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La regione Campania

    La regione.

    La Campania è nota come una delle regioni più interessanti d’Italia e del mondo intero, non solo per la varietà dei suoi paesaggi, per la complessità della sua morfologia, per i caratteri del clima, per la fertilità del suolo e per la floridezza della vegetazione, ma anche per la densità e la distribuzione della popolazione, per le attività, i generi di vita e le molteplici manifestazioni culturali di questa ed, inoltre, per il grande contributo che la regione ha dato alla storia politica, sociale ed economica del nostro paese e per l’importanza che conserva attualmente nella vita spirituale ed economica italiana.

    La natura vi ha creato, specie sulle terre che fanno corona al Golfo di Napoli, un ambiente oltremodo favorevole alla vita animale e vegetale, la quale vi si manifesta in forme assai complesse e lussureggianti. In esso si è inserito l’Uomo a trasformarlo profondamente con le sue attività e a lasciarvi tracce durature della sua presenza, come testimoniano le numerose scoperte archeologiche, le città dissepolte che ci portano nel vivo del mondo antico, i centri medioevali meglio conservati e la metropoli partenopea, la quale sul substrato greco e pagano ha rinnovato la sua vita culturale nel corso dei secoli ed ha innestato nel suo tessuto urbanistico cellule nuove, arricchendosi di grandiosi edifìci ecclesiastici e laici e ricevendo pertanto un’impronta inconfondibile dai chiostri recinti da colonne ed archi, dalle cupole slanciate e dagli atrii adorni di bellissime scale su archi rampanti.

    Quante le memorie storiche e quanti i ricordi classici nella nostra regione! Quanti gli scrittori e i poeti del mondo intero venuti, nelle diverse età, qui ad ispirarsi alla natura meravigliosa e alle opere straordinarie degli uomini, sotto il suo cielo luminoso e presso le sponde del suo azzurrissimo mare! Non vi è altra regione sulla Terra che possa contendere alla Campania un tale primato.

    Nel territorio della nostra regione si formarono nei tempi antichi importanti correnti filosofiche, con le scuole eleatica ed epicurea, ed assunsero presto importanza le rappresentazioni teatrali e i canti popolari, continuamente rinnovati fino ai nostri giorni. Il pensiero di Giordano Bruno, di Giovanbattista Vico e di Benedetto Croce

    Cuma. Antro della Sibilla.

    vi ha continuato la tradizione filosofica su basi nuove nell’età moderna, mentre storiografi, giuristi ed economisti illustri davano un notevole contributo al progresso delle scienze sociali, giuridiche ed economiche.

    In Campania la Sibilla dal suo misterioso antro cumano esprimeva vaticini non meno importanti dell’oracolo di Delfo e Minerva sul Promontorio Ateneo riceveva l’omaggio dei naviganti che passavano per le bocche di Capri; Paestum richiamava nei suoi templi folle esultanti dalle terre circostanti, Pozzuoli integrava le sue funzioni di porto cosmopolita col riservare un posto onorevole alle divinità e ai culti praticati nei paesi mediterranei con i quali intratteneva rapporti commerciali. Il fervore religioso si rinnovò col diffondersi della nuova dottrina di Cristo, qui fatta conoscere dagli Apostoli stessi e predicata da martiri e da vescovi innalzati agli onori degli altari: ai templi pagani si sostituirono santuari cristiani anche più famosi e monasteri e torri campanarie, dalle quali i primi rintocchi delle campane, ora lieti, ora tristi, richiamavano alla Chiesa i fedeli e annunziavano le feste e i lutti. Nola mena il vanto di aver creato questo strumento destinato ad avere un’immensa fortuna e a trarre il nome dalla regione in cui fu usato sin dai primi secoli del Cristianesimo.

