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Rete idrografica, fiumi, laghi e serbatoi

    I fiumi, i laghi e i serbatoi

    Le falde acquifere e le sorgenti

    I particolari caratteri del clima e del suolo sardi si riflettono sulle acque continentali e cioè sia sulle sorgenti che sui corsi d’acqua. Il fatto che oltre il 60% dell’isola è formato da terreni impermeabili, il 32% da terreni semipermeabili e solo l’8% da terreni permeabili, rende il regime delle acque assai irregolare.

    La grande estensione dei terreni impermeabili limita la possibilità di penetrazione delle acque nel sottosuolo sicché le falde freatiche variano da luogo a luogo per ampiezza e per consistenza. Esse si trovano più estese, com’è logico, nelle pianure alluvionali e specialmente nelle alluvioni terrazzate dei Campidani dove in più luoghi sono raggiunte con pozzi dai quali si trae, mediante tradizionali norie (mobinu) o impianti meccanici, l’acqua per l’irrigazione delle colture orticole come nella zona alle spalle di Cagliari. Pure nel Campidano, ma più raramente, si trovano falde artesiane, utilizzate pure per la irrigazione.

    Maggiore importanza ha la prevalente impermeabilità del suolo sulla distribuzione ed entità delle sorgenti, che sono numerose ma per la maggior parte piccole e spesso temporanee. Se infatti ne sono state riconosciute 5150, ben 4169 hanno portata minore di mezzo litro al minuto secondo, 603 hanno portata compresa tra mezzo litro e un litro e appena 45 erogano più di 10 litri al secondo.

    Le sorgenti sono indicate con nomi diversi: mitza per sorgenti di emergenza o di contatto, bullone (polla) nel settentrione è pure di emergenza, béna o éna (vena) è sorgente origine di un ruscello, funtana è genericamente sorgente o fonte; più rari sono i termini di sciopadroxiu e tremuléus.

    I gruppi sorgentizi principali corrispondono, naturalmente, alle zolle calcaree tra le quali spiccano i tacchi della Barbagia, costituenti delle zone assorbenti in cui le acque s’infiltrano e vengono alla luce sui fianchi o alla base dei rilievi, al contatto con gli scisti impermeabili. Di questo tipo sono appunto quelle del Cologone, nell’alta valle del Rio di Oliena, le maggiori della Sardegna (223 1/sec.) e quelle di San Giuseppe, alle falde settentrionali del Monte Albo. Meno grandi ma più numerose sono quelle sgorganti intorno al tavolato calcareo del Sarcidano e ai bordi dei tacchi, dove spicca quella di Sàdali. Alla base di rilievi calcarei càmbrici dell’Igle-siente sgorgano pure molte sorgenti, tra cui notevoli quella di Pubusino (214 1/sec.) nei monti del Fluminese e l’altra già ricordata di San Giovanni presso Domusnovas. Frequenti, ma in genere più piccole sono le sorgenti nei calcari miocenici del Sassarese, mentre in rapporto con le masse permeabili trachitiche sono le numerose ma modeste sorgenti del Montiferru tra cui molto note quelle di San Leonardo delle Sette Fonti, presso Santu Lussurgiu.

    Carta della permeabilità del suolo e delle sorgenti.

    Terreni impermeabili: 1, complesso degli scisti paleozoici e relative intercalazioni porfiriche; 2, graniti prevalenti con piccole sorgenti nei tratti arenizzati. Terreni a permeabilità varia, in complesso impermeabili: 3, rocce laviche effusive e tufi, sorgentiferi là dov’è alternanza di banchi lavici fessurati con tufi impermeabili; 4, formazioni marnoso-arenacee terziarie. Terreni permeabili: 5, calcari e dolomie con sorgenti carsiche; 6, alluvioni e depositi detritici vari con possibilità di falde freatiche.

    Molte delle sorgenti però, comprese alcune delle maggiori, scaturiscono ad altezze inferiori ai 100 m., e con ciò si spiega sia lo scarso contributo che esse danno ai corsi d’acqua, sia il loro modesto grado di utilizzazione. Si pensi infatti che oltre un migliaio delle più piccole sono usate solo per abbeverare il bestiame, poco più di 1500 per l’adacquamento e piccole irrigazioni; solo alcune centinaia alimentano acquedotti e appena una trentina sono sfruttate per scopi industriali. Ciò significa che le acque sorgentizie non bastano che in minima parte a soddisfare le esigenze dell’approvvigionamento idrico e questo torna a mettere in evidenza l’assoluta necessità di provvedere mediante la costruzione di serbatoi che forniscano sia acqua potabile che l’acqua occorrente per l’irrigazione fornendo contemporaneamente energia elettrica.

    La scarsezza di sorgenti abbastanza elevate e la rigida stagionalità delle precipitazioni spiegano anche la mancanza di cascate: una sola, infatti, se ne può citare, ed è «sa Spèndula», modesta ma pittoresca, che si trova lungo il torrente Cuxinas, alle falde del Monte Margiani, presso Villacidro.

    A parziale compenso della inadeguatezza delle sorgenti normali, la Sardegna, ricca di minerali e interessata dal vulcanismo recente, possiede varie e importanti sorgenti termali e minerali. Le sorgenti termali, la cui temperatura oscilla tra i 40 e i 70°, sono allineate lungo le principali linee di frattura, in prossimità di affioramenti di lava e precisamente in corrispondenza della fossa del Campidano, ove si trovano le terme di Sàrdara (le Acquae neapolitanae del Romani) e di Acquacotta; nella Valle del Tirso, dove sono le terme di Fordongianus e di San Saturnino presso Benetutti e altre minori ; nella Valle del Coghinas, in corrispondenza delle terme di Casteldoria; e in zone marginali come San Giovanni presso Dorgàli e a Sant’Antioco.

    Interessanti sono anche le sorgenti minerali, situate quasi tutte nella parte settentrionale dell’isola e particolarmente nel Logudoro in corrispondenza anch’esse di fratture nelle rocce vulcaniche ivi esistenti. Sono da ricordare le sorgenti di Santa Lucia presso Bonorva e di San Martino non lungi da Sassari che forniscono ottime acque da bibita e varie altre minori nell’alta Valle del Temo nonché presso Ploaghe, Nulvi, Bànnari e presso Tempio dove la fonte di Renaggiu, sgorgante da terreni granitici, dà acqua simile a quella di Fiuggi.

