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Formazione geologica il rilievo montagne e pianure

    FORMAZIONE GEOLOGICA IL RILIEVO. MONTAGNE E PIANURE

    Formazione geologica della regione.

    La Campania è una regione in gran parte montuosa: il suo rilievo è formato da vari allineamenti di montagne, diverse per natura e per forma. Esse sono state prodotte dalle spinte orogenetiche, che hanno fatto assumere all’Appennino Campano un andamento particolarmente sinuoso, frantumandolo in massicci asimmetrici con profonde fratture longitudinali e trasversali, o sono state create dai materiali fuoriusciti dai bacini magmatici dei vari vulcani, durante i frequenti parossismi che si sono susseguiti fino ai nostri giorni.

    La Campania è una terra giovane, su cui potenti forze endogene ed esogene hanno lasciato notevoli tracce della loro azione costruttrice e demolitrice. Solo nel Terziario sono affiorate dalle onde le prime creste ed i primi isolotti che, sollevati ulteriormente, hanno assunto la forma di dorsali e di massicci, sempre più alti ed imponenti a mano a mano che le spinte orogenetiche li innalzavano per migliaia di metri sul livello del mare nel corso di molti millenni. Sono emerse in tal modo le vertebre calcaree della dorsale principale dell’Appennino, di quella, cioè, indicata dalla successione delle maggiori montagne, e non già di quella più orientale e molto più bassa, nota più propriamente come Appennino Sannita, su cui corre lo spartiacque tra i fiumi adriatici e tirrenici.

    cominciato a deformare e a sollevare, forse già nel Secondario, gli strati che riposavano o continuavano a sedimentarsi sul fondo dei mari. Neil’èra successiva, accentuandosi il movimento ascensionale sotto l’azione di tali spinte tangenziali, si è avuto il lento sollevamento delle masse corrugate e fratturate, mentre già sulle loro ampie spalle, e ancor più sui loro fianchi, si andava depositando, nell’Eocene e nell’Oligocene, un mantello di altri strati calcarei, di arenarie, di molasse e di argille (flysch). Tale ricoprimento ha assunto una potenza diversa secondo la conformazione degli strati, sui quali si è depositato, la durata dell’accumulo e le direttrici lungo le quali i materiali di origine continentale sono pervenuti al mare e si sono sedimentati sul suo fondo.

    Nel Miocene avviene una nuova vigorosa ripresa del sollevamento: emergono dal mare le dorsali minori rivestite di flysch, si sollevano ulteriormente i massicci calcarei, non già nudi, come ci appaiono oggi, ma quasi interamente coperti di uno spesso mantello di terreni argillosi ed arenacei. Tale mantello le acque superficiali hanno asportato dalle falde alte delle maggiori montagne con un’azione prolungata per millenni, che era più intensa nel passato, quando le masse calcaree scoperte avevano più limitata estensione e risultavano molto meno permeabili, perchè il fenomeno carsico non aveva ancora agito in profondità.

    Il mare penetrava nel nostro Appennino in ampi golfi e in minori insenature e gli specchi lacustri occupavano alcune conche interne. In tali golfi e conche si attuava un processo di sedimentazione non solo con i materiali strappati alle terre emerse, ma anche di gessi, di zolfo e di salgemma, dando luogo alla formazione gessoso-solfifera, di cui alcuni lembi sono presenti nella parte interna della Campania, sia sul versante tirrenico, sia su quello adriatico, e da cui hanno origine anche le tracce di sale e di zolfo delle salse di Salza Irpina e di alcune sorgenti minerali. Le miniere di zolfo della media valle del Sàbato (Altavilla Irpina e Tufo) e le cave di gesso dell’alto bacino del Cervaro sono legate alla presenza di tale formazione.

