa calcarea si trovano nell’isola di Tavolara e a Capo Figari, in Gallura, alla Punta del Giglio e a Capo Caccia nella Nurra e nel tratto tra Nébida e Buggerru nell’Iglesiente. Trachitiche sono invece le ripe tra Capo Marargiu e Alghero. Le ripe della costa Iglesiente tra Nébida e Masúa costituiscono una singolare scogliera fossile rimasta emersa fin dall’era paleozoica e lambita poi dal mare mesozoico e da quello cenozoico, esempio veramente perspicuo della stabilità dell’isola e che non ha riscontro in altre parti d’Italia. Le ripe calcaree sono rese più pittoresche dalla presenza di grotte di ogni grandezza, di antica origine carsica.

    Vedi Anche:  L'attività industriale e commerciale

    Comunque si deve tener presente che nella loro fisionomia attuale, tutte le coste sarde sono coste di sommersione. Questa sommersione ha provocato i massimi effetti sia al margine litoraneo delle pianure costiere, sia là dove le valli fluviali sono perpendicolari alla costa rocciosa, perchè in tal caso il mare, invadendo le basse valli ha formato delle rias, cioè insenature profonde, a imbuto, in rapporto con la direzione prevalente di un reticolo idrografico impostato su solchi con direzione ercinica. Le rias più belle e più numerose si trovano lungo la costa orientale della Gallura e sono i Golfi profondi di Olbia, di Cugnana e di Arzachena, ma altre rias presenta l’estremità meridionale, il cosiddetto Porto di Teulada, il Porto Malfatano e Porto Scudo.

    Articolazioni più modeste sono costituite da sporgenze e promontori formati da nuclei di rocce più resistenti. I maggiori fra essi sono i granitici Capo Coda Cavallo, Capo Ferro e Punta Falcone all’estremità nord-orientale, i trachitici, Capo Marargiu a nordovest e Capo Ferrato a sudest, l’andesitico Capo Teulada, il dioritico Capo Carbonara, i basaltici Capo San Marco e Capo della Frasca. Un caso particolare è offerto da quei promontori corrispondenti ad antiche isole costiere saldate in epoca recente all’isola maggiore da lingue sabbiose, come è avvenuto per il Capo Bellavista sul Tirreno, per i Capi di Sant’Elia e di Pula nel Golfo di Cagliari e per il Capo Mannu dal lato centro-occidentale. Questo è anche il caso dell’isola di Sant’Antìoco la quale, com’è noto, è da tempo congiunta all’isola madre da formazioni sedimentizie complesse una delle quali è stata completata, fino da età antica, da una diga che ha chiuso così a nord il Golfo di Palmas, sicché oggi la laguna posta fra le due isole non supera la profondità di tre metri e ogni scambio d’acqua tra essa e il Golfo di Palmas è praticamente impossibile.

    Le alte ripe calcaree dell’Ogliastra presso Cala Gonone.

    A questi lunghi tratti di coste elevate ed aspre si intercalano spiagge di varia grandezza, le maggiori delle quali corrispondono al fondo dei golfi più ampi e alle fronti delle pianure litoranee costruite dai fiumi. Le più ampie e belle spiagge regolarmente falcate si trovano infatti nel Golfo dell’Asinara, nel Golfo di Oristano e al fondo dei Golfi di Palmas e di Cagliari. Lungo la costa orientale, invece, le spiagge appoggiate ai promontori maggiori sono assai meno estese e a nordest si frammentano in una quantità di piccoli tratti sabbiosi sul fondo delle rias costituendo l’attrattiva maggiore del litorale gallurese. Una metà delle spiagge sarde è però colpita da fenomeni di erosione, particolarmente notevoli in quelle dei Golfi di Cagliari e dell’Asinara.

    Tenendo conto di questi caratteri generali, diamo uno sguardo alle fattezze particolari delle coste, spesso di grande bellezza e sempre altamente suggestive.