    Omero sentì per primo, attraverso l’esperienza di Ulisse, il fascino della nostra terra e Virgilio verrà ad ispirarvisi per cantare la vita dei campi e vi vorrà eretto il suo sepolcro, dopo di aver immaginato che lungo le nostre coste si svolgessero gli episodi di Palinuro e di Miseno e che presso le sponde dell’Averno Enea scendesse nell’Ade a trarre gli auspici per il futuro di Roma. Stazio magnificherà la villa di Asinio Pollione, una delle più note della Costiera Sorrentina e, nei tempi sempre più vicini a noi, Petrarca verrà sulle nostre sponde ad attingervi motivi per la sua alta poesia e Boccaccio per il Decamerone. Successivamente dalla Campania leveranno il magnifico canto le muse ispiratrici del Sannazzaro, del Tasso e del Marino e trarranno linfa vitale per le loro opere imperiture Goethe, Schiller, Lamartine, Leopardi, Gorki ed altri grandi. I minori sono una schiera interminabile.

    Il Golfo di Napoli sintetizza le bellezze naturali della regione e conserva grandi tracce dell’opera millenaria dell’Uomo. Le terre ne sono un elemento essenziale, ma il mare vi acquista forse un’importanza maggiore. Esso ravviva e dà vita all’insieme, sia che il libeccio ne sollevi le onde fin sulle banchine, ad orlare di candida spuma il litorale dell’arco partenopeo, o il maestrale le sospinga ad infrangersi, lunghe ed alte, alla base e negli anfratti dell’alta costa sorrentina, e la tramontana ne increspi la superficie con innumeri creste spumeggianti, sia che calmo in estate riposi nelle insenature sotto un cielo cristallino, colorato di azzurro intensissimo ai raggi subverticali del sole, o sotto una volta stellata, illuminato dalle lampare dei pescatori o solcato dalla scia luminosa della luna crescente. Molta parte del suo fascino deriva alla Campania dal mare, come provano i canti celebri che da esso hanno tratto motivo.

    La Campania è una regione dai grandi contrasti, sia per quanto riguarda l’ambiente fisiografico, sia per quanto riguarda la distribuzione della popolazione e il suo modo di abitare, la ripartizione della proprietà e del reddito nelle varie parti della regione e tra le classi sociali, l’intensità delle colture e la concentrazione delle industrie. Alla base di tali contrasti vi sono cause naturali e fattori umani, che affondano talvolta le radici in un passato più o meno lontano, in cui assai complesse sono state le vicende storico-sociali.

    Molto considerevole è la ricchezza dei fenomeni naturali, che è possibile osservare entro i suoi confini, e assai varie sono, nelle diverse parti della regione, le forme del terreno. Queste, infatti, risultano strettamente legate alle vicende geologiche, che hanno originato i rilievi, e alla costituzione litologica di questi, oltre che alla prolungata azione modificatrice e plasmatrice di potenti forze endogene ed esogene.

    Situata nella sezione mediana dell’arco continentale tirrenico, la Campania è largamente aperta alle umide e tiepide correnti d’aria provenienti dai quadranti meridionali e sufficientemente protetta da quelle secche e fredde di origine continentale. Il clima, mite e abbastanza piovoso, pur con differenze piuttosto sensibili con il variare dell’altitudine, della distanza dal mare e dell’esposizione, favorisce lo sviluppo di una rigogliosa vegetazione, soprattutto dove più abbondante è il materiale piroclastico e più estesa è la coltre di terreno alluvionale. Concorrono alla sua formazione specie endemiche ed esotiche, molto diverse per portamento, altezza ed esigenze biologiche.

    Vedi Anche:  Il fenomeno migratorio dei tempi attuali

    D’altra parte floride colture legnose si sono sostituite su vastissime aree al mantello vegetale originario, il quale, pur modificato dall’Uomo, risulta costituito essenzialmente di pinete, di boschi di leccio e di macchia più o meno intricata sulle dune costiere e nelle zone a clima più spiccatamente mediterraneo, di floridi boschi di castagno, di carpino e di querce sui fianchi dei maggiori rilievi, di frassini, ontani e faggi nelle parti più alte di essi, dove sono abbastanza estesi anche i pascoli.