    Le terre continuano a sollevarsi e il mare a ritirarsi; si originano i principali fiumi, che si apriranno profondi solchi vallivi e incideranno le soglie che sbarravano alcune conche, le quali sono state in parte colmate e in parte svuotate. Comincia, come conseguenza dell’erosione accelerata delle terre più alte, la sedimentazione nei mari periferici, nelle conche e nei fondivalle, dove vengono abbandonati i materiali che i corsi d’acqua non riescono a trasportare fino al mare.

    Vedi Anche:  I laghi

    Il Miocene è appunto caratterizzato dal ritiro del mare e da una intensa azione erosiva delle acque superficiali, ma nel Pliocene si ha una nuova trasgressione marina. Il livello del mare si alza di parecchie centinaia di metri e riempie valli e conche, tanto che il Tirreno comunica con l’Adriatico ; l’Appennino Campano assume l’aspetto di una serie di massicci circondati dalle acque. Il mare pliocenico ondeggia circa 800 m. sopra quello attuale sulle falde del Matese, come testimoniano le orme che intorno a quell’altitudine ha lasciato l’azione abrasiva (Dainelli).

    Ricomincia, quindi, il processo di sedimentazione e di colmata in buona parte della regione e si formano banchi di conglomerati e di sabbie cementati, anche molto potenti. I più estesi lembi di Pliocene si ritrovano nell’Arianese, nella valle del Sàbato e alla base meridionale dei Monti Picentini, oltre che ad oriente della displuviale dell’Appennino Sannita, dove tale formazione occupa parte del bacino del Fortore e dell’Òfanto e si innalza in colline e dorsali isolate fino a circa 1000 m. sul mare. Occorre subito avvertire, però, che i movimenti di innalzamento e di abbassamento delle terre e del mare non sono avvenuti senza profonde modificazioni della disposizione originaria dei vari rilievi; anzi è lecito supporre che essi siano stati accompagnati da notevoli disturbi tettonici e dalle deformazioni superficiali di alcune terre.

    Cicli di erosione si sono alternati o combinati con cicli di sedimentazione, legati alle oscillazioni del livello del mare nelle diverse epoche e a particolari condizioni climatiche.

    Il passaggio dal Terziario al Quaternario (Pleistocene) è caratterizzato, infatti, da un nuovo sollevamento delle terre, accompagnato da profonde fratture con scorrimento delle masse — anche di quelle plioceniche —, che si sono corrugate ed inclinate, originando o accentuando l’asimmetria dei versanti, che caratterizza buona perte avevano più limitata estensione e risultavano molto meno permeabili, perchè il fenomeno carsico non aveva ancora agito in profondità.

    Il mare penetrava nel nostro Appennino in ampi golfi e in minori insenature e gli specchi lacustri occupavano alcune conche interne. In tali golfi e conche si attuava un processo di sedimentazione non solo con i materiali strappati alle terre emerse, ma anche di gessi, di zolfo e di salgemma, dando luogo alla formazione gessoso-solfifera, di cui alcuni lembi sono presenti nella parte interna della Campania, sia sul versante tirrenico, sia su quello adriatico, e da cui hanno origine anche le tracce di sale e di zolfo delle salse di Salza Irpina e di alcune sorgenti minerali. Le miniere di zolfo della media valle del Sàbato (Altavilla Irpina e Tufo) e le cave di gesso dell’alto bacino del Cervaro sono legate alla presenza di tale formazione.

    Le terre continuano a sollevarsi e il mare a ritirarsi; si originano i principali fiumi, che si apriranno profondi solchi vallivi e incideranno le soglie che sbarravano alcune conche, le quali sono state in parte colmate e in parte svuotate. Comincia, come conseguenza dell’erosione accelerata delle terre più alte, la sedimentazione nei mari periferici, nelle conche e nei fondivalle, dove vengono abbandonati i materiali che i corsi d’acqua non riescono a trasportare fino al mare.