    La parte nord-orientale del litorale, tra Capo Testa e il Capo Coda Cavallo è, senza dubbio, una delle più pittoresche dell’isola, in quanto è incisa da una serie di rias di varia grandezza, con punte e scogliere granitiche di forma capricciosa, come a Capo d’Orso, bagnate da un mare di un profondo e limpido azzurro e fronteggiata dallo sciame di isole dell’arcipelago della Maddalena e di Caprera. Alle rias già ricordate di Olbia, Cugnana e Arzachena sono da aggiungere quelle più piccole di Porto Pozzo e Porto Liscia, separati questi ultimi dall’isola di Culuccia ora congiunta al litorale antistante. Tanta bellezza selvaggia ha attirato l’attenzione di gruppi finanziari stranieri, che stanno attuando lungo la parte centrale del litorale gallurese un’opera di intensa valorizzazione turistica, particolarmente nel tratto compreso fra il Golfo di Arzachena e il Golfo di Marinella battezzato col nome di Costa Sme-ralda, e in quello tra lo stesso Golfo di Arzachena e Santa Teresa di Gallura, chiamato Costa dei Lestrigoni, dal nome delle mitiche genti incontrate forse qui da Ulisse nel suo lungo errare.

    Ma l’attività ed il movimento commerciale si concentrano nell’ampio Golfo di Olbia, a duplice bacino, limitato all’esterno dai due poderosi moli calcarei di Capo Figari a nord, racchiudente la contigua insenatura di Golfo Aranci — il Golfo de li Ranci cioè dei Granchi — e dell’isola di Tavolara a sud. Il golfo si addentra fino all’attivo Porto di Olbia con una lunga e stretta insenatura interrata dalle alluvioni del fiume Padrogiano.

    Oltre la punta d’Ottiolo, dove finisce la costa gallurese con la bella spiaggia di San Teodoro, si stende la costa delle Baronie, più monotona e uniforme: nel primo tratto fino a Capo Cornino è incisa negli scisti e vi si apre tra la foce del Posada e San Lucia di Siniscola una lunga spiaggia regolare che attira già turisti e bagnanti. Dopo un altro tratto granitico, ha inizio alla basaltica Punta Nera la regolare curvatura del Golfo di Orosei, di antica impostazione tettonica, su cui si affacciano la spiaggia che fronteggia la cittadina, ove sbocca il Cedrino, le colate basaltiche dei gollei e poi le ripe calcaree via via più alte fino al Capo di Monte Santo. Le pareti rocciose sono incise eia solchi rappresentanti antiche linee di battigia quaternarie e varie grotte, tra cui quella famosa del Bue marino.

    Veduta sull’arcipelago granitico della Maddalena da Capo d’Orso,

    Il resto della costa orientale ha andamento generale da nord a sud pressoché uniforme, sia per motivi tettonici, sia per lo stadio avanzato di rettilineazione subito con smussamente dei promontori, corrispondenti a zolle dure cristalline e soprattutto mediante il colmamente delle insenature interposte con formazione di pianure alluvionali orlate da cordoni litoranei racchiudenti stagni costieri allungati. Il tratto più pittoresco è quello dell’Ogliastra, dominato dal promontorio del Capo Bellavista, antica isoletta con scheletro di rosse rocce porfiriche che dà riparo al porto di Arbatax e che è riunita all’isola maggiore da due tomboli, dietro uno dei quali si stende lo stagno di Tortoli, residuo di una grande laguna.

    Più a sud la costa prosegue con falcature poco pronunciate che si appoggiano alla Punta su Mastixi, estremità del Teccu di Bari e poi alle due masse porfiriche del Monte Ferru con lo sprone del Capo Sferracavallo e di Punta Accéttori. Da qui fino al Capo San Lorenzo si affaccia la desolata spiaggia di Quirra orlata di stagni e dove sbocca il fiumicello omonimo. Oltre questa, un altro ardito promontorio tra-chitico, il Capo Ferrato, costituisce il punto di appoggio di due lunghe falcature sabbiose costituenti la maggior parte della costa del Sàrrabus: la più importante è quella settentrionale costruita a nord dal Flumendosa che vi sbocca con ampio delta e a sud dal Rio Sa Picocca. Anche qui alle spalle delle spiagge si stendono lunghi canali retrodunali e stagni, il più notevole dei quali è quello pescoso di Colostrai, ove sbocca appunto il Rio Sa Picocca.