    La popolazione vi è distribuita in modo assai irregolare: variano da un luogo all’altro il suo modo di abitare e i suoi generi di vita. La zona che cinge il Golfo di Napoli è una delle più fittamente abitate dell’Italia e si distingue per la eterogenea distribuzione dei tipi d’insediamento e per la grande varietà formale e strutturale dei centri e delle case sparse.

    La Campania occupa il dodicesimo posto tra le venti regioni italiane per superficie (13.595 kmq.), il secondo per popolazione, dopo la Lombardia, ed il primo per densità. Essa si estende ora tra il Garigliano e il Golfo di Policastro e si affaccia al Mar Tirreno con un litorale fortemente arcuato, in cui si alternano golfi e insenature a penisole e a promontori, creati dalle estreme diramazioni della complessa catena appenninica o dagli orli semidemoliti dei rilievi vulcanici litoranei.

    L’Appennino, in corrispondenza della nostra regione, si restringe e si spezza, formando vari massicci separati tra loro da profonde valli longitudinali e trasversali; esso non costituisce un ostacolo naturale di difficile transito e consente di collegare agevolmente le due maggiori pianure dell’Italia peninsulare, il Piano Campano e il Tavoliere Pugliese. Lo spartiacque tra i fiumi tirrenici ed adriatici si mantiene per lunghi tratti a meno di 1000 m. e si deprime fin sotto gli 800 m. tra il Miscano e il Cervaro (600 m.), tra l’Ùfita e il Calaggio (700 m.), tra l’Òfanto e il Calore (710 m.) e all’importante valico di Sella di Conza (700 m.).

    I fiumi, incidendo con ampi solchi vallivi il Subappennino, campano e pugliese, creano delle vie naturali di penetrazione dalle pianure alle conche e alle valli interne e consentono un facile collegamento tra i due opposti litorali dell’Italia meridionale.

    II confine terrestre della Campania solo sul Matese e sulla Catena della Maddalena coincide con la linea displuviale tra i tributari tirrenici e quelli adriatici e ionici, e per limitata lunghezza. In corrispondenza di alcune montagne calcaree esso si arresta alle strozzature più accentuate delle valli rivolte al Tirreno ed esclude in tal modo l’alto bacino dei fiumi che le percorrono, anche se si appoggia per un tratto ad essi. Infatti l’alta valle del Volturno, a monte della stretta che a Presenzano formano l’appendice meridionale delle Mainarde e i primi contrafforti del Matese, resta inclusa nel Molise; le valli del Plàtano e del Melandro, subaffluenti del Sele, fanno parte della Basilicata, a monte delle gole che i fiumi hanno inciso nei rilievi calcarei della dorsale appenninica principale. In corrispondenza dell’Appennino Sannita il confine tra la Campania e la Puglia si appoggia ad una serie di rilievi minori (700-900 m.), che si allineano tra i Monti della Dàunia e le colline del Melfese e costituiscono, in questo tratto, il Subappennino adriatico, intaccato profondamente dall’Òfanto, dal Calaggio e dal Cervaro.

    I rapporti tra la popolazione dell’uno e dell’altro versante e tra quella dell’alta e della media valle dei singoli fiumi sono stati in alcuni casi ostacolati ed in altri favoriti dal rilievo, per cui i limiti amministrativi sono venuti a coincidere talvolta con quelli delle aree di attrazione da parte dei centri più cospicui del medesimo versante o di quello opposto.

    La posizione geografica della regione e la conformazione della sua costa, in cui sono aperti grandi golfi, fronteggiati da importanti isole, protetti da penisole e forniti di ricco retroterra, hanno assicurato ottimi rifugi ai naviganti, favorito la navigazione costiera e di cabotaggio e consentito la creazione di notevoli porti commerciali.

    La Campania non occupa una regione naturale, in quanto le condizioni fisio-grafiche non le danno unità: da ciò derivano in parte la mancata unificazione politica e l’instabilità dei suoi confini. Essa è una regione storico-amministrativa, i cui abitanti, però, sono informati da uno spirito unitario, che era comune anche a quasi tutte le popolazioni dei territori che le sono stati sottratti dalle regioni limitrofe.