    La rete idrografica

    La rete dei corsi d’acqua sardi è il risultato di vicende lunghe e complesse essendosi formata nel corso dei tempi geologici in rapporto soprattutto con eventi tettonici, cioè con le fratture già ricordate e con processi erosivi verificatisi in più cicli per effetto degli spostamenti del livello di base. Per quanto alcuni corsi d’acqua si siano costituiti fin dall’èra paleozoica, il tracciato attuale della maggior parte dei fiumi sardi e dei loro principali affluenti ha origine tettonica recente perchè, come si è già visto, la maggior parte dei solchi vallivi non sono stati scavati dai fiumi, ma rappresentano zone depresse per effetto di dislocazioni che hanno raccolto e convogliato le acque dai monti e dagli altopiani ai quattro fronti marittimi.

    Ma vi sono anche corsi d’acqua che ricalcano condizioni assai antiche e rappresentano, in tutto o in parte, un’eredità di condizioni passate: tali sono l’alto Flu-mendosa, il quale ricalca un sistema idrografico più antico che scendeva verso l’Ogliastra e il Flumineddu; e inoltre l’alto Tirso con i suoi affluenti Taloro e Ara-xisi, il Cedrino, il Posada ed anche il Rio Palmas, erede del bacino terziario del Sulcis.

    Così ogni bacino fluviale ha avuto una sua storia geologica particolare, corrispondente naturalmente a quella dei rilievi circostanti, e pertanto la rete idrografica della Sardegna manca di unità e di uniformità di sviluppo.

    Per quanto riguarda i caratteri idrologici, i fiumi sardi, oltre ad essere poveri di acque, hanno regime assai irregolare tanto che, in genere, più che di veri fiumi si deve parlare di fiumare e torrenti che corrono impetuosi e violenti nelle stagioni piovose, mentre sono all’asciutto durante la siccità estiva e per buona parte dell’autunno. Solo i tre fiumi maggiori, Coghinas, Tirso e Flumendosa e pochi altri come il Cedrino, alimentati da grosse sorgenti perenni, portano acqua anche durante l’estate, sia pure in scarsa quantità. Tutti però hanno un regime straordinariamente irregolare che determina un notevole disordine idraulico. Infatti dopo le forti magre estive, che riducono per lo più praticamente all’asciutto la maggior parte dei fiumi e dei torrenti, solo nel dicembre si ha un aumento apprezzabile delle portate, interrotto dalle secche di gennaio e si verifica poi nel febbraio e nel marzo il periodo dei maggiori deflussi i quali pertanto sono concentrati in pochi mesi dell’anno e presentano punte di forte entità. Infatti circa 1’87% delle portate spetta al periodo dicembre-maggio. Per questo non solo si ha un fortissimo divario tra le minime e le massime portate dell’anno, che per esempio nel Flumendosa oscillano talvolta tra 2230 e o me. al secondo. Ma si verificano anche improvvisi colmi di piena (il Flumendosa fino a 3360 1/sec. di contributo unitario e i corsi d’acqua minori fino a 20 o 30.000 1/sec.), che provocano delle rapide e rovinose variazioni di livello.

    Queste piene eccezionali, alle quali si contrappongono delle magre eccessive, costituiscono la principale causa della conformazione degli alvei dei corsi d’acqua, i cui letti, quando non sono incassati, hanno tale ampiezza e sono tanto ingombri di materiali da creare gravi problemi per la loro sistemazione con argini. Si consideri però che il carattere torrentizio all’estremo della idrografia sarda è andato aumentando negli ultimi cento anni per il grave disordine causato dalla distruzione dei boschi che sono stati improvvidamente tagliati o incendiati e per la estensione delle colture anche a terreni molto inclinati e assai erodibili, che sarebbe stato bene lasciare coperti dal manto vegetale spontaneo.

    I nomi dei corsi d’acqua sardi si distinguono nettamente da quelli delle altre regioni italiane perchè nessun fiume ha un nome stabile dalle sorgenti alla foce, come avviene in generale, ma si nota invece da un lato una denominazione frazionata, in quanto il nome del corso d’acqua muta a seconda dei territori, prendendolo a prestito da centri abitati, da monti (Riu de Monte Mannu, de Monte Nieddu, ecc.), oppure da aspetti sensibili (grandezza, forma, colore) dei singoli oggetti geografici. Si trova insomma un’estrema scarsezza di idronimi sostantivali, sicché per indicare i corsi d’acqua si ricorre ad espressioni composte coi nomi di luogo successivamente attraversati e che pertanto valgono solo per breve spazio. Ciò perchè i nomi delle acque, come del resto la toponomastica sarda in genere, hanno struttura semplicistica nelle definizioni e tuttavia complicata per il loro minuto frazionamento e le numerose ripetizioni, in rapporto con la compartimentazione e la limitatezza delle conoscenze e con l’isolamento in cui le singole parti delle regioni hanno persistito fino ad epoca recentissima.

    Inoltre proprio per la struttura semplicistica delle denominazioni di un singolo corso d’acqua, si trovano assai frequenti termini omònimi per indicare corsi di acqua diversi. Più usato degli altri è il termine di Ria Mannu (= rio grande) che si riferisce alla grandezza del torrente o del fiume in rapporto a quelli circostanti: in Sardegna B. Spano ha contato non meno di 36 « Riu Mannu », compresi i due Flu-mini Mannu che scorrono nei Campidani uno verso sud e l’altro verso nord. Questo ingenera una certa confusione, tanto che è stato proposto di rivedere la toponomastica della Sardegna e di sostituire almeno qualcuno dei « Riu Mannu » estendendo all’intero corso del fiume degli idronimi sostantivali che si trovassero a indicarne dei tratti singoli. E in effetti il nome di rio Mannu d’Orosei è stato sostituito con quello di Cedrino (dal classico Cedrus) e quello del Flumini Mannu del Campidano meridionale sfociante nello stagno di Cagliari col nome di Samassi, dal villaggio omonimo presso cui scorre. Altri termini usati più volte e sempre riferentisi alla grandezza sono riu Flumini, il fiume per eccellenza nell’angusto orizzonte locale, e riu Flumineddu, che sta a indicare corsi d’acqua influenti in altri di maggiore portata e che è usato sei volte: per due affluenti del Tirso, due del Flumini Mannu di Cagliari, uno del Flumendosa e uno del Cedrino.