    Ricomincia poi la costa granitica che forma tutta la cuspide sud-orientale della Sardegna, sporgente in mare col Capo Carbonara, sorretto da uno scheletro dioritico così come l’antistante isola dei Cavoli. Si trova qui, tra la spiaggia di Simius e Capo Boi, un tratto assai pittoresco, frastagliato e fronteggiato com’è da sciami di scogli e isole, tra cui spicca quella di Serpentara e che perciò è in via di valorizzazione turistica.

    Tra il Capo Carbonara e il Capo Sparavento s’incurva il Golfo di Cagliari, il meglio protetto dell’isola e che, per la sua serena bellezza si suol chiamare Golfo degli Angeli. Vi si affacciano infatti a oriente le masse trachiandesitiche di Sarròch e Pula, tra le quali si stendono i due magnifici tomboli costituenti le spiagge di Quartu da un lato e della Plaia dall’altro che si appoggiano al centro al fantastico belvedere del Capo Sant’Elia. Alle spalle delle due grandi spiagge assai frequentate dai bagnanti, sebbene siano oggi alquanto in erosione, si trova una serie di stagni e lagune adattate in gran parte a saline (Stagni di Cagliari, Santa Gilla, Quartu e Molentargius) e nella parte più interna del golfo, a ridosso del promontorio, il porto di Cagliari.

    Oltre il Capo Sarròch, la costa, costituita da graniti e da alluvioni terrazzate, presenta un’alternanza di spiagge e di frastagliature che la rendono pittoresca e hanno determinato la sua valorizzazione con la creazione del nuovo centro balneare di Santa Margherita di Pula, favorito dall’impianto di una bella pineta.

    Assai più varia è la costa sulcitana, dal Capo Spartivento al Capo Aitano, in rapporto con la complessità litologica della regione. Un primo tratto, fino alla mole porfirica della punta di Cala Piombo è formato da graniti, gneiss e arenaria, frastagliati da numerose e pittoresche rias, tra le quali i « porti » di Malfatano, Zafferano, Scudo e Teulada, sopravanzati tutti dal Capo di questo stesso nome, ardita massa andesitica che divide Porto Zafferano da Cala Piombo. Il tratto successivo fino a Capo Sperone, all’estremità meridionale dell’isola di Sant’Antìoco — congiunta all’isola maggiore da un tombolo complesso costruito con le alluvioni del Rio Palmas — s’inarca nell’ampio e profondo Golfo di Palmas, chiuso ad occidente dalla massa trachitica dell’isola minore e ad oriente da una costa prevalentemente sabbiosa a due falcature principali poggianti alla mole calcarea del Monte Sarri che divide Porto Pino da Porto Botte. Alle loro spalle si trovano numerosi stagni, mantenuti come molti altri in comunicazione col mare a scopo di pesca. Il resto della costa sulcitana ha all’esterno scogliere trachitiche piuttosto uniformi, specie dal lato esterno delle due isole di Sant’Antioco e di San Pietro, pur pittoresche per piccole cale, monoliti come quelli di Capo Colonne, e grotticelle, mentre la loro parte interna, orientale, è più bassa e accogliente e vi si trovano infatti i due porti di Sant’Antioco e di Carlo-forte, quest’ultimo accanto a un’antica laguna adattata a salina.