    Sebbene si sviluppi su un lungo tratto di costa, l’area intorno a cui gravita tutta la regione è costituita dal Golfo di Napoli e dalla metropoli partenopea, la quale è stata a lungo capitale del principale organismo politico dell’Italia, aperta agli influssi culturali esterni, che ha rielaborati ed assimilati nel suo ricco patrimonio spirituale, principale centro di studi e di propulsione di vita politica, religiosa ed economica nel Mezzogiorno, di attrazione d’importanti strade rotabili e ferrate e di convergenza di varie rotte marittime, che consentono alla città e al suo porto di estendere la loro sfera d’influenza anche fuori dei limiti regionali.

    Il nome della regione e la sua estensione nelle diverse epoche.

    Il nome della Campania ha origini abbastanza remote e deriva da quello col quale nel V e nel IV secolo a. C. erano indicate le popolazioni osche della pianura a sud del Volturno, cioè gli abitanti di Capua e del territorio gravitante su quella importante città. Essi entrarono presto nell’orbita politica dei Sanniti, i quali occuparono anche le città greche costiere (Cuma, Dicearchìa, Napoli) nel corso della seconda metà del V secolo, sebbene avessero lasciato una grande autonomia sia a Capua che a Napoli.

    L’Opicia, come era chiamato dai Greci il fertile Piano Campano, cioè la terra abitata dagli Osci (nome derivato da Opici attraverso le varianti Opsci e Olisci), con capoluogo Capua, che era senza dubbio una delle più popolose città d’Italia — se non la più popolosa —, attraversò un periodo di notevole splendore, pur dopo la penetrazione sannita. Capua cominciò a coniare, in sostituzione di quelle greche,

    Vedi Anche:  Le origini

    monete proprie, sulle quali compare per la prima volta in greco ed in osco l’indicazione della nazione campana con le seguenti più frequenti varianti: Kampanon, Kampanom, Kappanom, Kappanos. Tali monete costituiscono la più antica testimonianza dell’uso di questo nome per distinguere le popolazioni dell’Agro Capuano da quelle vicine. Il territorio abitato da tali popolazioni sarà quindi chiamato Campania.

    Dopo la conquista romana il nome Campania diventa di uso generale e passa ad indicare comunemente la fertile pianura tra il Roccamonfina, il Subappennino e i Lattari. L’attributo di felix, che l’accompagna presso gli autori classici, è da mettere in relazione con la grande fertilità del suolo, con la mitezza del clima, con la varietà delle colture erbacee ed arboree e con la bontà della frutta.

    Le conche interne e le valli longitudinali, comprese tra le dorsali appenniniche, abbastanza fertili per il rivestimento di abbondanti materiali alluvionali e tufacei, erano il dominio delle stirpi sannitiche (Caraceni, Pentri, Caudini e Irpini), genti italiche fiere e bellicose, mai rassegnate a subire il predominio dei Romani, le quali si affacciarono presto alle ricche pianure litoranee e ne conquistarono estesi lembi. Il loro territorio confinava con quello dei Lucani a sudest, degli Appuli, dei Dàuni e dei Frentani ad oriente, dei Peligni, dei Marsi, dei Volsci e degli Osci (Campani) a settentrione e ad occidente.

    La valle del Sele e il Cilento erano territori dei Lucani, altra stirpe italica combattiva, unita in confederazione con i Sanniti. Essi, nella loro espansione verso la costa, assorbirono presto i minori insediamenti greci sul Golfo di Policastro e poi anche Poseidonia (Paestum), permettendo più lunga vita solo ad Elea (Velia), che era in posizione appartata e per di più protetta da robusta cerchia muraria.