    Il Miocene è appunto caratterizzato dal ritiro del mare e da una intensa azione erosiva delle acque superficiali, ma nel Pliocene si ha una nuova trasgressione marina. Il livello del mare si alza di parecchie centinaia di metri e riempie valli e conche, tanto che il Tirreno comunica con l’Adriatico; l’Appennino Campano assume l’aspetto di una serie di massicci circondati dalle acque. Il mare pliocenico ondeggia circa 800 m. sopra quello attuale sulle falde del Matese, come testimoniano le orme che intorno a quell’altitudine ha lasciato l’azione abrasiva (Dainelli).

    Vedi Anche:  Le montagne calcaree

    Ricomincia, quindi, il processo di sedimentazione e di colmata in buona parte della regione e si formano banchi di conglomerati e di sabbie cementati, anche molto potenti. I più estesi lembi di Pliocene si ritrovano nell’Arianese, nella valle del Sàbato e alla base meridionale dei Monti Picentini, oltre che ad oriente della displuviale dell’Appennino Sannita, dove tale formazione occupa parte del bacino del Fortore e dell’Òfanto e si innalza in colline e dorsali isolate fino a circa 1000 m. sul mare. Occorre subito avvertire, però, che i movimenti di innalzamento e di abbassamento delle terre e del mare non sono avvenuti senza profonde modificazioni della disposizione originaria dei vari rilievi ; anzi è lecito supporre che essi siano stati accompagnati da notevoli disturbi tettonici e dalle deformazioni superficiali di alcune terre.

    Cicli di erosione si sono alternati o combinati con cicli di sedimentazione, legati alle oscillazioni del livello del mare nelle diverse epoche e a particolari condizioni climatiche.

    Il passaggio dal Terziario al Quaternario (Pleistocene) è caratterizzato, infatti, da un nuovo sollevamento delle terre, accompagnato da profonde fratture con scorrimento delle masse — anche di quelle plioceniche —, che si sono corrugate ed inclinate, originando o accentuando l’asimmetria dei versanti, che caratterizza buona

    parte delle montagne della nostra regione. Grandi quantità di magma fuoriescono attraverso i punti meno resistenti della crosta terrestre e sono espulse dal sottosuolo dalla forza esplosiva dei vulcani sotto forma di ceneri, lapilli e sabbie e si espandono sul fondo dei mari o sulle terre emerse. Si accendono in tal modo le prime bocche del Roccamonfìna, del Vesuvio, dell’Epomeo, dei Campi Flegrei e delle altre isole vulcaniche napoletane.

    ringiovanite, con l’incisione delle soglie, come testimoniano le valli sospese e le terrazze fluviali ancora ben conservate. L’azione di erosione e di accumulo delle acque superficiali si è combinata con quella dei vulcani, che hanno distribuito periodicamente i loro materiali sulle terre e sui mari durante le fasi esplosive, ed ha contribuito a formare alla base dei rilievi e nelle zone più pianeggianti potenti strati di terreni, molto mescolati e vari per composizione e per natura, e quindi adatti alle più svariate colture.

     

     

     

     

    L’acqua meteorica ha agito chimicamente soprattutto sui rilievi calcarei e sui banchi di detrito di falda e di conglomerato calcareo, creando campi carsici, inghiottitoi, doline, cavità dì sprofondamento, solcando e cariando la roccia affiorante. Il Matese, i Picentini, il Marzano, l’Alburno e la Catena della Maddalena accolgono entro i loro monti i principali piani carsici della Campania, il fondo dei quali è temporaneamente o permanentemente invaso dalle acque, dove l’Uomo non è intervenuto per costruire emissari superficiali o sotterranei. Dei principali di essi sarà fatto cenno più avanti.

    Nel Quaternario sono state frequenti anche le lentissime oscillazioni delle terre emerse, cioè i fenomeni bradisismici positivi e negativi, che sono stati avvertiti anche in epoca storica nei Campi Flegrei, nell’isola di Capri e nella Penisola Sorrentina, dove alcuni manufatti degli antichi sono stati sommersi nel Medio Evo e sono in parte riemersi in epoca successiva, come provano il Serapeo di Pozzuoli e la Grotta Azzurra di Capri, già frequentata nell’antichità e diventata poi inaccessibile. Una parte delle antiche città di Baia e di Pozzuoli rimane ancora sotto il livello del mare.