    Di nuovo varia e strapiombante con la bianca fronte calcarea del « metallifero » cambrico è la costa dell’Iglesiente fino a Capo Pecora, ultimo promontorio granitico dove varie insenature, e soprattutto quelle di Porto Vesme, Portixeddu e Buggerru, sono usate per l’imbarco dei minerali. Poi fino al Golfo di Oristano si allunga una costa rettilinea formata prima dalla bella spiaggia di Piscinas, poi da un tratto scistoso e arenaceo che si prolunga con il poderoso aggetto basaltico del Capo della Frasca. Anche per questo tratto, battezzato di recente col nome di Costa Verde, sono in progetto piani di valorizzazione turistica.

    Le rosse scogliere di porfido presso Arbatax.

    Le bianche ripe calcaree di Capo Caccia.

    Le coste svariate di bianche spiagge arcuate e di promontori rocciosi del Golfo di Arbatax.

    Il Capo della Frasca e il Capo San Marco, entrambi basaltici a imbasamento miocenico come le giare, racchiudono il Golfo di Oristano, posto nell’area di convergenza delle due depressioni tettoniche del Campidano e della valle del Tirso. Esso s’inarca a semiellisse con una regolarità che non ha riscontro in Italia, in magnifiche spiagge costruite coi materiali portati dal Tirso, che continuamente le accrescono e che sono coperte di dune attuali e fossili. Il golfo è orlato di lagune e stagni pescosi, come quello di Santa Giusta e i due più grandi di Cabras e di Mistras, adiacenti alla parte settentrionale, dove rappresentano i resti dell’antico braccio di mare che isolava un tempo il Sinis. Oggi questa piatta penisola calcarea e arenacea è congiunta all’isola maggiore da tomboli e da distese di dune che si appoggiano alle sue estremità, costituite dal Capo San Marco a sud e dal promontorio calcareo di Capo Mannu a nord. Da qui alla pittoresca insenatura di Santa Caterina di Pitti-nuri, scavata nei bianchi calcari miocenici, si spiega una bella spiaggia con cui si affaccia al mare la Serra is Arenas, una grande distesa sabbiosa, forse la maggiore d’Italia, con alte dune vive smosse continuamente dal maestrale, ma oggi in gran parte imbrigliate con fitte siepi.

    A Santa Caterina di Pittinuri, grazioso centro balneare recente, ricomincia la costa alta che continua uniforme, con la sola sporgenza del poderoso Capo Marargiu, fino ad Alghero. In un primo tratto basaltica per le propaggini laviche del Monte Ferru, la costa è tagliata poi tettonicamente a gradinata nelle alte trachiti e nei relativi tufi grigi e rossastri in cui è incisa la foce del Temo, dove il porticciolo di Bosa costituisce l’unico rifugio per battelli da pesca e da traffico tra Oristano e Alghero. Poi un bell’arco sabbioso, centro della vita balneare algherese e che ha alle spalle l’azzurro stagno di Calich, raggiunge con arco regolare la Nurra.

    Vedi Anche:  Zone e città della Sardegna Settentrionale

    Da questo punto la morfologia costiera cambia bruscamente in rapporto con la complicata struttura della regione: alle isolate, massiccie zolle calcaree giuresi corrispondono, infatti promontori arditi come l’imponente Capo Caccia che protegge la profonda insenatura di Porto Conte, facendone il miglior porto naturale dell’isola. E questa, forse, la parte più pittoresca e più nota delle coste sarde, per le sue cale dominate da scoscese e variopinte rocce calcaree in cui si aprono grotte tra le più note e interessanti dell’isola, prima fra tutte la grande e complessa grotta di Nettuno, che si apre quasi di fronte all’isola Foradada, così chiamata perchè attraversata da parte a parte da una grotta a livello del mare. Più regolare, ma con numerose frastagliature, la costa della Nurra prosegue verso nord interrotta dal Capo dell’Argentiera, fino a raggiungere nel Capo del Falcone l’estremità nord-occidentale dell’isola. In sua continuazione, al di là di un esiguo stretto, profondo appena 4 metri, si allunga l’isola dell’Asinara, costituita di nuovo da graniti e da scisti, la quale con la sua massa irregolarmente arcuata limita ad occidente il gran golfo che porta il suo nome.