    Regime dei fiumi Tirso, Coghinas, Flumendosa (in milioni di metri cubi).

    I corsi d’acqua e le loro denominazioni più comuni (da Spano).

     

    Molto frequenti sono pure nomi derivanti dalle caratteristiche dell’acqua, usati anche per parecchie sorgenti, come Acqua o Abba frisca e fridda, calle?iti e cadda per la temperatura ; Acqua arrubia o ruja, niedda e bianca per il colore ; Abba lughida, ja, serena, per la trasparenza; Abba ona, mala, durci per la potabilità; Abba salsa o salida, méiga o abbarghente (acidula) per le proprietà terapeutiche. Da ricordare anche il nome di piscina o pischina, ripetuto una decina di volte a indicare torrenti le cui acque durante la stagione asciutta si riducono a semplici pozze, e quello di iscia o iscra (dal latino insicula per le isolette alluvionali che si trovano lungo il corso) da cui deriva Liscia, nome del principale fiume della Gallura. Ove si aggiungano infine i nomi riguardanti la vegetazione: Cannas, Cannigione o Cannisone, Canneddu, llixi e llighe (leccio), Castangia, Nuche (noce) ecc. e soprattutto quelli derivanti da nomi di santi, si avrà un quadro fedele della idronomastica sarda, che per la sua anacronistica semplicità mal risponde alle esigenze attuali.

    Vedi Anche:  Origine del nome e caratteri generali della Sardegna

    I corsi d’acqua

    La rete idrografica sarda è formata da quattro fiumi maggiori — Coghinas, Tirso, Flumini Mannu e Flumendosa — che defluiscono ai quattro litorali dell’isola e scolano complessivamente una superficie di 9963 kmq., e da bacini minori molto numerosi in rapporto col frazionamento plastico del territorio e che interessano la maggior parte della superficie della regione pari a 13.814 chilometri quadrati.

    Il Coghinas, dall’antico nome di Thermus alludente alle sorgenti termali vicino alla sua foce — da cui deriva anche il nome attuale —, è formato dal Rio Mannu di Ozieri e dal Rio Mannu di Berchidda che scorrono nella importante depressione tettonica parallela alla Valle del Tirso e posta tra i Monti del Màrghine ed i Monti d’Alà a sud e gli altopiani dell’Anglona e il massiccio del Limbara a nord. I due rami si uniscono in una vasta depressione irregolare posta poco a settentrione di Óschiri dove, mediante uno sbarramento costruito alla Stretta di Muzzone, è stato creato dal 1927 il grande lago-serbatoio del Coghinas.

    All’uscita dal lago, il corso del fiume prosegue verso nord in direzione perpendicolare a quella dei suoi componenti in una valle trasversale che segue àll’incirca il contatto tra il settore trachitico dell’Anglona ed i graniti della Gallura ove si infossa in gole tortuose fino alla stretta di Castel Doria. Allo sbocco della selvaggia gola scavata in porfidi rossastri, sgorgano a livello del fiume le ben note acque termali solfuree (76°), ai piedi della collina coronata dai resti del Castello. Proprio alla stretta di Calstel Doria è stato costruito un secondo sbarramento che ha formato un lago-serbatoio le cui acque sono destinate all’irrigazione della sottostante pianura. Infatti subito dopo la stretta, il fiume sbocca nella piana del Campo Coghinas costruita dalle sue alluvioni, l’attraversa e dopo un tratto parallelo alla costa subito dietro al cordone litoraneo, che gli impedisce di sboccare direttamente al mare, si allarga fino a misurare 320 m. alla foce e si getta nel Golfo dell’Asinara, poco ad oriente dello spuntone roccioso di Castel Sardo.

    Il Coghinas ha la lunghezza di 123 km. circa ed è il terzo fiume della Sardegna, mentre per ampiezza di bacino (2476,8 kmq.) viene al secondo posto, e pure il secondo posto occupa per la sua portata media (16,4 me. al secondo) e per le portate massime che durante le piene raggiungono alla foce il cospicuo volume di 2447 me. al secondo, mentre durante l’estate si riducono a pochi litri e talvolta le acque non riescono neppure a raggiungere il mare.

    Anche il Rio Maritili di Porto Torres, pur essendo di modesta lunghezza, ha un certo interesse perchè è uno dei pochi corsi d’acqua che non si prosciugano durante l’estate, conservando nella stagione asciutta un filo d’acqua corrente che arriva fino al mare poco a occidente di Porto Torres.

    Dal lato occidentale, rivolto al Mar di Sardegna, si trovano quattro fiumi degni di nota e cioè, da nord a sud, il Temo, il Tirso, il Rio Mannu di Pabillonis ed il Rio Palmas. Ha acquistato però interesse negli ultimi tempi, anche il Rio Filibertu, sfociante nello stagno di Calich posto al fondo del Golfo d’Alghero, perchè due dei suoi affluenti (il Serra ed il Cuga) sono stati sbarrati per la costituzione di due laghi-serbatoio, di cui il principale è quello sul Cuga destinato all’irrigazione della Nurra algherese.

    Il Temo ha corso breve ma assai irregolare che ha pure impostazione tettonica in quanto si sviluppa nell’altopiano trachitico nord-occidentale fratturato ed inclinato verso occidente. Nato infatti alle falde del Monte Pedra Ettori, corre prima verso settentrione, ma all’altezza di Villanova Monteleone inizia un ampio arco che lo porta ad invertire il corso verso sud. Incanalato entro le colate trachitiche si arricchisce delle acque provenienti dagli altopiani contigui e devia infine verso occidente seguendo una depressione trasversale di sprofondamento recente che separa le trachiti dagli espandimenti basaltici e dai tufi della Planargia. A circa 4 km. dalla foce il suo alveo si allarga divenendo navigabile per piccole navi, cosa questa unica in Sardegna, scorre fra rive verdeggianti e belle campagne, attraversa la pittoresca cittadina di Bosa e sbocca in mare presso la Marina di Bosa col lato sinistro della foce poggiato all’Isola Rossa, congiunta oggi da un molo alla terraferma. Infatti l’ultimo tratto del corso del Temo ha funzionato da porto-canale fino al 1885 quando, per ovviare al grave inconveniente della frequente ostruzione della foce per la formazione di una barra, fu compiuta rescavazione e l’arginatura del tratto terminale, nonché il protendimento dell’asta di foce e la costruzione della diga di congiunzione dell’Isola Rossa. Venne formata così un’insenatura al riparo dalle torbide fluviali e dal moto ondoso di maestrale, un tranquillo ancoraggio marittimo che sostituì l’antico porto fluviale. Si provvede ora a regolare mediante la costruzione sul Temo inferiore di un bacino di ritenuta delle acque di piena, il regime del fiume che è assai variabile e provoca spesso disastrose inondazioni delle campagne intorno a Bosa e della parte bassa di questa stessa città.