    L’affermazione della potenza di Roma nel Lazio spinse i Romani ad interessarsi anche della Campania, dopo l’occupazione del territorio degli Aurunci. Cominciavano le guerre con i Sanniti. La deduzione di numerose colonie romane nella valle del Garigliano, tra il Màssico e il Volturno, e nell’Agro Falerno nella seconda metà del IV secolo a. C., ridusse il dominio degli Osci, perchè il territorio a nord del Volturno rientrò nel Latium Novum. Successivamente con la graduale occupazione (Napoli, 326 a. C. ; Capua, 216 a. C.) e con la colonizzazione della pianura, come delle valli comprese tra l’Appennino e il Subappennino tirrenico in territorio san-nitico (Satìcula = Sant’Agata dei Goti, 312 a. C.), i limiti della Campania si ampliarono a spese di queste terre marginali colonizzate.

    La mescolanza di popolazioni diverse e la loro fusione attraverso la lingua e la cultura latina, che si associarono o si sovrapposero a quella greca e osca, non giustificavano più l’uso restrittivo del nome per indicare il territorio abitato da una popolazione politicamente autonoma, ma consigliavano la sua applicazione ad una regione geografica. Questa sarà delimitata dal Garigliano a nordovest, dal basso corso del Sele a sud, dai rilievi appenninici verso l’interno: sarà una regione in prevalenza pianeggiante e litoranea, e così entrerà a far parte, insieme col Lazio, della Regione Prima, nella ripartizione augustea dell’Italia in undici regioni.

    Essa riceveva un carattere unitario non solo dalle forme del terreno, in prevalenza pianeggiante, e dalla fertilità del suolo, ma anche dall’alta densità della popolazione, dalla cultura greca che da Napoli continuerà ad irradiare, dall’amenità dei luoghi che hanno esercitato in tutti i tempi un potente richiamo e un fascino particolare su coloro che vanno in cerca di svaghi e di riposo.

    Il Sannio Irpino, con la città di Benevento, fu assegnato alla Regione Seconda, che comprendeva anche la Puglia attuale; il territorio a sud dei Picentini e del basso corso del Sele, appartenente alla Lucania, rientrò nella Regione Terza, che si estendeva dalla Sella di Conza e dalla valle del Bràdano fino alla estrema punta meridionale della Calabria.

    Con la ripartizione dell’Italia in 17 province, fatta da Adriano e confermata da Costantino, la Campania subì sensibili modificazioni di confini e di estensione, perchè incorporò il territorio irpino con Benevento e raggiunse lo spartiacque tra il bacino del Volturno e quelli dei fiumi adriatici, includendo anche Aequum Tuticum (Ariano Irpino). Essa era una delle province più note d’Italia per la varietà della produzione agraria e per il numero delle città e aveva in Capua il capoluogo.

    La caduta dell’Impero Romano e la discesa dei Barbari portarono all’occupazione della Campania, la quale, anche quando passò sotto il dominio dei Bizantini, in seguito alla vittoria di questi sui Goti (555), conservò l’unità politico-amministrativa.

    La penetrazione dei Longobardi nell’Italia meridionale consolidò invece la divisione della Campania in due parti: una costiera, sotto il dominio bizantino, che conservava anche il nome di Campania ed era formata dal territorio di Gaeta, di Napoli e di Agròpoli, ed una interna costituita dai ducato longobardo di Benevento (diventato principato nel 774), che spinse il suo dominio fino al Gargano e al Golfo di Policastro.

    Quando Napoli si eresse a ducato indipendente dall’esarca di Ravenna e da Bisanzio (VII secolo), il termine perdette nella nostra regione qualsiasi significato geografico e passò ad indicare territori pianeggianti entro e fuori i confini d’Italia. Divenne sinonimo di pianura e fu applicato in particolare al territorio di Pavia, di Milano, di Cordova, di Reims e così via (Pellegrino). Sin dal tempo dell’insediamento dei Longobardi nella valle del Garigliano il territorio pianeggiante del Lazio fu

     

     

    Ripartizione politica della Campania nel X secolo.

    detto latinamente Campania Romana, espressione che è diventata poi Campagna Romana.