    Il Golfo dell’Asinara è un’ampia e aperta insenatura con litorale regolarmente arcuato tra la punta dello Scorno e l’isola Rossa, oltre la quale si ricollega alla granitica costa gallurese. Questo tratto del litorale è costituito da tre grandi falcature basse e in gran parte sabbiose appoggiate a tre promontori rocciosi; la prima, ancora nella Nurra, giunge all’estremità della piattaforma calcarea turritana ove si apre Porto Torres, la seconda arriva fino al bordo della pittoresca massa trachitica di Castel Sardo costituente il nucleo principale della rocciosa costa dell’Anglona e la terza raggiunge la Gallura orlando una distesa alluvionale costruita dal Coghinas. Anche in questa parte si trovano lungo il litorale alcuni stagni retrodunali, tra cui degni di nota quelli di Pilo e di Platamona. La spiaggia che da quest’ultimo prende nome è la più importante e, per quanto in via di erosione, richiama numerosi bagnanti nei due tratti della Marina di Sassari e della Marina di Sorso, sortavi di recente.

    Il Capo Colonne sulla costa trachitica dell’isola di San Pietro.

    Oltre l’isola Rossa si svolge compatta e seghettata la costa gallurese fino a Capo Testa e a Punta Falcone, flettendosi nelle due larghe insenature di Porto Vignola e Cala Vall’Alta, separate dalla tozza sporgenza del Monte Russu. Esse sono orlate da due ampie spiagge, chiamate rispettivamente Arena minori e Arena maiori per la grande estensione che vi assumono sabbie e dune, sospinte dal vento fino a oltre 2 km. nell’interno.

    Col Capo Testa, altra isoletta congiunta da una impalcatura quaternaria al litorale sardo, la costa muta aspetto, con la serie di rias, già ricordate, e si chiude così in bellezza il magnifico scenario periferico.

    Complessivamente, peraltro, le coste sarde hanno articolazioni scarse, ma questo difetto è alquanto attenuato dalla presenza di numerose isole minori (per circa 275 kmq) che si trovano poco distanti dalla costa su una comune piattaforma continentale e specialmente ai quattro angoli dell’isola maggiore, di cui sono naturali appendici, essendone state distaccate da fratture o da limitate sommersioni recenti.

    Capo Caccia e Porto Conte.

    Le coste granitiche a Capo Falcone, l’estremità più settentrionale della Sardegna.

    Capo Caccia e le imponenti ripe calcaree che guardano l’ingresso di Porto Conte.

    Uno di questi gruppi è posto all’estremità nord-orientale ed è chiamato Arcipelago della Maddalena dal nome dell’isola principale; l’altro all’estremità sud-occidentale è il Gruppo sulcitano perchè si trova dinanzi alla costa del Sulcis.

    L’arcipelago settentrionale è costituito da un gruppo di isole granitiche, come la vicina Gallura, poste intorno alla Maddalena: una prima serie, subito di fronte alla costa gallurese, è costituita da Caprera, Santo Stefano e Spargi, e una seconda serie più lontana comprende tre isole minori, Budelli, Santa Maria e Ràzzoli, e isolotti e scogli che si affacciano sulle Bocche di Bonifacio. Il Gruppo sulcitano consta invece di due sole grosse isole, San Pietro e Sant’Antìoco e di alcuni scogli, Vacca e Toro, tutti trachitici come l’antistante costa da cui sono stati staccati da fratture.

    La costa nei bianchi calcari miocenici del litorale occidentale presso Santa Caterina di Pittinuri.

    Delle altre isole sono da ricordare l’Asinara, che prolunga ad uncino verso nordovest la Nurra, di cui ha la stessa natura granitico-scistosa; Tavolara pilastro calcareo che guarda l’accesso del Golfo di Olbia e molte piccole isole costiere minori lungo le coste del Sàrrabus e dell’Ogliastra. Più distanziate verso occidente sono le due isolette di Mal di Ventre (l’antica Maleventius insula) e del Catalano, gneis-sica l’una e basaltica l’altra. La prima di queste ha grande interesse perchè è l’unico resto dall’antico collegamento paleozoico tra le due masse oggi staccate della Nurra a nord e dell’Iglesiente a sud.