    Il Tirso presso Fordongianus.

    Pressoché al centro della costa occidentale e precisamente nel Golfo di Oristano si trova la foce del Tirso, l’antico Thyrsus, che è il maggior fiume della Sardegna se non come portata, per lunghezza ed estensione del bacino: misura infatti 159 km., cioè poco meno dell’Ombrone grossetano, e riga coi suoi affluenti una superficie di ben 3375 kmq,. Presa origine dall’altopiano granitico di Buddusó, il suo corso si sviluppa sino alla foce con direzione complessiva da nordest a sudovest, in quanto segue una grande linea di frattura terziaria parallela ai Monti del Màrghine, lungo i quali si trovano le già ricordate sorgenti termali di Fordongianus e di Benetutti. Tale dislocazione è segnata al centro da una zona di sprofondamento il cui fondo è occupato da colate trachitiche e basaltiche che il fiume appunto incide fino al suo sbocco nel Campidano di Oristano. Invece i suoi affluenti seguono dei solchi di erosione, particolarmente sviluppati dal lato sinistro, ove scorrono appunto i due maggiori, il Taloro e più a valle il Flumineddu-Araxisi. Essi tagliano profondamente con valli sovrimposte gli altopiani granitici della Barbagia Ollolai il primo e della Barbàgia di Beivi il secondo, svolgendovi meandri incastrati entro pittoresche valli terrazzate.

    Il Flumini Mannu nel Campidano presso Sanluri

    Nell’alto corso del Taloro, in località Gusana, alla confluenza del Rio Aratu, è stata da poco costruita una grande diga a doppia curvatura che forma un grande serbatoio con annessa centrale idroelettrica.

    Nel corso del Tirso si possono distinguere pertanto tre parti con caratteri assai diversi: il tronco superiore fino quasi alla confluenza col Liscoi è incassato in rocce granitiche povere di acque; il tronco medio comprendente la parte tra il Liscoi e Villanova Truschedu scorre con profilo più dolce sui tufi, le trachiti ed i basalti della depressione e si arricchisce delle acque degli affluenti maggiori raccolte per gran parte nel grande lago-serbatoio Omodeo formato per sbarramento del fiume mediante la diga di Santa Chiara d’Ula. Il tronco inferiore infine si svolge con lieve pendenza nella bella pianura oristanese e termina con un piccolo delta, 6 km. ad occidente della città. In questo suo ultimo tratto il fiume era soggetto a frequenti straripamenti, specie in occasione delle forti piene primaverili, durante le quali convoglia 1500 e fino a 2000 me. d’acqua al secondo, mentre d’estate le portate si annullano quasi. A tale stato di cose si è ovviato sia mediante la costruzione di arginature, sia con la regolazione delle acque ottenuta con la costruzione della imponente diga di Santa Chiara nel 1923 allo scopo di creare il grande lago serbatoio utilizzato per la produzione di energia elettrica e per l’irrigazione del Campidano di Oristano e del territorio di Arboréa.

    All’estremità sud-occidentale dell’Isola, il Rio di Palmas che sbocca nel golfo omonimo, è il collettore di cinque o sei corsi d’acqua che scendono dalle cime più elevate del Sulcis. Il principale di essi è il Rio Maxias, che trae origine dalla Punta Maxia, e prende poi il nome di Rio di Santadi. Le acque di questi torrenti sono trattenute da una lunga diga a Monte Pranu presso Tratalias e formano così un ampio serbatoio, dopo il quale il fiume scorre lentamente nella pianura costiera del basso Sulcis e sbocca di fronte all’isola di Sant’Antioco.

    Di impostazione tettonica sono anche i maggiori corsi d’acqua scorrenti nella grande pianura del Campidano, costruita nel fondo della grande fossa terziaria. Le acque del Campidano e delle regioni contigue sono raccolte da due corsi d’acqua scorrenti in direzioni opposte a partire da una zona di spartiacque centrale all’altezza di San Gavino: il Flumini Mannu di Pabilloììis verso il Golfo di Oristano ed il Flumini Mannu di Samassi verso il Golfo di Cagliari. Quest’ultimo è più importante sia come lunghezza (86 km.) sia per il valore delle portate, sia per numero e consistenza degli affluenti. Presa origine con i suoi rami più lontani dall’altopiano calcareo del Sarcidano, ricco sui fianchi di risorgive, scende con corso complessivamente diretto verso sud attraverso la Marmilla, sbocca nel Campidano orientale attraverso la stretta di Furtei e prosegue verso sud ricevendo successivamente il Canale Vittorio Emanuele che emunge le acque della depressione di Sanluri, oggi bonificata, e da sinistra il torrente Leni convogliante notevoli sorgenti del gruppo del Monte Linas. Solcato il fertile piano di San Sperate, giunge nella zona di Decimo-mannu ove confluiscono dalla sinistra il Flumineddu formato dalle acque della Trexenta e del Sàrrabus, e da destra il Cixerri.

    L’affluente di maggior interesse è il Cixerri, sia perchè scorre in un’ampia valle trasversale terrazzata di antica impostazione tettonica, sia perchè convoglia, almeno in parte, le abbondanti acque di grosse risorgenti carsiche sgorganti dai calcari cambrici nella zona di Villamassargia-Domusnovas presso Iglesias. Poco distante da questa zona, su un suo modesto affluente di sinistra (il Rio Canònica) è stato creato un lago-serbatoio a scopo irrigatorio. Diretto nettamente da ovest ad est, il Cixerri, superato l’ostacolo delle colline trachitiche di Siliqua che sbarrano la valle, traversa il Campidano occidentale e si unisce alla parte terminale del Flumini Mannu poco prima del suo sbocco nello stagno di Cagliari, comunicante col mare.