    Il Principato di Salerno, formatosi in seguito allo smembramento di quello beneventano, raggruppò quasi tutte le terre che poi hanno costituito l’attuale provincia di Salerno e che sono comprese tra il mare e la catena principale dell’Appennino. Neil’850 si formò la Contea di Capua, che si distaccò definitivamente dal Principato di Salerno nell’872 e mantenne la sua indipendenza, approfittando delle lotte tra i due Principati di Benevento e di Salerno. La nuova città di Capua, sorta nell’856 sulle rovine di Casilinum, raccolse l’eredità dell’antica Capua, ormai semispopolata e minante.

    Successivamente lo Stato normanno, costituitosi con l’unione dell’Italia meridionale e della Sicilia, assorbì i ducati costieri e i principati longobardi, ma lasciò in eredità Benevento e la sua conca allo Stato della Chiesa.

    Vedi Anche:  Profilo geografico regionale. Il cilento

    Con la formazione dei vari organismi politici autonomi ed indipendenti (Ducati di Napoli, Gaeta, Sorrento ed Amalfi; Principati di Benevento, Salerno e Capua) il nome Campania era andato gradualmente in disuso ed aveva ceduto il posto a quello delle varie unità politico-amministrative, che includevano il territorio della Campania di Adriano e parte delle regioni circostanti (valle del Liri, Monti Ausoni e Aurunci, valle del Sele, Cilento).

    Non sappiamo con precisione quando sia avvenuta la ripartizione amministrativa della nostra regione nelle quattro parti di Napoli, Terra di Lavoro, Principato Citeriore e Principato Ulteriore, perdurata fino all’Unità d’Italia, ma è da ritenere anteriore al secolo XIII e avvenuta ricalcando i confini dei principali organismi politici, che esistevano sul suo territorio nell’alto Medio Evo. Infatti alla fine del secolo XIII (sotto Carlo II, 1297-99), si segnarono i limiti tra il Principato Citra Serras Montoni e il Principato Ultra Serras Montoni sul ciglio dei Monti Picentini, che fa per un tratto da spartiacque tra il bacino del Sarno e quello del Sàbato e che corrisponde appunto alle medioevali Serre di Montoro.

    Il Principato Citra o Citeriore si estendeva dal litorale di Castellammare di Stabia a quello di Policastro e includeva quasi tutto il bacino idrografico del Sele, ad eccezione della valle del Plàtano; il Principato Ultra o Ulteriore comprendeva un ter-

    ritorio ugualmente vasto tra il Matese e i Picentini e tra le dorsali subappenniniche tirreniche e adriatiche e circondava il possedimento pontificio di Benevento. Il nome di Terra di Lavoro sembra legato alla formazione della Contea di Capua (secolo IX), diventata principato nel secolo X, ed ha indicato prima il territorio appartenente a quell’organismo politico, poi l’unità amministrativa da esso derivata con la conquista normanna e angioina. La sua estensione si è andata fortemente riducendo nel corso dei secoli a favore delle regioni confinanti o delle province vicine.

    La Terra di Lavoro era unita ancora nel secolo XIV al contado di Molise, dal quale si è separata forse sotto gli Aragonesi, estendendosi dalla Penisola Sorrentina ai monti dell’Abruzzo e ai confini nord-occidentali dello Stato, ma rimanendo ad indicare più ristrettamente la terra degli antichi Campani. Il territorio del Ducato di Napoli sin dal tempo degli Angioini riacquistò una privilegiata autonomia rispetto alla Terra di Lavoro, per la presenza della capitale del Regno. Benevento con la sua valle, ceduta nel 1059 da Roberto il Guiscardo a papa Nicolò II, fu riconfermata allo Stato della Chiesa nel 1139 da Ruggero II in cambio dell’investitura della sovranità sull’Italia meridionale, ottenuta da Innocenzo II, ed è rimasta territorio pontificio fino al 1860.