    Ai litorali sottili danno spesso carattere particolare i numerosi stagni costieri e lagune di varie dimensioni, che sono oggi una cinquantina e che si trovano un pò dappertutto, ma più frequenti e più vasti dal lato meridionale e da quello occidentale. Essi hanno origine varia e vario carattere a seconda del diverso contributo del mare da un lato e degli apporti detritici dei fiumi e dei torrenti dall’altro. Veri stagni sono quelli formatisi alla foce dei corsi d’acqua per loro sbarramento ed espandimento in specchi d’acqua e canali retrodunali. Altro tipo è quello che si trova in corrispondenza delle fronti costiere delle pianure in via di subsidenza dove i golfi di sommersione (Cagliari, Oristano, Palmas, Asinara) sono stati sbarrati da lunghi lidi regolari (come quello della Plaja di Cagliari) talvolta a più ordini successivi con formazione di lagune trasformatesi poi negli stagni più grandi dell’isola, come quelli posti alle due estremità del Campidano. Un terzo tipo infine, dovuto soprattutto all’azione costruttrice e ordinatrice del mare, è quello delle lagune di seno costiero formate per sbarramento di antiche insenature per opera di cordoni litoranei che talvolta si sono appoggiati a promontori, come a San Teodoro e Calich, e talaltra ad isolette fronteggianti la costa. In questo ultimo caso, già constatato al Capo Bellavista, al Capo Mannu e allo stesso Capo Sant’Elia, tra i due arcuati tomboli di raccordo è stata chiusa una laguna evolutasi poi a stagno (Tortoli, Quartu, ecc.) mantenuta artificialmente in collegamento col mare oppure interrata completamente.

    Il promontorio trachitico di Castel Sardo col paese a ridosso, dominato dalla Rocca.

    Questi stagni offrono un paesaggio caratteristico e, un tempo fòmiti di malaria e causa quindi di spopolamento e desolazione, sono oggi utilizzati in parte come ricche peschiere e saline. In tal caso l’uomo ha provveduto alla loro conservazione, mentre quelli più piccoli o meno adatti sono colmati o in via di colmamento.

    Tutto sommato le coste sarde, con i loro lunghi tratti a ripa o a spiagge falcate si prestano male a servir di tramite tra l’isola e le terre circostanti. La costa orientale, cioè proprio quella rivolta verso la penisola italiana, è la più sfavorevole perchè per due terzi formata da una muraglia ostile e perchè d’altra parte le rias che la intaccano a nord hanno una esigua profondità e il fondo del Golfo di Olbia è in via di progressivo interramento, tanto che il porto è ormai mantenuto artificialmente. Il lato settentrionale e quello occidentale non sono molto migliori ed offrono qualche appiglio naturale solo in corrispondenza di alcune sporgenze come Porto Torres o di modeste insenature come quella di Alghero e di Bosa o di isole come la Maddalena a nord e San Pietro con Carloforte a sud. Più favorito degli altri è il lato meridionale dove al riparo, per altro incompleto, del promontorio di Sant’Elia è sorto e si è sviluppato il maggior porto dell’isola, Cagliari, più favorito però dalla sua posizione rispetto al retroterra e allo sbocco del Campidano che non dalla sua ubicazione.

    La mediocrità delle coste sarde ha certo contribuito a rendere assai modesta la vita marittima e quindi ad accentuare quell’isolamento naturale che ha avuto conseguenze decisive per i caratteri antropici della regione.

    Tuttavia in epoca recente, la situazione è molto migliorata in quanto sono state costruite importanti opere portuali nei principali approdi dell’isola e i collega-menti marittimi con la penisola e gli altri paesi circostanti sono stati intensificati e accelerati. Inoltre la bellezza e l’originalità delle coste ha costituito e costituisce un richiamo considerevole per i forestieri che vi accorrono sempre più numerosi alimentando una cospicua e redditizia corrente turistica.