    Dal lato orientale, la ristrettezza di spazio esistente tra i maggiori rilievi susseguentisi da un capo aH’altro dell’isola e la costa, e la conseguente mancanza di pianure hanno impedito la formazione di corsi d’acqua importanti, eccettuati alcuni casi di fiumi compositi, costituiti cioè da varie parti unitesi per effetto di particolari vicende tettoniche. La maggiore di queste eccezioni è data dal Flumendosa, la minore dal Cedrino, che sono appunto i più cospicui corsi d’acqua sfocianti nel Tirreno.

    Vedi Anche:  Densità ed emigrazione della popolazione

    Nella pianura litoranea posta a nord del Capo Ferrato scorre il breve Rio Sa Picocca, che sbocca nello stagno di Colostrai e, nella piana adiacente il Flumendosa, il romano Saeprus, che è per molti aspetti il fiume più importante della Sardegna. E questo non per la lunghezza (122 km.) per cui è superato dal Tirso e se la batte col Coghinas, nè per la ampiezza del bacino (1826 kmq.) che lo pone al terzo posto, ma per la natura di questo bacino, per i caratteri del suo corso, per le sue acque, per gli aspetti imponenti della sua utilizzazione. Anzitutto il Flumendosa sorge diretta-mente dal massiccio del Gennargentu che col suo affluente Calaresu avvolge dal lato orientale e meridionale e di cui emunge la maggior parte delle acque. Si consideri poi che il suo bacino, occupante quasi tutta la porzione sud-orientale dell’isola, è formato dalla maggior distesa di scisti e filladi esistente in Sardegna, sebbene essi inglobino masse allungate di porfiroidi e per quanto siano coperti al centro dalle masse calcaree tabulari dei tacchi. In questo ambiente litologico essenzialmente impermeabile si sviluppa il corso del fiume reso irregolare da vari cambiamenti di direzione. Sorto non lungi dalla costa orientale esso si dirige nel suo primo tratto ad occidente tra le montagne della Barbagia di Beivi descrivendo una serie di meandri ereditati da un più antico sistema idrografico che per tutto il corso superiore attuale scendeva in senso contrario attraverso l’Ogliastra.

    Proprio nella parte più alta il fiume è stato sbarrato, alla stretta di Bau Muggèris dopo lunghi lavori finiti nel 1949, e si è formato così il Lago dell’alto Flumendosa. Si tratta di un grande lago-serbatoio le cui acque dopo essere state utilizzate per la produzione di energia elettrica, scendono verso il Tirreno nel Rio Sa Téula ricalcando così il corso preterziario del fiume.

    Giunto all’altezza del villaggio di Gadoni, il fiume con un ampio arco piega ad angolo retto verso sud e poi a sudest, traversando la pittoresca zona dei tacchi ricca di risorgenti carsiche e prosegue col suo corso medio impostato entro una frattura, approssimativamente parallela alla costa. E questa la parte più pittoresca del fiume, in cui si succedono gole incassate e selvagge incise in rocce svariate, scisti, porfìroidi, calcari, basalti. Le più belle e le più profonde sono quelle che fiancheggiano la lunga colata basaltica di Nurri-Orroli e incidono i terreni cristallini sottostanti per oltre 300 metri. Proprio al termine di queste gole, alla stretta di Nuraghe Arrubiu, è stata costruita ed inaugurata nel 1959 la grande diga con cui è stato creato il lago del medio Flumendosa lungo ben 17 km., le cui acque insieme a quelle di un altro lago costruito sbarrando il Rio Mulargia, affluente di destra, vengono condotte nella Trexenta e poi con un lungo canale al Campidano per l’irrigazione della vasta ed arida pianura. I due laghi, cui se ne dovrà aggiungere un terzo sul Flumineddu, principale affluente di sinistra, formano dunque un complesso idraulico unico, il Complesso del medio Flumendosa, che verrà descritto più oltre.

    L’ampio alveo del Flumendosa presso la foce.

    I grandiosi lavori per l’utilizzazione delle acque fluviali sono stati lunghi e difficili per l’estrema variabilità delle portate che, mentre si aggirano su un metro cubo nel luglio e hanno nell’estate una media di 18-20 me. — che è la maggiore dei fiumi sardi — salgono al massimo medio di 1826 me., con punte di oltre 3000. Si aggiunga che tali ingenti piene sono improvvise sia per la natura prevalentemente impermeabile del bacino, sia per la ristrettezza dell’alveo e del corso alto e medio, sia per l’accentuata pendenza del suo profilo. Si comprende così come il corso basso, diretto da ovest ad est sia soggetto a forti variazioni e che la pianura alluvionale litoranea in cui il fiume scorre abbia subito fino ad epoca recente, finché cioè non furono costruite le arginature, delle disastrose inondazioni periodiche che provocavano danni assai gravi alle colture qui particolarmente prospere. Si pensi che nel febbraio del 1876 le acque si elevarono di m. 2,50 sul piano di campagna! Questa grande irregolarità di regime influisce naturalmente non solo suÌl’ampiezza, la disposizione e le variazioni della foce, che si trova poco a sud di Porto Corallo, ma anche sull’aspetto delle zone contigue ove le acque di piena si espandono e rimangono nelle bassure a formare l’ampio stagno della Praia comunicante col fiume, ed un canale retrodunale, parallelo alla costa, che si allunga per 6-7 km. fin quasi alla Torre Saline. Per i suoi particolari caratteri idrologici e per l’impermeabilità dei terreni il Flumendosa convoglia al mare masse ingenti di materiali solidi (fino a 200.000 me. al giorno durante le piene!) che, accumulandosi dinanzi alla foce, hanno formato una vasta piana litoranea in cui il fiume divaga e ha cambiato varie volte il suo corso, e un talus sottomarino che è il più esteso tra quelli formati dai fiumi sardi.

    Le gole del Flumendosa incise nell’imbasamento cristallino peneplanato.

    Il paesaggio del Gerréi visto da nord con le gole del Flumendosa (a sinistra) e del suo affluente Mulargia (da Scheu).

    i, terreni scistosi-cristallini di base; 2, tavolati calcarei giuresi (lacchi); 3, calcari eocenici; 4, calcari marnosi miocenici; 5, placche basaltiche.