    La ripartizione amministrativa medioevale, cui si è accennato, è durata con poche modificazioni fino alla formazione del nuovo Stato italiano. Soltanto nei primi decenni del secolo scorso si ebbero delle sensibili variazioni territoriali interne, relative ai limiti dei distretti e ai loro capoluoghi, dettate talvolta da ragioni politiche, e quindi non durature. Col riordinamento amministrativo di Giuseppe Napoleone, del Murat e di Ferdinando I delle Due Sicilie, avvenuto tra il 1806 e il 1816, il Principato Ulteriore dovette sacrificare alcuni comuni periferici alla Capitanata (Accadìa, Mon-teleone, Greci, Savignano, Castelfranco) e al Molise (Pontelandolfo, Ponte, Reino, Casalduni, San Lupo, Campolattaro), mentre il Principato Citeriore cedette al nuovo distretto di Potenza i territori di Màrsico Nuovo, Brienza, Vietri e Balvano, che gravitavano verso i centri del Vallo di Diano.

    Con l’unificazione dell’Italia si creò la regione (compartimento) della Campania e si riportò in vita, con un preciso significato, un nome che era caduto in disuso nel Medio Evo e che ricorre raramente nelle opere degli autori anteriori al secolo XIX, ma solo per indicare la Terra di Lavoro. Con l’annessione di Benevento e del suo territorio, fu deciso di creare una nuova provincia e si procedette perciò a notevoli modificazioni di confine con il Molise e con la Puglia (1861), oltre che a sensibili ritocchi alla superficie e ai limiti delle province campane.

    Con tale riorganizzazione amministrativa delle sue province, la Campania si ampliava a danno del Molise, avvicinandosi allo spartiacque tra il bacino del Volturno (Tàmmaro) e quello del Biferno, e a danno della provincia di Capitanata, della quale includeva alcune valli (Fortore, Cervaro, Calaggio), creando talvolta cunei irrazionali, e perciò destinati ad essere in parte riassorbiti alla prima favorevole occasione. Essa, però, era costretta a sacrificare una parte del suo territorio a favore del Molise, nel l’alta valle del Volturno, subendo la perdita dei circondari di Venafro e di Castel-Ione, che dai tempi antichi erano rimasti legati alle vicende politiche e religiose della Campania e della Terra di Lavoro. Il comune di Presenzano è stato, però, riassorbito dalla Campania nel 1878.

    Con l’abolizione della provincia di Caserta (2 gennaio 1927), la Campania ha subito altre gravi mutilazioni a favore del Lazio e del Molise. Essa perdeva in quella occasione tutta la sezione a nord del Garigliano, che fu divisa tra la provincia di Latina (Fondi, Gaeta), istituita col nome di Littoria sulla pianura bonificata, e quella di Frosinone (Sora, Pontecorvo, Cassino). Inoltre la parte nord-occidentale del Matese (Capriati) e il territorio di Cercemaggiore, annesso nel 1861, passavano al Molise. Successivamente doveva cedere alla provincia di Foggia Orsara ed Accadia (1927), Anzano e Monteleone (1929) e poi anche Rocchetta Sant’Antonio (1939) e rinunciare alle Isole Ponziane. Queste erano appartenute tutte a Napoli fino ai tempi di

    Gioacchino Murat (1811), che trasferì le isole di Ponza, Zannone e Palmarola al distretto di Gaeta, e quindi alla Terra di Lavoro; sono ritornate tutte alla provincia di Napoli nel 1927 e passate al Lazio nel 1934, poi sono state riassorbite da Napoli nel 1935 e definitivamente cedute a Latina nel 1937.

    Con la ricostituzione della provincia di Caserta (1945) le mutilazioni operate a nord del Garigliano sono rimaste, mentre è stata recuperata la sezione del Matese a nordovest della valle del Lete, passata al Molise nel 1927. Come nei tempi antichi, così in quelli moderni la Campania ha dovuto sacrificare parte del suo territorio al Lazio.

    La superficie della regione e delle province che ne fanno parte ha subito variazioni molto sensibili nelle diverse epoche, come avremo occasione di mostrare con maggiori dettagli più avanti.