    I mari

    I mari su cui si affacciano le coste sarde hanno, intorno all’isola, fondali con caratteri assai diversi; nel Tirreno essi scoscendono rapidamente verso alte profondità, mentre nel Mar di Sardegna hanno pendenza molto minore, sicché le profondità aumentano più lentamente.

    Infatti mentre dal lato occidentale la curva batimetrica di 200 m. decorre in gran parte parallela alla costa e se ne mantiene distante circa 20 km, dalla parte orientale ha andamento assai irregolare disegnando dossi — tra cui l’ampio delta sottomarino del Flumendosa — e solchi profondi, correndo per lunghi tratti a soli 6-8 km. dal litorale, ma in certi punti si avvicina di più ancora, tanto che dinanzi alla Torre di Murtas, posta nella parte centro-meridionale, l’isobata di 1000 m. dista meno di 15 km. dalla costa.

    L’isola poggia dunque su uno zoccolo asimmetrico in rapporto con l’asimmetria della sua configurazione in quanto, trovandosi i maggiori rilievi nella parte orientale, essi scendono ripidi da questo lato nel mare, mentre hanno versanti più estesi e meno acclivi verso occidente ove si sviluppano anche le maggiori pianure. Ne consegue che la piattaforma continentale, cioè la frangia con profondità fino a 200 m. circa, ha estensione molto diversa nelle singole parti: ridotta ad una striscia sottile dal lato tirrenico, diviene ampia e regolare nel Mar di Sardegna dal Golfo dell’Asinara a quello di Cagliari, il che ha grande importanza per la distribuzione dell’ittiofauna e quindi per la pescosità delle acque.

    Le acque marine che circondano l’isola hanno acque azzurrissime ad alta salinità, ma non sono interessate da movimenti notevoli. Le maree hanno una ampiezza media oscillante tra 20 e 30 cm. che si eleva fino a 40-50 cm. ad Alghero e Golfo Aranci nei periodi sizigiali e raggiunge il massimo di 60 cm. nell’interno del Golfo di Olbia. Ma nel Golfo di Oristano si scende a 15 cm. e a Carloforte appena a 10! Le correnti poi sono deboli e piuttosto con carattere di deriva, essendo collegate ai tipi isobarici prevalenti, variabili con le stagioni e mosse quindi dal vento: le acque occidentali sono interessate per gran parte dell’anno da una modesta corrente diretta da sud a nord mentre quelle orientali presentano d’estate una corrente analoga e d’inverno una corrente diretta in senso contrario facente parte di un circuito che a quanto sembra interessa l’intero Tirreno in senso antiorario. Nelle Bocche di Bonifacio le correnti sono più gagliarde e con verso alterno, ma dirette prevalentemente da occidente ad oriente con velocità da 2 a 4 miglia sotto l’impulso del ponente e del maestrale. Rimescolamenti notevoli di acque si hanno pure tra i vari gruppi insulari e soprattutto nel canale di San Pietro, tra l’isola omonima e la costa sulcitana; anche qui è col maestrale che si stabiliscono i movimenti di acque più forti diretti verso sud specialmente tra Portoscuso e l’isola Piana. Queste correnti hanno una certa importanza per i loro riflessi sulla pescosità delle acque e sulle migrazioni dei tonni.

    Lo stagno di Calich presso Alghero.

    I mari sardi sono noti da tempo per l’esistenza di numerosi banchi di corallo, che si trovano a profondità comprese tra 100 e 200 m. distribuiti in modo discontinuo al margine della piattaforma continentale, specialmente lungo il litorale settentrionale tra il Capo Caccia e il Capo Testa e dinanzi a quello sud-occidentale. La presenza di questi banchi corallini insieme alla pescosità delle acque, ha richiamato da tempo e fino ad epoca recente pescatori liguri, catalani, livornesi e napoletani con conseguenze importanti per il popolamento delle coste sarde.