    Degno di particolare considerazione è pure il Cedrino, l’antico Caedris, che sbocca all’estremità settentrionale del Golfo di Orosei. Esso è costituito infatti dalla riunione di numerosi corsi d’acqua che scendono dal Gennargentu e dall’altopiano granitico nuorese e sono stati convogliati verso oriente dagli sprofondamenti verificatisi nel settore vulcanico del Golfo di Orosei su cui si sono espanse le colate basaltiche dei gollei. Nato dal Monte Fumai, uno dei contrafforti settentrionali del Gennargentu, da cui prende anche origine il Flumineddu suo principale affluente di destra, prosegue col nome di Rio di Locoe percorrendo un solco inciso nell’altopiano granitico nuorese e piega poi con ampio arco verso oriente seguendo una dislocazione trasversale tra i graniti e i calcari e cambiando ancora nome con quello di Rio d’Oliena. Arricchitosi con quest’ultimo delle abbondanti risorgive carsiche sgorganti alla base degli imponenti rilievi calcarei, tra cui quella ricchissima del Cologone, diviene infine il Rio Mannu delle Baronie, chiamato di recente Cedrino e, ricevuto a sinistra il Rio d’Isalle, incide con una gola i basalti nella sua parte terminale e sbocca infine nelle piane di Galtelli e di Orosei, costruite con le sue alluvioni. Pur essendo piuttosto corto (appena una settantina di chilometri) il Cedrino come si è detto è ricco di acque, tanto che ne porta ancora durante l’estate ed ha piene di oltre 2400 me., sicché provoca frequenti inondazioni nella sua pianura litoranea, diversioni frequenti dell’ultima parte del suo corso, espandimenti di acque in un lungo stagno litoraneo (lo Stagno Petrosu), e modificazioni notevoli della foce atteggiata a delta in cui si divide in due rami.

    Il Rio di Posada, poco più a nord, è formato dall’unione del Rio di Alà, sgorgante dai monti granitici omonimi, col Rio Mannu di Bitti proveniente da sud ed inciso profondamente negli scisti con meandri tortuosi ereditati dall’antico corso scavato nei calcari che ricoprivano un tempo la formazione scistosa. Coi detriti abbondanti che trasporta, il Posada ha formato depositi di notevole spessore ed ha costruito una pianura litoranea che, prima della costruzione degli argini, era periodicamente allagata. In questa pianura il fiume divaga e si biforca sboccando così al mare con due foci distinte, comunicanti col lungo e tortuoso canale litoraneo. La piana era periodicamente inondata e desolata dalle piene abbondanti ed improvvise del fiume fino a quando poco tempo fa non è stato costruito un lago-serbatoio alla confluenza del Rio Mannu, al doppio scopo di regolare il regime del corso d’acqua e di raccogliere le acque per irrigare gran parte dei terreni a valle.

    Intenso interrimento provocano pure alle loro foci sia il torrente Padrogiano, che col suo affluente Castangia sta ricolmando con un cospicuo delta il fondo del Golfo d’Olbia, sia il fiume Liscia che scorre tra i graniti della Gallura, dai Monti Limbara al mare, e sbocca nell’insenatura di Porto Liscia, protetta da due isole — Culuccia e Insuledda — saldate all’isola maggiore dai depositi del fiume. Anche per il Liscia è stato provveduto alla regolazione delle rovinose piene mediante la recente costruzione di un lago-serbatoio in località Monte Calamaiu.

    Tutto considerato, i fiumi sardi hanno rappresentato fino ad epoca recentissima e in parte rappresentano ancora, un elemento ostile sia per l’insediamento umano che per l’economia. Grossi torrenti più che fiumi, che per l’insieme delle condizioni di suolo e di clima passano dall’inerzia dell’asciuttore alla violenza delle piene esasperate e distruggitrici, dagli alvei incassati e rocciosi della montagna agli ampi letti ghiaiosi delle pianure ove alimentano acquitrini e stagni litoranei che, se danno qualche reddito con la pesca, hanno rappresentato peraltro fino a pochi anni or sono fomiti disastrosi di malaria. Non cè quindi da meravigliarsi se fino da epoca antica gli uomini li abbiano evitati, tanto è vero che sono pochissimi i centri abitati che sorgono su corsi d’acqua e costituiscono l’eccezione che conferma la regola e che di questa aberranza paga il fio. Bosa, infatti, che sorge sul basso Temo, ove è sorta per ragioni marittime e militari, vede più volte ad ogni inverno le sue strade allagate dalle acque del fiume. E le piane acquitrinose sono state fino ad epoca recente disertate dagli agricoltori e votate per lo più alla pastorizia transumante.

    « Nessuna utilizzazione è quindi possibile — scriveva l’ing. Omodeo, grande pioniere della sistemazione idrologica della Sardegna e propugnatore della costruzione dei laghi-serbatoio — non a scopi irrigui, perchè l’acqua manca appunto nei mesi in cui più servirebbe, non a scopi industriali perchè in tre quinti dell’anno il deflusso e la forza ottenibile sarebbero nulli : negli altri mesi, meno di cinque, sarebbero così variabili in conseguenza delle vicende meteoriche, da non dare alcun affidamento della continuità indispensabile tecnicamente ed economicamente ». Come unico rimedio a questi gravissimi inconvenienti egli propose la costruzione di laghi artificiali che, immagazzinando la portata eccessiva e dannosa delle grandi piene invernali, ne rendessero l’erogazione costante per tutto l’anno o comunque conforme ai bisogni dell’industria e deH’agricoltura. E per suo merito sorsero appunto a partire dal 1923 i primi laghi-serbatoio sul Tirso e sul Coghinas, seguiti da molti altri sul Flumendosa e sui fiumi minori, che hanno permesso non solo di raccogliere grandi masse d’acqua razionalmente utilizzate, ma hanno regolarizzato il regime dei fiumi sardi principali.

    Il fiume Cedrino incassato nelle colate basaltiche presso Dorgàli.

    Laghi, stagni, serbatoi

    La Sardegna non possiede laghi naturali per le sue particolari vicende geologiche, non essendo stata interessata dal glacialismo quaternario nè da fatti tettonici recenti atti a formare conche, e anche per le sue condizioni climatiche sfavorevoli al mantenimento prolungato di specchi d’acqua chiusi. E infatti alcuni specchi di acqua interni formatisi in epoca recente, sono stati colmati o prosciugati.