    Vedi Anche:  La popolazione della Campania dopo l'unificazione dell'Italia

    Il glacialismo ha lasciato tracce sicure solo sui rilievi più alti della Campania (Matese, Cervati), ma durante i periodi glaciali ed interglaciali il mare ha subito sensibili oscillazioni, accentuando l’azione di erosione o di colmata dei torrenti. Le acque superficiali hanno denudato sempre più i rilievi calcarei della coltre di argille e di arenarie, determinando l’abbassamento delle sorgenti, che sono alimentate dalle acque assorbite nelle conche più alte. La penetrazione delle acque meteoriche nel seno dei monti calcarei è stata sempre più profonda e intensa: il carbonato di calcio, di cui sono ricche le acque scaturienti dalle montagne calcaree, si è accumulato a formare qua e là banchi di travertino (Acerra, Sarno, Paestum, Triflisco, Contursi, Lioni).

    Un fenomeno di notevole importanza è quello delle frane, che interessa anche i rilievi calcarei con pareti subverticali e con strati a franapoggio (Lattari), ma che assume un’estensione, un’intensità e una frequenza ben maggiori sulle dorsali più orientali dell’Appennino e lungo le valli aperte in terreni poco resistenti e percorsi da torrenti impetuosi. Tra le zone maggiormente interessate dal fenomeno delle frane occorre ricordare la media valle del Sàbato e le alte valli del Calore Irpino, dell’Òfanto, del Sele (Colliano), del Calore Lucano (Roscigno, Sacco) e del Min-gardo (Laurito). L’estrema parte della Penisola di Sorrento (Massa Lubrense) è anch’essa soggetta a frequenti fenomeni franosi, data la presenza del macigno e la ripidità delle falde collinari, che il mare scalza alla base. Una di queste si è stac-

    cata presso lo spartiacque nel 1941 e si è rimessa in movimento nel gennaio 1963, minacciando il centro di Nerano.

    I materiali strappati ai rilievi dalle acque dilavanti e trasportati da fiumi e torrenti hanno raggiunto in grandi quantità il mare, del quale hanno riempito parzialmente i golfi e creato pianure alluvionali più o meno vaste in corrispondenza dello sfocio dei corsi d’acqua. Le principali pianure alluvionali sono quelle del Garigliano, del Volturno e del Sele, che si sono formate col concorso dei fiumi principali e di numerosi altri minori.

    Nel Quaternario, con la comparsa dell’Uomo, si è aggiunto alle forze fisiche un agente modificatore della superficie terrestre, intelligente ed attivo, la cui opera ha coadiuvato in molti casi quella della natura nella demolizione, come nella colmata, favorendo, ad esempio, l’erosione accelerata con la riduzione del mantello boschivo, ed esercitando azione distruttiva con le cave, per strappare alla terra materiali da costruzione e minerali. L’Uomo ha talvolta contrastato l’azione degli agenti esogeni con la costruzione di argini e di terrazze: egli ha prosciugato acquitrini, ha svuotato laghi e pantani, ha deviato alcuni corsi d’acqua, ne ha captato altri in bacini artificiali, ha derivato le acque di sorgenti per usi domestici ed irrigui, ha diffuso le piante e gli animali a lui più utili, distruggendo parecchie specie inutili o dannose ed ha in questo modo trasformato profondamente l’ambiente.

    La Campania ci offre numerosi esempi della multiforme attività dell’Uomo, che, modificando i rapporti di forza tra i vari agenti naturali, determina nuove forme di equilibrio geografico-economico nel continuo variare dell’intensità delle forze che vi agiscono.