    L’unico laghetto naturale esistente nell’isola è il lago di Bàrazza, posto nella Nurra in vicinanza della costa nei pressi di Porto Ferro e ai piedi di un colle, detto appunto Monte de su abba (cioè «monte dell’acqua») da cui sgorgano sorgenti perenni. Si tratta di un modesto specchio d’acqua raccoltosi in un antico tronco vallivo sbarrato dal lato del mare da un sistema di dune fossili, accumulate dal violento e persistente maestrale, che ha la profondità massima di 21 m. e livello costante perchè il sovrappiù viene assorbito appunto dalla duna.

    Vedi Anche:  Struttura, coste e mari della Sardegna

    Invece gli stagni e gli acquitrini sono numerosi e più lo erano nel passato, come è dimostrato dalla diffusione degli appellativi con cui sono indicati: stàinu, paùli, mara, piscina, gora, garroppu. S’intende parlare di stagni interni, da tenere distinti da quelli costieri cui si è già accennato, e che hanno avuto tutt’altra origine. Si tratta qui di acquitrini poco profondi con carattere di temporaneità, dovuti a ristagno di acque in zone depresse di antiche ampie vallate scavate nei terreni marnosi miocenici del Campidano e delle sue adiacenze o in ondulazioni di origine recente che interessano la superficie dei tre ordini di terrazzi che vi si trovano. Ricordiamo nel retroterra di Cagliari gli stagni di San Forzòrio, Simbirizzi, Maracalagonis, e più a nord, quelli di Serdiana, Nuràminis, Serrenti, Samatzai e Sanluri. Essi sono posti a quote differenti (da 5 fino a 129 m.), proprio per la loro particolare origine, e sono formati per lo più da acque salate, risultanti dal dilavamento di terreni stepposi in clima semiarido, e non da tratti residui dell’antico mare quaternario, come qualcuno opinava.

    L’opera dell’uomo ha modificato talvolta notevolmente queste distese acquitrinose prosciugandone alcune, come lo stagno di Sanluri e quello di Ortacesus in Trexenta, regolandone e restringendone altri, o facendoli passare da permanenti a temporanei, come è avvenuto per quello di Simbirizzi. Altri stagni temporanei si trovano nelle piccole depressioni formatesi sulle superfici basaltiche impermeabili come quelle delle giare: il più esteso di questi acquitrini è lo stagno di Bara posto sull’altopiano basaltico della Campeda, fra Macomér e Bonorva. Altri ancora, già esistenti qua e là nelle parti più depresse dei terreni marnosi e argillosi, sono stati in gran parte bonificati.

    I maggiori e più numerosi laghi sardi sono dunque quelli creati artificialmente applicando e sviluppando i criteri e le direttive dell’ing. Omodeo. A seconda degli scopi da conseguire, i laghi-serbatoio costruiti dal 1923 in poi possono suddividersi nelle seguenti quattro categorie: per provvista di acqua potabile; per attenuazione delle piene; per irrigazione; per produzione di energia elettrica. Queste finalità possono raggiungersi sia ciascuna isolatamente, come avviene per i serbatoi per provvista di acqua potabile, sia mediante mutue combinazioni, come nel caso dei serbatoi destinati contemporaneamente all’irrigazione ed alla produzione di energia elettrica.

    Il lago di Bàrazza nella Nurra unico specchio di acqua naturale dell’isola.

    I serbatoi della prima categoria sopperiscono alla mancanza o scarsezza di sorgenti perenni di sufficiente portata e poste a quota adatta. In Sardegna dove, come si è visto, queste condizioni si verificano assai di rado, questo tipo di serbatoio ha avuto grande sviluppo. Il più importante di essi è costituito dal gruppo dei tre serbatoi di Corongiu, in serie sul Rio Bauvilixi, che discende dal massiccio granitico dei Sette Fratelli. Questi serbatoi hanno un volume complessivo di oltre 5 milioni di me. a quota sufficiente per l’alimentazione della città di Cagliari, cui arriva però oggi l’acquedotto proveniente dal lago del medio Flumendosa. Vi sono poi i due serbatoi di Bunnari, della capacità di 1,5 milioni di me., che insieme a quello di Bidi-ghinzu riforniscono l’acquedotto della città di Sassari; il serbatoio costruito nei pressi di Fonni per l’alimentazione di Nuoro, e l’invaso di Sos Canales che alimenta l’acquedotto del Gocéano, ma altri sono in costruzione.

    La categoia dei serbatoi aventi solo lo scopo di moderare le piene è rappresentata da quello ricavato per sbarramento della Valle del Mógoro ed avente una capacità di 12 milioni di me. d’acqua, necessaria per regolare le rovinose piene del rio, e dal serbatoio del basso Temo, anche per salvaguardare dalle piene la città di Bosa.

    Finalità duplice, di regolazione e d’irrigazione, hanno vari laghi-serbatoio ed anzitutto l’importante lago artificiale creato di recente sul Liscia con la diga di Monte Calamaiu che immagazzina ben 100 milioni di me. destinati ad irrigare le piane di Olbia ed Arzachena. Altro serbatoio di questo tipo è quello sul Rio Palmas nel Sulcis, trattenuto dalla diga a Monte Pranu presso Tratalias che ha la capacità di 63 milioni di me. delle acque di piena, di cui 50 sono destinati ad irrigare circa 5000 ettari della sottostante pianura del basso Sulcis. A questi si è aggiunto da poco il lago-serbatoio sul Posada che oltre a regolarizzare il fiume, raccoglie 28 milioni di me. d’acqua con cui verranno irrigate le piane di Torpè, Posada e Siniscola. Sono da ricordare anche a nord il serbatoio di Castel Doria sul basso Coghinas, creato soprattutto per l’irrigazione della contigua piana del Campo Coghinas nonché quello recentissimo sul Cuga (35 milioni di me.) per l’irrigazione della Nurra algherese e a sud quello sul Rio Canònica (12,7 milioni di me.) per l’irrigazione della parte occidentale della Valle del Cixerri.

    Più numerosi e più importanti sono i laghi-serbatoio a diverse funzioni e di uso promiscuo perchè generalmente la produzione di forza motrice non può essere dissociata, in Sardegna, dalla utilizzazione irrigua la quale, anzi, tende a prevalere. Il serbatoio che riunisce oggi nel modo migliore le tre funzioni di regolazione del fiume, produzione di energia ed irrigazione, è il Lago Omodeo, costruito sul Tirso mediante sbarramento a Santa Chiara. Esso è stato costruito per primo, nonostante fosse quello tra gli impianti possibili producente minor quantità di energia al costo più caro, dato il suo eccezionale valore irriguo, posto coni è a breve distanza dalla grande piana di Oristano e di Arboréa. Infatti i 402 milioni di me. d’acqua che vi si raccolgono (di cui 374 utili) sono usati per la produzione di ingenti quantità di energia in due centrali della potenza istallata complessiva di 26.800 kW., e per l’irrigazione dell’agro oristanese e della bonifica di Arboréa (24.000 circa), la più importante opera irrigatoria della Sardegna. La regolazione del Tirso e la captazione delle acque del suo bacino è stata testé completata con la costruzione della grande diga di Gusana sul Taloro che consente un invaso di 60 milioni di me., d’acqua destinati alla irrigazione della media valle del Tirso.

    Il lago-serbatoio del Tirso o Lago Omodeo.

    Il lago-serbatoio Coghinas

    Il Lago Omodeo, serbatoio delle acque del Tirso visto da Nughedu. Sull’altra sponda si delinea il regolare altopiano basaltico di Abbasanta chiuso in fondo dal bastione dei Monti del Màrghine.

    Il lato orientale del lago-serbatoio del Coghinas attraversato dal ponte della Strada Tempio-Ozieri.

    Diga e invaso del Mulargia visti da valle.

    Secondo grande lago-serbatoio in esercizio è quello del Coghinas, costruito nel 1927 mediante sbarramento alla stretta di Muzzone e che raccoglie 254 milioni di me. d’acqua (di cui utili 237) usati per la produzione d’energia elettrica in due centrali (per complessivi 27.200 kW. di potenza istallata) e successivamente per l’irrigazione del Campo Coghinas.

    Sull’alto Flumendosa nel 1949 è stato realizzato il terzo lago-serbatoio sbarrando il fiume all’altezza di Bau Muggéris e allacciando con esso i due torrenti di Bau Mela e Bau Màndara mediante il loro sbarramento e relativa derivazione in galleria. E questo il più alto dei laghi artificiali sardi (800 m. sul mare) e perciò, pur essendo assai meno esteso dei due precedenti (3,5 kmq. contro 20,8 del lago Omodeo e 18 del lago del Coghinas) e pur contenendo meno acqua (58 milioni di me.), fornisce energia in quantità molto superiore in tre centrali successive della potenza totale di 50.000 kWh. Ad esse fanno capo le condotte forzate in tre salti successivi ottenuti con un sistema di gallerie che hanno permesso di superare le rughe montane adiacenti e di far deviare le acque dell’alto Flumendosa verso il litorale del-l’Ogliastra: dopo un salto complessivo di ben 717,90 m. queste acque affluite nel Rio sa Téula, vengono condotte ad irrigare la fertile piana di Tortoli.

    Successivamente è stato costruito sul medio Flumendosa un gruppo di serbatoi ancora più importante sia per la capacità assai maggiore, sia per la sua funzione prevalente che è l’irrigazione del Campidano, cui si uniscono in via subordinata la produzione di energia elettrica e l’uso potabile. Quest’opera gigantesca, realizzata e condotta da un apposito Ente — l’Ente Autonomo del Flumendosa —, è formata dal lago lungo ben 17 km. ottenuto sbarrando il Flumendosa all’Arcu San Stefano alla fine delle grandi gole a sudest di Orroli con una diga ad arco-gravità alta 120 m., le cui acque (317 milioni di me. utili) sono inviate mediante una galleria della lunghezza di 6 km. a un secondo lago più grande e più capace (334 milioni di me. di acqua) creato per sbarramento del Rio Mulargia a Monte Su Rei, un chilometro e mezzo più a monte del suo sbocco nel Flumendosa. Si tratta di due grandi raccolte d’acqua che ne costituiscono in realtà una sola di 651 milioni di me. ed alle quali si aggiungerà tra breve un terzo lago sul Flumineddu che darà un ulteriore apporto di 140 milioni di me. d’acqua. Dal lago del Mulargia una galleria di derivazione, al cui imbocco è sistemata in caverna la centrale idroelettrica di Uvini, forando le colline che separano il bacino del Flumendosa da quello del Flumini Mannu, sbocca presso Arixi in Trexenta. Da qui ha inizio da un lato la conduttura principale dell’acquedotto che termina a Cagliari facendo capo a 22 Comuni e dall’altro il canale principale adduttore che dopo 17 km. di percorso giunge alla centrale idroelettrica di Santu Miali da cui le acque di scarico sono immesse nella rete dei canali ripartitori e distributori del Campidano per l’irrigazione di una superficie che dovrà raggiungere l’estensione di 100.000 ettari.

    Il lago-serbatoio dell’alto Flumendosa.

    Profilo del complesso idraulico del medio Flumendosa.

    Ma altri serbatoi sono in costruzione e molti altri in progetto per completare la valorizzazione idrica dell’isola. Sono in corso di costruzione due laghi a Benzone e a Cucchinadorza sul Taloro, uno a Scala Mala su un affluente del Cuga, un altro sul Cedrino. Tra i serbatoi in progetto sono da ricordare oltre quello sul Flumineddu, già citato, i quattro che affiancheranno il complesso del Flumendosa per la irrigazione del Campidano e che sorgeranno sul Rio di Mógoro, sul Flumini Mannu, sul Rio Leni e sul Rio Santa Lucia. Comunque i laghi artificiali già costruiti permettono di raccogliere 1700 milioni di me. di acqua, pari a circa un decimo delle precipitazioni atmosferiche che cadono in media ogni anno sull’isola, e che vengono razionalmente utilizzati con enorme beneficio per l’agricoltura e per le industrie dell’isola. « Non una goccia d’acqua al mare, se prima non abbia fecondato la terra » è il motto dell’Ente Flumendosa, e bisogna ammettere che sono già state poste le basi per tradurlo in realtà.

    Così la Sardegna, da terra priva di laghi, è divenuta per opera dell’ingegno e dell’attività dell’uomo una delle regioni d’Italia che ne sono meglio fornite; il che ha provocato già trasformazioni profonde del paesaggio e progressi decisivi dell’economia.